A un certo punto, la depressione per quel cielo, sempre rosso e sempre aranciato, divenne insostenibile.
Arthur Dent prese una decisione e, dopo aver strofinato tre volte il naso con sua mamma Trillian (i marziani si salutano così), salì a bordo della sua astrocar. Aveva sentito parlare di un pianeta bianco e azzurro: doveva essere bello vivere lì.
L’astrocar era una vecchia utilitaria e ci vollero venti giorni standard, ma alla fine Arthur arrivò sulla Terra e, scelto un posto a caso, fece landing in Italia.
Fu il paradiso. Conobbe la pasta al pomodoro, il frico e la malvasia. Anche il sole, immerso in quei cieli blu, era una tiepida e piacevole scoperta. Arthur si sentiva finalmente bene e, poiché era di spirito gentile, si fece presto degli amici.
Un giorno venne a sapere che l’Università aveva bandito un concorso per un posto a cattedra di lingua e letteratura marziane.
“È proprio quello che fa per me” – pensò – “È vero che su Marte facevo il consulente legale e che, a scuola, prendevo sempre cinque in marziano, ma qui sono l’unico che conosce la lingua, senza tenere conto che ho anche una discreta conoscenza della letteratura, perché ho letto tutti i gialli di Douglas Hactar!”.
Con stupore apprese, tuttavia, che il concorso era stato vinto da una studiosa di filologia ugrofinnica con dottorato a Kuala Lumpur. Arthur era arrivato terzo, perché gli era stato preferito anche un associato di fisica dei corpi fluidi che veniva dall’Università di Capo Passero.
“Non è possibile!”, pensò Arthur.
Poiché era entrato in confidenza con Santino, che faceva l’avvocato, una sera lo invitò in birreria e, davanti a un wurstel pallido e a un piatto di patatine lutee, disse: “Voglio rivolgermi al giudice”.
“Un momento”. – replicò Santino – “Non basta dire che vuoi andare dal giudice. Si deve prima stabilire davanti a quale giudice”.
Il dialogo che seguì si svolse più o meno in questi termini.
“Come?” – fece Arthur – “Qui non c’è un solo giudice?”.
“No. Ce ne sono diversi e per la tua causa quello giusto è il giudice amministrativo”.
“Boh, io, questa cosa, non la capisco tanto. La giustizia dovrebbe essere applicata in modo uguale per tutti e un giudice che decide su cause particolari è un giudice che riserva ad alcuni soggetti un trattamento speciale. Ma, alla fine, basta che sia indipendente e che possa giudicare in modo imparziale. Sarà così anche per questo giudice amministrativo”.
“Dipende da quello che intendi” – fece Santino – “I giudici del primo grado, in effetti, sono assunti per concorso. Ma i giudici di secondo grado – quelli che metteranno la parola fiat sulla tua causa – sono nominati per un quarto dall’esecutivo. Cioè, proprio da quell’amministrazione su cui saranno chiamati a giudicare. Spesso, inoltre, questi giudici vanno e vengono dai ruoli della pubblica amministrazione. Ora fanno i consiglieri dei ministri, altre volte dirigono importanti autorità. Poi tornano a fare i magistrati e il loro posto nei ministeri viene preso da altri loro colleghi con cui si danno il turno”.
“Questo non è tanto bello” – osservò Arthur – “Ma immagino che, se i giudici commettessero delle birbanterie, ci sarebbero dei procedimenti disciplinari…”.
“Sì e no. Nel senso che è vero: ogni tanto se ne celebrano. Ma è sempre uno psicodramma, perché il procedimento disciplinare non è mai stato ben regolato e così si va all’impronta. Non esiste neppure un vero e proprio organo di autogoverno perché quello che c’è si limita a dare le autorizzazioni sugli incarichi esterni e ad assegnare le sedi, senza avere competenze disciplinari. In realtà, il Consiglio di Stato è governato dal suo presidente, che è nominato anch’egli dall’esecutivo. È il presidente colui che dice quali siano le competenze delle sezioni, ripartendole sulla base dell’amministrazione resistente. Con la conseguenza che tutte le cause contro il Ministero delle Infrastrutture sono decise da un’unica sezione e da quegli otto o nove magistrati che la compongono. Il presidente stabilisce anche da quali magistrati siano composte queste sezioni oltre che la sezione più importante, da lui presieduta, che si chiama Plenaria. Su tutte queste cose il consiglio di presidenza si limita a dare un parere. Ma ti faccio osservare che anche questo consiglio è presieduto dal presidente del Consiglio di Stato. Inoltre, se gli garba, il presidente può acciuffare una particolare causa per farla decidere dalla sua Plenaria, invece che dalla sezione a cui è stata assegnata”.
A Arthur venne un senso di vertigine: su Marte le cose funzionavano in modo diverso. Ora, però, lui era qui e bisognava accettare le regole del gioco.
“Adesso, spiegami… concretamente… come si fa a presentare la causa?”.
“Beh, è abbastanza semplice” – rispose Santino – “Per prima cosa, devi notificare un ricorso all’Università e almeno a uno dei controinteressati”.
“Oh, bella! Perché mai a uno solo? A tutti o a nessuno, non ti pare?”.
“Perché se sono di più, poi si dovrà integrare il contraddittorio anche nei confronti degli altri”.
“Ho capito” – rispose Arthur – “ma, se è così, allora tanto vale non notificare il ricorso a nessun controinteressato e poi integrare il contraddittorio verso tutti. Cosa succede se non notifico a quell’unico?”.
“Succede che il giudice ti respinge il ricorso senza nemmeno leggere le carte”.
“Siete davvero bizzarri…” – chiosò il marziano – “Ma, dopo, come si va avanti?”.
“Dopo che hai notificato, devi depositare il ricorso”.
“E poi?”.
“E poi, aspetti”.
“Aspetto? Aspetto cosa?”.
“Aspetti. Aspetti che ti fissino l’udienza in cui la tua causa sarà decisa. Diciamo che puoi aspettare per anni, anche perché ti passeranno davanti altre cause che sono più importanti: appalti, interventi PNRR, opere pubbliche, mi capisci? Così può capitare che tu debba aspettare parecchio tempo. Al punto che, se l’udienza non sarà stata fissata entro cinque anni, tu dovrai dichiarare che vuoi proprio – ma proprio proprio, eh! – che il tuo ricorso venga deciso. Se non lo farai, la causa verrà cancellata”.
“Ma come! Anche questa! Non voglio sembrare scortese, ma su Marte, dopo che è stata presentata la causa, il giudice ha il dovere di deciderla, senza che questo dovere cada in prescrizione. Da noi non esiste che il giudice possa non fare la sua parte perché è rimasto a lungo inadempiente. E, poi, durante tutti questi anni, si farà pur qualcosa! Si ammetteranno delle prove, ad esempio. Io stesso vorrei chiamare a testimoniare il signor Lino, che era presente all’orale del concorso, perché riferisca che né la dottoranda di Kuala Lumpur né il professore di Capo Passero sono riusciti a spiccicare un’acca stracca di marziano e tanto meno conoscono i fondamentali romanzi di Douglas Hactar!”.
Santino sorseggiò la sua birra. La schiuma inzuppò i baffi che da neri divennero bianchi per tutto il tempo che ci volle prima che lui se li pulisse con il palmo della mano. Poi prese una patatina, l’intinse nella ciotola del ketchup e se la portò, meditabondo, alla bocca.
“In realtà, no. In quei cinque anni non si fa proprio niente. Anzi, non c’è nemmeno un momento preciso in cui si decide se una prova debba essere ammessa o no. Si fanno queste cose solo insieme ad altre, quando si valuta la domanda cautelare o si decide il merito. E, la tua testimonianza, forse riuscirai a portarla nel processo, ma non pensare di convocare Lino davanti al collegio, perché Lino potrà rendere solo dichiarazioni scritte”.
“Ma che testimonianza è, se il teste non viene nemmeno ascoltato dal giudice e dalle altre parti!” – sbottò Arthur, sempre più stupefatto – “Però, senti, io vorrei chiedere anche una perizia per dimostrare che chi ha scritto libri di filologia ugrofinnica e articoli sulla fisica dei corpi fluidi non ha le competenze per insegnare lingua e letteratura marziane. Almeno questo, potrò farlo?”.
“Fino a un certo punto, Arthur…” – disse Santino, inghiottendo un’altra patatina – “… intanto il giudice potrebbe dirti che queste verifiche ricadono nella discrezionalità dell’Università su cui lui non può mettere il naso…” – e qui Santino sprofondò il naso nel boccale di birra – “… in secondo luogo, anche se il giudice ti ammettesse la perizia, non ti aspettare che nomini un consulente esterno. Chiamerà, invece, un verificatore da un’altra Università”.
“Ma è pur sempre un’Università! Amici del mio avversario! Siamo sicuri che questo verificatore, come lo chiami tu, sia davvero imparziale?”.
“Eh…!” – Santino non aggiunse altro.
“Fatto sta che io non posso aspettare tutto questo tempo prima di sapere se avrò un lavoro. Ho le bollette da pagare e sulla Terra andate avanti con il combustibile fossile che è carissimo, quando su Marte usiamo il nucleare da almeno dieci millenni. Inoltre, atterrando ho rotto un sospensore dell’astrocar e il carrozziere mi ha chiesto un botto. Ho bisogno di uno stipendio. C’è niente che si possa fare nel frattempo?”.
“Sissì! Puoi provare a chiedere un provvedimento cautelare. Ne fanno anche di molto stravaganti, che la legge neppure prevede. E decidono in fretta, sai? Ma devi dimostrare di avere un danno grave e irreparabile”.
“Ah, beh!” – fece Arthur, finalmente sollevato – “questo è facile. Tiro fuori le bollette e la fattura del carrozziere”.
“Al tempo!” – lo fermò Santino, che era stato caporale istruttore a Udine – “Guarda che il danno grave e irreparabile non è mica solo il tuo. Anche se la legge non lo dice chiaro e tondo, il giudice valuta pure quello che subirebbe l’Università e poi fa una comparazione per stabilire chi dei due abbia il danno grave più grave. Di solito, il giudice dice che quello dell’Università è più grave del tuo, perché è legato a un interesse pubblico, che merita di essere tutelato di più”.
“Anche questa non me la spiego. Mi hai appena detto che il giudice non può fare valutazioni di questo tipo. Come l’hai chiamata? Discrezionalità?”.
“Però quando vuole le fa e fa anche di peggio, perché, se gli comoda, si sostituisce senza troppo discutere all’amministrazione e fa di testa sua. Egli è Giano. Ora fa il giudice, ora, invece, è la più alta di tutte le pubbliche amministrazioni, ora è tutti e due.
In ogni caso, si deve stare attenti a presentare una domanda cautelare, perché il giudice potrebbe ritenere che la causa sia già pronta per essere decisa e così ti fa sentenza subito. In questo modo, però, tu perdi la possibilità di presentare altre memorie e di produrre altri documenti, perché la causa viene definita così com’è”.
“Ma senti questa! Il giudice che mi confisca il diritto di difesa!” – Arthur era sempre più sconsolato – “Potrò pure oppormi o no?”.
“Oh, sì, puoi farlo, ma non servirebbe a nulla, perché è il giudice che decide se ricorrere alla sentenza in forma semplificata. Tu non riusciresti a evitarlo neppure se rinunciassi alla domanda cautelare. Ormai sei lì. Basta che tu passi per la camera di consiglio e… zac… sei preso al laccio”.
Arthur, perturbato e intontito, fissava i graffiti lasciati sul tavolo da precedenti avventori. Un cuore frecciato e una frase: Luana, tu sei la luna dei miei lunedì.
“Ma consolati,” – riprese Santino – “il giudice può cambiare il rito anche in altre occasioni. Ad esempio, se ritiene che la causa possa essere decisa subito, fissa lui, senza che nessuno glielo chieda, la camera di consiglio e questo anche prima che siano scaduti i termini per la costituzione. In questo modo, la causa si chiude in quattro e quattr’otto e magari alcune parti neppure lo sanno”.
“Ma ci sarà un appello!”.
“Ovvio che c’è un appello. E ci diciamo anche che l’appello ha carattere devolutivo perché si dovrebbe riprendere la causa in mano come se si fosse in primo grado. Ma non è mica del tutto vero, sai? Non si possono portare nuove prove, non si possono sollevare nuove eccezioni, quali esse siano, e si intendono rinunciate tutte le domande e tutte le eccezioni che non siano state riproposte con appello incidentale o nei termini di costituzione, se per caso il t.a.r. non le avesse valutate”.
“Funziona così, in Consiglio di Stato?”.
“Sì”.
“E sopra al Consiglio di Stato?”.
“Sopra, c’è la Cassazione. Anche lì capitano cose curiose, ma non serve che te ne parli, perché ci vai solo se è stato sbagliato il giudice e la Cassazione non può dire se il Consiglio di Stato abbia deciso bene o male la tua causa. In passato, poverina, ci ha anche provato, inventandosi un arzigogolo, ma poi l’hanno stoppata”.
“Quindi il Consiglio di Stato fa una giurisprudenza tutta per conto suo?”
“È così”.
“Un’altra cosa, Santino. Se vincessi la causa, poi mi assumerebbero in Università?”.
“Beh, non è scontato. Si dovrebbe rifare il concorso e se tu risultassi il candidato migliore avresti il posto. Del resto, neppure la sentenza è scolpita sulla pietra perché il giudicato, ormai, è a formazione progressiva. Perciò, l’Università potrebbe chiedere chiarimenti al giudice su come la sentenza debba essere eseguita e sai bene come funziona… ogni volta che si spiega qualcosa, inevitabilmente la si interpreta e ogni volta che si interpreta qualcosa, inevitabilmente la si cambia…”.
“Senti” – aggiunse Arthur – “se non ci fosse modo di vincere il concorso, potrei anche lasciar perdere. Ma io ero davvero il candidato migliore. Che almeno mi riconoscano i danni!”.
“I danni… sì, vero, … ma prima devi avere impugnato nei termini gli atti del concorso e il giudice deve averli annullati. Altrimenti, non ti verrà risarcito quasi nulla”.
La birra era diventata acida. Restava solo la domanda più importante.
“Tu cosa faresti al posto mio, Santino?”.
L’avvocato tirò il fiato: “Lascerei stare, Arthur. Rischi seriamente di buttare via tempo e quattrini e intanto ci staresti male. Mettiti, se mai, a fare qualche lavoretto in nero: dà qualche ripetizione, aggiusta gli scarichi dei lavandini… ti conviene…”.
Si salutarono davanti all’ingresso della birreria.
Arthur Dent era triste: caelum non animum mutant qui trans sidera currunt.
Qualche incivile aveva lasciato sul marciapiede una copia della Gazzetta Ufficiale del Pianeta Venere.
Per curiosità, Arthur la prese in mano. Conosceva bene il venusiano, che aveva imparato a scuola.
Vide così che l’Università di Frac aveva bandito un concorso di lingue e letterature marziane.
Arthur sollevò la testa. Di nuovo, aveva preso una decisione.
Montò sull’astrocar, tirò la levetta dell’aria, accese il motore a onde quantiche e partì, verso il secondo pianeta del sistema solare.
Francesco Volpe
* Relazione tenuta il 29 febbraio 2024 al Convegno Giudicati e riti del processo amministrativo, tenutosi a Trieste il 29 febbraio 2024 per la cura di Andrea Crismani.
L’intervento trae ispirazione da una suggestione del saggio di Alberto Romano, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa dopo la legge n. 205 del 2000 (epitaffio per un sistema), Dir. proc. amm., 2001, 602 s. Esso è, dunque, dedicata al suo Autore, tanto più che gli si è profondamente grati per il suo insegnamento.
Si sente, inoltre, la necessità di riconoscere un certo debito anche nei confronti di Douglas Adams e di Giulio Cesare Croce.