Una questione che interessa molto le Amministrazione comunali ed anche i professionisti concerne il metodo di calcolo della sanzione amministrativa prevista dall’art. 34, c. 2, del D.P.R. n. 380/2001, nota come c.d. fiscalizzazione dell’abuso.
Preliminarmente ricordo che l’art. 34, c. 2 del D.P.R. n. 380/2001 recita: “Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.
Questa disposizione, in sostanza, consente di mantenere un’opera abusiva – perché realizzata in difformità dal Permesso di Costruire – se la demolizione della parte eseguita in difformità dal titolo compromette la staticità della parte conforme.
Evidenzio che la giurisprudenza più recente sembra richiedere, per poter applicare questa sanzione “alternativa” alla demolizione, il previo ricevimento dell’ordine demolitorio da parte del privato, a cui deve seguire una documentata richiesta dello stesso indicante le ragioni di carattere tecnico ostative alla demolizione (T.A.R. Veneto, sez. II, 30.12.2016, n. 1440; Id., 25.11.2016, n. 1297; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 18.11.2016, n. 2167; Id., 11.01.2016, n. 1842; T.A.R. Bolzano, 26.10.2016, n. 298).
Pertanto, se l’immobile è residenziale, il Comune deve poi applicare una sanzione amministrativa pari al doppio del costo di produzione determinato ai sensi della L. n. 392/1978 (c.d. Legge sull’equo canone).
L’ente, in particolare, deve seguire il metodo di calcolo della sanzione determinato dagli artt. 14 e 22 di questa Legge.
Alcuni Comuni, però, data l’abrogazione dei suddetti articoli, hanno introdotto nuovi e diversi metodo di calcolo.
In realtà questo meccanismo non appare corretto.
Nonostante l’art. 14, c. 4 della L. n. 431/1998 abbia disposto l’abrogazione di queste disposizioni, il rinvio alla Legge sull’equo canone previsto dall’art. 34 deve essere considerato come un rinvio c.d. recettizio o materiale (ovvero riferito al metodo di calcolo ivi contenuto) e non come un c.d. rinvio non recettizio o formale (ovvero riferito alla legge attualmente vigente), come già chiarito dalla giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 26.01.2012, n. 416; T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 18.12.2007 n. 3733).
Premesso ciò, è utile chiedersi se il costo di produzione da considerare sia quello vigente al momento in cui viene applicata la sanzione, ovvero quello sussistente al momento dell’abuso.
La questione si rileva particolarmente interessante per gli abusi commessi prima del 1975, atteso che l’art. 14 della L. n. 392/1978 recita: “il costo base a metro quadrato per gli immobili, la cui costruzione è stata ultimata entro il 31 dicembre 1975, è fissato in: a) L. 250.000 per gli immobili situati in Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Lazio; b) L. 225.000 per gli immobili situati in Campania, Abruzzi, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. La data di ultimazione dei lavori è quella risultante dal certificato di abitabilità o, in mancanza, dal certificato di ultimazione dei lavori presentato agli uffici delle imposte, oppure quella comunque accertata”.
Al contrario, l’art. 22 prevede che: “Per gli immobili adibiti ad uso di abitazione che sono stati ultimati dopo il 31 dicembre 1975, il costo base di produzione a metro quadrato è fissato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con quello di grazia e giustizia, sentito il Consiglio dei Ministri, da emanare entro il 31 marzo di ogni anno e da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica”.
Evidenzio che l’ultimo provvedimento legislativo emanato in attuazione di questo articolo è stato il Decreto Ministeriale LL.PP. datato 18.12.1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30.12.1998 n. 303 e che si riferisce ai lavori abusivi posti in essere nel 1997.
La difficoltà interpretativa sorge dal fatto che l’art. 34, a differenza dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, non chiarisce se la c.d. fiscalizzazione dell’abuso debba prendere come parametro di riferimento i costi di produzione esistenti al momento dell’abuso o quelli sussistenti al momento dell’applicazione della sanzione.
Sul punto ricordo che l’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, con riferimento agli interventi di ristrutturazione edilizia realizzati in assenza o in difformità dal Permesso di Costruire, infatti dispone che: “Qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392 e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all’applicazione della legge medesima, del parametro relativo all’ubicazione e con l’equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell’articolo 16 della medesima legge. Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile, determinato a cura dell’agenzia del territorio”.
La disposizione, in sostanza, impone di applicare il valore del costo di produzione previsto dagli artt. 14 e 22 della L. n. 392/1978, ma “aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso”.
Premesso ciò, parte della giurisprudenza ritiene corretto applicare i valori attuali: “Con riguardo alla sanzione pecuniaria ex art. 34 del DPR 380/2001 – da determinarsi ai sensi del citato articolo in applicazione della legge 392/1978 in misura doppia del costo di produzione – tale costo è da riferire al momento di presentazione della domanda di titolo in sanatoria e non a quello della realizzazione dell’abuso, sia in considerazione del già citato carattere permanente dell’abuso, sia al fine di evitare che l’autore dell’illecito edilizio finisca per ottenere un lucro legato al decorso del tempo. Secondo la giurisprudenza, infatti, “la stima va effettuata in ogni caso al momento in cui il Comune irroga la sanzione pecuniaria, e non con riferimento alla data di accertamento dell’infrazione o di ultimazione dell’opera abusiva. Ciò onde evitare che il responsabile dell’abuso possa ritrarre un indebito arricchimento per effetto dell’incremento del prezzo della costruzione successivo all’ultimazione dell’abuso e che la sanzione pecuniaria si concreti in un vantaggio economico rispetto all’alternativa costituita dalla sanzione demolitoria. Appare quindi superata la tesi secondo cui il momento determinante coincide con il giorno in cui le opere sono state portate a compimento. (T.A.R. Valle D’Aosta, 18.07.2002 n. 83, Cons. Stato Sez. V, 23.11.1998 n. 4257; id Sez. V, 30.10.1995 n. 1510)” (Così T.A.R. Napoli, Sez. II, sent 929 del 14.02.2011)” (T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 15.06.2015, n. 877).
Anche il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 03.04.2013, n. 473, sembra aver aderito a questa linea interpretativa statuendo che: “Quanto al primo profilo dedotto, i ricorrenti contestano l’erroneità dei criteri applicati per la determinazione della sanzione pecuniaria, in quanto in applicazione del metodo indicato dalla legge 392/78, il calcolo del “costo di produzione”, da moltiplicare poi per i coefficienti rapportati allo stato di manutenzione e conservazione dell’immobile, è stato riferito al valore al metro quadro del bene alla data di irrogazione della sanzione e non, come previsto dalla normativa espressamente richiamata dal T.U. Edilizia, al valore del bene al momento in cui i lavori sono stati ultimati o a quella di dichiarazione dell’agibilità. Se si fosse seguito il criterio proposto dal tecnico dei ricorrenti nella relazione, che ha fatto riferimento ai diversi parametri e quindi ai diversi valori così come dettati dai decreti ministeriali succedutisi nel tempo, l’ammontare della somma dovuta sarebbe stato inferiore. L’impostazione di parte ricorrente non può tuttavia essere condivisa, in quanto se è indubbio che la normativa del T.U. Edilizia ha effettuato il richiamo ai criteri dettati dalla legge sull’Equo Canone, è altresì vero che detto richiamo deve essere rapportato alla funzione che assolve la sanzione inflitta, la quale viene irrogata in alternativa all’ordine di ripristinare lo stato dei luoghi. Ne consegue che il calcolo dell’ammontare della sanzione pecuniaria dovrà essere effettuato tenendo conto del momento in cui la stessa viene irrogata, in applicazione del principio generale per cui gli interventi abusivi sono sanzionabili in base alla disciplina vigente al momento in cui avviene la repressione. Ciò vale sia per la sanzionabilità in genere dell’opera sia per la misura della sanzione pecuniaria, da riferirsi anch’essa alla valutazione dell’abuso al momento della relativa irrogazione, poiché quest’ultima si riconnette, per equivalente, alla sanzione alternativa alla demolizione e mira ad eliminare il plus valore economico conseguente all’abuso realizzato. Ne consegue che ai fini della determinazione della sanzione da infliggere per la realizzazione di opere edilizie abusive, deve tenersi conto del valore delle stesse al tempo della relativa irrogazione e non a quello corrente al momento della commissione dell’abuso, atteso che solo così operando l’autore dell’abuso non gode di un lucro rispetto all’alternativa sanzione della demolizione. L’applicazione dei richiamati principi anche nelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, si debbano utilizzare i criteri indicati per la determinazione del costo di produzione dalla legge sull’Equo Canone, deve pertanto comportare l’adeguamento dei valori cui fare riferimento, nella specie il valore al metro quadro dell’immobile, al momento in cui la sanzione viene irrogata, atteso che, diversamente opinando, si determinerebbe un ingiusto arricchimento per il proprietario dell’immobile abusivo, che già si avvantaggia della possibilità di non dover demolire il proprio immobile”.
Questa sentenza, però, è stata appellata e, ad oggi, mancano orientamenti chiarificatori provenienti dal Consiglio di Stato.
Pertanto, non escludo che si potrebbe applicare analogicamente il metodo di calcolo delineato dall’art. 33 anche nei casi previsti dall’art. 34, ovvero considerare il momento in cui si è stato commesso l’abuso quale base per il calcolo del costo di produzione.
Anche parte della giurisprudenza, d’altronde, sembra essere arrivata a questa conclusione: “Nei casi di abuso non demolibile su immobile destinati ad uso residenziale alle opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire si applica una sanzione pecuniaria pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, (vedasi TAR Lombardia 2178/2013). Il costo di costruzione indicato dall’art. 14 L. 392/1978 per gli immobili costruiti prima del 1975 è quello di € 129,11 (pari alle £ 250.000) e deve essere calcolato sulla base della superficie utile reale e non convenzionale perché è quella effettivamente abusiva” (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 22.10.2015, n. 910) ed ancora: “Va premesso che l’ammontare della sanzione pecuniaria, che si applica quando “la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”, è “pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla” L. n. 392/1978, “della parte dell’opera realizzata in difformità dalla concessione, se ad uso residenziale”, come ricorre nella specie. Quest’ultima legge, recante la disciplina delle locazioni di immobili urbani, applicabile qui per rinvio espresso, nello stabilire l’importo dell’equo canone, opera un distinguo, a seconda che la costruzione dell’immobile considerato sia o meno stata ultimata entro il 31.12.1975. Il Comune avrebbe dovuto, secondo la prospettazione dei ricorrenti, applicare al costo base, così come appena detto, i coefficienti correttivi dello stesso, indicati all’art. 15 della L. n. 393/1978 e “stabiliti in funzione del tipo, della classe demografica dei Comuni, dell’ubicazione…della vetustà e dello stato di conservazione e manutenzione dell’immobile”. La tesi non può essere condivisa, atteso che come rilevato dalla difesa dell’amministrazione resistente, la applicazione dei parametri deve essere fatta su elementi omogenei, e non disomogenei; pertanto se è vero che all’edificio non è stato applicato il coefficiente di vetustà, è altrettanto vero che la stima delle opere abusive risulta effettuata considerando lo stato dell’immobile all’epoca della realizzazione dell’abuso, in quanto è stato computato il costo a metro quadrato riferito agli immobili realizzati prima del 1975, e non il costo attuale al momento della applicazione della sanzione” (T.A.R. Napoli, sez. I, 11.07.2006, n. 7393), nonché: “La base di calcolo della sanzione pecuniaria sostitutiva è rappresentata dal costo di produzione di cui alla legge 392/1978, che per gli immobili ultimati dopo il 31 dicembre 1975 è disciplinato dall’art. 22 di tale legge, e ha come riferimento principale il costo dell’edilizia convenzionata accertato mediante decreto ministeriale. Al costo di produzione sono poi applicati diversi coefficienti in incremento o in riduzione” (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 29.12.2016, n. 1792).
Alla luce di quanto esposto, per applicare la c.d. fiscalizzazione di cui all’art. 34, c. 2 del D.P.R. n. 380/2001, ritengo innanzitutto corretto distinguere a seconda della data di commissione dell’abuso.
Se quest’ultimo è stato perpetrato prima del 31.12.1975, si dovrà applicare il costo di produzione base c.d. “fisso” di cui all’art. 14 della L. n. 392/1978.
Se invece l’abuso è stato commesso tra il 1976 ed il 1998, occorrerà infliggere la sanzione di cui all’art. 22, ovvero applicare il costo base di produzione c.d. “variabile” determinato annualmente dai Decreti del Presidenti della Repubblica o dai Decreti ministeriali.
Infine, se l’abuso è stato commesso dopo il 31.12.1997, la legge non disciplina affatto come calcolare il costo di produzione.
A tal fine ritengo individuabili almeno due soluzioni:
- l’ente potrebbe prendere in considerazione il costo base determinato dal D.M.LL.PP. del 18.12.1998 ed adeguarlo agli indici I.S.T.A.T. sussistenti al momento di commissione dell’abuso o, in mancanza di una data certa di realizzazione dell’abuso, a quelli vigenti al momento di applicazione della sanzione amministrativa. Evidenzio che questa soluzione sembra essere stata condivisa anche dal T.A.R. Veneto, sez. II, 30.04.2009, n. 1355.
- il Comune potrebbe applicare analogicamente l’art. 10, c. 7 del D.P.R. 15.11.2006 n. 314 che, nonostante rechi “la disciplina dell’assegnazione e della gestione degli alloggi di servizio per il personale dell’Amministrazione penitenziaria”, sembra introdurre un criterio avente portata generale laddove stabilisce che: “Per gli immobili costruiti dopo il 31 dicembre 1997, il costo base è determinato adeguando i valori fissati dal decreto del Ministro dei lavori pubblici in data 18 dicembre 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1998, nella misura del 75 per cento della variazione accertata dall’ISTAT dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatesi negli anni precedenti”.
Ovviamente, in tutte e tre le ipotesi, si dovranno poi applicare i coefficienti correttivi del costo base previsti dall’art. 15 della L. n. 392/1987 “in funzione del tipo, della classe demografica dei comuni, dell’ubicazione, del livello di piano, della vetustà e dello stato di conservazione e manutenzione dell’immobile”.
In definitiva, ci sono valide argomentazioni giuridiche per dissentire dalla statuizione del T.A.R. Veneto n. 473/2013 e per applicare la c.d. fiscalizzazione prevista dall’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 considerando il costo di produzione sussistente al momento di commissione dell’abuso e non il suo valore attualizzato al momento di erogazione della sanzione amministrativa.
Matteo Acquasaliente