Ringrazio l’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti per avere offerto l’opportunità di far conoscere un po’ più da vicino la realtà dell’Autorità di bacino distrettuale nel rinnovato assetto di competenze in materia di acque, scusandomi, fin d’ora, per i limiti di sintesi che inevitabilmente accompagneranno la descrizione dei diversi strumenti di pianificazione in cui si sostanzia l’azione di tutela ambientale a cui “il nuovo ente distrettuale” è istituzionalmente chiamato.
Per cercare di fornire una lettura dello schema entro il quale si iscrivono, oggi, ruoli e competenze delle Autorità di bacino, occorre prendere le mosse dalla visione del territorio che è stata operata dal legislatore nazionale prima e dopo l’adozione, in data 23 ottobre 2000, della direttiva 2000/60 del Parlamento Europeo e del Consiglio che ha istituito un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.
La pianificazione nel campo idraulico e geologico ha trovato radice – e per certi versi come vedremo la trova ancora – nella legge quadro sulla difesa del suolo (legge 18 maggio 1989 n. 183) e nella suddivisione del territorio da essa concepita in bacini idrografici nazionali / regionali / interregionali a cui è corrisposta l’istituzione di altrettante Autorità di bacino.
La direttiva 2000/60 ha rappresentato un forte elemento di discontinuità rispetto a tale impostazione, in quanto l’articolo 3 ha attribuito agli Stati membri il compito di individuare i bacini previsti nel loro territorio per assegnarli a singoli distretti idrografici. Distretto idrografico che la medesima direttiva riconosce quale “area di terra e di mare costituita da una o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere”.
In applicazione di ciò il Testo Unico Ambientale, già nella sua prima stesura entrata in vigore in data 29 aprile 2006 e poi oggetto di numerose modifiche che hanno riguardato anche la parte III Acqua e difesa del suolo, ha previsto la ripartizione del territorio nazionale in sette distretti idrografici istituendo in ciascuno di essi corrispondenti Autorità di bacino distrettuali[1].
A tali Autorità è stata attribuita natura di enti pubblici non economici, dotati, per statuto, di autonomia tecnico-scientifica, organizzativa, gestionale, patrimoniale e contabile.
Con tale specificazione il legislatore ha in un certo senso colmato l’assenza definitoria che aveva accompagnato l’istituzione delle Autorità di bacino nazionali nel testo dell’articolo 12 della legge n. 183/1989. Istituzione a fronte delle quale la Regione Veneto e le Province Autonome di Trento e di Bolzano promossero giudizio di legittimità costituzionale, ritenendo illegittima la creazione di nuove istituzioni statali in luogo di quelle regionali (o provinciali) attributarie delle medesime competenze. Con sentenza n. 85/1990 la Corte, nel confermare la legittimità della previsione contenuta nell’articolo 12 e la soluzione prescelta di affidare il governo dei bacini idrografici di rilievo nazionale ad autorità appositamente costituite, definì le Autorità di bacino nazionali quali “istituzioni a composizione mista Stato-Regioni” riconducendone la nascita alla facoltà del legislatore, costituzionalmente garantita, di conformare la cooperazione fra Stato e regioni per il perseguimento di obiettivi comportanti numerosi punti di interferenza e di intreccio tra competenze statali e competenze regionali[2]. Forti di tale qualificazione le Autorità di bacino nazionali hanno continuato ad operare fino a poco più di due anni fa.
La visione distrettuale del territorio si è infatti concretizzata molto recentemente in quanto lo schema prefigurato dal legislatore nel 2006, quindi già cinque anni e mezzo dopo l’adozione della direttiva 2000/60, è stato da subito calato in un regime transitorio e la sua operatività differita, per effetto dell’articolo 170 del T.U. ambientale, alla definizione di una successiva decretazione attuativa.
L’effettiva costituzione delle nuove Autorità di bacino distrettuali è quindi intervenuta, dopo un regime di proroga delle Autorità di bacino nazionali / regionali / interregionali protrattosi per oltre dieci anni, solo nel febbraio 2017, con l’entrata in vigore del Decreto del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 294/2016 (G.U. n. 27 del 2.02.2017).
Tale decreto, in forza dell’articolo 51 della legge n. 221/2015, integralmente sostitutivo dell’articolo 63 del T.U. ambientale, ha sancito la costituzione delle Autorità di bacino distrettuali e la contestuale soppressione delle Autorità di bacino nazionali / regionali / interregionali.
L’unità fisica di misura – e insieme il centro di imputazione giuridica e tecnica – della pianificazione di bacino ha quindi, oggi, una dimensione unica e distrettuale.
Dimensione che ha anch’essa superato un vaglio di legittimità costituzionale avendo ben dodici Regioni denunciato la violazione, da parte degli articoli 63 e 64 del T.U. ambientale, delle attribuzioni ad esse garantite dagli articoli 117 e 118 Cost. Con sentenza n. 232 del 2009 la Corte non ha ritenuto fondate le questioni dedotte nel presupposto che la disciplina relativa alla struttura e alle funzioni delle Autorità di bacino distrettuali, in quanto nuovi enti preposti alla tutela del suolo e delle acque, debba essere ricondotta alla tutela dell’ambiente, ambito materiale di competenza esclusiva statale.
La piena legittimazione del processo di riforma non ha peraltro evitato l’insorgenza di inevitabili problematiche legate al trasferimento delle competenze e al correlato esercizio delle funzioni di pianificazione che, previsto su un unico livello, sconta, tuttavia, una presenza stratificata sul territorio di strumenti di tutela.
Facendo un breve accenno a quello che si dirà tra poco basti pensare che, al netto delle realtà di Trento e di Bolzano i cui Piani Generali di Utilizzazione delle Acque Pubbliche (PGUAP) presentano caratteristiche specifiche e non raffrontabili con altri strumenti assunti su scala regionale, sono attualmente calati sul territorio distrettuale, in differenti fasi di adozione e applicazione, sette Piani stralcio per l’Assetto Idrogeologico[3].
Il magnifico territorio che ci ospita ricade, dunque, all’interno di uno dei sette distretti idrografici in cui è stato ripartito il territorio nazionale, ovvero, nel distretto idrografico delle Alpi orientali per il quale è stata istituita l’omonima Autorità di bacino distrettuale.
L’ambito geografico che ne è interessato si caratterizza per una straordinaria diversità fisica e politica.
Intercetta, da una parte, realtà amministrative che presentano differenti gradi di autonomia con differenti ricadute sulle discipline che regolano l’uso dei rispettivi territori (Province Autonome di Trento e di Bolzano, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Regione Veneto).
Include, dall’altra, realtà fisiche profondamente diversificate sul versante del regime idrologico (fiumi a carattere torrentizio e di risorgiva) e morfologico (bacini montani e planiziali) con specifici profili di vulnerabilità e corrispondenti esigenze di tutela. Rientrano nel distretto anche due ambienti lagunari (Venezia e Marano-Grado) con caratteristiche fisico-ambientali uniche nell’intero panorama nazionale.
Venendo alle competenze dell’Autorità di bacino distrettuale vanno innanzitutto distinti i due grandi ambiti in cui essa esercita la propria azione di tutela.
L’assetto del territorio (quindi una tutela dall’acqua, ovvero, dai fenomeni di dissesto idrogeologico).
L’assetto delle risorse idriche (quindi una tutela dell’acqua, ovvero, degli utilizzi della risorsa idrica).
Al centro di tale sistema si colloca il Piano di bacino distrettuale che l’articolo 65 del T.U. ambientale, replicando la medesima definizione già prodotta dalla legge n. 183/1989, concepisce quale “strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato”. Ad esso viene attribuito il valore di piano territoriale di settore.
In realtà tale Piano, nella sua concezione unitaria materialmente intesa, rimane un’opzione astratta.
E non potrebbe essere diversamente per la vastità delle discipline che tratta e per le differenti dinamiche procedurali che ne caratterizzano la definizione.
Esso esiste, certamente, quale genus a cui riferire i diversi strumenti di pianificazione che si legano ai due predetti macro-ambiti: assetto idrogeologico del territorio ed assetto delle risorse idriche.
Tali strumenti di pianificazione costituiscono, singolarmente considerati, stralci funzionali del piano di bacino distrettuale (articolo 65, comma 8, T.U. ambientale) che da essi è formato e in continuo aggiornamento.
Gli strumenti attraverso cui si sta esprimendo l’azione di tutela dell’assetto idrogeologico del territorio sono attualmente costituiti dai Piani per l’Assetto Idrogeologico (PAI) e dal Piano di Gestione Rischio Alluvioni (PGRA).
I PAI riflettono la visione del territorio operata con legge n. 183/1989 e hanno assunto come campo di indagine i bacini idrografici legati allo schema stato-regioni. Essi presentano fondamentali elementi comuni. Contengono la perimetrazione delle aree affette da pericolosità idraulica e geologica, esprimono una valutazione delle condizioni di pericolosità, riconnettono ad essa una classificazione delle aree e una corrispondente disciplina normativa. Non tutti, però, risultano perfettamente sovrapponibili nell’assunzione dei rispettivi approcci metodologici con la conseguenza che alcune condizioni di pericolosità non hanno avuto un identico criterio di indagine e ad esse, conseguentemente, non è sempre corrisposta l’attribuzione della medesima classificazione.
Sorvolando sugli aspetti prettamente tecnici che marcano l’analisi del territorio sotto il profilo idraulico e geologico, val la pena di annotare, tra gli elementi non comuni a tutti i PAI presenti oggi all’interno del distretto idrografico delle Alpi orientali, il concetto di area fluviale e quello di zona di attenzione.
Concetti che hanno assunto una certa rilevanza nella redazione dei PAI relativi agli ex bacini nazionali e agli ex bacini regionali del Friuli Venezia Giulia e attraverso cui si sono voluti riconoscere, da una parte, “particolari ambiti territoriali nei quali devono potersi svolgere i processi geomorfologici e idrodinamici propri del corso d’acqua” (in altre parole dove il fiume era, è, potrà essere) e, dall’altra, “porzioni di territorio ove vi sono informazioni di possibili situazioni di dissesto a cui non è ancora stata associata alcuna classe di pericolosità”. A tali classificazioni pertengono speciali regimi di tutela, configurando, le aree fluviali, espressione della massima pericolosità e necessitando, le zone di attenzione, di specifici approfondimenti finalizzati alla definizione dei fenomeni di dissesto[4].
D’altra parte l’assenza di una perfetta corrispondenza metodologica nella redazione dei diversi PAI, non ha prodotto alcun depotenziamento del quadro conoscitivo espresso e dal quale si evidenzia tutta la fragilità del territorio distrettuale sotto il profilo geologico (nella sola Regione Veneto oltre 2.900 aree classificate pericolose) ed idraulico (nella sola Regione Veneto oltre 2.600 kmq di aree classificate pericolose).
Secondo lo schema distrettuale è stato invece elaborato il PGRA attraverso cui è stata data attuazione alla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2007/60 relativa alla valutazione e alla gestione di rischi di alluvione. Con tale strumento sono state perimetrate aree potenzialmente allagabili secondo tre differenti scenari temporali (30 anni frequente, 100 anni medio, 300 anni raro) e aree a rischio in relazione al numero di abitanti, al tipo di attività economica insistente, al patrimonio culturale e ambientale. Esso si differenzia dai PAI non solo per la visione del territorio ma anche in termini di scopo. La sua finalità di tutela supera quella di stretta regolamentazione d’uso del territorio, ispiratrice dei PAI, ed è maggiormente proiettata alla gestione dei possibili eventi alluvionali, con ampi risvolti riferiti, quindi, alle azioni di protezione civile.
Pur con tale distinzione di fondo non v’è dubbio che si tratti di strumenti fortemente correlati. Particolarmente delicato ai fini dell’unitarietà della pianificazione di distretto, è il coordinamento dei contenuti espressi nel PGRA con quelli propri dei PAI. La questione riveste notevole importanza anche in termini di ricadute, di natura anzitutto urbanistica, che l’integrazione dei diversi strumenti produrrà sul territorio. Dalla sovrapposizione delle nuove aree perimetrate dal PGRA con quelle dei PAI, nasce, infatti, la necessità di rendere cogente una disciplina che superi la dimensione assunta nei PAI, territorialmente più limitata e ancora frazionata nel sistema di cui alla legge n. 183/1989, ma che consideri e risolva la differente impostazione tecnico-amministrativa che sta alla base dei diversi strumenti di pianificazione.
In attuazione di una specifica misura del PGRA (M-21) i contenuti normativi sviluppati dai PAI dovranno essere aggiornati su scala distrettuale. La prima scadenza è fissata per gennaio 2020.
La tutela delle risorse idriche trova espressione, a livello distrettuale, nel Piano di Gestione delle Acque (PGA), strumento con cui si è dato attuazione ai contenuti espressi nella direttiva quadro 2000/60 per la disciplina relativa agli utilizzi idrici (domestici, industriali, agricoli, idroelettrici) e rispetto al quale si potrà spendere qualche parola in più.
A tale ramo della pianificazione appartiene anche uno specifico piano di settore regionale – il Piano di Tutela delle Acque – che concepito inizialmente dal legislatore come stralcio del Piano di bacino, ha perduto tale qualificazione nella stesura dell’articolo 121 del T.U. ambientale che sembra, pertanto, averne reciso il collegamento organico con il Piano di bacino distrettuale. Rimane in ogni caso uno strumento profondamente connesso al Piano di Gestione delle Acque di cui condivide tanto il quadro conoscitivo quanto gli obiettivi di tutela.
Delineato velocemente il quadro di competenze nel quale l’Autorità di bacino distrettuale è chiamata ad esercitare la propria azione di tutela, si possono individuare quali sono i principali effetti che discendono da tali azioni sul territorio e, conseguentemente, sui soggetti pubblici e privati che vi sono presenti.
Ciò alla luce del fatto che l’articolo 65 del T.U. ambientale pone in capo ai piani di assetto ed uso del territorio e ai programmi di sviluppo socio-economico (piani e programmi di carattere comunale e regionale), un obbligo di adeguamento alle prescrizioni di carattere vincolante contenute nel Piano di bacino distrettuale.
Prescrizioni di carattere vincolante sono certamente rinvenibili nei PAI che incidono direttamente nel settore urbanistico e per i quali il legislatore prevede uno specifico meccanismo di adeguamento (nel prosieguo del convegno il tema verrà trattato nello specifico ma mi permetto di avanzare un elemento di discussione: mi chiedo, cioè, se l’obbligo di adeguamento alle disposizioni del piano di bacino che l’articolo 65, comma 6, riferisce agli strumenti urbanistici degli enti territorialmente interessati, veda negli strumenti urbanistici gli unici destinatari o agisca anche su eventuali disposizioni di legge da cui l’estensione di quegli strumenti può più o meno dipendere. Vedi ad esempio la legge regionale del Veneto n. 11/2004 nella parte relativa all’edificabilità in zona agricola o la recentissima n. 14/2019 Veneto 2050).
Non contiene invece prescrizioni vincolanti il PGRA che, privo di una disciplina normativa, attualmente costituisce, nelle mappe di allagabilità predisposte per lo scenario temporale di 30 anni, riferimento per l’aggiornamento dei piani territoriali di protezione civile.
Prescrizioni di carattere vincolante sono altresì contenute nel Piano di Gestione delle Acque.
Non potendo analizzare nello specifico i contenuti prescrittivi che caratterizzano i citati atti di competenza dell’Autorità di bacino, vorrei comunque evidenziare alcune delle disposizioni di maggiore impatto che sono state introdotte.
Disposizioni che, peraltro, sono state oggetto di numerose impugnazioni avanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ma che, fino ad oggi, sono sempre state confermate nella loro validità. Di fatto ciascuno degli atti di pianificazione passati in rassegna è stato sottoposto al sindacato del Tribunale delle Acque che si è pronunciato non solo su aspetti di natura procedurale e metodologica, considerando cioè l’intero impianto dello strumento di pianificazione, ma anche in relazione alle singole misure di tutela.
Visto il territorio che ci ospita ritengo opportuna una breve digressione sul Piano di Gestione delle Acque.
Come detto esso rappresenta lo strumento centrale per la tutela delle risorse idriche e, in attuazione della direttiva Quadro Acque 2000/60/CE, ha indagato lo stato di qualità di circa 2.000 corpi idrici diffusi nel distretto delle Alpi orientali, procedendo, secondo le metodiche dettate dalla direttiva differenti per acque superficiali e sotterranee, alla relativa suddivisione in cinque classi (stato di qualità elevato, buono, sufficiente, scarso, cattivo). Ad ogni corpo idrico è stato associato un obiettivo di qualità ambientale che coincide con il “raggiungimento del buono stato” fermo restando, in ogni caso, “il non deterioramento dello stato stesso”.
A questi due obiettivi fondamentali qualunque utilizzo della risorsa idrica deve uniformarsi. E che non si tratti solo di obblighi di principio ma di prescrizioni vincolanti l’ha sottolineato la Corte di Giustizia Europea in una fondamentale sentenza (causa C-461/13) affermando che “l’articolo 4 della direttiva 2000/60 deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri sono tenuti, salvo concessioni di deroga in conformità al diritto dell’Unione, a negare l’autorizzazione di un progetto qualora esso sia idoneo a provocare un deterioramento dello stato di un corpo idrico superficiale o a comprometterne il raggiungimento di un buono stato” (nella fattispecie un progetto di incremento di profondità di un fiume navigabile nel nord della Germania e, quindi, di assoluta attualità se rapportato alle problematiche che stanno interessando la laguna di Venezia).
Uno degli utilizzi della risorsa idrica che, sotto il profilo del raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale, assume particolare rilievo, anche in rapporto alla realtà geografica in cui ci troviamo, è sicuramente quello idroelettrico.
Per capire la portata del tema basti pensare che solo in Regione Veneto, alla data del 31 dicembre 2017, erano presenti quasi quattrocento impianti di produzione idroelettrica e che nel decennio 2008-2017 essi sono più che raddoppiati a fronte di un incremento di potenza installata del 6,5%. Una realtà che ha portato la Commissione Europea ad avviare uno scambio di informazioni con la richiesta EU Pilot n. 6011/14 chiedendo “alle Autorità italiane di fornire informazioni in merito ai nuovi impianti di produzione di energia idroelettrica per i quali l’iter autorizzativo è avviato e quelli programmati […] e in merito agli impatti che tali impianti avranno sull’ambiente tenendo conto delle installazioni per la produzione di energia idroelettrica già presenti che nei bacini dei fiumi Piave, Oglio e Tagliamento sono numerosissimi”.
In tale contesto il Piano di Gestione delle Acque ha formulato specifiche misure di tutela di carattere vincolante.
Riporto sinteticamente quelle più pregnanti richiamando anche una recente sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (n. 185 del 12 novembre 2018) che ha puntualmente analizzato i contenuti di alcune di esse confermandone la legittimità.
Vengono formulate dal Piano specifiche misure di tutela per i bacini montani e in particolare:
- una soglia di indisponibilità al prelievo laddove il bacino sotteso dall’opera di presa sia inferiore o uguale a 10 Kmq, intendendo per bacino inferiore o uguale a 10 kmq quello individuato dall’opera di presa (trattasi in definitiva dei bacini di alta montagna);
- una indisponibilità al prelievo laddove esso insista su un corso d’acqua non facente parte del reticolo idrografico della direttiva quadro acque (perché inferiore a 10 kmq) e al quale è cautelativamente assegnato un valore ambientale elevato.
Vengono inoltre formulate delle misure di tutela per tutti i bacini prevedendo:
- una indisponibilità al prelievo per opere di derivazione che interessano corsi d’acqua classificati in stato elevato;
- una indisponibilità al prelievo per opere di derivazione che interessano corsi d’acqua privi di classificazione e per i quali non sia stato condotto a cura dell’istante un monitoraggio ante operam;
- una indisponibilità al prelievo sui siti di riferimento individuati dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare.
Ulteriori disposizioni di tutela sono state successivamente formulate all’interno di due documenti tecnici espressamente richiesti dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in risposta al Pilot[5].
Con essi è stata elaborata una matrice di rischio ambientale a disposizione dei progettisti e delle amministrazioni regionali per valutare, anteriormente alla concessione, la compatibilità del prelievo con il raggiungimento/mantenimento del buono stato ecologico o con il mantenimento dello stato elevato, e una formula di calcolo per individuare il rilascio della portata compatibile con il raggiungimento/mantenimento del buono stato ecologico o il mantenimento dello stato elevato.
Concludo con una fotografia dello status dei Piani di gestione del distretto idrografico delle Alpi orientali (PGA, PGRA).
I piani di gestione, conformemente alle tempistiche dettate dalle direttive 2000/60 e 2007/60, sono entrambi in fase di aggiornamento in vista del ciclo di pianificazione 2021-2027.
In particolare l’aggiornamento prevede quali prossimi adempimenti per entrambi i piani:
- l’aggiornamento del quadro conoscitivo entro il 31 dicembre 2019;
- l’adozione della proposta di piano entro il 31 dicembre 2020;
- l’approvazione del piano entro il 31 dicembre 2021.
avv. Cesare Lanna
Ruolo e competenze delle autorità di bacino
* Relazione al XXIX Convegno annuale dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti, sul tema : “Cambiamenti climatici, tutela del suolo e uso responsabile delle risorse idriche” (Cortina d’Ampezzo, 5 luglio 2019)
[1] Alpi orientali, Po, Appennino settentrionale, Appennino centrale, Appennino meridionale, Sicilia, Sardegna.
[2] Secondo la Corte “Essendo, dunque, un obiettivo comune allo Stato e alle regioni, la difesa del suolo può essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l’uno e gli altri soggetti. Naturalmente le forme della cooperazione possono essere svariate, poiché oscillano dalla concorrenza (paritaria o non) delle due parti nella produzione del medesimo atto (intese, pareri, etc,) al coordinamento dell’esercizio delle rispettive funzioni, dalla possibilità di utilizzazione di organi dell’altra parte alla creazione di organi misti in cui siano rappresentate, paritariamente o non, le due parti”.
[3] ex bacini nazionali: ISONZO TAGLIAMENTO PIAVE BRENTA-BACCHIGLIONE approvato con DPCM. 21.11.2013; LIVENZA variante approvata con DPCM. 28.6.2017; ADIGE variante adottata con delibera conferenza istituzionale 27.12.2018; ex bacini regionali BACINI DI INTERESSE REGIONALE FVG approvato con decreto presidente regione n. 28 del 1.02.2017; SILE E PIANURA TRA PIAVE E LIVENZA approvato con delibera consiglio regionale n. 48 del 27.6.2007; SCOLANTE NELLA LAGUNA DI VENEZIA progetto adottato con delibera giunta regionale n. 401 del 31.3.2015; ex bacini interregionali LEMENE progetto adottato con delibera comitato istituzionale n. 1 del 26.11.2002.
[4] Con sentenza n. 7/2018 il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha riconosciuto la legittimità di tali ulteriori classificazioni basate su criteri innovativi sottolineando come il PAI (nella specie il PAI ISONZO TAGLIAMENTO PIAVE BRENTA-BACCHIGLIONE) ha legato la previsione del rischio funzionale non al regime vincolistico ma alla priorità ed alla possibilità degli interventi di tutela. Negli stessi termini anche Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sentenza n. 151/2018.
[5]Trattasi della “direttiva per la valutazione ambientale ex ante delle derivazioni idriche in relazione agli obiettivi di qualità ambientale definiti dal piano di gestione del Distretto idrografico delle Alpi orientali” adottata con deliberazione n. 1 del 14 dicembre 2017 della Conferenza Istituzionale Permanente e della ”direttiva per la determinazione dei deflussi ecologici a sostegno del mantenimento/raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati dal piano di gestione del Distretto idrografico delle Alpi orientali” adottata con deliberazione n. 2 del 14 dicembre 2017 della Conferenza Istituzionale Permanente.