Desidero in primo luogo ringraziare gli organizzatori di questo evento, in particolare l’Ordine degli Avvocati di Treviso e l’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti, oltre che tutti Voi che siete qui presenti.

Permettetemi un excursus per poter inquadrare la tematica anche a chi, magari qui nel pubblico, non tratta prevalentemente la materia del diritto amministrativo.

Il codice del processo amministrativo è stato introdotto nel nostro sistema giudiziario a seguito dell’approvazione del Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 ed è stato aggiornato varie volte, da ultimo dal D.Lgs. 31 marzo 2023 n. 36 e dal D.L. 5 ottobre 2023, n. 133.

Il Codice raccoglie l’intera disciplina relativa alla giurisdizione amministrativa e si compone di cinque libri.

In particolare, il Libro I prende in considerazione i principi fondamentali del processo amministrativo quali, ad esempio, quello dell’effettività, quello del giusto processo e quello di motivazione e sinteticità degli atti.

Il Libro II esamina, nello specifico, il processo amministrativo di primo grado disciplinando il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio, la procedura di notificazione, il ricorso incidentale e le eventuali domande riconvenzionali, le modalità di costituzione delle parti, gli interventi in causa, le modalità di abbreviazione, proroga e sospensione dei termini, i procedimenti cautelari, i mezzi di prova e il contenuto della sentenza.

Il Libro III – che ha ad oggetto le impugnazioni – dopo essersi occupato della disciplina generale, regolamenta l’appello, la revocazione, l’opposizione di terzo e il ricorso per cassazione.

Infine, il Libro IV si occupa del giudizio di ottemperanza e dei riti speciali e il Libro V delle norme finali quali: l’elenco delle materie di giurisdizione esclusiva, quelle di giurisdizione estesa al merito, quelle per cui sussiste la competenza funzionale inderogabile del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio e le disposizioni sulle comunicazioni e sui depositi informatici.

È il Libro I, pertanto, quello dedicato ai principi fondamentali.

Esso si compone di cinque Titoli dedicati, rispettivamente, (I) ai principi e organi della giurisdizione amministrativa, (II) alle parti e difensori, (III) alle azioni e domande, (IV) alle pronunce giurisdizionali e, da ultimo, nel titolo quinto (V), porta a due norme, l’articolo 38 e l’articolo 39, dedicate rispettivamente al rinvio interno ed al rinvio esterno.

Trattasi, evidentemente, di due norme di chiusura dell’ordinamento; la prima delle quali stabilisce che “il processo amministrativo si svolge secondo le disposizioni del Libro II che, se non espressamente derogate, si applicano anche alle impugnazioni e ai riti speciali” ed è, evidentemente, la norma interna di chiusura del sistema.

L’articolo 39, invece, è composto di due commi che, testualmente, recitano: “1. Per quanto non disciplinato nel presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali. 2. Le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile”.

È da notarsi che questo rinvio esterno alla procedura civile sussisteva già nella legislazione del processo amministrativo previgente, dove l’allusione originaria era al codice di procedura civile del Regno, del 1865, salvo poi fare riferimento a quello del 1940 una volta che lo stesso venne promulgato.

È dunque, quella dell’articolo 39, una norma di chiusura dinamica dell’ordinamento, che riconosce nel codice di procedura civile un compendio di particolare importanza analogamente a quanto fanno per altri sistemi processuali il codice del processo tributario, il codice di giustizia contabile e il testo unico delle acque pubbliche.

Si badi bene che i principi processuali civilistici vengono applicati nel processo amministrativo non certo solo per il rinvio operato dall’articolo 39 bensì pure per molti casi di applicazione diretta, in quanto le singole norme ne fanno espresso rinvio.

Gli esempi sono moltissimi; si pensi all’art. 10 c.p.a. sul regolamento di giurisdizione; all’art. 12 sulla controvertibilità in arbitri delle liti concernenti diritti soggettivi devolute alla cognizione del giudice amministrativo; agli artt. 17 e 18 c.p.a. sulle cause e sulle modalità di astensione del giudice, nonché sulle cause di ricusazione di questi; all’art. 19, laddove, per i consulenti tecnici, fa riferimento agli albi di cui all’art. 13 disp. att. c.p.c.; all’art. 20 c.p.a. sulle cause di astensione e di ricusazione del verificatore o del consulente tecnico d’ufficio; all’art. 26, comma 1, c.p.a. sulle spese del giudizio; all’art. 39, comma 2, c.p.a., sulle notificazioni; all’art. 41, comma 2, c.p.a., laddove fa riferimento all’art. 102 c.p.c. sul litisconsorzio necessario in caso di azioni di condanna, anche in via autonoma; agli artt. 42 e 43 c.p.a., che richiamano l’art. 170 c.p.c. per la notifica, rispettivamente, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti alle parti costituite; all’art. 52, comma 2, c.p.a., che richiama l’art 151 c.p.c.; agli artt. 63, 67, comma 4, 68, commi 1 e 3 c.p.a. sulle prove; all’art. 76, comma 4 c.p.a., sulla deliberazione della sentenza; all’art. 79, commi 1 e 2 c.p.a., sulle cause di sospensione e di interruzione del giudizio; all’art. 88 c.p.a., sul divieto di citazione in sentenza della dottrina; all’art. 90 c.p.a., laddove fa riferimento all’art. 96 c.p.c.; all’art. 96 c.p.a., sull’impugnazione incidentale; all’art. 106 c.p.a. sui casi e sui modi della revocazione; all’art. 118 c.p.a., sul decreto ingiuntivo; all’art. 1 disp. att. c.p.a., laddove richiama il codice di procedura civile per la registrazione delle impugnazioni proposte; al successivo art. 2, comma 6, disp. att. c.p.a., che richiama gli artt. 136, comma 1, c.p.c., e all’art. 45, disp. att. c.p.c., per le comunicazioni di segreteria.

Non solo; non passa giorno che i nostri T.A.R. e il Consiglio di Stato, nella loro attività ermeneutica, non trovino nuovi elementi di contatto fra i due sistemi processuali e sull’applicazione dei principi del processo civile al processo amministrativo.

E per converso questo orientamento, costante negli ultimi anni, ha fatto sì che nel recente periodo la Suprema Corte, da un atteggiamento che in tal senso era passivo, via via sta assumendo una posizione nella quale appare chiaro che non intenda cedere il proprio ruolo: chi seguirà dopo di me nella relazione tratterà, ad esempio, della recentissima sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione pubblicata appena sette giorni fa ovvero il 23 novembre scorso, numero 32.559/2023, ricorrente il Sindacato Italiano Balneari, la quale affronta una serie di temi, fra i quali quello della giurisdizione negata, che, squisitamente, costituisce un ponte fra il diritto processuale amministrativo ed il diritto processuale civile, innovando non poco nella materia della legittimazione ad agire sul tema dell’interesse protetto e giungendo, oserei dire, ad uno sconfinamento tematico di ciò che competeva al Consiglio di Stato, con ciò esercitando di fatto un potere tipico della giurisdizione di merito.

Ma, a dire il vero, vi è assai di più.

Vi segnalo una sentenza della IV Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato del 3 agosto 2023, la numero 7503/2023 dove, in tema di giurisdizione esclusiva, il Consiglio di Stato si spinge molto più in là facendo propri non solo gli strumenti processuali civili ma addirittura, attraverso la teorizzazione della coesistenza delle posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, gli istituti giuridici propri del diritto civile, dalla prescrizione e decadenza civile al concorso del creditore nel fatto colposo sino al tema della configurabilità della prova presuntiva e del relativo onere probatorio.

E, dunque, il quadro delle norme processuali civilistiche assume fondamentale importanza per il processo amministrativo sia che per esse vi sia un richiamo diretto, sia che esse rientrino in tale processo in virtù del rinvio dinamico per compatibilità o quale espressione di principi generali.

La riforma Cartabia ha innovato profondamente la materia.

Introdotta con decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149 e modificata dalla legge di bilancio 2023 (legge 29 dicembre 2022 n. 197) e dal decreto milleproroghe (decreto legge 29 dicembre 2022 n. 198) è entrata in vigore progressivamente tra il 22 ottobre 2022 e il 30 giugno 2023.

Essa ha per scopo l’attuazione della legge 26 novembre 2021 n. 206 ovvero:

  • l’efficienza del processo civile;
  • la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie;
  • la razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e della famiglia;
  • la materia di esecuzione forzata.

Anziché novellare il codice di procedura civile, la riforma ne sostituisce, aggiunge modifica o abroga tutta una serie di norme; essa, è bene dirlo, in gran parte recepisce indirizzi giurisprudenziali consolidati o, comunque, dirime questioni altrimenti controverse.

In parte le nuove norme restano proprie ed interne al processo civile: si pensi alla profonda innovazione del processo di cognizione (Libro II di quel codice) che, peraltro, essendo introdotto con atto di citazione, è peculiare del solo diritto processuale civile.

Per altra parte, invece la riforma interessa anche il processo amministrativo perché innova norme che lo riguardano.

Potremmo, schematicamente, suddividere la tematica in sei macro aree che sono:

–        le novità in materia di questione di giurisdizione;

–        le notificazioni;

–        il processo telematico;

–        il processo di merito e il processo di esecuzione;

–        il procedimento avanti la Suprema Corte di Cassazione;

–        l’arbitrato.

In tutte queste materie la riforma innova norme utilizzate anche nel processo amministrativo e, per quanto riguarda il rinvio dinamico di cui all’art. 39, comma 1, non si può non ricordare che l’ambito di incidenza e di utilizzabilità del codice di procedura civile nel processo amministrativo è lasciato all’interpretazione del Giudice amministrativo, con la conseguenza che il margine di incertezza applicativa in taluni casi è evidente.

 

I.

Una prima novità della riforma sta in materia di giurisdizione e ruolo del giudice amministrativo.

Stabilisce, infatti, il nuovo art. 37 c.p.c. che “il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica Amministrazione è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo. Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo e dei giudici speciali è rilevato anche d’ufficio nel giudizio di primo grado. Nei giudizi di impugnazione può essere rilevato solo se oggetto di specifico motivo, ma l’attore non può impugnare la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui adito”.

Tre, dunque, le innovazioni importanti.

In primo luogo il fatto che il legislatore ha allineato il tenore testuale dell’art. 37 c.p.c. a quanto previsto dall’art. 9 c.p.a..

Nella nuova norma si distingue, infatti, il cosiddetto difetto assoluto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione, che ricorre quando la controversia ricade nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione, e in tal caso il difetto di giurisdizione è rilevato anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo; da quello che è il cosiddetto difetto relativo di giurisdizione, che si ha quando la controversia pendente avanti il giudice civile riguardi, invece, materia attribuita ad altra giurisdizione e, dunque, si controverta in fattispecie di violazione dei limiti esterni della giurisdizione; in tal caso la rilevabilità è d’ufficio nel primo grado del giudizio nel mentre in sede di appello lo è solo se essa è oggetto di specifico motivo di impugnazione.

Terza novità di questa modifica normativa sta nel fatto che, così, entra nel codice di procedura civile il principio di autoresponsabilità ovvero l’attore che avesse incardinato la causa dinanzi al giudice ordinario e nel primo grado di giudizio fosse rimasto poi soccombente nel merito, in sede di impugnazione non potrà più esercitare lo ius poenitendi sulla giurisdizione.

Sempre in merito di giurisdizione vi è da segnalare la modifica dell’art. 362 c.p.c., in merito alla quale ci intratterrà di seguito il collega Avv. Maso; qui basti ricordare che il sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è circoscritto ai limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo ovvero all’esistenza dei vizi che attengono all’essenza della funzione giurisdizionale e non al modo del suo esercizio (non vi è, dunque, estensione agli errori in iudicando o in procedendo).

In conclusione, per quanto riguarda il tema della giurisdizione v’è da dire che la riforma Cartabia, conformemente al combinato disposto degli artt. 103 e 113 della Costituzione, ha provveduto a consacrare la sottrazione del ruolo del giudice amministrativo dalla categoria dei giudici speciali per conferirgli natura in un certo senso ordinaria o generale, con la dignità e il compito di tutelare in modo effettivo e pieno gli interessi legittimi giungendo, in tal modo, alla piena equiparazione tra giudice ordinario e giudice amministrativo nel contesto giurisdizionale italiano.

 

II.

La seconda novità della riforma sta in tema di notificazioni.

Tema per il quale, ricordo, dell’art. 39 c.p.a. espressamente è dedicato il secondo comma nel quale viene fatto espresso rinvio alla disciplina del codice di procedura civile e delle leggi speciali disciplinanti la materia.

Ora, qui vi è da segnalare che gli interventi riguardano sia le notifiche telematiche che quelle cartacee.

Per quanto riguarda le notifiche telematiche, due sono state le aree di intervento novativo.

La prima riguarda il codice di procedura civile ovvero:

  • è stato ritoccato l’art. 136 c.p.c., eliminando la possibilità di trasmettere il biglietto di cancelleria a mezzo del telefax;
  • è stato quindi ritoccato l’art. 147 c.p.c., a proposito dell’orario delle notificazioni telematiche, precisando che le stesse possono essere eseguite senza limiti orari ma che, per quanto riguarda la ricevuta di avvenuta consegna, se la stessa è generata tra le ore 21:00 e le ore 7:00 del mattino successivo essa si intende perfezionata per il destinatario alle ore 7:00.

Al primo comma dell’art. 149 bis c.p.c. si è resa obbligatoria per l’ufficiale giudiziario la notificazione a mezzo posta elettronica certificata ogni qual volta il destinatario è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di tale indirizzo PEC oppure quando il destinatario ha eletto domicilio digitale.

La seconda tipologia di interventi in materia di notificazione telematica sta nelle modifiche alla legge 53 del 1994.

In particolar modo, all’art. 3 bis viene aggiunto un comma 1 bis il quale stabilisce che, in materia di rappresentanza, la notificazione alle pubbliche amministrazioni, ferme restando le regole di rappresentanza necessaria degli organi dello Stato da parte dell’Avvocatura dello Stato e correlativa loro domiciliazione, è validamente effettuata presso l’indirizzo digitale indicato nel registro IPA.

È stato aggiunto anche l’art. 3 ter ma, per espressa previsione di legge, esso non si applica alle notificazione di atti relativi al processo amministrativo.

Per quanto riguarda le notificazione di atti cartacei, invece, l’art. 137 c.p.c. vede un nuovo sesto comma, in forza del quale l’avvocato esegue le notificazioni nei casi e con le modalità previste dalla legge; ed una modifica all’art. 4 della L. 53 del 1994 che prevede che l’Avvocato possa notificare a mano gli atti processuali civili e amministrativi nonché gli atti stragiudiziali quando il destinatario sia un altro avvocato che abbia la qualità di domiciliatario della parte.

Vi è, infine, qualche nuovo ritocco dell’art. 139 c.p.c. giacché, se la copia è consegnata al portiere o al vicino, l’ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione di notificazione specificando le modalità con le quali ne ha accertato l’identità e dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata.

 

III.

La terza categoria di novità della riforma va ascritta al processo telematico.

Qui v’è da dire che molta parte delle modifiche fra cui, in primo luogo, l’art. 36 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, non pare possano incidere con riguardo al processo amministrativo in quanto, in forza del combinato disposto dell’art. 13 disp. att. c.p.a. e delle previsioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 28 luglio 2021 recante regole tecniche operative del processo amministrativo telematico, quest’ultimo è dotato di una disciplina autosufficiente, particolarmente analitica e già evoluta sul piano tecnico giuridico.

V’è comunque da segnalare che la riforma ha abrogato il terzo comma dell’art. 369 c.p.c., che imponeva al ricorrente per cassazione di richiedere alla cancelleria del giudice che aveva emesso la sentenza impugnata di trasmettere alla cancelleria della Suprema Corte il fascicolo d’ufficio; è stato contestualmente introdotto l’art. 137 bis disp. att. c.p.c. che pone in capo al cancelliere della Corte il compito di acquisire tale fascicolo ma, si noti, ora si tratta di fascicolo telematico.

Anche la riforma dell’art. 46 disp. att. c.p.c., relativo alla forma e criteri di redazione degli atti giudiziari, non trova applicazione nella normativa relativa al processo amministrativo telematico in quanto, per il nostro processo, soccorre l’art. 13 disp. att. c.p.a. che assegna tale ruolo di disciplina al Presidente del Consiglio di Stato.

Analogamente, altre norme quali l’art. 196 quater delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti) e l’art. 87 disp. att. c.p.c. (produzione di documenti) non sono applicabili direttamente al processo amministrativo il quale ha, invece, una disciplina autonoma che non lascia spazio d’applicazione a quella del processo civile.

Va ricordato, comunque, che la riforma ha introdotto nel processo civile il nuovo Titolo V-ter delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile il cui capo I è deputato alla disciplina degli atti e dei provvedimenti nel mentre il capo II contiene le disposizioni relative alla certificazione di conformità delle copie; trattasi di recepimento di disciplina in gran parte già esistente in virtù del d.l.. n. 179 del 2012 che, peraltro, non pare incidere sul processo amministrativo.

Un secondo aspetto che va analizzato nell’ambito delle nuove norme sul processo telematico, invece, è quello relativo alla disciplina delle udienze.

In proposito, nel processo civile la rivisitazione è stata profonda perché l’articolo 127 c.p.c. oggi dispone che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi, meglio regolamentati dall’art. 127 bis, oppure sia sostituita dal deposito di note scritte, alla cui disciplina è deputato l’art. 127 ter.

Ora, certamente la sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte non è applicabile al processo amministrativo nel mentre, per quanto riguarda l’udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza, occorre ricordare che l’art. 87 c.p.a. rovescia la scala di valori del processo civile prevedendo espressamente, al secondo comma, l’obbligo di pubblicità per le udienze a pena di nullità; unica eccezione è quella prevista al comma 4 bis relativamente alle cosiddette udienze straordinarie dedicate allo smaltimento dell’arretrato, dove si prevede che le stesse “sono svolte in camera di consiglio da remoto”.

Pertanto, v’è da concludere che la trattazione cartolare non sia compatibile con il processo amministrativo, nel mentre l’udienza da remoto sì.

V’è da chiedersi, peraltro, se la modifica della previsione di carattere generale contenuta nell’art. 127 bis c.p.c. a proposito di udienza da remoto possa, attraverso il richiamo operabile dall’art. 39 c.p.a., consentire di superare il limite dell’ambito operativo del comma 4 bis dell’art. 87 c.p.a..

Ciò pare da escludersi per due ordini di ragioni.

In primo luogo tale applicazione diretta ed integrale della disposizione dell’art. 127 bis c.p.c. non è compatibile con il processo amministrativo in tutte le sue forme e riti: si pensi alle ipotesi di udienza in camera di consiglio per la quale dovrebbe ammettersi una valutazione di compatibilità differenziata a seconda dei tipi di rito.

Ma, inoltre, vi è da considerare la precisa scelta del legislatore di limitare l’uso dello strumento in questione nel processo amministrativo alle sole udienze di smistamento dell’arretrato.

L’unica possibilità sarebbe quella di riconoscere alla previsione di cui all’art. 127 bis il carattere non solo di norma generale ma addirittura di norma di principio, per cui l’art. 87 comma 4 bis c.p.a. non costituirebbe più una norma eccezionale ma solo un puntuale specifico richiamo a tale principio.

Ciò, peraltro, troverebbe un rilevante limite applicativo con riguardo ai riti camerali e, dunque, non appare sufficiente l’attuale modifica legislativa a far assurgere alla norma il rango di principio per il quale sarebbe, piuttosto, necessaria l’introduzione di una normativa legislativa puntuale in conformità al principio di legalità processuale sancito dal primo comma dell’art. 111 della Costituzione; il che potrebbe avvenire, semmai, grazie a un futuro puntuale intervento del legislatore.

 

IV.

La quarta categoria di novità è relativa al processo di merito e all’esecuzione.

In primo luogo vi è da segnalare l’introduzione, al secondo comma dell’art. 101 c.p.c., relativo al principio del contraddittorio, dell’inciso in forza del quale “il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni”; si tratta di norma di chiusura che è norma di principio e che si pone armonicamente rispetto al sistema del processo amministrativo nel quale molte sono le norme che costituiscono sua puntuale applicazione: si pensi, fra le altre, all’ultimo comma dell’art. 73 c.p.a. ed alla previsione generale di cui all’art. 2 c.p.a..

In secondo luogo l’art. 121 c.p.c., rubricato “libertà delle forme”, vede aggiunte le parole “chiarezza e sinteticità degli atti” e nel suo testo è stabilito che “tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro sintetico”; tale principio è già stato fatto proprio dal processo amministrativo all’art. 3, comma 2 c.p.a. che prevede che “il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione”.

In terzo luogo si deve registrare la modifica dell’art. 182 c.p.c. in tema di difetto di rappresentanza o di autorizzazione. La nuova norma prevede, al secondo comma, che quando rileva la “mancanza della procura al difensore” oppure un “difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione che ne determina la nullità”, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa; il che significa che il legislatore ha inteso normare il favor per la conservazione dell’azione, superando così un orientamento che, nel diritto civile, per decenni la giurisprudenza ha risolto prevalentemente in senso opposto.

V’è da chiedersi se la norma sia direttamente applicabile ex art. 39 c.p.a. nel processo amministrativo; in proposito l’orientamento contrario, secondo il quale l’art. 182 c.p.c. non vi troverebbe applicazione in quanto tale disposizione implicherebbe la sanatoria di una decadenza specificamente comminata dal codice, è abbracciata da parte importante della giurisprudenza (Consiglio di Stato, sezione IV, 19 maggio 2021 n. 3887); tuttavia la questione è tuttora aperta e, in proposito, vi segnalo che, anche personalmente, di recente in due pronunce del TAR Veneto ho preso atto che ci si indirizza nel senso che l’art. 182 c.p.c. sia applicabile ex art. 39 c.p.a. al processo amministrativo (TAR Veneto, Sez. III, n. 1555/2023 e n. 1556/2023).

Ulteriore novità introdotta dalla riforma Cartabia è quella che prevede una revisione della materia dei consulenti tecnici d’ufficio attraverso la modifica di tutta una serie di norme quali gli artt. 13, 15 22, 24 bis disp. att. c.p.c., volte alla revisione degli albi con cadenza biennale anziché quadriennale, alla formazione di nuovi albi, al fatto che si possa attingere dagli albi del distretto ed al principio di equa distribuzione degli incarichi; tali modifiche non paiono integrare principi generali e, dunque, non dovrebbero interessare particolarmente il processo amministrativo se non per il fatto che esse consentiranno al giudice amministrativo una più agevole e utile fruizione dell’albo ai sensi dell’art. 13 disp. att. c.p.c. in relazione al quale, d’altronde, l’art. 19, comma 2 c.p.a. non impone l’utilizzo ma solo lo consente, lasciando al giudice amministrativo la possibilità di nominare anche soggetti non compresi in tale albo purché “aventi particolare competenza tecnica”.

Si può invece ritenere che possa trovare piena applicazione anche nel processo amministrativo la modifica dell’art. 193 c.p.c. che prevede la sostituzione dell’udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio con una dichiarazione sottoscritta dal medesimo consulente con firma digitale recante il giuramento medesimo; e, ciò, in considerazione del diretto ed integrale rinvio operato dall’art. 67 c.p.a. alle modalità di cui all’art. 193 c.p.c..

Quanto alle disposizioni relative ai mezzi istruttori, l’art. 63 c.p.a. richiama espressamente i mezzi di prova previsti e disciplinati dal c.p.c. e, dunque, v’è da segnalare che gli artt. 118 e 210 c.p.c., richiamati dall’art. 63, adeguano le sanzioni in caso di inottemperanza all’ordine del giudice; essi potranno dunque essere applicati direttamente anche nel processo amministrativo.

Con riferimento a tutte le novità della riforma Cartabia relative al rito di primo grado davanti ai tribunali civili, esse non impattano sul processo amministrativo il quale è disciplinato autonomamente dagli artt. 40 ss. c.p.a.; vi è solo da rilevare che la nuova normativa avvicina di molto la trattazione della causa nel processo civile al modello del processo amministrativo.

Notevoli sono invece le novità nelle impugnazioni e, in genere, nel processo d’appello.

Il novellato art. 326 c.p.c. prevede la decorrenza dei termini per l’impugnazione sia per il soggetto notificante che per il destinatario della notificazione dal momento in cui il relativo procedimento si perfeziona per il destinatario; tale norma è direttamente applicabile al processo amministrativo.

Più complesso è il tema dell’impugnazione incidentale tardiva, per la quale è intervenuta la modifica dell’art. 334, comma 2 c.p.c. la quale prevede che tale impugnazione perda efficacia non solo nel caso di declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione principale ma anche per il caso in cui la stessa sia stata dichiarata improcedibile.

Il concetto di improcedibilità nel processo civile è solo parzialmente coincidente con quello omonimo del processo amministrativo dove il ricorso è improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione o non sia stato integrato il contraddittorio nel termine assegnato ovvero sopravvengono altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito (art. 35 c.p.a.).

Nel processo civile invece l’improcedibilità si ha quando il giudizio impugnato non venga iscritto a ruolo tempestivamente, con una sanzione assimilabile all’irricevibilità dell’appello amministrativo; ovvero quando l’appellante abbandoni giudizio di impugnazione: art. 348 c.p.c..

Il Consiglio di Stato, sottolineando la natura accessoria dell’appello incidentale tardivo, ritiene che questo segua le sorti dell’appello principale quando questo venga meno per inammissibilità e/o improcedibilità: per tale motivo la modifica dell’art. 334 c.p.c. non sembra produrre alcun effetto di novità sul processo amministrativo.

V’è da segnalare che la riforma Cartabia cancella il cosiddetto filtro in appello civile disciplinato dagli articoli 348 bis e 248 ter c.p.c. il quale è sostituito da un potere del giudice, quando l’impugnazione sia inammissibile o manifestamente infondata, di disporre immediatamente la discussione orale ai sensi dell’art. 350 bis c.p.c..

In tal modo, l’appello civile diviene più simile all’appello dinanzi al Consiglio di Stato previsto dall’art. 101 c.p.a. a conclusione del quale, ai sensi del combinato disposto fra l’art. 38 c.p.a. e gli artt. 60 e 74 del medesimo codice, si può avere una sentenza pronunciata in forma semplificata anche all’esito della camera di consiglio fissata per la decisione di sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado.

Con riferimento alla disciplina delle spese di lite, la riforma processuale innova l’art. 96 c.p.c. introducendovi un quarto comma che prevede la possibilità da parte del giudice di condannare la parte, che è soccombente al risarcimento del danno ai sensi dei tre commi precedenti, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma di danaro non inferiore ad euro 500 non superiore ad euro 5000. La norma è astrattamente applicabile al giudice amministrativo, anche se occorre precisare che l’art. 26 c.p.a. già prevede che: “il giudice condanna d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio”; si verifica, dunque, un concorso di norme che, in base al principio di specialità, sembra corretto risolvere in favore dell’art. 26, comma 2, c.p.a..

Altra novità della riforma Cartabia sta nella soppressione del sistema di spedizione in formula esecutiva delle sentenze previsto dagli artt. 474 e 475 c.p.c.; in proposito, per quanto riguarda il processo amministrativo occorre ricordare che l’art. 115 c.p.a. si conformava alle previsioni del codice di procedura civile precisando, oltretutto, che la formalità non era necessaria per l’introduzione del giudizio di ottemperanza, nel mentre l’art. 136 c.p.a. al comma 2 ter escludeva espressamente il potere di rilasciare copia del provvedimento giurisdizionale in capo al difensore.

La riforma ha abrogato il primo comma dell’art. 115 c.p.a. ed ha abrogato pure il terzo comma, che escludeva la necessità della formula esecutiva ai fini dell’instaurazione del giudizio di ottemperanza, per cui di tale articolo resta in vigore solo il secondo comma secondo cui i provvedimenti ammessi emessi dal giudice amministrativo che dispongono il pagamento di somme di danaro costituiscono titolo anche per l’esecuzione nelle forme disciplinate dal Libro III del codice di procedura civile e per l’iscrizione di ipoteca.

Pure la rubrica dell’art. 115 è stata modificata con la nuova “iscrizione di ipoteca”; è stato infine abrogato il periodo dell’art. 136 c.p.a. che vietava il rilascio di copia autentica del titolo in formula esecutiva.

Tutto ciò si applica ai procedimenti instaurati successivamente al 30 giugno 2023 dove, con il termine procedimento, si deve intendere il procedimento amministrativo di richiesta della formula esecutiva.

Altra modifica riguarda l’art. 614 bis c.p.c. ovvero le c.d. astreintes, laddove si è intervenuti a modificare i riferimenti per la determinazione dell’ammontare della somma dovuta aggiungendo ai parametri del valore della controversia, della natura della prestazione dovuta, del danno quantificato o prevedibile anche “il vantaggio per l’obbligato derivante dall’inadempimento”, si è inserita la possibilità di consentire al giudice di fissare un termine di durata della misura coercitiva indiretta e la possibilità, se la misura non è stata richiesta nel processo di cognizione, di poterla richiedere al giudice dell’esecuzione su ricorso dell’avente diritto.

L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza del 9 maggio 2019 n. 7, aveva precisato che trattasi di sanzione pecuniaria che si aggiunge e non si sostituisce all’eventuale danno cagionato dall’inosservanza del precetto giudiziale, in quanto la stessa è pervasa da una ratio sanzionatoria e non riparatoria.

Ciò vale tanto per l’art. 614 bis c.p.c. quanto per l’art. 114, comma 4 c.p.a. il quale, peraltro, non cita i parametri di cui alla riforma Cartabia; ma bisogna considerare che esso si fonda su principi generali parzialmente differenti, tant’è vero che prevede la possibilità della nomina di un commissario ad acta.

 

V.

Il quinto ambito di novità della riforma Cartabia riguarda il procedimento avanti la Corte di Cassazione per il quale:

  • si sono unificati i riti camerali attraverso la soppressione della Sezione filtro di cui all’art. 376 c.p.c., concentrando la relativa competenza dinanzi alle Sezioni Semplici e mantenendo la disciplina di cui all’art. 380 bis c.p.c. che prevede la definizione del ricorso con deposito immediato in Cancelleria di ordinanza succintamente motivata;
  • si è previsto un procedimento accelerato per la dichiarazione di inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza;
  • si è introdotto il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in Cassazione;
  • si è introdotta una nuova ipotesi di revocazione per quelle sentenze il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in tutto o in parte contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali, ovvero a uno dei suoi Protocolli, e non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente.

Di tutte tali modifiche, ritengo che una delle più rilevanti riguardi la rinuncia implicita al ricorso per cassazione dopo la relazione del consigliere relatore disposta dall’art. 380 bis c.p.c., che ha un rilievo di riflesso per la giustizia amministrativa con riferimento ai ricorsi proposti avverso le sentenze del Consiglio di Stato, in quanto il passaggio in giudicato delle stesse sarà in un certo numero di casi associato a questo procedimento e, dunque, si cristallizzerà nel momento della pubblicazione del decreto con cui viene dichiarato estinto il giudizio in Cassazione.

Quanto al rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, potrebbe interessare la giustizia amministrativa sotto un duplice versante.

Da un lato non vi sono ostacoli da parte dei giudici ordinari qualora debbano risolvere un’importante questione di giurisdizione e, in tal caso, il principio di diritto affermato dalla Corte sarà certamente vincolante per il giudice ordinario; per quanto riguarda il giudice amministrativo, occorrerà tenere conto che il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione sarà vincolante quanto meno nel procedimento, anche in virtù del principio di economia dei mezzi processuali.

Ma, dall’altro lato, l’applicabilità dello strumento in questione al processo amministrativo si deve negare: vuoi perché nel processo amministrativo le pronunce del giudice possono essere impugnate dinanzi alla Corte di Cassazione solo per questioni di giurisdizione, vuoi perché si tratterebbe del trapianto di un istituto squisitamente pertinente alle problematiche interne dell’autorità giudiziaria ordinaria, in particolar modo relativo alle problematiche fra giudici di merito e il giudice di legittimità.

Ciò, anche in considerazione del fatto che la Corte di Cassazione non assume la funzione nomofilattica per il processo amministrativo giacché questa è attribuita dall’art. 99 c.p.a. all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Infine, un’incidenza quantitativamente ridotta ma qualitativamente significativa sul processo amministrativo può avere la modifica inerente il ricorso tardivo e la revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione per contrarietà a pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la cui nuova ipotesi di revocazione straordinaria è contemplata nell’art. 391 quater c.p.c.: si pensi, in primo luogo, alle controversie conosciute dal giudice amministrativo le cui decisioni possono incidere su questa categoria di diritti come accade, ad esempio, per i ricorsi in materia di cittadinanza.

Vi è da chiedersi se questo tipo di revocazione sia ammissibile anche per il processo amministrativo; per un verso la risposta parrebbe negativa in quanto l’art. 106 c.p.a. non è stato interessato dalle modifiche della riforma Cartabia e non risulta integrato il presupposto per l’operatività del rinvio esterno di cui all’art. 39, comma 1 c.p.c.; ma, in senso contrario, si deve evidenziare che, secondo il combinato disposto degli articoli 103, 111 u.c.. e 125 Cost., il Consiglio di Stato è l’organo di vertice del sistema di giustizia amministrativa che deve garantire, con riferimento ai diritti soggettivi ricadenti nell’area di giurisdizione, tutela di pari efficacia rispetto a quella assicurata dal giudice ordinario giacché, diversamente opinando, si verrebbe a creare un deficit di tutela che integrerebbe la violazione degli articoli 3, 24 e 113 Cost..

 

VI.

L’ultimo tema sul quale la riforma Cartabia viene ad incidere anche nel processo amministrativo è quello relativo all’arbitrato.

In primo luogo sono stati modificati gli articoli 810, 813, 815 c.p.c. al fine di garantire maggiore trasparenza nella nomina degli arbitri, nel rispetto del principio di rotazione ed efficienza, oltre che di indipendenza e imparzialità degli stessi.

Inoltre il combinato disposto dei nuovi articoli 819 quater e 816 bis 1 c.p.c. prevede che la domanda di arbitrato produca gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e li mantenga nei casi disciplinati dall’art. 819 quater che regola la continuazione del giudizio arbitrale davanti al giudice se la causa, dopo la dichiarazione di incompetenza degli arbitri, venga riassunta ritualmente; e, di converso, afferma che la domanda proposta davanti al giudice continua a produrre effetti sostanziali e processuali se ritualmente riassunta in una procedura arbitrale, dopo una pronuncia di incompetenza in ragione dell’esistenza di una clausola arbitrale.

Il legislatore delegato ha così inteso disciplinare compiutamente il fenomeno della translatio iudicii nell’arbitrato, assegnando un termine di tre mesi per il compimento di tali attività, in conformità a quanto previsto in via generale dall’art. 50 c.p.c..

Il legislatore ha poi modificato l’art. 822 c.p.c., prevedendo che le parti possano indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia; e l’art. 828 c.p.c., riducendo a sei mesi il termine, in precedenza annuale, per la proposizione dell’impugnazione in conformità al principio generale.

Questo rileva ai fini dell’inoppugnabilità del lodo, requisito presupposto dall’art. 112 c.p.a. ai fini dell’esperibilità dell’ottemperanza per l’esecuzione del titolo.

Vi è quindi la modifica dell’art. 839 comma 4 c.p.c., in cui è stata inserita espressamente la previsione della immediata esecutività del lodo; ai sensi dell’art. 840 c.p.c., esso può essere sospeso per gravi motivi.

Si tenga presente che l’art. 112 c.p.a. limita l’esperibilità dello strumento dell’ottemperanza ai soli lodi divenuti inoppugnabili.

Altra modifica significativa è quella relativa alla clausola arbitrale e alla tutela cautelare in quanto sono stati introdotti gli artt. 818 bis e 818 ter che hanno previsto la possibilità per le parti di attribuire agli arbitri il potere di adottare provvedimenti cautelari; l’art. 818 c.p.c. prevede che prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio vi sia la possibilità di proporre la domanda cautelare al giudice competente ai sensi dell’art. 669 quinquies e l’art. 818 bis prevede che contro il provvedimento degli arbitri che concede o nega la misura cautelare è ammesso reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies davanti alla Corte d’Appello nel cui distretto è la sede dell’arbitrato.

Il legislatore, pertanto, conferma la sostanziale omologazione funzionale degli arbitri rispetto alla giurisdizione ordinaria quanto agli strumenti di tutela esperibili e ciò risponde alla constatazione generale, universalmente condivisa, per la quale gli arbitri, in quanto soggetti privati, pur chiamati a rendere attraverso il proprio giudizio una funzione equivalente a quella della giurisdizione di cognizione, rimangono sprovvisti di poteri coercitivi, fatto che rende necessario fare riferimento per la fase di attuazione ed esecuzione della misura al giudice ordinario.

Queste disposizioni hanno certamente un rilievo nel processo amministrativo quantomeno sotto tre profili.

In primo luogo, prima della causa, nelle liti vertenti materia di giurisdizione esclusiva nelle quali si faccia questioni di diritti soggettivi e che siano sottoposte a clausola arbitrale, può essere solo il giudice amministrativo a pronunciarsi, secondo le regole previste dal codice del processo amministrativo.

In secondo luogo, riconosciuto il potere cautelare agli arbitri, sarà solo il giudice amministrativo ad avere il potere-dovere di decidere sulle impugnazioni avverso i provvedimenti cautelari.

In terzo luogo, al giudice amministrativo spetterà il potere-dovere di adottare gli atti attuativi del provvedimento cautelare.

In merito all’applicabilità diretta degli artt. 669 quinquies, 669 duodecies e 669 terdecies c.p.c. si ritiene di fornire risposta negativa in quanto la disciplina della tutela cautelare dinanzi al giudice amministrativo è completa e autosufficiente; anche se, in proposito, non mancano dubbi interpretativi.

La fattispecie processuale più compatibile con l’arbitrato pare essere quella di cui all’art. 61 c.p.a. poiché è l’unica concernente un provvedimento adottabile ante causam e, come tale, slegata dalla contestuale proposizione di un ricorso introduttivo del giudizio di merito; sulla base di tale soluzione, la competenza spetta al Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale che sarebbe competente in assenza della clausola arbitrale e spetta poi agli arbitri disporre l’eventuale conferma della misura cautelare purché il procedimento arbitrale sia avviato entro cinque giorni.

Anche il rimedio avverso il provvedimento cautelare emesso in sede arbitrale deve essere cercato nel sistema processuale amministrativo.

Dunque, non essendo previsto l’istituto del reclamo, sembra corretto affermare che l’impugnativa debba essere proposta al Consiglio di Stato mediante l’appello cautelare previsto dall’art. 62 c.p.a..

Per l’attuazione della decisione cautelare, invece, si deve applicare l’art. 59 c.p.a. che individua la competenza nella richiesta di esecuzione al Tribunale Amministrativo Regionale competente per territorio nel luogo in cui ha sede il collegio arbitrale, Tribunale che esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza e provvede sulle spese.

Federico Bressan

 

*Il testo riproduce l’intervento tenuto il 30 novembre 2023 nell’ambito del seminario dedicato a “La riforma Cartabia ed il processo amministrativo” durante il congresso giuridico su “Il ruolo dell’Avvocato tra presente e futuro” tenutosi a Treviso (nei giorni 29-30/11/2023).

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