Dopo sei anni dall’introduzione del processo amministrativo telematico, mi permetto di esprimere alcuni piccoli suggerimenti, che potrebbero semplificare alcuni adempimenti.
Alcuni di questi suggerimenti richiedono l’intervento del legislatore; altri riguardano più banalmente i moduli di deposito e possono essere risolti semplicemente aggiornandoli.
In entrambi i casi, non si tratta di questioni troppo complicate e, inoltre, sono pressoché “a costo zero”, come oggi piace dire.
Li elenco qui, senza troppi orpelli e in modo molto sintetico.
1) Appello. Con la formazione del fascicolo elettronico di primo grado, al quale il Consiglio di Stato attinge direttamente quando sia investito del gravame, non ha più molto senso chiedere che, insieme all’appello, sia depositata la copia della sentenza o dell’ordinanza appellata. Tanto più che l’attuale art. 94 c.p.a. – a differenza di quello che valeva nel previgente regime – non richiede più che la copia da depositarsi sia autentica. Si dovrebbe pertanto riformare lo stesso art. 94, espungendo le parole: “ad una copia della sentenza impugnata”, eliminando in tal modo una formalità, pur capace di incidere inutilmente sulla ritualità dell’appello.
2) Copie autentiche. Non sembra più possibile, per i difensori, scaricare tramite il portale dell’avvocato né le copie autentiche né le copie semplici dei provvedimenti del giudice e delle parti. Se si tenta di farlo, viene restituito un messaggio di “operazione non riuscita”, il quale sta a significare che a chi accede al fascicolo come avvocato non sono riconosciuti i necessari permessi di sistema. Non si vede perché la cosa debba essere impedita. In difetto, si autorizzino i difensori ad attestare la conformità delle copie “pdf immagine” che essi estrapolino, come avviene per il processo civile.
3) Foliario. A seconda che i documenti vengano prodotti separatamente con un deposito dedicato solo a questo scopo, ovvero siano prodotti con il ricorso introduttivo (con il modulo deposito ricorso) o insieme a una memoria (con il modulo deposito atto), il foliario – cioè l’elenco degli stessi documenti- è inserito in un campo allo stesso dedicato oppure deve essere indicato nel campo generale di tutti i documenti come il primo dei documenti prodotti. In questa seconda ipotesi, il foliario incide sulla numerazione stessa dei documenti ivi comparendo come “documento n. 1)”, il che può creare difficoltà di compilazione dell’elenco, oltre che fraintendimenti e equivoci quando poi si procede, nelle memorie, a citare i documenti stessi. Sarebbe più semplice uniformare il sistema dedicando sempre al foliario un campo separato.
4) Mail di mancato deposito. La questione, a riguardo di questo punto, è più tecnico-giuridica. Quando il sistema restituisce un “mancato deposito” non significa che la mail di deposito non sia stata ricevuta dal server del S.I.G.A. Al contrario, essa è stata acquisita e le segreterie possono anche accedervi. Semplicemente, il modulo, essendo non conforme alle specifiche tecniche, non riesce, materialmente, a essere trattato dal server del SIGA al fine dell’inserimento nel relativo database. Dunque, l’atto, sia pure in modo non tecnicamente corretto, è pur sempre stato depositato presso l’ufficio deputato a riceverlo.
Mi chiedo se, in questo caso, si possa davvero sostenere che, pur essendo stato restituito il “mancato deposito”, ai fini giuridici il ricorso o la memoria o i documenti siano stati comune depositati, essendo, appunto, pervenuti nella disponibilità della segreteria. D’altra parte, le norme tecniche sul p.a.t., non avendo rango legislativo, non possono neppure introdurre nuove figure di nullità processuali, cosicché è molto discutibile che l’invio di un modulo non corrispondente alle specifiche tecniche (e perciò non “trattato” dal sistema), ma comunque ricevuto dalla segreteria, debba considerarsi addirittura inesistente. Sul punto, servirebbe un intervento del legislatore che faccia chiarezza, prima che il problema venga effettivamente posto in qualche controversia. Tanto più che la questione potrebbe prestarsi, in certi casi, a pratiche sleali, per il caso in cui qualcuno inviasse volutamente un modulo erroneo, per riservarsi un’eventuale impugnazione fondata su ragioni di rito (si consideri l’eventualità che la parte resistente o il controinteressato inviino deliberatamente una memoria con un modulo mal compilato, al fine di sostenere poi in sede di impugnazione la lesione del diritto di difesa, come conseguenza della mancata valutazione della memoria stessa che non è stata letta dal giudice ma pur sempre depositata nei server della segreteria).
5) Estensione dei campi e caratteri speciali. Non tutti i campi dei moduli hanno le stesse caratteristiche, benché questa non sia una cosa a tutti nota. In effetti, in alcuni campi (ad esempio quello in cui si indica il nome della parte resistente), il numero dei caratteri disponibili è limitato e ciò crea, qualche volta, dei problemi (se, ad esempio, la resistente abbia una denominazione troppo lunga). In tal caso, quando si superi il numero di caratteri consentito, il modulo viene respinto, senza che se ne possa conoscere il motivo, che non è esplicitato. Allo stesso modo, in altri campi (come quello relativo all’oggetto del ricorso), se il testo inserito inizia con un carattere speciale (è considerato tale anche un semplice “trattino”) o con uno spazio bianco, ugualmente il modulo non viene accettato.
Sarebbe, dunque, opportuno, estendere il numero dei caratteri disponibili su tutti i campi (anche se ciò inciderebbe sulla pesantezza del database centrale del SIGA che proporzionalmente aumenterebbe) e che si rendano noti gli errori bloccanti del tipo di quelli appena ricordati, che oggi sono conosciuti solo dai tecnici informatici della giustizia amministrativa (e neppure da tutti).
6) Ridondanze. Nei moduli compaiono alcune inutili ripetizioni. Ad esempio, che senso ha chiedere il numero e l’anno della sentenza appellata, se, in un altro campo, si è già chiesto di indicare “202200056”? Se il domiciliatario coincide con il difensore, che senso ha chiedere di ripetere l’inserimento della p.e.c.?
7) Trasmissione dei dati. È un mio pallino: le p.e.c. sono uno strumento insicuro e debole di trasmissione dei dati. Meglio sarebbe rendere generale l’utilizzo del sistema ftp (definito “upload” dalla normativa tecnica) che è più solido e consente anche la trasmissione di una maggior mole di dati. La cosa, tuttavia, richiede alcune cautele, per superare un eventuale problema concreto. In effetti, il deposito del ricorso o della memoria di costituzione con la mail fornisce una tutela in più rispetto al sistema ftp. Esso consente il raffronto immediato tra l’indirizzo p.e.c. indicato nel modulo e quello da cui il modulo stesso è inviato per posta elettronica, con la conseguenza che, quando i due indirizzi divergano, viene segnalato il mancato deposito e si può ripetere l’operazione. Tale circostanza permette di far emergere fin da subito eventuali errori di dattilografia compiuti quando, redigendo il modulo, si sbagli a scrivere il proprio indirizzo p.e.c. Potrebbe essere, questo, un errore dalle conseguenze molto gravi, perché, se non emergesse immediatamente, le successive comunicazioni di segreteria (udienze, perenzioni…) verrebbero inviate all’indirizzo sbagliato il quale, però, non esiste, e il difensore, non ricevendole, le ignorerebbe. Questa eventualità è appunto scongiurata dal deposito con p.e.c. e dal suddetto raffronto, che, invece, non è previsto con un deposito ftp. Suggerisco, pertanto, che, con la generalizzazione del deposito ftp, il sistema mandi una mail di deposito in automatico all’indirizzo indicato nel modulo e che, ove essa risulti non consegnata (per errore nell’indicazione dell’indirizzo), la segreteria provveda a contattare direttamente, con i vecchi sistemi (telefono, fax…), il difensore stesso per consentirgli di rimediare.
8) Mail di deposito. Il server del SIGA è unico, ma i depositi debbono essere inviati alle specifiche p.e.c. dei diversi uffici giudiziari. Ciò non ha molto senso e è anche pericoloso, perché, soprattutto se si procede a inviare le p.e.c “in automatico” e lasciando fare al proprio client di posta elettronica di compilare il destinatario con l’indirizzo più frequentemente utilizzato, può capitare di inviare un modulo di deposito per il TAR Friuli al TAR Veneto. E magari è l’ultimo giorno e l’ultimo minuto per depositare. Sarebbe meglio, perciò, potere inviare la p.e.c a un unico indirizzo utile per tutti i TAR e per il Consiglio di Stato, lasciando poi al server, che estrapola dal modulo i dati dell’ufficio giudiziario a cui ci rivolge, il compito di smistare i depositi facendoli avere ai giusti destinatari.
Come si è visto, questi miei suggerimenti sono minuzie, ma credo che la loro attuazione possa semplificare le cose.
Mi auguro perciò che vengano considerati e, magari, attuati.
Mi permetto di aggiungere ai suggerimenti anche una preoccupazione, che però è relativa all’impianto strutturale del p.a.t.
È risaputo che i moduli di deposito, una volta ricevuti dal server del SIGA, impartiscono alcuni comandi sullo stesso, necessari alla compilazione automatica dei campi del database in cui sono iscritte tutte le controversie.
Questo sistema, che è proprio solo del p.a.t., è molto utile, riducendo l’intervento delle segreterie. Tuttavia, è anche molto pericoloso perché un server che accetta di eseguire comandi dati da file che provengono dall’esterno è un server che potenzialmente tiene una porta aperta all’ingresso di eventuali trojan, capaci di bloccare tutto il sistema.
D’altra parte, non esiste nessun sistema informatico assolutamente sicuro, cosicché è ingenuo confidare sul fatto che il SIGA si sia totalmente protetto dall’azione di questi cavalli di Troia. Se ancora non è successo nulla è solo perché a nessuno è interessato di darsi da fare perché succeda. Speriamo che continui a essere così, ma ne dubito. Se, però, questi timori fossero fondati, forse si dovrebbe ripensare tutto il sistema del p.a.t.
Francesco Volpe