Di “demolizioni” al plurale e non al singolare, a sottolineare “immediatamente” e letteralmente la pluralità di corpi normativi che contemplano tale forma di “reazione” ad illeciti edilizi e la conseguente, diversa natura sostanziale delle varie tipologie dell’identica, in sé, sanzione, con sottoposizione a principi e garanzie diverse, è inevitabile parlare nel nostro ordinamento a fronte della constatazione, in primo luogo, come “summa divisio”, della previsione di una demolizione “penale”, di competenza del giudice che accerta i reati di cui all’art. 44 dpr. 380/01 (v. art. 31, comma 9, dpr. 380/01), e di una demolizione “amministrativa”, da applicarsi ad opera dell’amministrazione pubblica competente in materia edilizia e specificamente dal comune, e più precisamente ancora dal dirigente o responsabile dell’ufficio (per la competenza “amministrativa”, si veda il combinato disposto dell’art. 27 dpr. 380/01 e dell’art. 107, d.lgs. 267/00) e sottoposta al giudizio in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), d.lgs. 104/10 cod. proc. amm. (norma che, questa volta in combinato disposto con l’art. 22, comma 1, l. 689/81, attribuisce la competenza giurisdizionale al giudice amministrativo anche in ordine alle sanzioni pecuniarie, autonome o sostitutive dell’ordine di demolizione per possibile lesione della parte conforme -v. art. 34 dpr. 380/01.
A sua volta, ed è questo l’ambito sul quale ci si concentrerà nel presente contesto, “una” demolizione “amministrativa” (da applicarsi dall’amministrazione, il comune) la si ritrova configurata nell’art. 27, dpr. 380/01, rubricato “(L) Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia”, ed “un’altra” demolizione “amministrativa” è trattata, senza il ben che minimo accenno -nel testo- di una regolamentazione, consapevole e mirata, del rapporto con il precedente art. 27 e con la relativa “demolizione”, nell’art. 31 dpr. 380, che appare la base, anche per la sua disciplina di dettaglio, di tutte le “demolizioni” contenute nel capo II, che “cominciano” con quella dell’art. 30, comma 8, relativa alla lottizzazione abusiva, per poi regolare, per l’appunto, la fattispecie dell’art. 31, riguardante l’intervento senza permesso di costruire o in variazione essenziale (specificata dall’art. 32) o in totale difformità dal titolo, quello dell’intervento di ristrutturazione in assenza o totale difformità dal titolo (art. 33) ed infine quello della difformità parziale dal titolo (art. 34).
In sostanza, l’appartenenza a due “capi” distinti del medesimo titolo IV “Vigilanza sull’attività urbanistico edilizia, responsabilità e sanzioni”, sembra porre, da una parte, la demolizione dell’art. 27 e in particolare di quella regolata dal comma 2, dpr. 380, dall’altra “quelle”, omogenee e ruotanti tutte intorno al “centro di gravità” della demolizione prevista e procedimentalizzata dall’’art. 31 del medesimo dpr. 380.
E’ utile, prima di affrontare il tema dei rapporti tra le due fattispecie, considerare che il capo II è intitolato “sanzioni”. Orbene, anche ai fini dell’individuazione del regime, in particolare di “principio”, applicabile alle misure di cui si sta parlando, che in sede preliminare, tener presente che “I provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con larestale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato” (Consiglio di Stato sez. VI, 23/12/2020, n. 8283). Ne consegue che “il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino è non già l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, ma l’esistenza d’una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia, per cui è inciso anche il proprietario non responsabile e colui che v’è succeduto a qualunque titolo” e che “la repressione degli abusi edilizi può esser disposta in qualsiasi momento, trattandosi di misure a carattere reale (piuttosto che di vere e proprie sanzioni) che colpiscono illeciti permanenti, ossia di misure oggettive in rapporto alle quali non può neppure esser invocato utilmente il principio d’estraneità dei proprietari all’effettuazione dell’abuso e, al più, l’eventuale estraneità assume rilievo sotto altri profili, non inficianti la legittimità dell’ordine di demolizione/rispristino”. Ulteriore corollario è che “la mancata individuazione del responsabile materiale non esclude che l’ordine di demolizione possa essere comunque rivolto al proprietario stesso giacché questi, anche se estraneo all’abuso, rimane comunque il destinatario finale degli effetti del provvedimento, il cui contenuto dispositivo è, per l’appunto, la demolizione di un bene su cui egli vanta il proprio diritto: la demolizione di un’opera abusiva è ingiunta al proprietario attuale non a titolo di responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell’illecito”, e che “irrilevante è la mancata notificazione dell’ordinanza di demolizione/rispristino al responsabile dell’abuso, essendo nei rapporti esterni con la pubblica amministrazione i proprietari attuali i diretti legittimati passivi delle misure reali di rispristino ed essendo l’amministrazione libera di adottare tali misure direttamente ed esclusivamente nei loro confronti” (Cons. St. cit.; in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2020 n. 6446; Id., Sez. IV, 19 novembre 2018 n. 6494; Id., Sez. II, 12 settembre 2019 n. 6147, ivi; Id., Ad. Plen., 17 ottobre 2017 n. 9).
Anche la migliore dottrina sottolinea che “Secondo un primo orientamento, le misure repressive previste dal dpr. 380 del 2001 sono vere e proprie sanzioni, a cui corrispondono degli illeciti amministrativi; secondo un diverso e più diffuso orientamento, le misure repressive hanno natura ripristinatoria, trattandosi di provvedimenti rientranti nella funzione esecutiva della Pubblica amministrazione” (Garofoli, Manuale di diritto amministrativo, 2020, 1145).
Sanzione in senso stretto, anche se non penale, è prevista pure dall’art. 31 ma al comma 4 bis, introdotto dall’articolo 17, comma 1, lettera q-bis), del D.L. 12 settembre 2014, n. 133 , convertito con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014 n. 164: si tratta di sanzione pecuniaria da 2.000 a 20.000 euro, conseguente all’inottemperanza all’ordine di demolizione. Sanzione afflittiva è poi sicuramente anche quella, non pecuniaria e conseguente alla medesima fattispecie della inottemperanza dell’ordine di demolizione, costituita dalla acquisizione al patrimonio comunale. L’afflittività di tale ultima sanzione (acquisizione al patrimonio comunale) comporta la necessità che la stessa sia inflitta esclusivamente al responsabile dell’abuso e non semplicemente all’attuale proprietario anche non responsabile dell’intervento illegittimo: “Configurandosi l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale una sanzione prevista per l’ipotesi di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, essa si riferisce esclusivamente al responsabile dell’abuso, non potendo operare nella sfera giuridica di altri soggetti e, in particolare, nei confronti del proprietario dell’area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offerti dall’ordinamento” (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. III, 04/04/2022, n.2280; in termini T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 03/03/2021, n.2556; Consiglio di Stato sez. VI, 26/02/2021, n.1648; contra: T.A.R. Napoli, (Campania) sez. III, 26/06/2020, n.2685, che ammette l’acquisizione anche a danno del proprietario non responsabile, se l’ordine di demolizione sia stato notificato all’autore dell’illecito).
Se, dunque, la misura della demolizione va qualificata come reazione non sanzionatoria ma semplicemente ripristinatorie e reali, non implicante (tra l’altro) l’accertamento dell’elemento soggettivo e nemmeno della imputazione oggettiva al comportamento del destinatario della misura, tantomeno le demolizioni in parola potranno e possono essere considerate “sanzioni amministrative punitive” da “equipararsi alle sanzioni penali” agli effetti della ben nota giurisprudenza prima di tutto convenzionale, introdotta dalla storica sentenza della Corte Edu 8.6.1976 sentenza Engel c. Paesi Bassi, che ha “fondato” i cd. “Engel criteria”, e cioè i criteri di identificazione delle “sanzioni” penali agli effetti dell’ordinamento convenzionale (e delle relative garanzie) ed ha rivendicato alla predetta Corte il potere di “autonoma qualificazione del fatto penale” in conformità al diritto convenzionale e a prescindere dai singoli ordinamenti nazionali, seguita da Corte eur. dir. uomo, 21.2.1984, Öztürk c. Repubblica federale tedesca; Corte eur. dir. uomo, 24.2.1994, Bendenoun c. Francia; Corte eur. dir. uomo, 27.9.2011, Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia; Corte eur. dir. uomo, 4.3.2014, Grande Stevens e altri c. Italia; Corte eur. dir. uomo, 23.11.2006, Jussila c. Finlandia; e seguita ancora dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE (v. sentenza 26.2.2013, C-617/10, Aklagaren c. Hans Akerberg Franssonn; Cgue 8.9.2015 caso Taricco), della Corte Costituzionale italiana (sentenze n. 276/2016, n. 43/2017, 63/19, 68/21, 249/22), della Suprema Corte (da ultimo, 26983/2022 e 07/03/2023, n. 6723) ed infine del Consiglio di Stato (Cons. St. 2.2.2023, n. 1159).
Vero è, peraltro, che per il rilevante impatto che le misure in parola rivestono per il singolo, in particolare persona fisica, non appare affatto improprio rivendicare l’applicazione alle misure stesse di principi fondamentali riconosciuti, per l’appunto, nell’ambito delle sanzioni afflitive-punitive-parapenali, quali quelli della tassatività, determinatezza, prevedibilità delle misure stesse (del principio di necessaria prevedibilità della sanzione, fa applicazione T.A.R. Latina, (Lazio) sez. I, 26/10/2021, n.579 in tema di interventi in zona dichiarata di interesse paesaggistico solo dopo l’attuazione dell’intervento medesimo).
La “prevedibilità” appare valore gravemente insidiato dalla coesistenza delle norme dell’art. 27 e 31 (nonché dalle norme che a quest’ultimo fanno riferimento: artt. 33 e 34).
Infatti, connotato essenziale della demolizione di cui agli artt. 31 (ma anche 30, comma 8) dpr. 380/01, è che tale misura è prevista non per qualsiasi ipotesi di irregolarità edilizio-urbanistica (e ci riferiamo a tale materia, soprassedendo, per il momento alla considerazione delle fattispecie di intervento in zona vincolata sul piano paesaggistico) bensì per le ipotesi che possiamo a pieno merito definire “di maggiore gravità”, quali l’intervento edilizio di nuova costruzione senza previa acquisizione del permesso di costruire e non di un titolo abilitativo qualsiasi, quale la scia o la comunicazione di inizio lavori asseverata -CILA- o peggio di una comunicazione di inizio lavori -CIL) o in caso di difformità totale dal medesimo titolo (permesso di costruire) o ancora in caso di ristrutturazione senza permesso di costruire o in totale difformità da esso (v. art. 33) o, infine, nei casi in cui l’intervento sia anche solo in “parziale” difformità dal permesso di costruire (non “meno” che da un permesso di costruire) ma non vi sia pericolo per la parte conforme (es. demolizione di un incremento volumetrico in adiacenza a volume legittimo).
È utile notare, con riguardo alla ristrutturazione edilizia, che la demolizione non risulta prevista per l’ipotesi che la ristrutturazione stessa sia legittimabile con scia ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. c), dpr. 380/01 (ristrutturazione leggera): per tali ipotesi, l’art. 37 prevede solo sanzioni pecuniarie.
La demolizione degli artt. 31 e ss. (oltreché dell’art. 30 comma 8) presuppone, dunque, la commissione di determinati, specifici, individuati abusi e non altri.
Sotto questo profilo, l’art. 27 sembra valorizzare, invece, agli effetti della giustificazione della demolizione dell’abuso, qualsiasi intervento abusivo, a prescindere dalla gravità (si ribadisce che ci riferiamo ad abusi meramente edilizi, salvo analizzare sotto l’ipotesi dell’abuso in zona paesaggistica).
Anzi, sembra valorizzare perfino i “non abusi”, nel senso di interventi legittimati e assistiti da titolo (es. permesso di costruire) non rimosso dall’amministrazione in autotutela né annullato dal giudice (ipotesi presa in considerazione dall’art. 38), prevedendo la demolizione, nel comma 2, “in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”: non solo in caso di vincolo (edilizio) di inedificabilità o di vincolo paesaggistico ma, per l’appunto, in tutti i casi in cui l’intervento, realizzato in zona non di vincolo, si presenti oggettivamente in contrasto con le norme di legge (es. distanze tra pareti finestrate ex art. 9 dm 1444/68, “legificato” dalla giurisprudenza come norme attuativa della l. “ponte” n. 765/67) o dello strumento urbanistico, anche se eseguito in forza di non rimosso titolo edilizio. Tale abnorme applicazione estensiva dell’art. 27 è stata basata dalla giurisprudenza sul disposto, tra gli altri, dell’art. 19, comma 6 bis, l. 241/90, che lascia fermo il potere di vigilanza edilizia (e quindi anche, deve intendersi, secondo un indirizzo diffuso, il potere ex art. 27) anche dopo il decorso dei 30 giorni previsti per l’esercizio dei poteri inibitori o ripristinatori stabiliti dal combinato disposto del comma 6 bis e 3 e 4 dell’art. 19.
Premesso che per quanto riguarda l’ipotesi dell’intervento oggettivamente in contrasto con le norme di legge o piano urbanistico ma preceduto da titolo espresso (necessariamente illegittimo) non rimosso, risulta interessante la pronuncia del Consiglio di Stato n. 2371 del 7.3.2023, che sembra, all’opposto, richiedere il previo annullamento del titolo per l’operatività della demolizione ex art. 27, è pacifico che il riferimento a “tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” sembra includere anche, ad esempio, la ristrutturazione leggera legittimata da scia oppure gli interventi di manutenzione straordinaria, comprendenti tra gli altri anche il frazionamento delle unità abitative senza opere strutturali, legittimabili con semplice CILA, per la cui assenza o violazione l’art. 6 bis impone esclusivamente il pagamento di una sanzione modesta, non superiore a 1000 euro e giammai la demolizione.
Il punto di frizione tra art. 27 e 31 e ss. è chiaro: in tutti questi casi, di esclusione della demolizione in base agli artt. 31 e ss., la demolizione medesima “rientra dalla finestra” mediante il grimaldello dell’art. 27?
A modesto avviso di chi scrive, la risposta è nettamente negativa, senza seri dubbi.
Ancora una volta, la giurisprudenza non soddisfa quando afferma che “L’art. 27, d.P.R. n. 380/2001 non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice D.I.A., in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite, senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico. Infatti, per le opere abusive eseguite in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, vige un principio di indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di interventi in dette zone, essendo legittimo l’esercizio del potere repressivo in ogni caso, a prescindere, appunto, dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio nella zona vincolata (DIA o permesso di costruire); ciò che rileva, ai fini dell’irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata e in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico che urbanistico” (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. III, 04/10/2019, n.4757).
Per contro, si ritiene che la disposizione della seconda parte del comma 2 dell’art. 27, laddove fa riferimento a “tutti i casi di difformità” dalle norme edilizio-urbanistiche e pianificatorie, non possa in nessun modo essere interpretata in termini di scardinamento totale del sistema “tassativo” chiarissimo e coerentissimo nel testo di tutti gli articoli da 30 comma 8 a 37, passando soprattutto per l’art. 31 (ma non solo), per il quale la demolizione è solo l’ultima ratio e non un rimedio generale utilizzabile in tutti i casi di vulnus all’ordine “urbanistico-edilizio”, recato con un intervento privo di titolo, effettivamente richiesto, oppure in sua totale difformità o variazione essenziale, o anche solo in difformità parziale, oppure ancora con un intervento che, pur legittimato da un titolo a cui l’intervento è pienamente conforme ma il titolo è illegittimo per contrasto con lo scenario normativo e pianificatorio di riferimento, a prescindere dalla “gravità” delle opere e dalla loro inquadrabilità nelle fattispecie previste dagli articoli da 30, comma 8 e seguenti.
L’antinomia apparente tra art. 27 e il sistema coerente di tutti gli artt. 31 e ss. (compreso il 30, comma 8), va risolta prima di tutto, con la semplice e ovvia applicazione del principio di specialità: gli artt. 31 e ss. sono chiaramente specifici e specificati nella individuazione puntuale del presupposto di operatività della demolizione, laddove l’art. 27 usa la formula generica per la quale la norma si applica “in tutti i casi di difformità dalle norme di legge o dello strumento urbanistico”.
Vero che si può presentare il caso di difformità totale o in variazione essenziale da un titolo illegittimo, per la quale ipotesi opererà proprio l’art. 27 in quanto non inibito da una norma speciale contenuta nel capo II “Sanzioni”.
Non è per nulla nemmeno semplicemente comprensibile l’indirizzo, di cui è fautore principale, soprattutto nell’ultimo periodo, il Tar Napoli, per il quale l’art. 31 si limita a prevedere, in più rispetto all’art. 27, un termine di 90 giorni per l’esecuzione dell’ordine di demolizione, che il comunque potrebbe a sua libera scelta applicando l’art. 27 o l’art. 31. Più in concreto, secondo il Tar Napoli, l’amministrazione comunale, se intende provvedere direttamente al ripristino dello stato dei luoghi alterato dall’ “abuso” edilizio (non meglio identificato in tale filo giurisprudenziale), ordina la demolizione da parte del privato e in mancanza provvede direttamente al ripristino, oppure, se vuole far eseguire la rimozione al privato, gli concede i 90 giorni dell’art. 31. Afferma il giudice partenopeo: “I provvedimenti ex art. 27, d.P.R. n. 380/2001 sono del tutto diversi dalle ingiunzioni alla demolizione regolati dall’art. 31; nel primo caso, si tratta di demolizione d’ufficio a cura dell’Amministrazione e nel secondo di sanzione reale per interventi eseguiti in difetto di permesso di costruire (o in totale difformità o con variazioni essenziali) posta a carico del responsabile e del proprietario” (T.A.R. Campania sez. VI – Napoli, 05/10/2022, n. 6161).
Più in dettaglio: “5.1 Dalla esposta normativa emerge che l’elemento che differenzia il procedimento scolpito dall’art. 27 rispetto a quello del successivo art. 31 è rappresentato dal fatto che nel primo caso, a seguito di accertamento degli abusi il funzionario ‘provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi’, nel senso che il funzionario senz’altro può materialmente demolire il manufatto abusivo.
Ciò è reso evidente dalle parole ‘e al ripristino dello stato dei luoghi’.
Nel caso in cui non ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 27 e, dunque, il ripristino dello stato dei luoghi sia perseguito dall’amministrazione secondo il procedimento dell’art. 31, essa assegna (art. 31, comma 2) un termine per l’esecuzione dell’ordine di ripristino da parte dei responsabili dell’abuso con le conseguenze in caso di inottemperanza, scolpite dai successivi commi dell’art. 31.
Che questa sia l’unica interpretazione del combinato disposto degli articoli 27 e 31 deriva anche dalla considerazione che non si può certo ritenere che la mancata esecuzione d’ufficio dell’ordine di demolizione, emesso ai sensi dell’art. 27, determini la sostanziale sanatoria del manufatto abusivo: l’immobile resta abusivo e il Comune deve trarne le conseguenze previste dall’art. 31” (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. VI, 04/10/2021, (ud. 20/07/2021, dep. 04/10/2021), n.6190).
Nel notare che quando si afferma che una certa interpretazione rappresenti l’unica possibile, si manifesta la complessità della interpretazione stessa e la difficoltà al rinvenimento di soluzioni alternative, la ricostruzione appare del tutto sganciata da qualsiasi elemento testuale e teleologico.
Nessun elemento letterale consente di raccordare le due norme come offerenti strumenti non solo alternativi nello stesso momento (o l’uno o l’altro, sul presupposto che, a dati presupposti, entrambe le misure sono attivabili), ma anche alternativi in “successione”, nel senso che si potrebbe passare dall’uno all’altro in successione cronologica.
Anche il Consiglio di Stato parla, invero, di scelta discrezionale tra le due soluzioni offerte dalle due norme: “In relazione all’attività di repressione degli abusi edilizi, la decisione del dirigente comunale di procedere ai sensi dell’art. 27, piuttosto che ai sensi dell’art. 31 o 37 (dipendente dal tipo di abuso) d.P.R. n. 380 del 2001, è espressione di discrezionalità amministrativa e solo nel momento in cui la scelta ricada sulla sanzione ex art. 27 del decreto menzionato è richiesta una specifica motivazione” (Consiglio di Stato sez. VI, 17/10/2022, n. 8808).
Tale orientamento appare perfino incomprensibile, più che semplicemente non condivisibile.
Appare testualmente inequivoco il fatto che le due norme non si richiamano l’una l’altra nei termini prospettati dalla riportata giurisprudenza ma appaiono indipendenti: l’art. 27 tace totalmente sulla demolizione di cui al capo II (artt. 30 ss.) e l’art. 31 non recupera in alcun modo la demolizione di cui all’art. 27, comma 2, come di cui evita espressamente di fare menzione al comma 8 (dove si citano il comma 1 e 3) e che viene ricordato al comma 4 bis (del predetto art. 31) solo per l’individuazione degli edifici per i quali la sanzione pecuniaria trova applicazione nella sua misura massima.
Sembrano mondi non comunicanti. Ed in effetti, non comunicano, perché la vera e unica “demolizione” edilizia è quella del sistema del capo II (artt. 30 e ss.).
Si pensi alla storia, del resto, dell’art. 27, il quale trova il suo predecessore nell’art. 4 l. 47/85, che non a caso è menzionato nella rubrica dell’art. 27.
L’art. 4 l. 47/85 era chiarissimo nel riferirsi ad una situazione del tutto diversa da quella dell’allora art. 7, oggi riversato nell’art. 31. Si riferiva chiaramente alle opere in corso di esecuzione mentre l’art. 7 l. 47/85 regolava gli abusi completati e definitivamente eseguiti come oggi il suo erede art. 31, che pure richiama nella rubrica l’art. 7 medesimo.
La giurisprudenza attuale è netta nel riferire l’art. 27 anche alle opere eseguite: “bb) l’art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 sanziona con la demolizione la realizzazione senza titolo di opere in aree vincolate, con disposizione che si applica sia in caso di inizio sia in caso di avvenuta esecuzione di interventi abusivi e che non vede la sua efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità assoluta. Da un lato, infatti, la piana lettura del testo normativo non evidenzia rigide cadenze temporali entro cui esercitare, a pena di decadenza, l’esercizio del potere repressivo, da intendersi, pertanto, inesauribile siccome connesso alla doverosa e permanente cura dell’interesse pubblico all’ordinato sviluppo del territorio, specie se vincolato” (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. III, 13/02/2023 n.968).
Si tratta di affermazione assiomatica, indimostrata. Non è sufficiente il riferimento alla locuzione “quando accerti l’inizio o l’esecuzione”. L’art. 4 usava la formula “quando accerti l’inizio di opere eseguite… ”. Orbene, appare del tutto verosimile l’attenzione del legislatore del dpr. 380 ad evitare che la norma dell’art. 27 si riferisse al momento cronologicamente difficile da “fissare” dell’inizio delle opere, volendo invece consentire l’intervento anche in corso di esecuzione, ma senza mai parlare di “avvenuta” esecuzione e quindi di definitivo esaurimento dell’attività edilizia.
Il rapporto funzionale tra le due norme e quindi la rispettiva specialità di cui si parlava sopra, si muove, dunque, anche sul filo temporale: l’art. 27 continua ad essere norma relativa “specificamente” al corso delle opere.
Ancora una volta per “disattenzione” deve ritenersi che il “legislatore” dell’art. 27 (norma di legge, come si desume dalla lettera L contenuta nella rubrica), ha parlato di “demolizione” per il caso di accertamento di qualsiasi caso di “difformità” dalle norme o dal piano: l’art. 4 prevedeva un appropriato e cauto provvedimento di “sospensione” dei lavori. L’interpretazione correttiva dell’art. 27, comma 2, parte finale, non pare scontrarsi con i canoni ermeneutici e consente di raddrizzare una formulazione diversamente incompatibile con il sistema del capo II.
Se tutto quanto sopra vale in relazione alle ipotesi di abuso meramente edilizio, saremmo dell’idea che anche per quanto riguarda le aree con vincolo di inedificabilità (edilizia) o di destinazione ad edilizia residenziale o di vincolo paesaggistico e monumentale, la norma rischi di diventare una duplicazione inutile delle norme speciali che tutelano le predette aree se non la si “specializzasse” con riferimento alle opere in corso.
Il dispositivo di “demolizione” rinvenibile nell’art. 27 con riguardo a tali aree si ritrova in tutte le norme di protezione dei vincoli, compreso quello edilizio di inedificabilità, che richiama in causa l’art. 31 dpr. 380/01.
Conclusivamente, deve ritenersi che l’art. 27, in tutte le sua aree di operatività (zone di vincolo o meno) abbia un campo di applicazione non sovrapponibile e non comunicante con quello degli artt. 31 e ss. (oltreché con l’art. 30 comma 8) e che il suo campo di operatività rimanga esattamente quello molto meglio descritto e regolamentato dall’art. 4 l. 47/1985, facendo riferimento al corso dei lavori.
Franco Botteon