I. «La storia è una guerra contro il tempo, in quanto chiama a nuova vita fatti ed eroi del passato»[1].

Uno dei maggiori disagi che provo negli ultimi anni è legato alla scelta di cosa fare del numero di telefono di una persona scomparsa. Potrà magari far sorridere questo mio inusuale incipit[2], ma confesso che cancellare un nominativo dalla mia rubrica mi lascia una strana sensazione, come di dover tagliare definitivamente i ponti con quella persona. E con quanto assieme abbiamo condiviso.

Ancora di più questo vale per Ivone, poiché i ricordi legati alle sue telefonate sono innumerevoli, densi e toccano il mio cuore.

Tutto iniziava quando leggevo sul display il suo nome; già mi preoccupavo! Quindi le nostre conversazioni erano un fiume in piena, si mescolava la storia all’attualità come gli eventi avessero una sorta di a-temporalità, tutto si potesse amalgamare e rivivere. Non riuscivo ad esaurire un progetto con Ivone che già ne aveva altri due in cantiere e su cui mi metteva una tensione propulsiva che nessuno sapeva trasmettermi come e quanto lui.

La nostra amicizia durava da oltre vent’anni, ma partiva con un evidente disequilibrio: io ero laureato da neppure un lustro, lui era già un celebre avvocato, con un’esperienza professionale e relazionale enorme, conosciuto in tutti i fori d’Italia. Eppure non esitava a trasmettermi la sua stima, cercando un confronto paritario e stimolandomi nelle riflessioni. Ciò che maggiormente rammento – e di cui gli sono oggi ancora estremamente debitore – è il senso di responsabilità e di debito nei confronti del passato. Per Ivone la vita era un po’ come una partita di rugby, dove per andare avanti bisogna passare il pallone indietro: il tempo si confonde, passato e presente sono coessenziali e acquistano il medesimo sapore, mentre la storia non è percepita come una disciplina scientifica bensì come un vero e proprio modo di vivere.

 

II. Lo storico Cacciavillani

Mi è stato chiesto di intervenire sul rapporto tra Ivone e la storia della Serenissima. Riflettendo in questi giorni, mi sono accorto che i due addendi dovrebbero però essere invertiti: la vera risposta non si esaurisce elencando gli scritti che Ivone ha dedicato alla Repubblica di Venezia – e sono tantissimi![3] –, bensì quanto la Serenissima abbia inciso sull’esistenza di Ivone.

Per lui, infatti, la storia di Venezia aveva un sapore immanente, quasi meta-storico e fuori dal tempo. La Serenissima non era mai crollata e accompagnava le sue giornate come monito, come stimolo e come modello valoriale.

Non ambiva ad essere uno storico di professione – mi ripeteva sempre che arrossiva al solo pensiero di poter essere paragonato al “suo sindaco” Antonio Pertile[4] – e aveva un rapporto con il passato sostanzialmente costruito su due elementi: da una parte il ricorso ad una comparazione in senso diacronico, come confronto tra paradigmi lontani nel tempo, ma che tra loro possono influenzarsi, esattamente come tra modelli contemporanei. Questo approccio metodologico ha un padre nobile, Marc Bloch: «selezionare in uno o più ambienti sociali differenti, due o più fenomeni che sembrano, di primo acchito, presentare fra loro talune analogie, descrivere le curve delle loro evoluzioni, constatare le somiglianze e le differenze e, per quanto è possibile spiegare le une e le altre. Dunque sono necessarie due condizioni perché ci sia, storicamente parlando, comparazione: una certa somiglianza tra i fatti osservati – è ovvio – e una certa difformità tra gli ambienti in cui essi si sono prodotti»[5]. A ciò si aggiunga che il pubblico a cui egli prevalentemente si rivolgeva non era tecnico o dalle mere competenze giuridiche, non aveva alcuna ambizione a dialogare solamente con i giuristi; anzi, la sua ansia era paradossalmente opposta, di cercare di divulgare il più possibile la tradizione veneziana, di confrontarsi con i giovani, affinché si affascinassero – come era capitato a lui – a quel mondo tanto misterioso quanto poliforme della Venezia medievale e moderna.

L’altro aspetto da cui era fortemente attratto riguarda l’ammirazione a determinati valori, ad una comune matrice valoriale che – a suo avviso – era il collante della fortunata storia millenaria veneziana. La Serenissima non era un mero culto passatista, bensì una memoria da preservare, custodire, tramandare, magari anche recuperare concretamente.

Nell’interpretazione di Ivone, inoltre, la Storia è coessenziale al diritto: essa non è un semplice orpello culturale, ma un fondamentale strumento per la comprensione del presente e un parametro di valutazione per mantenere la direzione verso le scelte future da intraprendere[6].

Innumerevole è la bibliografia di Cacciavillani su queste tematiche, affrontate attraverso le più disparate sfaccettature e giocando con i secoli: nei suoi scritti si è occupato delle questioni più variegate, partendo dal repubblicanesimo, intervenendo sul valore dell’autonomia, sui Papi veneti[7], argomentando del Veneto nel Seicento[8], nel Settecento[9] e nell’Ottocento[10], ma anche di questioni più istituzionali[11], deontologiche[12] o statutarie, senza tralasciare la terraferma[13] e, soprattutto, i domini veneti ora non più italiani, le amate Istria e Dalmazia[14]. Quando professionalmente intrecciava un qualche argomento, subito lo proiettava nella storia, alla ricerca di similitudini e incuriosito da improbabili confronti, pronto a stuzzicare il politico di turno con paragoni di legislazioni e normative vecchie di centinaia di anni, ma dal contenuto assolutamente attuale: è il caso del filone sull’ambiente[15] e sull’ecologia, come quello sulle politiche sociali[16]. Una particolare attenzione ha sempre avuto nei confronti dei personaggi come Francesco Morosini[17] e Paolo Sarpi[18], di cui ammirava l’indipendenza, vissuta come costume e non come doverosità. Non poteva ovviamente mancare il volume sul Tremendo giorno e sulla fine di Venezia[19], a causa dell’odiato nemico; il rivoluzionario generale corso (che non mi permetto neppure di nominare, altrimenti mi parrebbe di sentire i suoi improperi), indicato con la “I”, che per Ivone non stava per “Imperatore”, bensì per “Infame”!

Da questo innumerevole fiume di pagine ne discende l’affresco di uno studioso non rinchiuso nello specialismo esclusivo, bensì aperto ai vari saperi che in qualche modo interloquiscono con la storia. E con ciò non voglio intendere una mera attenzione alla interdisciplinarietà, ma penso piuttosto alla curiosità di un uomo certamente atipico e fuori dal comune, con una poliformità di interessi che lo allontanavano per natura dallo specialismo accademico. Non era assillato dal metodo, ma faceva emergere la centralità delle questioni che affrontava con una capacità rara, semplificando significativamente la lettura. La sua concezione di tradizione era sana, non pervasa da formalismo o ritualità, ma concepita come testimone che si ha l’obbligo di ereditare da una generazione per consegnarlo a quella futura.

Per Ivone scrivere sulla Serenissima era un impegno civico, un valore irrinunciabile, un’esperienza da cui trarre linfa per tutti gli aspetti della sua esistenza.

 

III. Lepanto

Ma l’opera che lo ha paradossalmente reso più celebre al grande pubblico fu Lepanto, uscito per Fiore editore nel 2003, subito andato esaurito e ristampato più volte, tanto che lo stesso Ivone non si capacitava di un tale successo.

Ad aiutarlo è stato certamente l’alone epico che gravita attorno alla battaglia di Lepanto: è il 7 ottobre 1571[20] quando la cosiddetta guerra di Cipro arriva al suo culmine, con uno scontro frontale tra le flotte musulmane dell’Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa. Sotto le insigne pontificie albergavano le galee dell’Impero spagnolo, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta,  dei Ducati di Savoia, Ferrara, Mantova, Urbino, del Granducato di Toscana, ma oltre la metà della flotta proveniva proprio da Venezia. Non ci sono numeri certi[21], ma le cronache narrano di oltre 400 imbarcazioni coinvolte e 100.000 tra soldati, galeotti, mercenari, rematori.

Don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V, decise di lasciare isolate in avanti, come esca, le sei potentissime galeazze veneziane, che per prime aprirono il fuoco. Le galeazze erano imbarcazioni difficilmente abbordabili, sia per la loro notevole altezza e sia per i cannoni disposti a prua, lungo i fianchi e a poppa. Con il vento a favore e producendo un rumore assordante di timpani e tamburi, i turchi cominciarono l’assalto alle navi della Lega cristiana, che erano invece nel più assoluto silenzio. Improvvisamente, intorno a mezzogiorno, il vento cambiò direzione: le vele dei turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono. I cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Don Giovanni innalzò lo stendardo di Lepanto con l’immagine del Redentore crocifisso.

In quella sanguinosa, interminabile e cruenta battaglia, si celebrano episodi di incredibile asprezza, ma soprattutto si consumò l’epopea di Agostino Barbarigo, capitano generale da mar della flotta veneziana e comandante del corno sinistro della flotta. Questi, temendo di non poter essere udito dai propri uomini, in quanto il viso era coperto dallo scudo, e non curante di chi lo invitava a coprirsi, sfidava i dardi nemici togliendosi l’elmo. Purtroppo accadde quello che era inevitabile accadesse: ferito ad un occhio da una freccia, le cronache narrano come egli non volle abbandonare il ponte di comando in un frangente tanto delicato, e continuò a dirigere l’assalto legato all’albero maestro, col sangue che gli colava sull’armatura. Ben conscio di essere ormai destinato a morire nel giro di poche ore, ma altrettanto impegnato a guidare i suoi marinai verso una vittoria, di cui non avrebbe mai potuto gustare il sapore.

Avrò sentito Ivone raccontare l’epico episodio di Barbarigo innumerevoli volte, e ogni volta riusciva a commuovermi: lo evocava con un tale trasporto e coinvolgimento da farmi sentire in colpa per non riuscire ad essere io altrettanto eroico ed attaccato alla mia terra e cultura. Per lui era un dovere ricordare quell’episodio, non ammetteva che le giovani generazioni non lo conoscessero e non fossero grate di essere cristiane grazie all’eroismo di quel avo così incredibile. Lepanto, infatti, rappresentava nella ricostruzione di Ivone l’apice della Serenissima, il momento in cui era cambiata la storia europea e Venezia si era fatta trovare pronta, assumendo il ruolo di garante e responsabile degli equilibri europei (e quindi mondiali).

Per questo motivo per Ivone il dialetto assumeva un ruolo centrale, in quanto lingua che garantiva il rispetto della tradizione, il culto dei luoghi, il sapore del tempo. E sempre per il medesimo motivo una funzione centrale assumevano i libri, patrimonio prezioso ed inestimabile fonte di sapere, di cui Ivone aveva un vero e proprio culto. La sua biblioteca personale è stata costruita con una attenzione, una meticolosità e una dedizione incredibile, tanto da fare invidia alle collezioni pubbliche. Il suo amore per la Repubblica Serenissima l’ha condotto nelle più lontane librerie antiquarie di Europa, ha battuto le aste di Sotheby’s e Christies per recuperare i dispacci degli ambasciatori presso varie Corti europee: documenti unici e dall’inestimabile valore storico, che lui ha voluto raccogliere e riunire[22].

E proprio grazie ai libri Ivone non morirà mai, nella consapevolezza che tra cento o duecento anni, qualche curioso come lui, volenteroso di capire gli affascinanti meccanismi che hanno reso celebre Venezia nel mondo, aprirà un suo scritto.

Facendolo rivivere ad ogni lettura.

Davide Rossi

 

* Il testo riproduce l’intervento tenuto al Convegno dell’8 aprile 2022, svoltosi in Padova e organizzato dall’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti e dall’Unione Giuristi Cattolici di Padova, dal titolo “L’eredità di Ivone Cacciavillani – L’uomo, l’avvocato, lo storico, il credente, il cittadino”.

 

[1] La citazione è tratta da I Promessi Sposi, volume molto caro ad Ivone.

[2] Come avrebbe preferito Ivone, ho desiderato conservare il tono colloquiale tenuto durante l’intervento orale.

[3] Molti – ma non tutti – verranno elencati in questo scritto. Una bibliografia, aggiornata però fino al 2010, si rintraccia in I. Cacciavillani, Testamento d’avvocato, Cedam, Padova, 2010.

[4] Bellunese di nascita, padovano di adozione, Antonio Pertile fu uno dei più importanti storici del diritto dell’Ottocento, autore della Storia del diritto italiano dalla caduta dell’Impero romano alla codificazione, articolata in sei volumi e otto tomi. Fondamentalmente schivo, Pertile si dedicò quasi esclusivamente all’insegnamento e allo studio, e non assunse ruoli politici o pubblici di rilievo, a parte, dal 1873 al 1876, proprio quello di Sindaco del Comune di Strà. Per una dettagliata ricostruzione, A. Pertile (ad vocem), in I. Birocchi – E. Cortese – A. Mattone – M.N. Miletti (a cura di), Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani (XII – XX sec.), Il Mulino, Bologna, 2013, Vol. I, pp. 27 – 28.

[5] M. Bloch, Critique historique et critique du témoignage. Discours prononcé à la distribution des Prix, année scolaire 1913-1914, Amiens, 1914.

[6] Il riferimento è a P. Grossi, Il punto e la linea (L’impatto degli studi storici nella formazione del giurista), in G. Rebuffa – G. Visentini (a cura di), L’insegnamento del diritto oggi (Atti del Convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Genova, 4-6 maggio 1995), Giuffré, Milano, 1996, p. 255 ss.

[7] I. Cacciavillani, I papi veneti, Venezia, Corbo e Fiore, 1999. Id., Stato e Chiesa nel contado veneto sotto la Serenissima, Padova, Signum, 1989.

[8]I. Cacciavillani, Il Seicento veneziano. La poetica, Venezia, Corbo e Fiore, 2009.

[9] I. Cacciavillani, Il ’700 veneto. La politica, Venezia, Corbo e Fiore, 2009.

[10] I. Cacciavillani, Il Veneto in Italia. Dalla rivoluzione del ’48 all’unificazione legislativa del ’71, Venezia, Corbo e Fiore, 2010.

[11] Qui la bibliografia è veramente estesa: I. Cacciavillani, La legge comunale veneziana (1781), Padova, Signum, 1986; Id., Il regime giuridico della laguna di Venezia, storia e ordinamento, Padova, Signum, 2000; Id., La «giustizia» nell’ordinamento veneziano, Venezia, Corbo e Fiore, 2011; Id., La Serenissima. Una Repubblica burocratica, Venezia, Corbo e Fiore, 2003; Id., La Repubblica Serenissima. Profilo della Costituzione veneziana, Padova, Signum 1985.

[12] I. Cacciavillani, Storia dell’avvocatura veneziana, Venezia, Corbo e Fiore, 2001 e Id., La “bala d’oro”. Elezioni e Collegi della Serenissima, Venezia, Corbo e Fiore, 2001.

[13]I. Cacciavillani, Il dominio veneto. Un Veneto nuovo, Mestre Venezia, Metakom, 2020; Id., Il Polesine veneziano. Pagine di vita, Padova, Il Poligrafo, 2015; Id., Il parlamento della patria del Friuli in epoca veneziana, Venezia, Corbo e Fiore, 2008; Id., Venezia e la terraferma, Castelfranco Veneto, Panda, 2008;

[14] I. Cacciavillani, La provincia d’Istria della Serenissima, Milano, Leone, 2014, come pure Id., Istria veneziana, Milano, Leone, 2012.

[15] I. Cacciavillani, Acqua veneta, Venezia, Corbo e Fiore, 2019, Id., Le leggi ecologiche veneziane, Padova, Signum, 1990; Id., Le leggi veneziane sul territorio (1471-1789). Boschi, fiumi, bonifiche e irrigazioni, Padova, Signum, 1983, ancora Id., La tutela dell’ambiente nell’ordinamento della Serenissima, Venezia, Corbo e Fiore, 2006.

[16] I. Cacciavillani, Il «diritto del lavoro» nell’ordinamento veneziano, Venezia, Corbo e Fiore, 2019; Id., Il «sociale» a Venezia. Interventi «sociali» nell’ordinamento della Serenissima, Castelfranco Veneto, Panda, 2013; Id., L’altra Venezia. Impiego, impresa, lavoro, nell’ordinamento della Serenissima, Castelfranco Veneto, Panda, 2011.

[17] I. Cacciavillani, Francesco Morosini. Nella vita di Antonio Arrighi, Corbo e Fiori editori, 1996.

[18] I. Cacciavillani, Paolo Sarpi. La guerra delle scritture del 1606 e la nascita della nuova Europa, Venezia, Corbo e Fiore, 2005; Id., Sarpi giurista, Padova, Cedam, 2002; Id., I consulti di Paolo Sarpi sulla Vangadizza, Padova, Cedam, 1994.

[19] I. Cacciavillani, La caduta. Venezia e il Veneto al «tremendo zorno», Padova, Il Poligrafo, 2015.

[20] La figlia Chiara mi ha raccontato che nel suo testamento ha lasciato un legato per cui ogni anno, il 7 ottobre, risuonino a festa le campane. Non conosco altri che avrebbero potuto pensare un simile gesto.

[21] Si legga la ricostruzione in A. Barbero, Lepanto. La battaglia dei tre imperi, Bari, Laterza, 2010 e anche N. Capponi, Lepanto 1571. La Lega santa contro l’Impero ottomano, Milano, Il Saggiatore, 2012.

[22] La sua biblioteca è, tra l’altro, in parte vincolata.

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