Due società a partecipazione pubblica (α e β) hanno in animo di procedere alla fusione per incorporazione della prima nella seconda. Per i Comuni soci (di entrambe) si pone il problema di come dare il via libera all’operazione societaria, se sia cioè necessario un passaggio consiliare, piuttosto che una semplice delibera di giunta. La scelta va attentamente valutata producendo rilevanti conseguenze anche sul piano societario posto che, ai sensi dell’art. 8, c. 2, d.lgs. 175/2016 (cd. T.U.S.P.), “l’eventuale mancanza o invalidità dell’atto deliberativo avente ad oggetto l’acquisto della partecipazione rende inefficace il contratto di acquisto della partecipazione medesima”.

L’individuazione delle corrette modalità di formalizzazione della volontà dei Comuni soci deve naturalmente prendere l’abbrivio dall’art. 8, c. 1, T.U.S.P., a tenore del quale “Le operazioni, anche mediante sottoscrizione di un aumento di capitale o partecipazione a operazioni straordinarie, che comportino l’acquisto da parte di un’amministrazione pubblica di partecipazioni in società già esistenti sono deliberate secondo le modalità di cui all’articolo 7, commi 1 e 2”, vale a dire mediante “deliberazione del consiglio comunale” (art. 7, c. 1, lett. b), TUSP) ed obbligo di «analitica motivazione» (combinato disposto dell’art. 7, c. 2 e dell’art. 5, c. 1, TUSP).

Assodato che né l’art. 7, né l’art. 8 del TUSP menzionano espressamente l’operazione di «fusione per incorporazione» tra quelle da assoggettare alle procedure previste dall’art. 7, commi 1 e 2, del medesimo corpus normativo, occorre verificare se l’ipotizzata operazione societaria (sicuramente “straordinaria”) determini l’«acquisto di partecipazioni in una società già esistente».

In tale prospettiva appare anzitutto necessario ricostruire la natura della fusione per incorporazione, in particolare avvalendosi delle considerazioni espresse sul punto dalla giurisprudenza e dalla dottrina.

I più recenti approdi della Corte di Cassazione -riguardanti, per lo più, la sorte processuale della società incorporata- si assestano nel senso di ritenere quest’ultima “estinta”, con conseguente imputazione dei rapporti giuridici in capo alla società incorporante. Venendo all’interrogativo di partenza (rectius ai temi ad esso sottesi), la fusione per incorporazione non può essere assimilata -da un punto di vista sostanziale- all’acquisto ex novo di una partecipazione, posto che “alla successione dei soggetti sul piano giuridico-formale si affianca, sul piano economico-sostanziale, una continuazione dell’originaria impresa e della sottostante organizzazione aziendale, benché  secondo nuovi assetti e piani industrialinon si può disconoscere pertanto che -al contrario che nello scioglimento e liquidazione della società- con la fusione l’operazione economica abbia il significato opposto: non l’uscita dal mercato, ma la permanenza dei soci sul medesimo, sia pure in forme diverse”, in quanto si determina “un fenomeno di concentrazione giuridica ed economica … o «integrazione» o «compenetrazione»” (Cass. Civ., SS.UU., 30.7.2021, n. 21970). Anche in dottrina si è significativamente sottolineato come “Nel caso del concambio (da fusione o da scissione che sia) in realtà non ci si trova alla presenza di una nuova partecipazione e di un nuovo investimento, bensì di una semplice vicenda di riorganizzazione e di ridefinizione di un investimento preesistente” (G. GUIZZI, La maggiorazione del diritto di voto nelle società quotate: qualche riflessione sistematica, in Corriere Giuridico, 2/2015, 159).

Ed è proprio prendendo le mosse da principi come quelli testé evidenziati che la Corte dei Conti (Sezioni riunite di controllo, 23.11.2022, n. 19) ha recentemente escluso che (anche) per le operazioni di «fusione per incorporazione» sia necessario il suo coinvolgimento ai sensi dell’art. 5, c. 3, TUSP. La predetta disposizione prevede, infatti, che “l’atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta” debba essere inviato, oltre che all’A.G.C.M., anche alla Corte dei Conti. Attesa la sostanziale identità dei presupposti tra l’ipotesi in parola e quella regolata dal successivo art. 8, c. 1 (i.e. acquisto di partecipazione in società esistenti), non par dubbio che le conclusioni rassegnate dal Giudice contabile assumano portata dirimente anche nella fattispecie oggetto del presente approfondimento.

Ecco, per excerpta, alcuni significativi passaggi della deliberazione de qua:

  • la fusione… non figura tra le operazioni per l’adozione delle quali l’art. 7, comma 7, del TUSP richiede le specifiche modalità, procedurali e motivazionali, di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo (disposizioni richiamate, sempre senza far riferimento alle operazioni di fusione, anche dal comma 1 dell’art. 8)”;
  • la Corte di cassazione ha messo in luce la natura compista dell’operazione di fusione per incorporazione… la fusione, dando vita ad una vicenda modificativa dell’atto costitutivo per tutte le società che vi partecipano, determina un fenomeno di integrazione giuridica ed economica… la fusione … comporta quale esito finale, una reductio ad unitatem dei patrimoni delle singole società”;
  • L’analisi effettuata dalla citata giurisprudenza è riferita alle società interessate dall’operazione di fusione (incorporata e incorporante), piuttosto che alla posizione dei soci delle medesime, a cui guarda, invece, la disciplina prevista dall’art. 5, commi 3 e 4, TUSP Appare, pertanto, necessario traslare sui soci le considerazioni svolte circa la natura dell’operazione di fusione per incorporazione, distinguendo tra quelli della società incorporante e quelli delle incorporate”;
  • per i soci della società incorporante “non vi è alcuna modifica sostanziale della partecipazione che possa essere assimilabile all’acquisizione di nuove azioni; ciò in quanto la società incorporante permane come soggetto giuridico immutato, in esito alla fusione”;
  • i soci della società incorporata “assistono all’annullamento dei titoli di partecipazione nelle società incorporate e alla contestuale assegnazione di quote dell’incorporante, sulla base del rapporto di concambio. Ciò sembrerebbe implicare effetti modificativi simili a quelle derivanti da un’operazione di cessione di partecipazioni, con contestuale riacquisto in una nuova realtà societaria, apparendo integrare i presupposti per la trasmissione degli atti ai sensi dell’art. 5 TUSP. Tuttavia, i richiamati aspetti di integrazione e continuità, che, comunque, caratterizzano la fusione della società incorporante e delle incorporate, non possono condurre, nei riguardi dei soci delle incorporate, a soluzioni diverse da quelle esposte con riferimento ai soci della incorporante”;
  • l’operazione nella prospettiva dei soci (anche delle incorporate), da un punto di vista sostanziale, si atteggia a continuazione del contratto sociale, sebbene l’attuazione prosegua in un “altro involucro formale” e con una differente organizzazione. Sotto il profilo economico-finanziario, infatti, per i soci delle incorporate l’operazione di fusione avviene in condizioni di sostanziale neutralità, attraverso la definizione del rapporto di concambio, ossia della proporzione matematica fra la partecipazione del socio nella società incorporata e quella assegnata nella società incorporante (cfr. Cass. civ., sez. I, n. 7920/2020; sez. I, n. 15025/2016)”;
  • Il principio di neutralità dell’operazione per i soci dell’incorporata trova conferma anche in campo fiscale, laddove l’art. 172 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) stabilisce che «Il cambio delle partecipazioni originarie non costituisce né realizzo né distribuzione di plusvalenze o di minusvalenze né conseguimento di ricavi per i soci della società incorporata o fusa»”.

Sulla base di queste piane considerazioni, perfettamente applicabili alla fattispecie in esordio sintetizzata, la Corte dei Conti ritiene di “escludere l’operazione di fusione per incorporazione, sia per gli enti soci dell’incorporante che per quelli dell’incorporata, dal campo di applicazione della rinnovata funzione assegnata alla Corte dei conti dall’art. 5, commi 3 e 4, TUSP, in quanto tale vicenda non risulta equiparabile né alla costituzione di una società né all’acquisto di una nuova partecipazione in società già esistente”.

Ad ulteriore supporto delle proprie conclusioni, la Corte richiama “i presìdi che il diritto societario già reca per il perfezionamento e la “stabilità” dell’operazione di fusione (la Sezione remittente cita gli artt. 2501-ter, 2501-quater, 2501-quinquies, 2501-sexies, 2502, 2502-bis, 2503, 2504, 2504-bis e 2504-quater cod. civ.), ed a cui fa espresso rinvio l’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 175 del 2016”, senza dimenticare che “ove si ritenesse che, nel quadro dell’incorporazione, i (soli) soci pubblici delle società incorporate realizzino un’acquisizione di partecipazioni, si perverrebbe ad una sottoposizione frammentata, ex art. 5, commi 3 e 4, TUSP alla Corte dei conti di una medesima vicenda (imponendolo per le amministrazioni socie delle incorporate ed escludendolo per quelle dell’incorporante)”.

Le conclusioni rassegnate dal Giudice contabile (recentissimamente riprese: cfr. Corte Conti, Sez. controllo Toscana, 19.12.2022, n. 245) focalizzano in maniera chiara e puntuale le più rilevanti tematiche sottese all’alternativa di partenza (delibera di consiglio/di giunta), offrendo una lettura affatto condivisibile oltre che aderente alla lettera della legge. Su posizioni differenti -va doverosamente ricordato- si è assestato il Consiglio di Stato, seppur in una più risalente sentenza. La vicenda riguardava una complessa operazione societaria all’esito della quale (anche a mezzo di fusione) un socio privato era entrato in una società in precedenza a capitale totalmente pubblico. Le tematiche affrontate dai Giudici di Palazzo Spada (per lo più incentrate sugli artt. 10 e 17 T.U.S.P.) pur essendo diverse da quelle oggetto del presente approfondimento (art. 8 T.U.S.P.), trovano un (seppur parziale) punto di incontro proprio riguardo alla «fusione».

Pur dovendo riconoscere che “la adozione della delibera di fusione … di società partecipata non è, anzitutto e preliminarmente, sottoposta in quanto tale ai vincoli del procedimento aggravato contenuto invece per l’operazione di trasformazione ai sensi dell’art. 7, comma 7 T.U.”, il Supremo consesso della giustizia amministrativa pretende (ciononostante) di attrarla nel regime procedimentale “aggravato” e ciò “in ragione del fatto che le operazioni di fusione e scissione sono idonee a produrre modificazioni dell’assetto organizzativo non meno invasive e radicali rispetto alle operazioni di trasformazione” per cui “si deve ritenere che, almeno in talune fattispecie (e certamente, come non a caso è puntualmente avvenuto, nella vicenda in esame) la deliberazione di fusione e scissione di società partecipate debba senz’altro sottostare alle procedure decisionali predeterminate all’art. 7, comma 7, con riguardo alla preventiva approvazione  dell’amministrazione partecipante ed alla congrua motivazione dell’atto deliberativo anche sulla convenienza economica e sulla sostenibilità finanziaria per il socio pubblico.  È, segnatamente, il caso: a) di operazioni di fusione e scissione che comportino anche l’effetto del mutamento del modello organizzativo (in questa eventualità dovendosi, infatti, coerentemente applicare in via concorrente le norme dedicate alla trasformazione della società)” (Cons. St., Sez. V, 6.9.2021, n. 6213).

Al di là della radicale differenza tra l’operazione scrutinata nella sentenza e quella descritta in esordio, le argomentazioni del Consiglio di Stato non paiono condivisibili, non foss’altro perché del tutto prive di riscontro testuale. Assimilare la «fusione» alla «trasformazione» (istituti differenti, come noto, anche nella disciplina codicistica) significa andare contro il chiaro tenore letterale delle norme del T.U.S.P. (art. 7 in questo caso) che cita solo la seconda e non la prima. In ogni caso tale estensione appare ancor più discutibile in quanto dipende da un’analisi “in concreto” del tipo di operazione (quindi non per tutte le fusioni), aumentando così il grado di aleatorietà ed indeterminatezza della soluzione finale, in maniera del tutto incompatibile con le esigenze di certezza che sono invece alla base di fattispecie come quella di cui trattasi. Non stupisce, pertanto, che tra i più attenti commentatori la pronuncia in parola sia stata motivatamente criticata (cfr. V. DONATIVI, Fusione e scissione di società partecipate: le indicazioni «ultra petita» del Consiglio di Stato, in Urbanistica e Appalti, 3/2022, 374 e ss.).

Da ultimo, appare doveroso ricordare che sulle tematiche de quibus si è pronunciato anche il Consiglio Nazionale del Notariato. Nello studio dal titolo “Procedimenti amministrativi in materia di sottoscrizione, acquisto, cessione di partecipazioni sociali da parte di pubbliche amministrazioni ed onere di controllo notarile” (studio n. 229-2017/I) gli autori (D. BOGGIALI e M. SILVA) giungono alla conclusione che “il procedimento di cui all’art. 5 d.lgs. 175/2016 deve essere rispettato anche in caso di acquisto di partecipazioni conseguente sia a un apposito negozio di cessione, sia a un’operazione di aumento di capitale, fusione per incorporazione o scissione in favore di beneficiaria preesistente. Apparentemente, sembrerebbero escluse le operazioni di fusione propria e di scissione in favore di beneficiaria di nuova costituzione. Tuttavia, se si considera che, da un lato, come in precedenza esaminato, l’onere di motivazione analitica si applica non solo alla costituzione di nuove società, ma anche alla trasformazione di  società preesistenti (art. 7, comma 7, lett. b), e che, dall’altro lato, appare oggi preferibile ritenere che tanto la fusione, quanto la scissione, nelle loro diverse forme, al pari della trasformazione abbiano la natura di modifiche organizzative di soggetti preesistenti, sembra logico ritenere che l’onere di motivazione analitica debba essere rispettato anche in caso di fusione mediante costituzione di nuova società”. Anche in questo caso l’opzione ermeneutica non convince: le ragioni sono sostanzialmente identiche a quelle illustrate con riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato e riposano nel “superamento” (rectius travisamento) del dato letterale della norma e nell’assenza di una (congrua e convincente) motivazione che giustifichi (datum per inconcessum che ciò sia possibile) l’estensione, ad ipotesi affatto diverse (la fusione), di procedure “aggravate” dettate dal legislatore solo per casi specifici e tassativi (ad es. la trasformazione).

La Corte dei Conti è intervenuta senza tentennamenti in una problematica assai delicata, argomentando in modo articolato ed incisivo l’opzione ermeneutica prescelta: non resta, quindi, che attendere eventuali “riposizionamenti” della giustizia amministrativa, piuttosto che l’offerta di nuove chiavi di lettura da parte di altri interpreti chiamati a confrontarsi con la fusione per incorporazione nell’ambito del T.U.S.P.

Alberto Gaz

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