Sommario: 1. La normativa ante 1° gennaio 2021. – 2. La normativa ante 1° gennaio 2022. – 3. Le novità dal 1° gennaio 2022. – (segue) 3.1. Prima possibile interpretazione del comma 831-bis. – (segue) 3.2. Altra possibile interpretazione del comma 831-bis. – 4. Conclusioni.

Notevole è l’incertezza che circonda la disciplina in materia di canoni e tariffe locali, cui sono onerati i titolari delle antenne e degli impianti di trasmissione radio.

Le infrastrutture di comunicazione elettronica godono infatti di un regime impositivo speciale, che è stato oggetto di frenetiche riforme – specie nel quadriennio tra il 2018 ed il 2022 – al punto che l’intersezione di plurimi e disorganici interventi legislativi ha reso difficoltosa l’interpretazione del quadro normativo applicabile, complicando non poco il ruolo della regolamentazione attuativa locale.

 

  1. La normativa ante 1° gennaio 2021.

Sin dai primi anni 2000, il legislatore statale ha operato per limitare le iniziative degli Enti locali che – ponendo in capo agli operatori delle telecomunicazioni obblighi economici compensativi di vario genere – miravano a disincentivare la posa delle antenne sul territorio di competenza. Con decorrenza del 1° giugno 2012, l’art. 68 del d.lgs. n. 70/2012 riformava l’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, vietando alle amministrazioni locali di imporre “per l’impianto di reti o per l’esercizio di servizi di comunicazione elettronica”, oneri finanziari, canoni o contributi diversi dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (T.O.S.A.P.)[1] o, se previsto, dal canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (C.O.S.A.P.)[2], oltre al contributo una tantum per l’escavazione di gallerie sotterranee per la posa di cavi e condutture.

Tale precetto veniva ulteriormente corroborato dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 33/2016 (“l’articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione”), a cui la legge n. 12/2019 – introducendo, in sede di conversione, l’art. 8-bis nel testo del decreto legge n. 135/2018 – ha aggiunto la chiosa finale “restando quindi escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo,  comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto”. Ciò in coerenza con l’art. 86 del T.U., in forza del quale le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione “sono assimilate alle opere di urbanizzazione primaria e di pubblica utilità, in quanto funzionali all’erogazione di un servizio a carattere generale[3].

L’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 appariva piuttosto vago nel perimetrare l’ambito di applicabilità della novella, facendo riferimento alla nozione generica di “aree pubbliche”, in cui rientrano cespiti immobiliari “appartenenti ad Amministrazioni pubbliche, sia in regime demaniale sia in regime patrimoniale (indisponibile o disponibile)[4]. La disposizione non faceva cenno, in particolare, alla legittimità dei canoni locatizi (o del corrispettivo del diritto di superficie) negoziati dalle Amministrazioni con contratti di diritto civile aventi ad oggetto immobili appartenenti al patrimonio disponibile degli Enti locali.

Tuttavia, è la stessa norma a puntualizzare che nessun “altro” onere può essere imposto, lasciando intendere lasciava che i beni oggetto del divieto fossero soltanto quelli effettivamente gravati dalla fiscalità locale, in quanto appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell’Ente, a norma dell’art. 38 del d.lgs. n. 507/1993.

La disciplina di settore non prevede infatti la possibilità di fiscalizzare l’uso del patrimonio disponibile, che può essere gestito dall’Amministrazione esclusivamente con strumenti contrattuali di diritto privato, a norma dell’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 241/1990, benché nel rispetto delle formalità preordinate alla stipulazione dei contratti attivi (ai sensi del r.d. n. 2440/1923[5]) e, in ogni caso, in coerenza con i “principi generali dell’attività amministrativa e a quelli della concorrenza e parità di trattamento[6].

In questi termini si è stabilmente assestata[7], fin da subito, l’interpretazione della giurisprudenza[8], che ha tracciato una precisa linea di demarcazione, distinguendo:

  1. gli impianti di rete insistenti sul suolo pubblico demaniale o patrimoniale indisponibile in forza di una concessione amministrativa, cui fa seguito l’imposizione di TOSAP o COSAP in base alla disciplina regolamentare vigente in sede locale[9];
  2. gli impianti di rete che possono essere dislocati sul patrimonio disponibile degli Enti locali previa stipulazione di locazioni e/o diritti di superficie secondo la disciplina civilistica dei rapporti obbligatori[10].

Tale distinzione si riflette naturalmente sulla frammentazione del riparto di giurisdizione. I contratti stipulati per la gestione dei beni del patrimonio disponibile, infatti, vanno soggetti ai tribunali ordinari[11], salvo il caso della delibera consiliare/giuntale di autorizzazione a contrarre, che può essere impugnata avanti alla giurisdizione amministrativa[12]. Per quanto riguarda, invece, i beni appartenenti al patrimonio indisponibile, la giurisdizione è attratta in via esclusiva dal giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 104/2010, anche se rimangono nella potestà del giudice civile le controversie aventi ad oggetto il mero pagamento di “indennità, canoni ed altri corrispettivi”, ma solo se non coinvolgono la validità del titolo o l’esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione dell’importo[13]. Ciò non vale, tuttavia, quando l’obbligazione abbia natura tributaria (come la TOSAP o il canone unico), nel qual caso l’opposizione all’accertamento emesso a norma del comma 792 dell’art. 1 della legge n. 160/2019 spetta alle Commissioni tributarie[14].

Vietando ai Comuni e alle Province di gravare con ulteriori prestazioni patrimoniali autoritative gli impianti di comunicazione elettronica installati sul demanio e sul patrimonio indisponibile, l’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 si poneva in linea con la riserva di legge relativa di cui all’art. 23 Cost.[15], in forza della quale ogni imposizione patrimoniale dev’essere presidiata da una fonte primaria che ne definisca “i presupposti soggetti e oggettivi[16], pur potendo demandarsi alla regolamentazione secondaria la concreta attuazione del tributo.

Residuava tuttavia una fattispecie controversa. Anche con riguardo agli impianti di rete insediati sul demanio o su beni del patrimonio indisponibile era infatti accreditata la prassi di stipulare concessioni-contratto tra l’Amministrazione e l’esercente, pattuendo canoni concessori a favore dell’Ente proprietario, con importi superiori ai coefficienti T.O.S.A.P. Tale escamotage è stato infatti utilizzato per attenuare l’opposizione delle comunità locali, che potevano così compartecipare agli utili derivanti dalla posa dell’antenna.

Sennonché, si pose il problema se tali contratti negoziati in eccedenza rispetto alle aliquote T.O.S.A.P. dovessero ritenersi contrari all’art. 93, anche se pattuiti liberamente tra le parti, fuori da dinamiche tributarie o comunque impositive. Stravolgendo le iniziali interpretazioni avallate dai Tribunali di primo grado (secondo cui che “la presenza di un diverso assetto convenzionale che preveda il pagamento di canoni concessori eccedenti il limite legale del valore di Tosap e Cosap si tradurrebbe in uno strumento elusivo del paradigma normativo[17]), il Consiglio di Stato ha formalizzato una sofisticata soluzione di tutela della finanza pubblica, valorizzando la stratificazione diacronica delle riforme e la differenza tra “imposizione” e “stipulazione”. Nel dettaglio, la Suprema Magistratura amministrativa ha sostenuto che l’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 “ha posto un limite” al solo “potere impositivo unilaterale degli enti locali, ma non ha contemplato minimamente eventuali canoni pattuiti convenzionalmente nell’ambito delle concessioni-contratto aventi ad oggetto beni demaniali o patrimoniali indisponibili[18]. A parere del Collegio, soltanto a seguito della modifica apportata dalla legge n. 12/2019 (in sede di conversione del decreto legge n. 135/2018) all’art. 12 del d.lgs. n. 33/2016 agli Enti locali è fatto divieto di riscuotere qualunque onere finanziario (in capo a chi occupa il suolo pubblico con impianti di telecomunicazioni) a prescindere “dalla natura” […] e dal titolo” (espressione che deve qualificarsi alla stregua di nuovo ed innovativo precetto […] applicabile alle sole fattispecie future[19]).

Secondo il Consiglio di Stato, quindi, solo dal 13 febbraio 2019 (data di entrata in vigore della legge n. 12/2019) il legislatore ha allargato il divieto di cui all’art. 93, estendendolo “anche ai canoni riconducibili a titoli convenzionali”[20]. Legittimamente, dunque, le Amministrazioni hanno preteso e riscosso i corrispettivi contrattualizzati per la posa degli impianti di trasmissione sul patrimonio indisponibile e sul demanio maturati fino all’entrata in vigore della legge n. 12/2019.

La sentenza non chiarisce tuttavia il regime giuridico applicabile alle convenzioni i cui effetti non siano esauriti entro tale data, limitandosi a sottolineare che l’art. 8-bis del decreto legge n. 135/2018 “è applicabile solo alle fattispecie future[21].

L’applicazione del solo codice civile lascerebbe intendere la nullità delle rate dei canoni contrattuali (pattuiti per l’uso dei patrimonio indisponibile e demaniale) scadute successivamente al 13 febbraio 2019, in quanto corrispettivi convenzionali verrebbero automaticamente sostituiti dalle tariffe regolamentari di TOSAP/COSAP previste dal regolamento vigente nel singolo Ente locale[22], con inserzione automatica del prezzo amministrato nei contratti in corso ex art. 1339 cod. civ.

Sennonché tale opzione trova ostacolo nella perdurante ambiguità che concerne l’individuazione dei “principi del codice civile” effettivamente applicabili all’art. 11, comma 3, della legge n. 241/1990. Ed infatti, la concessione-contratto è pacificamente qualificata come accordo sostitutivo del provvedimento di concessione del suolo pubblico[23], di cui va ad esaurire “il contenuto discrezionale” spettante all’Amministrazione per la “determinazione di indennità, canoni o altri corrispettivi[24]. In forza del relativo comma 3, tuttavia, “gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi”. Il controllo a cui soggiace il provvedimento amministrativo è la giurisdizione di legittimità per l’accertamento della nullità ex art. 21-septies o dell’annullabilità ex art. 21-octies della legge n. 241/1990. Ciò ha portato il Consiglio di Stato a precisare “che gli accordi sostitutivi di provvedimento, i quali, proprio per la loro natura, non possono essere equiparati tout-court ai contratti, sono sottoposti a una disciplina positiva che esclude la dipendenza degli atti da norme imperative la cui violazione determina la nullità degli atti[25], di cui l’art. 1339 cod. civ. costituisce un mero corollario. Pertanto, ha recentemente ribadito la Suprema Magistratura, “l’eventuale violazione da parte dell’Amministrazione delle norme che disciplinano la determinazione del prezzo rende tali atti, in ipotesi, non già nulli ma illegittimi e deve essere fatta valere dagli operatori assegnatari mediante la tempestiva impugnazione degli atti amministrativi presupposti alla stipula delle convenzione[26].

Per prevenire lo squilibrio della programmazione finanziaria insito nel venir meno dei canoni concessori convenzionali “vietati” dal 2019, talune Amministrazioni (con l’avallo della giurisprudenza amministrativa[27]) hanno adeguato i rispettivi regolamenti consiliari, riformando i parametri TOSAP applicati agli impianti di trasmissione radio, con l’obiettivo di un riallineamento del gettito tributario alle prestazioni contrattuali ormai decadute, anche a prescindere dalla superficie effettivamente occupata dal traliccio ovvero con l’attivazione di coefficienti e moltiplicatori ad hoc[28] (iniziativa variamente giudicata dalla magistratura amministrativa[29]). Ad esempio, alcuni Enti hanno imposto canoni T.O.S.A.P. eccezionali per la posa delle antenne (rispetto alle altre occupazioni del medesimo sedime pubblico). Altri regolamenti locali hanno invece previsto che la concessione del suolo pubblico per l’installazione dell’impianto di trasmissione fosse equiparata ex lege ad un numero minimo di metri quadri “presuntivamente” occupati (normalmente di gran lunga superiori a quanto effettivamente necessario per la posa del traliccio e delle infrastrutture collegate), a prescindere dall’effettivo perimetro del sedime utilizzato.

 

  1. La normativa ante 1° gennaio 2022.

La stabilità della riforma introdotta dal decreto legge n. 135/2018, come convertito dalla legge n. 12/2019 (e reinterpretato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3467/2020), subisce tuttavia un ulteriore contraccolpo ad opera della legge n. 160/2019, che ha abrogato la T.O.S.A.P. (rectius, il d.lgs. n. 507/1993, cui espressamente rinviava l’art. 94 del d.lgs. n. 259/2003), per istituire il nuovo canone unico patrimoniale, con decorrenza dall’esercizio di bilancio 2021.

Il legislatore ha ripetutamente concesso la proroga del termine per l’adeguamento dei regolamenti locali – inizialmente fissato al 31 dicembre 2020 dal combinato disposto dell’art. 53 della legge n. 388/2000, dell’art. 1, comma 169, della legge n. 296/2006 e dall’art. 151 del d.lgs. n. 267/2000 – al 31 gennaio[30], poi al successivo 31 marzo (benché in forza di un decreto ministeriale[31] privo del rango per derogare la legislazione in materia), quindi al 30 aprile[32], infine al 31 maggio 2021[33].

La nuova normativa conferma la potestà impositiva dei Consigli comunali, ribadendo che “il canone è disciplinato dagli enti in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe” (comma 817). La fissazione legislativa, nei commi 826 e 827, degli importi standard, proporzionati alla popolazione del singolo Comune, infatti, non preclude alla Municipalità l’adozione di una normativa regolamentare per l’introduzione di tariffe diverse[34], assicurando “un potere discrezionale all’amministrazione di modulare il canone in funzione delle specificità della singola realtà territoriale, in applicazione del principio di autonomia finanziaria di entrata ai sensi dell’art. 119 Cost.[35]. Il coefficiente fissato dalla legge, pertanto, finisce per assolvere ad una funzione meramente suppletiva di quantificazione della tariffa, in caso di assenza o mancato adeguamento della regolamentazione vigente in sede locale. Ciò ha consentito ad alcuni Comuni – in analogia a quanto avvenuto con la previsione dei coefficienti T.O.S.A.P. – di adottare tariffe ad hoc per le infrastrutture di rete, allineando il canone unico agli importi già definiti dalla T.O.S.A.P. in continuità con le concessioni-contratto ante 2019.

Tale assetto ha prestato il fianco ad alcune obiezioni di criticità costituzionale, specie con riguardo al rispetto della riserva di legge relativa di cui all’art. 23 Cost. La Consulta ha infatti tradizionalmente sottolineato che appartiene al novero delle “prestazioni imposte” il caso in cui “per i caratteri e il regime giuridico dell’attività resa, sia pure su richiesta del privato, appare prevalente l’elemento della imposizione legale[36], ivi compreso il caso in cui l’amministrato rimane “libero di stipulare o non stipulare il contratto, ma questa libertà è solo astratta, perché si riduce alla possibilità di scegliere […] obblighi e condizioni unilateralmente e autoritativamente prefissati” con provvedimento autoritativo dall’Amministrazione[37], come avviene – ad esempio – proprio per i canoni d’uso di beni demaniali[38].

In tal caso, secondo la Consulta, la riserva di legge è rispettata se la fonte primaria indica (oltre ai soggetti passivi ed al presupposto del tributo) anche la misura dell’imposizione[39]. Tale ultimo requisito può essere soddisfatto mediante la fissazione di un’aliquota massima oppure attraverso l’indicazione di “idonei criteri e limiti, di natura oggettiva o tecnica, atti a vincolare la determinazione quantitativa dell’imposizione[40]. Letto alla luce della pertinente giurisprudenza costituzionale, quindi, il comma 817 demanda ai Consigli comunali proprio una ampia “discrezionalità amministrativa”, del tutto analoga a quella che la Corte costituzionale ha già ritenuto incompatibile con il rispetto della riserva di legge a norma dell’art. 23 Cost.

Ciò a meno che – come hanno prospettato (in maniera del tutto irragionevole) alcuni arresti del giudice amministrativo – non si finisca per considerare il principio di invarianza del gettito di cui al comma 817 come limite massimo del tributo, ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. n. 446/1997, vincolando il Comune a non eccedere con il canone unico il provento già conseguito nell’ultimo anno di applicazione della T.O.S.A.P. (2020). Una simile interpretazione andrebbe ad imbrigliare la discrezionalità del Consiglio comunale, che rimarrebbe vincolato ad libitum alle singole decisioni assunte dalla maggioranza politica locale nell’anno 2019 per l’esercizio di bilancio 2020.

Storicizzare il canone al gettito TOSAP conseguito ratione loci e ratione temporis nell’anno 2020 – anziché procedere alla fissazione di parametri tariffari massimi validi per tutte le Municipalità – contravviene totalmente al principio “dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa”, in forza del quale “i Comuni […] stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri” (art. 119 Cost.), configurando un sistema assurdo, nel quale le determinazioni politiche del passato finirebbero per assumere (per effetto dell’implicito richiamo normativo) “forza di legge” rispetto alla potestà impositiva esercitabile dal medesimo Consiglio comunale pro-futuro.

 

  1. Le novità dal 1° gennaio 2022.

Nemmeno il tempo di superare le prime incertezze sull’applicazione del nuovo canone unico ed aggiornare la normativa comunale che la legge n. 108/2021, in sede di conversione del decreto legge n. 77/2021 (“Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”), ha introdotto un nuovo comma 831-bis nell’art. 1 della legge n. 160/2019, in materia di impianti di comunicazioni elettroniche[41].

La norma soffre di una fragilità genetica, trattandosi di disciplina introdotta dal Parlamento in sede di conversione senza la necessaria omogeneità con la materia del decreto legge[42], con il rischio di declaratoria di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 77.

La decorrenza temporale degli effetti della novella è imprecisata, ma la previsione che tali importi debbano essere corrisposti “entro il 30 aprile di ciascun anno”, a fronte di una riforma entrata in vigore il 31 luglio 2021, ne ha fatto dedurre l’implicita applicabilità dall’esercizio di bilancio 2022[43].

La novella prescrive il pagamento di € 800,00 alle “reti e infrastrutture di comunicazione elettronica” che “non rientrano nella previsione di cui al comma 831”, ma “insistono sul territorio” comunale.

 

(segue) 3.1. Prima possibile interpretazione del comma 831-bis.

Il nuovo regime si applica agli impianti non soggetti all’imposizione di cui al comma 831. Quest’ultima disposizione – già contenuta nella formulazione originaria della legge n. 160/2019 – prevede la forfettizzazione di un importo da versare a titolo di canone unico, per tutte le infrastrutture di rete che occupano il “suolo pubblico” con “cavi e condutture”. In tale eccezionale caso, la quantificazione dell’imposta non dipende dalla superficie demaniale/indisponibile occupata, ma dal numero di utenze servite dalla rete. Applicando l’imposta in base ai “metri quadrati” occupati dalla rete, infatti, le zone a bassa densità abitativa (meno redditizie per l’esercente) avrebbero subito una imposizione fiscale del tutto sproporzionata, richiedendo un’ampia distribuzione dei sottoservizi (e quindi un maggiore uso di sedime) per connettere un limitato numero di utenze finali.

In ogni caso, pur facendo riferimento ad un criterio di quantificazione eccezionale, il presupposto impositivo del canone unico di rete ex comma 831 resta il medesimo del canone unico ex art. 816, ossia un “atto di concessione del suolo pubblico”.

Il nuovo comma 831-bis, al contrario, investe esclusivamente gli impianti di comunicazione elettronica che “non rientrano nella previsione di cui al comma 831”, vale a dire: a) le reti che, pur diramandosi “con cavi e condutture”, non prevedono “l’occupazione del suolo pubblico”; b) le antenne che, per definizione, non prevedono allacciamenti delle utenze mediante “cavi e condutture”.

Ed infatti, il presupposto impositivo di cui al comma 831-bis non è l’occupazione del demanio o del patrimonio indisponibile, ma l’insediamento dell’impianto nel “territorio di ciascun ente[44].

Il riferimento al “territorio comunale” sradica totalmente il presupposto dell’imposta di cui al comma 831-bis dall’uso del demanio o del patrimonio indisponibile degli enti locali, andando a definire un nuovo tributo denominabile “canone-antenne”. D’altronde, la nozione di territorio comunale è presente proprio nella legge n. 160/2019 (art. 1, commi 741 e 819, rispettivamente, in materia di IMU e visibilità dei messaggi pubblicitari) allorquando il legislatore intende veicolare l’applicazione di determinate norme a prescindere dalla proprietà pubblica o privata dei sedimi coinvolti.

Sia il canone unico patrimoniale (ex comma 819) sia la T.O.S.A.P. (ex 38 del d.lgs. 570/1993) – come puntualizzato dalla Suprema Corte – trovano comune “ratio nell’utilizzazione che il singolo faccia, nel proprio interesse, di un suolo altrimenti destinato all’uso della generalità dei cittadini ovverosia nel venir meno, per la collettività e per l’ente che la rappresenta, come conseguenza di detta utilizzazione[45]. La sinallagmaticità del rapporto è più marcata in caso di istituzione del C.O.S.A.P. (che i Comuni potevano istituire “in sostituzione della TOSAP” con proprio regolamento in applicazione dell’art. 63 del d.lgs. n. 446/1997), di cui la giurisprudenza ha acclarato la natura contrattuale[46]. Anche per la T.O.S.A.P., tuttavia, si è tradizionalmente puntualizzato che “il tributo rappresenta il corrispettivo, indipendentemente da quella limitazione, e cioè per una pura e semplice correlazione con l’utilità particolare diversa dall’uso della generalità[47].

Il canone-antenne, invece, ha una struttura del tutto diversa. Il comma 831-bis allarga le maglie dell’imposizione tariffaria anche ad impianti di trasmissione comunque presenti sul territorio comunale, benché installati sulla proprietà privata (o sul patrimonio pubblico disponibile). Tale prestazione acquisisce quindi natura tributaria “pura”, gravando il titolare dell’antenna, a prescindere da un rapporto di corrispettività con l’Amministrazione locale.

C’è tuttavia un profilo non chiaro nella novella introdotta dal decreto legge n. 108/2021, nella cui ambiguità si celano conseguenze patrimoniali rilevantissime per gli Enti locali e gli operatori. Appurato che il nuovo tributo si applica a tutti gli impianti insediati nel territorio comunale, nel caso dell’antenna che – oltre a situarsi entro i confini comunali – è stata eretta sul suolo pubblico, l’importo di € 800,00 deve considerarsi aggiuntivo o integralmente sostitutivo del canone unico patrimoniale per “l’occupazione […] delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti”?

La questione non è di poco momento. Secondo il tenore letterale della norma, infatti, al canone di € 800,00 applicato all’antenna ai sensi dell’art. 831-bis non può essere sommato “alcun altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsiasi ragione o a qualsiasi titolo richiesto, ai sensi dell’art. 93 del decreto legislativo n. 259/2003”. Tale combinato disposto, tuttavia, non appare risolutivo, perché lo stesso comma 831-bis rinvia a quanto previsto dall’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche, che faceva “salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’art. 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettere e) ed f), del medesimo articolo”. Se dunque agli importi di cui al comma 831-bis non può essere cumulato alcuno degli oneri finanziari già vietati dall’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, tra le imposizioni aggiuntive “vietate” non vi erano né la T.O.S.A.P. né il C.O.S.A.P.

L’uso dei verbi al passato è doveroso perché il d.lgs. n. 207/2021 (“Attuazione della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche”) ha riformato il d.lgs. n. 259/2003, disponendo la sostituzione dell’abrogato art. 93 con un nuovo art. 54, a mente del quale è “fatta salva l’applicazione del canone previsto dall’articolo 1, comma 816, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, come modificato dalla legge 30 dicembre  2020  n.178.  Resta escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsiasi ragione o titolo richiesto, come da art. 12 del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 33, come integrato dall’ art. 8 bis, comma 1, lettera c) del decreto-legge14 dicembre 2018, n. 135, coordinato con la legge  di conversione 11 febbraio 2019, n. 12”.

Il richiamo alla tariffa per l’occupazione del suolo pubblico poteva essere considerato un “relitto” nel vecchio comma 2 dell’art. 94, ma non certo nel nuovo art. 54. Il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 207 (che ha modificato l’art. 54 del d.lgs. n. 259/2003) è infatti successivo alla legge 29 luglio 2021, n. 108 (che ha introdotto il comma 831-bis nella legge n. 160/2019). Pertanto, se il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche avesse inteso affermare la natura esaustiva ed onnicomprensiva del canone-antenne, l’art. 54 avrebbe dovuto richiamare il comma 831-bis, non il comma 816, in materia di canone patrimoniale di concessione del suolo pubblico. I due tributi, come detto, presentano ambiti di operatività totalmente diversi. I commi 816 e ss. hanno una funzione corrispettiva per la concessione amministrativa di un sedime demaniale o appartenente al patrimonio indisponibile; il comma 831-bis ha previsto una tassa applicabile genericamente a qualsiasi antenna installata nel perimetro del territorio comunale, con totale indifferenza per il titolo giuridico che consente all’impiantista l’occupazione dei mappali.

In definitiva, se si ritiene che il pagamento di € 800,00 a norma del comma 831-bis debba ritenersi onnicomprensivo, assorbendo tutte le altre imposizioni finanziarie, ivi compreso il canone per l’occupazione del suolo pubblico, allora il rinvio fatto dal nuovo art. 54 al comma 816 non avrebbe alcun significato. Il canone unico, infatti, non si applica agli impianti installati sul patrimonio pubblico disponibile, in quanto è escluso dal comma 819, né – ovviamente – investe le antenne installate su beni privati, per le quali andrebbero regolati in sede privata i rapporti contrattuali con i rispettivi locatori/proprietari, né – in forza dell’efficacia onnicomprensiva del nuovo comma 831-bis – si applicherebbe alle antenne installate sul demanio o sul patrimonio indisponibile.

Perché, dunque, fare salvo il comma 816, nella normativa da ultimo aggiornata?

Letto in questa prospettiva, il canone-antenne non può che rimanere del tutto indipendente dal canone-unico, imponendo il pagamento di € 800,00 al Comune territorialmente competente, in aggiunta al corrispettivo derivante dal titolo che consente la fruizione del sedime pubblico o privato per la posa dell’antenna.

(segue) 3.2. Altra possibile interpretazione del comma 831-bis.

Taluni recenti arresti giurisprudenziali, benché in obiter, interpretano il nuovo comma 831-bis come “norma di favore”, che consente agli impiantisti di sostituire il versamento del canone unico patrimoniale con il versamento dell’importo forfettario di € 800,00, in considerazione “della particolare natura degli impianti in questione, trattandosi di opere di urbanizzazione primaria direttamente strumentali alla soddisfazione di interessi pubblici in relazione ai quali il legislatore ha inteso prevedere uno statuto normativo particolarmente agevolativo[48]. L’equilibrio del bilancio locale, perciò, potrebbe essere comunque garantito aumentando “con riferimento alle altre tipologie di occupazione, l’importo della tariffa[49]. L’onere derivante dal principio dell’invarianza del gettito di cui al comma 817 dev’essere perciò ripartito tra le altre tipologie di concessione del suolo pubblico in uso a privati, diverse dalle infrastrutture di rete (ad es. pubblici esercizi, spazi pubblicitari etc.).

L’opportunità di formalizzare una simile lettura della norma non trova solide basi testuali, ma può essere letta in combinato disposto con l’art. 54 del d.lgs. n. 259/2003. La nuova formulazione del comma primo introdotta dal d.lgs. n. 207/2021, infatti, prevede che “i concessionari […] di aree e beni pubblici o demaniali non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica oneri o canoni ulteriori a quelli stabiliti nel presente decreto” restando “escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsiasi ragione o titolo richiesto”. La previgente formulazione dell’art. 93 si limitava a richiamare “le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni”, senza menzionare i concessionari del suolo pubblico. Il nuovo testo, invece, sembra prendere atto che, in forza dell’art. 831-bis, chi ha eretto l’antenna in regime di concessione (ossia sul demanio o sul patrimonio indisponibile) gode di un regime speciale di agevolazione tributaria, che gli consente di accedere al sedime pubblico versando all’Ente proprietario importi molto modesti, peraltro a prescindere dalle dimensioni dell’infrastruttura. Questo beneficio fiscale non può tradursi in una locupletazione indebita del proprietario dell’antenna, cui non è consentito fare utili sub-affittando a terzi uno spazio pubblico, di cui gode in regime iper-agevolato. La perifrasi “a qualsiasi titolo”, d’altronde, comprende anche i corrispettivi contrattuali[50], vietando che l’eventuale ospitalità di ulteriori antenne sul traliccio in regime di concessione possa essere offerta a titolo oneroso.

Così argomentando, perciò, siffatti contratti sarebbero tutti nulli ex art. 1418 cod. civ. per violazione di norme imperative, incorrendo nell’esplicito divieto per il titolare della concessione di suolo pubblico di introitare canoni per “l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica” sul demanio o patrimonio disponibile. Il d.lgs. n. 207/2021, infatti, ha sostanzialmente esteso ai concessionari i limiti già vigenti per le Amministrazioni in forza dell’abrogato art. 93, come autenticamente interpretato dal legislatore con l’art. 12 del d.lgs. n. 33/2016.

In conclusione, così letto, il nuovo art. 54 del d.lgs. n. 259/2003 finisce per introdurre forti restrizioni alla pratica del co-using di un eventuale traliccio installato sul suolo pubblico. Quest’ultimo, infatti, può legittimamente essere utilizzato da più operatori a titolo gratuito (o con mera ripartizione delle spese), senza pattuizione di compensi e/o corrispettivi a favore del proprietario dell’infrastruttura che, se intende locare profittevolmente il traliccio, ha l’onere di realizzarlo su beni privati o, in accordo con l’Amministrazione, sul patrimonio pubblico disponibile. La norma può sortire un effetto deflagrante nel mercato delle telecomunicazioni: l’attività degli esercenti che, pur non essendo concessionari di frequenze, operano locando i propri tralicci agli operatori delle telecomunicazioni sarebbe lecita solamente se effettuata sul suolo privato, essendo vietato riscuotere compensi per i concessionari del suolo pubblico a partire dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 207/2021.

Questa interpretazione non precisa il regime impositivo applicabile agli impianti mobili di comunicazione elettronica, che – per ragioni di irrobustimento della rete – sono temporaneamente dislocati dall’esercente sul suolo pubblico. Non è chiaro, infatti, se questi debbano corrispondere € 800,00 a prescindere dal tempo di effettivo utilizzo de sedime oppure se, in tali casi, si “riespanda” l’applicazione della tariffa standard giornaliera a norma del comma 827 della legge n. 160/2019, con l’effetto che la posa temporanea dell’antenna sarebbe fiscalmente più onerosa di quella permanente.

  1. Conclusioni.

Emerge quindi il fermento magmatico della materia che, come da ultimo esaminato, potrebbe finanche scardinare il mercato consolidato del co-using, nonostante la sua ampia diffusione sul territorio nazionale, anche mediante concessioni conseguite da impiantisti che, pur non essendo concessionari di frequenze per trasmissioni a norma del d.lgs. n. 259/2003, mantengono e gestiscono impianti sublocati per l’installazione di antenne da parte di plurimi operatori su un medesimo traliccio.

Va tuttavia osservato il coriaceo ripiegamento gattopardesco del settore, che ha mutato istituti, denominazioni e disciplina, transitando dai canoni convenzionali degli accordi di concessione-contratto al relativo divieto, incrociando la riforma dell’art. 93 e ben due norme di interpretazione autentica, plurimi contrasti in seno alla giurisprudenza amministrativa, il riallineamento dei regolamenti tributari agli importi contrattuali, la sostituzione del canone unico alla T.O.S.A.P., l’aggiunta del nuovo art. 831-bis e la riforma dell’art. 54 del d.lgs. n. 259/2003. Tutto ciò con l’obiettivo dichiarato di contenere l’imposizione finanziaria sulle reti di comunicazione elettronica: una curiosa eterogenesi dei fini se si considera che l’unico trait d’union rimasto costante nella frenesia interpretativa è stata proprio l’invarianza del gettito, pur conseguito da obbligazioni di vario titolo e natura, assicurando i medesimi proventi già oggetto delle iniziali concessioni-contratto. Per l’appunto, “bisogna cambiare tutto…”.

Francesco Dalla Balla

 

[1] Disciplinata dagli artt. 38 e ss. del d.lgs. n. 507/1993, priva dell’abrogazione dell’istituto ad opera della legge n. 160/2019.

[2] A norma dell’art. 63 del d.lgs. n. 446/1997, i Comuni e le Province potevano, con regolamento, introdurre il C.O.S.A.P. in sostituzione della T.O.S.A.P., graduando l’imposizione in relazione all’ “importanza delle aree, strada e spazi pubblici” oggetto di occupazione.

[3] Ex multis, T.A.R. Lazio, Sez. II, 3 marzo 2022, n. 2516, in www.giustizia-amministrativa.it.

[4] Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 2016, n. 3066.

[5] T.A.R. Liguria, sez. II, sent. 6 febbraio 2013, n. 231, in Foro Amm., n. 2/2013, p. 452.

[6] T.A.R. Lazio, sez. I, sent. 14 luglio 2020, n. 8066, in Foro Amm., n. 7-8/2020, p. 1522.

[7] Salvo sporadiche eccezioni, cfr. Trib. Cuneo, sent. 20 gennaio 2022, a definizione del procedimento r.g. n. 2829/2020.

[8] Con. Stato, sez. III, sent. 1° giugno 2016, n. 2335; T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. 6 marzo 2019, n. 244; Trib. Ivrea, sent. 16 aprile 2019, n. 394; Trib. Torino, sent. 30 ottobre 2018, n. 5059.

[9] Ex multis, T.A.R. Lombardia, sez. I, sent. 10 dicembre 2018, n. 2770.

[10] Cass. civ., sez. n., ord. 25 marzo 2016, n. 6019.

[11] Ex multis, da ultimo, Cass. civ., sez. un., ord. 12 ottobre 2020, n. 21991.

[12] Cass. civ., sez. un., ord. 8 novembre 2021, n. 32481, secondo cui anche con riguardo alla stipulazione di accordi su diritti reali disponibili “la fase preliminare ossia quella antecedente la stipula del contratto è caratterizzata dalla formazione della volontà della P.A. e come tale rimane nell’ambito del diritto amministrativo […]. Ne consegue che l’interesse […] alla legittimità sia dei singoli atti del procedimento interno con cui l’Amministrazione manifesta l’intendimento di stipulare il negozio […] esula dall’ambito dell’interesse semplice, assumendo natura e consistenza di interesse legittimo, come tale tutelabile dinanzi al Giudice Amministrativo”.

[13] Ex multis, Cass. civ., sez. un., sent. 10 dicembre 2013, n. 27496.

[14] Cass. civ., sez. un., ord. 31 maggio 2011, n. 11967.

[15] T.A.R. Veneto, sez. II, sent. 23 marzo 2011, n. 478.

[16] Corte cost., sent. 17/2018.

[17] Cfr, T.A.R. Lombardia, sez. I, sent. 10 dicembre 2018, n. 2770; T.R.G.A., sent. 29 maggio 2019, n. 125; T.A.R. Lazio Roma, sez. II-bis, sent. 2 ottobre 2019, n. 11489; T.A.R. Emilia Romagna-Bologna, sez. II, sent. 20 novembre 2021, n. 954.

[18] Cons. Stato, sez. VI, sent. 3 giugno 2020, n. 3467.

[19] Idem, cfr. altresì T.R.G.A. Bolzano, sent. 12 novembre 2020, n. 288.

[20] Cons. Stato, sez. VI, sent. 3 giugno 2020, n. 3467.

[21] Idem.

[22] T.A.R. Pescara (Abruzzo), sez. I, 11 settembre 2017, n.249.

[23] T.A.R. Molise, sez. I, 8 ottobre 2008, n.732.

[24] Cass. civ., sez. un., ord. 18 novembre 2008, n. 27333; Cass. civ. sez. un., ord. 4 giugno 2011, n.13903, da Il Foro Amministrativo, n. 7-8/2011, pag. 2298.

[25] Cons. Stato, sez. V, sent. 26 novembre 2008, n. 5845, in Foro Amm., n. 11/2008, p. 3038.

[26] Cons. Stato, sez. IV, 1° dicembre 2021, n. 8012.

[27] T.A.R. Toscana, sent. 28 marzo 2014, n. 600, secondo cui “la sola circostanza che la predetta Amministrazione, nell’ambito della generale disciplina del COSAP, abbia introdotto una tariffa specifica per le stazioni radio base non contrasta con la disciplina normativa di riferimento, né risulta immotivata o irragionevole” e, anzi, “trova giustificazione nella necessità […] di considerare adeguatamente sia l’entità dell’occupazione che l’impatto della stessa sulla collettività nella constatazione che per la complessità tecnica delle occupazioni, il parametro della mera estensione della superficie occupata non è idoneo a definirne compiutamente la reale entità”.

[28] T.A.R. Toscana, sent. 28 marzo 2014, n. 600: “la determinazione di una tariffa ad hoc stabilita in base all’entità di misurazione convenzionale dell’occupazione, al valore economico della disponibilità dell’area, al rapporto tra valore economico ritraibile dalla disponibilità dell’area occupata e interesse della collettività, con l’applicazione di un coefficiente moltiplicatore relativo alla specifica attività”.

[29] Contra, T.A.R. Emilia-Romagna – Bologna, sez. II, sent. 28 ottobre 2021, n. 890.

[30] Art. 106, decreto legge 18 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.

[31] D.M. 13 gennaio 2021, in G.U. Serie Generale n. 13 del 18 gennaio 2021.

[32] Art. 30, decreto legge 22 marzo 2021, n. 41.

[33] Art. 3, decreto legge 30 aprile 2021, n. 56.

[34] Cfr. G. IELO, Il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, Wolters Kluwer, Milano, 2021, p. 31, secondo cui “sono le stesse disposizioni a stabilire la possibilità di modificare le tariffe standard. Tale possibilità, comunque, pervade l’intero complesso delle disposizioni in materia di canone, ad eccezione dei casi in cui il legislatore ha espressamente imposto dei limiti, come nel caso del comma 843 che riguarda l’occupazione effettuata nelle aree di mercato e consente un aumento delle tariffe previste per le occupazioni temporanee di cui al comma 842 nella misura massima del 25 per cento”.

[35] T.A.R. Lazio, sent. 21 marzo 2022, n. 3248.

[36] Corte cost., sent. n. 435/2001.

[37] F. TESAURO, Istituzioni di Diritto tributario, UTET, Torino, 2014, vol. I, p. 16.

[38] Corte cost., sent. n. 236/1994.

[39] F. TESAURO, Istituzioni di Diritto tributario, cit., p. 15.

[40] Corte cost., sent. n. 435/2001.

[41] «831-bis. Gli operatori che forniscono i servizi di pubblica utilità di reti e infrastrutture di comunicazione elettronica di cui al codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e che non rientrano nella previsione di cui al comma 831 sono soggetti a un canone pari a 800 euro per ogni impianto insistente sul territorio di ciascun ente. Il canone non è modificabile ai sensi del comma 817 e ad esso non è applicabile alcun altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsiasi ragione o a qualsiasi titolo richiesto, ai sensi dell’articolo 93 del decreto legislativo n. 259 del 2003. I relativi importi sono rivalutati annualmente in base all’indice ISTAT dei prezzi al consumo rilevati al 31 dicembre dell’anno precedente. Il versamento del canone è effettuato entro il 30 aprile di ciascun anno in unica soluzione attraverso la piattaforma di cui all’articolo 5 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82»

[42] Corte cost., sent. n. 22/2012, secondo cui “la necessaria omogeneità del decreto legge […] deve essere osservata dalla legge di conversione”.

[43] IFEL, L’applicazione della nuova disciplina del canone “reti ed infrastrutture di comunicazione elettronica”, 2/11/2021, in www.fondazioneifel.it (u.c. 16/5/2021).

[44] Contra, J. DASCOLA, Introduzione del nuovo canone antenne, in Azienditalia, n. 1/22, p. 93, secondo cui l’art. 831-bis prevede un tributo senza definire il presupposto impositivo per cui “si deve attingere al comma 819, il quale stabilisce che il presupposto del canone è l’occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti”.

[45] Cass. civ., sez. trib., sent. 12 gennaio 2004, n.238

[46] Cassazione civile sez. un., 28/06/2006, n.14864; Cass. civ., sez. trib., 2 ottobre 2019, n.24541, .

[47] Cass. civ., sez. trib., 19 novembre 2003, n. 17495, in Giust. civ. mass., n. 11/2003

[48] T.A.R. Veneto, sez. III, sent. 29 novembre 2021, n. 1427.

[49] T.A.R. Veneto, sez. III, sent. 29 novembre 2021, n. 1427.

[50] Cons. Stato, sez. VI, sent. 3 giugno 2020, n. 3467.

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