(a margine della sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 3490/2018 e dell’ordinanza della Cassazione n. 18283/2022)  

1) Come è noto nei rapporti di garanzia autonoma il garante non può opporre al beneficiario le eccezioni relative al rapporto base, intercorrente tra garantito e beneficiario. Fra tali eccezioni rientra anche l’avvenuto adempimento totale o parziale della obbligazione garantita: in presenza di simile evento, il garante è infatti tenuto ad adempiere la garanzia rivalendosi poi sul debitore garantito.

Unico modo per sfuggire al pagamento è sollevare la eccezione di dolo generale, per l’accoglimento della quale occorre dar prova del carattere fraudolento o abusivo della escussione.

Al riguardo, come chiarito dalla giurisprudenza, “In tema di contratto autonomo di garanzia, l’abusività della richiesta di garanzia ai fini dell’accoglimento dell’”exceptio doli” deve risultare “prima facie” o comunque da una prova c.d. liquida, cioè di pronta soluzione che il garante è tenuto a fornire mentre non possono essere addotte a suo fondamento circostanze fattuali idonee a costituire oggetto di eccezione di merito opponibile dal debitore garantito al creditore beneficiario della garanzia, in ragione dell’inopponibilità da parte del garante di eccezioni di merito proprie del rapporto principale.” (Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 22/11/2019, n. 30509).

Si è precisato, del resto, in proposito che “L’exceptio doli rappresenta un limite funzionale alla richiesta di pagamento immediato: con essa si mira infatti a reprimere l’abuso del diritto da parte del beneficiario della garanzia, che si verifica qualora la richiesta appaia prima facie fraudolenta e manchi del tutto la buona fede del beneficiario. Il rimedio dell’exceptio doli si ritiene esperibile in tutti i casi in cui vi sia escussione della garanzia con dolo o mala fede, abuso manifesto da parte del beneficiario (come, ad esempio, accade nell’ipotesi in cui il soggetto garantito provi in modo certo e immediato di avere già pagato le somme di cui il beneficiario si dichiara essere creditore) o infine nel caso di nullità del contratto principale per illiceità della causa, dell’oggetto o del motivo comune ad entrambe le parti” (Tribunale Milano, Sez. VI, Sentenza, 16/07/2020, n. 4402).

L’esigenza di offrire prova liquida dell’abusività sussiste anche nel caso in cui l’adempimento dell’obbligazione sia avvenuto. Occorre, dunque, provare in modo certo e immediato di avere già pagato le somme di cui il beneficiario si dichiara essere creditore.

Ma se una simile prova è ben possibile, in quel modo certo e immediato richiesto dalla giurisprudenza, per i pagamenti di somme di denaro, ben diversa appare la situazione quando l’obbligazione garantita riguarda un facere, come nel frequente caso delle garanzie relative alla realizzazione di opere di urbanizzazione.

In questo caso, in effetti, la prova dell’adempimento passa necessariamente attraverso una attività istruttoria che -di per sé- esclude la liquidità e immediatezza della stessa.

Vero è, peraltro, che nel frequentissimo caso di parziale realizzazione delle opere l’Amministrazione beneficiaria, al fine di ottenere ingiunzione nei confronti del garante, dovrà specificare l’ammontare della quota delle opere di urbanizzazione non realizzate, ciò che avverrà di regola mediante produzione di   perizia che dichiari tale ammontare.

Ebbene alla luce dell’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, il garante vedrà però esclusa la possibilità di offrir prova dell’adempimento. E ciò con possibili gravi conseguenze dal momento che “Il garante in forza di contratto autonomo di garanzia (nel caso di specie, una Banca), qualora adempia l’obbligazione di pagamento in favore del terzo creditore portata dal decreto ingiuntivo pronunciato nei suoi confronti, non ha diritto a rivalersi nei confronti del debitore principale qualora, nel successivo grado di giudizio, sia accertato che il terzo creditore ha escusso abusivamente la garanzia e il garante aveva l’obbligo di eccepire l’exceptio doli” (Corte d’Appello Milano, Sez. I, sentenza 30/04/2021, n. 1373).

 

2) Giurisprudenza e dottrina ammettono, in vero, concordemente che il garante possa (ed, anzi, sia tenuto a farlo) sempre opporre al beneficiario- creditore tutte le eccezioni relative al rapporto di garanzia (intercorrente tra garante e beneficiario), quali la nullità o annullabilità del contratto, quando la escussione avvenga in contrasto con il tenore letterale del contratto.

In tal guisa, si è ad esempio stabilito che “sebbene il contratto autonomo di garanzia sia caratterizzato, rispetto alla comune garanzia fideiussoria, dalla mancanza dell’elemento dell’accessorietà che si esprime di regola nell’adozione della locuzione a prima richiesta o senza eccezioni e che preclude al garante l’opposizione, al creditore che escuta la garanzia, delle eccezioni fondate sul rapporto tra questo ed il debitore garantito, nondimeno perde perciò ogni connessione con il rapporto causale tanto da giustificare l’opponibilità dell’eccezione di dolo in ossequio al principio della buona fede ogni qualvolta l’escussione della garanzia risulti operata in modo fraudolento o abusivo ovvero l’opponibilità delle eccezioni fondate sulla nullità del contratto presupposto per contrarietà a norme imperative o per illiceità della sua causa, che ove non fossero opponibili consentirebbe al contratto che ne sia affetto di assicurare all’escutente un risultato altrimenti vietato dall’ordinamento. In questa cornice, sul presupposto che la garanzia non può operare oltre i limiti di essa, sussiste per il garantito il potere-dovere di resistere a richieste che si rivelino arbitrarie e di rifiutare il versamento di somme che eccedano quanto pattuito in sede di stipulazione, facendo valere una condizione che non è meramente optativa derivandone, nel caso in cui il garante non se ne avvalga, la privazione dei diritto di regresso in relazione ai pagamenti non dovuti” (Cassazione civile, sez. I, sentenza 19/07/2021, n. 20632).

 

3) Nel caso che qui si commenta il Comune beneficiario, affermando l’inadempimento della società esecutrice dell’intervento urbanistico e che aveva sottoscritto la relativa convenzione, aveva escusso entrambe le polizze fideiussorie che garantivano (la prima) il pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria e (la seconda) gli oneri di urbanizzazione secondaria.

Il Tribunale di Padova aveva accolto la domanda del Comune condannando la garante al pagamento di oneri di urbanizzazione secondaria per un ammontare che però eccedeva il massimale recato nella polizza fideiussoria.

La Corte d’Appello di Venezia, rilevato che “emerge per tabulas che delle due polizze fideiussorie emesse da Assicurazioni Generali s.p.a., la prima (n. 222892728 del 06.05.2002) garantisce il pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria, mentre la seconda (n. 222892726 di pari data) solo quello degli oneri di urbanizzazione secondaria” ha riformato la decisione di primo grado sul presupposto che la garanzia prestata per oneri di urbanizzazione secondaria era limitata ad un importo ben inferiore rispetto a quello azionato.

Fino a qui la decisione della Corte si conforma in pieno   all’orientamento ormai consolidato secondo cui il garante è ammesso a far valere le eccezioni fondate sul contratto di garanzia quando la escussione avviene in contrasto con il tenore letterale del contratto e difatti, nel nostro caso la Corte si è limitata a riscontrare la difformità tra il massimale di polizza per oneri secondari e la pretesa del Comune.

Per giungere alla conclusione assunta, la Corte ha proceduto alla qualificazione giuridica degli istituti degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e, dopo approfondita disamina, ha concluso che il parco urbano -di cui il Comune asseriva la mancata realizzazione- andava ricondotto fra le opere di urbanizzazione secondaria (cfr. punto 6.4).

 

4) Aderendo a tale impostazione, la Corte veneziana si è evidentemente limitata a riscontrare la mancata conformità della escussione azionata rispetto al contenuto testuale della garanzia e, dunque, ad una valutazione non preclusa dal titolo.

Le cose cambiano però quando si affronta il secondo profilo di censura accolto, che contestava la sentenza del Tribunale di Padova “laddove reputa inammissibile, in virtù dell’affermata autonomia della garanzia prestata, l’eccezione che l’area a verde pubblico sia stata considerata dal CTU quale opera di urbanizzazione primaria anziché secondaria”.

Ed invero, l’istruttoria compiuta in sede di consulenza tecnica aveva erroneamente ricondotto l’area a parco denominata ‘Prà della fiera’ al novero delle opere di urbanizzazione primaria mentre esse dovevano correttamente essere qualificate come opere di urbanizzazione secondaria.

La Corte veneziana osserva sul punto che “va condiviso l’assunto che la realizzazione del parco “Prà della fiera” costituisca un’opera di urbanizzazione secondaria dato che anche questo motivo afferisce all’estensione del titolo del rapporto di garanzia” investendo “quindi il rapporto tra contraente e garante e non il rapporto garantito (contraente/beneficiario)” e, di conseguenza, “dal valore delle opere di urbanizzazione primaria di cui il CTU ha accertato la mancata esecuzione da parte del soggetto garantito” la Corte detrae “il valore dei lavori non eseguiti che si riferiscono al verde pubblico”.

Ciò che va notato è, tuttavia, che se da un lato è ben  opponibile  dal garante l’eccezione di escussione in contrasto con il tenore letterale del contratto  autonomo di garanzia  (perché la polizza prestata per opere primarie non può essere escussa in relazione alla pretesa mancata realizzazione di opere secondarie) d’altro lato l’accertamento che il parco urbano sia opera di urbanizzazione secondaria comporta l’esame dei documenti del rapporto base, nel caso essenzialmente la convenzione urbanistica stipulata tra comune e la società convenzionata ed i documenti progettuali nella stessa richiamati.

Ma se è così allora tale esame sembra potersi spingere laddove esso non sarebbe tecnicamente ammissibile in forza della natura autonoma del contratto di garanzia, e cioè ad esaminare la documentazione afferente il rapporto sottostante, di per sé escluso dal novero delle eccezioni attinenti il rapporto di garanzia.

 

5) La sentenza coglie l’opportunità offerta dall’errore del CTU, errore su cui si diffonde ampiamente, e riesce in tal modo a sfuggire alla -sinora imprescindibile- necessità di prova liquida dell’eccezione di adempimento: ciò fa riconducendo la eccezione al novero delle eccezioni afferenti il rapporto di garanzia.

Tale possibilità si è offerta alla Corte per il fatto che agli atti del procedimento esisteva già una consulenza tecnica che aveva raccolto tutta la documentazione concernente le opere, realizzate e non, in esecuzione della convenzione urbanistica determinando con precisione gli inadempimenti e le somme conseguentemente dovute.

Va detto che la consulenza era stata esperita nella fase precedente del giudizio, quella avanti il TAR Veneto che alla fine dichiarò la propria incompetenza giurisdizionale a decidere sul rapporto.

La presenza invece di una valutazione tecnica che già determinava, nel coacervo di parziali inadempimenti posti in essere dalla società convenzionata, le esatte somme dovute, consentiva di concludere che il credito per l’inadempimento concernente l’area a parco urbano, costituente opera di urbanizzazione secondaria, era stato oggetto di erronea escussione azionando la polizza recante garanzia per oneri di urbanizzazione primaria. E anche qui, dunque, si era posta in essere una violazione del tenore testuale della polizza stessa, legittimandosi l’eccezione fondata su tale rapporto.

 

6) Viene allora da chiedersi se la sorte del contenzioso non sarebbe stata diversa qualora esso fosse stato avviato ab initio avanti l’AGO.

Ed invero, se così fosse stato, tale Giudice, rilevata la natura autonoma della garanzia prestata, non avrebbe potuto che respingere la richiesta istruttoria proprio perché diretta a valutare fatti attinenti il rapporto base, valutazione ammissibile come si è visto -la sentenza stessa ne dà atto- solo qualora sia esperita con successo la eccezione di dolo generale.

Dunque, nessuna possibilità vi sarebbe stata per il garante di ottenere giustizia. Da un lato egli non avrebbe certo potuto recuperare la somma nei confronti del debitore nel frattempo pure fallito; d’altro lato, la impossibilità di dar spazio all’esame del rapporto base sollevando la eccezione di dolo generale avrebbe consentito al Comune di locupletare illegittimamente una consistente somma, quella di cui la sentenza della Corte dispone la necessaria restituzione.

 

7) La scelta di ricondurre l’eccezione sollevata dal garante al rapporto di garanzia operata dalla Corte veneta costituisce un unicum (anche un po’ fortunoso) che ha consentito di superare agevolmente le difficoltà poste dalla prospettiva di sollevare la eccezione di dolo generale.

D’altronde l’aggancio al contratto di garanzia era testuale, prevedendosi in esso il limite dell’urbanizzazione primaria. Da qui la conferma della stessa sentenza da parte della Suprema Corte con la decisione della Terza sezione n. 18283/22 del 7 giugno 2022.

La complessità del contenzioso e il lungo tempo trascorso per giungere a una decisione impone, peraltro, di sollecitare la modifica dell’orientamento tetragono della Suprema Corte che ribadisce la giurisdizione dell’AGO in materia (cfr. SS.UU. n. 4319/2010:La controversia avente ad oggetto l’escussione, da parte del Comune, di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di somme dovute per oneri di urbanizzazione e a titolo di penali, pattuite in una convenzione di lottizzazione, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non in quella esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia, attesa l’autonomia tra i rapporti in questione, nonché la circostanza che, nella specie, la P.A. agisce nell’ambito di un rapporto privatistico, senza esercitare, neppure mediatamente, pubblici poteri”).

E’ innegabile infatti che se il contenzioso fosse rimasto avanti il GA la possibilità per questo di conoscere anche e soprattutto il rapporto base avrebbe condotto, in tempi certo più brevi di quelli necessari per il giudizio civile, alla corretta soluzione delle lite   mediante ripartizione delle poste di dare avere spettanti alle parti.

Una possibilità in questo senso ci è offerta dalle stesse Sezioni Unite in sentenza 14805 del 24.6.09 che hanno affermato che “in tema di retrocessione di beni espropriati, a seguito dell’introduzione della giurisdizione amministrativa esclusiva in materia urbanistico-edilizia ed espropriativa da parte dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 e prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001, il criterio di riparto della giurisdizione – fondato sulla natura della posizione soggettiva lesa (diritto od interesse legittimo) – che assegna al giudice ordinario la domanda di retrocessione totale ex art. 63 della legge n. 2359 del 1865, ed al giudice amministrativo quella di retrocessione parziale anteriore alla dichiarazione di inservibilità ex artt. 60 e 61 della legge n. 2359 cit., si applica solo se ciascuna domanda venga autonomamente proposta. Qualora le stesse siano proposte congiuntamente ed alternativamente, trovano invece applicazione i principi di logica processuale per cui, nelle materie di giurisdizione esclusiva, la decisione su più cause unite e/o strettamente connesse aventi od oggetto, in astratto, diritti ed interessi, spetta al giudice amministrativo, il quale, avendo cognizione su interessi e diritti, ha competenze più ampie rispetto a quelle del giudice ordinario, limitate ai diritti soggettivi. In tal caso, logicamente prioritaria è la verifica dei presupposti della retrocessione parziale, ovverosia dell’avvenuta realizzazione, anche parziale, dell’opera pubblica, in mancanza della quale il giudice amministrativo, rigettata la relativa domanda, deve estendere l’accertamento all’esistenza del diritto alla retrocessione totale, pronunciando anche sul risarcimento del danno da mancata utilizzazione del fondo, ex art. 35 del d.lgs. n. 80 cit. (Dichiara giurisdizione, T.A.R. Napoli, 29/10/2007)”.

A corroborare la tesi della insussistenza di un semplice rapporto privatistico va in proposito ricordato che l’art. 81 della L.R. n. 61/1985 vigente ratione temporis inserisce tra i contenuti della concessione anche la garanzia prevedendo: “La quota relativa al costo di costruzione è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune e comunque non oltre 60 giorni dall’ultimazione delle opere”.

Ma disposizioni di contenuto analogo sussistono tutt’ora anche a livello statale (cfr., ad esempio, l’art. 28 della L. 1150/1942 e l’art. 28 bis del d.P.R. 380/2001).

Dunque, non è affatto vero che la garanzia costituisce un elemento riservato alla mera contrattazione privatistica della P.A.

All’opposto, essa è parte integrante e sostanziale del procedimento amministrativo che sfocia nell’atto abilitativo alla edificazione e, come tale, affatto estranea al corretto esercizio del potere pubblico.

Come può allora sostenersi che la garanzia è estranea all’esercizio del potere pubblico se il titolo abilitativo neppure può sorgere in difetto della stessa?

Di qui l’auspicio di un ripensamento per arrivare ad un sindacato svolto per intero dinanzi al G.A., quale Giudice del rapporto nel suo complesso, attraendovi giocoforza anche i profili connessi alle garanzie al medesimo connaturate.

Stefano Canal

Corte d’Appello di Venezia – sentenza n. 3490/2018

Corte di Cassazione – ordinanza n. 18283/2022

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