Sommario: § 1. Le autorizzazioni paesaggistiche in riferimento agli impianti solari e fotovoltaici sugli edifici; § 2. Le autorizzazioni paesaggistiche in riferimento agli interventi edilizi di coibentazione; § 3. Parere della Soprintendenza e procedura S.U.A.P. in conferenza di servizi; parere della Soprintendenza e silenzio assenso ai sensi dell’art. 17 bis della L. n. 241/1990.

 

1. Le autorizzazioni paesaggistiche in riferimento agli impianti solari e fotovoltaici sugli edifici.

Il tema in esame ha visto un notevole accavallarsi di norme nel corso del tempo, in una rincorsa scoordinata verso la semplificazione procedimentale.

Merita osservare come, in linea generale, gli impianti solari e fotovoltaici fossero probabilmente già compresi nel novero delle opere di manutenzione ordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 380/2001, norma mai mutata nel corso degli anni. Non pare implausibile sostenere, infatti, che nella nozione di “opere necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti” potesse rientrare anche la realizzazione degli impianti solari e fotovoltaici, siccome atti, rispettivamente, ad integrare gli ordinari impianti di produzione di acqua calda ed a produrre energia elettrica.

Comunque sia, l’art. 6, comma 1, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001 (lettera aggiunta dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 3), del D.Lgs. n. 222/2016 e modificata dall’art. 31, comma 2 ter, del D.L. n. 77/2021, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 108/2021) assoggetta ad edilizia libera “i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, come definiti alla voce 32 dell’allegato A del regolamento edilizio-tipo, adottato con intesa sancita in sede di Conferenza unificata 20 ottobre 2016, n. 125/CU, ai sensi dell’art. 4, comma 1-sexies, del presente testo unico … posti su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici o collocati a terra in adiacenza, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”.

Va ricordato, invero, come l’art. 6, comma 1, faccia espressamente salve le norme contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. n. 42/2004, l’edilizia libera essendo fattispecie limitata al solo profilo edilizio, ricorrendo le condizioni anzi viste.

Rimaneva impregiudicato (e tale rimane ancora, in relazione all’art. 6, comma 1, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001) il profilo paesaggistico e la necessità della relativa autorizzazione; al riguardo soccorre il D.P.R. n. 31/2017, i cui allegati A.6. e B.8. aprono alla possibilità, rispettivamente, di esclusione dell’autorizzazione paesaggistica e di autorizzazione paesaggistica semplificata.

È singolare, però osservare, come l’allegato A.6. non rinviasse (e non rinvii) all’art. 6 comma 1, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001, ma ad una norma speciale, ossia all’art. 7-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011; disposizione normativa assunta in attuazione della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili. Insomma, il rinvio andava (e va) al corpus normativo, che oggi disciplina anche i titoli autorizzativi per la realizzazione (e l’esercizio) degli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile in generale e degli impianti solari e fotovoltaici, in particolare.

Nel 2017, al momento dell’adozione del D.P.R. n. 31/2017, ossia del Regolamento di delegificazione, recante: “Individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”, erano vigenti, ancorché non coordinati tra loro:

l’art. 6, comma 1, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001, il cui testo (nella versione originariamente introdotta dal D.Lgs. n. 222/2016) liberalizzava dal punto di vista edilizio “i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori dalla zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”;

l’art. 7-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011, il cui testo (nella versione originariamente introdotta dal D.L. n. 91/2014, convertito con modificazioni dalla L.  n. 116/2014), recitava: “Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa sull’energia elettrica, l’installazione di impianti solari fotovoltaici e termini con le modalità di cui all’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo n. 115 del 2008, su edifici non ricadenti fra quelli di cui all’art. 136, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, non è subordinata all’acquisizione di atti amministrativi, comunque denominati”.

Il testo unico dell’edilizia consentiva e consente la liberalizzazione solo edilizia dei pannelli a servizio degli edifici senza restrizione alcuna di tipologia, potenza e collocazione, ma con l’esclusione della z.t.o. A, ferme rimanendo le disposizioni in materia paesaggistica.

La norma speciale, invece, estendeva la liberalizzazione ad ogni zona territoriale omogenea, limitatamente però agli impianti previsti dall’art. 11, comma 3, del D.Lgs. n. 115/2008, ossia quelli “aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi”. Liberalizzazione che non si riferiva al solo profilo edilizio, ma anche alle autorizzazioni paesaggistiche, tanto che rimaneva fermo il rispetto dell’art. 136, comma 1, lett. b) e c), del D.Lgs. n. 42/2004; ciò valeva ancor prima dell’allegato A.6. del D.P.R. n. 31/2017, introdotto successivamente all’art. 7-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011, nella versione primigenia.

Il difetto di coordinamento appare evidente, leggendo l’art. 11, comma 3, del D.Lgs. n. 115/2008, richiamato dall’art. 7-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011 (nella versione originaria), riferito agli impianti “aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi sono considerati manutenzione ordinaria” non soggetti ad alcun titolo edilizio (e – alle viste condizioni recate dall’art. 7-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011 – nemmeno all’autorizzazione paesaggistica) e l’art. 6, comma 1, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001 (nella versione originaria), che qualificava nel novero dell’attività edilizia libera la realizzazione dei “pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori dalla zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”.

Giova riportare i testi delle ricordate norme, per come ora vigenti.

L’art. 6, comma 1, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001, oggi (nella versione modificata dall’art. 31, comma 2 ter, del D.L. n. 77/2021, convertito con modificazioni dalla L. n. 108/2021) dispone che:

I pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, come definiti alla voce 32 dell’allegato A del regolamento edilizio-tipo, adottato con intesa sancita in sede di Conferenza unificata 20 ottobre 2016, n. 125/CU, ai sensi dell’art. 4, comma 1-sexies, del presente testo unico o degli impianti … posti su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici o collocati a terra in adiacenza, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”.

L’art. 7-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011, a seguito – da ultimo – della radicale riscrittura, operata dall’art. 9, comma 1, del D.L. n. 17/2022, convertito con modificazioni dalla L. n. 34/2022, recita che:

Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa sull’energia elettrica, l’installazione, con qualunque modalità, anche nelle zone A degli strumenti urbanistici comunali, come individuate ai sensi del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici, come definiti alla voce 32 dell’allegato A al regolamento edilizio-tipo, adottato con intesa sancita in sede di Conferenza unificata 20 ottobre 2016, n. 125/CU, o su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici, ivi compresi strutture, manufatti ed edifici già esistenti all’interno dei comprensori sciistici, e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica nei predetti edilizi o strutture e manufatti, nonché nelle relative pertinenze, compresi gli eventuali potenziamenti o adeguamenti della rete esterni alle arre dei medesimi edifici, strutture e manufatti, sono considerate interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, ivi compresi quelli previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, a eccezione degli impianti installati in aree o immobili di cui all’articolo 136, comma 1, lett. b) e c), del citato codice, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, individuati mediante apposito provvedimento amministrativo ai sensi degli articoli da 138 a 141 e fermo restando quanto previsto dagli articoli 21 e 157 del medesimo codice. In presenza dei vincoli di cui al primo periodo, la realizzazione degli interventi ivi indicata è consentita previo rilascio da parte dell’amministrazione competente ai sensi del citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004. Le disposizioni del primo periodo si applicano anche in presenza di vincoli ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. c), del medesimo codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, ai soli fini dell’installazione di pannelli integrati nelle coperture non visibili dagli spazi esterni pubblici e dai punti di vista panoramici, eccettuate le coperture i cui manti siano realizzati in materiali della tradizione locale”.

La disposizione normativa speciale appena citata rappresenta il tentativo di ridurre ad unità il sistema disorganico.

I precedenti tentativi di liberalizzazione, tra testo unico dell’edilizia, D.Lgs n. 28/2011 e D.P.R. n. 31/2017 erano animati dalla logica di semplificazione procedurale e di salvaguardia ambientale, mentre la riforma del 2022, relativa alla riscrittura dell’art. 7 bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011, risente dell’esigenza prioritaria di contenimento dei consumi energetici derivanti da combustibile fossile, non tanto e non solo per ragioni ambientali, quanto per contingenti ragioni belliche, posto che la guerra in Ucraina e le sanzioni comminate alla Russia avevano comportato dapprima la riduzione, poi la cessazione del flusso di gas naturale dalla stessa.

Così si spiega la dilatazione delle fattispecie liberalizzate, che oggi comprendono anche le opere di connessione dell’impianto alla rete elettrica e di potenziamento o adeguamento della rete esterna rispetto agli edifici, alle strutture ed ai manufatti (mai prima comprese nella liberalizzazione).

Come considerazione di ordine generale, prima di esaminare nel dettaglio la novella dello scorso anno, essa si pone, sul piano della gerarchia delle fonti, in posizione prevalente, sia rispetto al D.P.R. n. 31/2017, sia rispetto all’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001. Con riferimento al D.P.R. n. 31/2017, ove anche si volesse attribuire al Regolamento in parola natura normativa, il vigente testo dell’art. 7 bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011, sarebbe comunque qualificabile come disposizione posteriore e speciale, quindi, prevalente sulle norme di pari rango precedenti e generali; la medesima considerazione vale anche in rapporto all’art. 6 del testo unico dell’edilizia.

Il sistema oggi vigente consegna, quindi, all’interprete la seguente disciplina regolatoria in tema di, nonché in tema di opere funzionali alla connessione alla rete di detti impianti.

Innanzitutto, la ricordata disciplina autorizzatoria relativa impianti solari termici e fotovoltaici sugli edifici, su strutture o manufatti fuori terra impianti ed opere di connessione vale senza alcun limite di zona, di potenza, di estensione e senza prescrizioni localizzative o costruttive degli impianti.

La definizione di edificio è data per rinvio alla definizione uniforme n. 32 del regolamento edilizio tipo, che così recita: “Costruzione stabile, dotata di copertura e comunque appoggiata o infissa al suolo, isolata d strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto, funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata alla soddisfazione di esigenze perduranti nel tempo”.

Inoltre, è acclarato che si tratti di interventi di manutenzione ordinaria, non soggetti né a titoli edilizi, né ad autorizzazione paesaggistica, con alcuni limiti.

In particolare, l’esclusione dell’autorizzazione paesaggistica vale senz’altro nel caso di vincoli paesaggistici ex lege, estesi ai sensi dell’art. 142 del D.Lgs. n. 42/2004, ma non vale nel caso dei beni soggetti a vincoli estesi mediante provvedimento specifico, ai sensi dell’art. 136, comma 1, lettere b) e c), del D.Lgs. n. 42/2004. Si tratta degli immobili interessati dai decreti di dichiarazione di notevole interesse pubblico, in particolare: “le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalla Parte seconde del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza” (art. 136, lett. b); “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici” (art. 136, lett. c).

Sono doverose alcune precisazioni.

Anche negli ambiti vincolati per decreto, ai sensi dell’art. 136, lett. c), si può prescindere dall’autorizzazione paesaggistica, ma solo nell’ipotesi di “installazione di pannelli integrati nelle coperture non visibili dagli spazi esterni pubblici e dai punti di vista panoramici, eccettuate le coperture i cui manti siano realizzati in materiali della tradizione locale”.

Si tratta di condizioni, che necessitano di una dettagliata analisi caso per caso e che paiono di difficile configurazione. È arduo ipotizzare che i pannelli non siano visibili da spazi pubblici e dai punti di vista panoramici; inoltre, pare doversi sostenere che le tre fattispecie anzi viste debbano essere tutte escluse, per poter omettere l’autorizzazione paesaggistica.

Infine, residua un dubbio con riferimento all’ultimo periodo dell’art. 7 bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011, posto che la disposizione, da un lato, rinvia a quanto previsto dal primo periodo (laddove si comprendono non solo gli impianti sugli edifici o sui manufatti fuori terra, ma anche le opere di connessione alla rete, che solitamente sono esterne agli edifici ed ai manufatti, e sovente coprono anche distanze ragguardevoli), dall’altro, è oggettivamente limitata “ai soli fini dell’installazione di pannelli integrati nelle coperture”, con formale esclusione, quindi, sia delle opere di connessione alla rete, sia dei pannelli, che non siano integrati nelle coperture.

In definitiva, quanto sin qui brevemente illustrato depone per la difficile individuazione di fattispecie escluse dalla autorizzazione paesaggistica nelle zone sottoposte a vincolo, ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 42/2004.

Nel caso permanga la necessità dell’autorizzazione paesaggistica, essa potrà essere semplificata nei soli casi previsti dall’allegato B.8. del D.P.R. n. 31/2017, ossia nei casi (i) “di pannelli solari (termici o fotovoltaici) a servizio di singoli edifici, purché integrati nella configurazione delle coperture, o posti in aderenza ai tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda degli edifici ricadenti fra quelli di cui all’art. 136, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”; (ii) di “installazione di pannelli solari (termici o fotovoltaici) a servizio di singoli edifici su coperture piane in posizioni visibili dagli spazi pubblici esterni”.

Ove rimanga ancora necessaria l’autorizzazione paesaggistica, sia essa ordinaria o semplificata, merita osservare che l’indirizzo giurisprudenziale in tema di legittimità dei dinieghi delle autorizzazioni paesaggistiche in riferimento agli impianti in considerazione appare in linea generale favorevole alle ragioni dei ricorrenti, ritenendo i giudici amministrativi, da un lato, che questo tipo di impianti rappresenti una forma di evoluzione dello stile costruttivo, accettata dall’ordinamento e dalla sensibilità collettiva, dall’altro, che l’eventuale diniego dell’autorizzazione paesaggistica debba essere sorretto da una motivazione particolarmente pregnante, che non si possa appiattire su stereotipate affermazioni generiche di visibilità dell’impianto e di vulnus estetico (TAR Lombardia, Brescia, nn. 682/2022; 358/2022; 617/2021; 296/2021; TAR Molise, n. 391/2021; TAR Lombardia, Milano, n. 496/2018; TAR Piemonte, n. 194/2014; TAR Veneto, n. 1294/2013). Si rinvengono, financo, arresti giurisprudenziali, che qualificano la produzione di energia elettrica da fonte solare come attività, che contribuisce essa stessa – seppure indirettamente – alla salvaguardia dei valori paesaggistici (Cons. St., sez. VI, n. 3696/2020; TAR Lombardia, Brescia, n. 617/2021, cit.).

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2. Le autorizzazioni paesaggistiche in riferimento agli interventi edilizi di coibentazione.

2.1. Il tema dell’assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica degli interventi di coibentazione delle pareti verticali od orizzontali degli edifici riveste natura problematica ed ha acuito la sua importanza a seguito delle misure nazionali di incentivazione fiscale ossia dell’introduzione del cosiddetto “superbonus”, ai sensi dell’art. 119 del D.L. n. 77/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 34/2020.

A differenza degli impianti solari e fotovoltaici sugli edifici, la cui disciplina ha trovato un approdo affidante nell’art. 7 bis, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2011 a seguito della novella del 2022, la disciplina degli interventi di coibentazione sotto il profilo paesaggistico è rimessa al D.P.R. n. 31/2017, in particolare agli allegati A.2., B.3. e B.5.-

In particolare, l’allegato A.2. presta il fianco a dubbi interpretativi, cui hanno provato a dare risposta – pel vero non sempre coerente – dapprima la circolare MIBACT n. 42 del 21 luglio 2017 (circolare generale applicativa del D.P.R. n. 31/2017), poi la più recente circolare MIBACT n. 4 del 4 marzo 2021, specificatamente indirizzata agli interventi di coibentazione, infine le “linee di indirizzo” della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza 15 novembre 2021, n. 30660.

L’allegato A.2. del D.P.R. n. 31/2017 tra gli interventi esclusi dall’autorizzazione comprende gli “interventi di coibentazione volti a migliorare l’efficienza energetica degli edifici che non comportino la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, ivi compresi quelli eseguiti sulle falde di copertura”.

La disposizione, compresa nel primo periodo dell’allegato A.2., non distingue a seconda della tipologia del vincolo (art. 136 o 142 del D.Lgs. n. 42/2004), come avviene nel secondo periodo della disposizione medesima, di talché l’interpretazione testuale porta a ritenere applicabile l’esclusione dell’autorizzazione paesaggistica per gli interventi di cui al primo periodo dell’allegato A.2., quindi anche per quelli di coibentazione. Un tanto non vale per gli interventi di cui al secondo ed ultimo periodo – aperture esterne o finestre – ove realizzati su immobili vincolati ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. a), b) e c), limitatamente (quanto alla lettera c) agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale – ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale – isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici; ma si tratta di interventi affatto diversi dalle opere di coibentazione.

Ferme restano – riguardo agli interventi di coibentazione – le condizioni previste nell’allegato A.2., primo periodo, ossia che le opere di coibentazione non comportino la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, ivi compresi quelli eseguiti sulle falde di copertura e siano eseguite nel rispetto degli eventuali piani del colore, delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti.

È d’immediata percezione come le condizioni apposte rischino di rendere vacua la previsione di semplificazione o comunque rischiosa la sua applicazione. Cosa significa in concreto che la coibentazione non debba consistere nella realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma? Chi lo valuta? Cosa si intende per rispetto delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti? Ancora una volta, chi lo valuta?

Innanzitutto, gli interventi di coibentazione consistono nell’ispessimento delle strutture verticali o orizzontali dell’edificio, al fine di creare una barriera isolante applicata all’esistente. È difficile sostenere che il c.d. cappotto termico esterno non incida sulla sagoma dell’edificio, posto che “il contorno che viene ad assumere l’edificio” – per mutuare dalla definizione uniforme di sagoma recata al n. 18 del Regolamento edilizio tipo – a seguito dell’applicazione del cappotto non è evidentemente uguale al “contorno” preesistente. Ciò è ulteriormente percepibile se si considera che il cappotto termico: (i) può cingere i quattro lati dell’edificio; (ii) comporta un’alterazione delle luci e delle vedute in forza dello spessore emergente; (iii) riduce la superficie delle terrazze e dei poggioli.

La condizione d’applicabilità dell’allegato A.2. consiste nel non realizzare elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, di talché occorre comprendere se il cappotto costituisca ex se elemento o manufatto emergente. Se così fosse, l’allegato A.2. sarebbe disposizione inutiliter data. Infatti, se la coibentazione costituisse sempre e comunque un elemento o un manufatto emergente dalla sagoma, la disposizione non sarebbe applicabile ed il cappotto in zona vincolata non andrebbe mai esente da autorizzazione paesaggistica, salva la realizzazione del cappotto c.d. interno.

Altro aspetto problematico consiste nel perimetrare le altre condizioni poste dall’allegato A.2., ossia il rispetto: (i) del piano colore comunale (ove esistente); (ii) delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti.

2.2. Una volta illustrati i profili di criticità interpretativa, merita analizzare quali indirizzi abbia assunto in materia l’Amministrazione, posto che sul tema si sono susseguite tre circolari. Il che testimonia inequivocabilmente l’incertezza delle disposizioni.

La posizione dell’Amministrazione, ritraibile dalle Circolari MIBACT nn. 42/2017 e 4/2021 (l’ultima espressamente dedicata agli interventi di coibentazione) appare compendiabile come segue:

  • nessun automatismo nell’esclusione dell’autorizzazione paesaggistica, che va valutata caso per caso; in particolare, l’intervento di coibentazione dev’essere di lieve entità e tale da non alterare lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio;
  • l’attenzione viene posta sulla condizione del “rispetto delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti”, soprattutto nel caso di immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici;
  • l’intervento può essere eseguito in aree vincolate ex art. 142 del D.Lgs. n. 42/2004;
  • può essere eseguito anche in aree vincolate ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. d) e c), del D.Lgs. n. 42/2004, purché si tratti di immobile costruito dopo il 31 dicembre 1945, presumendosi in tal caso che esso sia privo di interesse storico-architettonico o storico-artistico, mutuando evidentemente da quanto disposto nella Parte II, invero con riferimento specifico agli immobili pubblici;
  • in tutti gli altri casi, è necessaria l’autorizzazione paesaggistica semplificata, ai sensi dell’allegato B.3. al D.P.R. n. 31/2017.

Non tutte le Amministrazioni periferiche hanno però avallato quanto sopra sostenuto dal MIBACT. Ad esempio, la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, con le <<linee di indirizzo per gli “interventi di coibentazione volti a migliorare l’efficienza energetica” di cui alla voce A.2 >> 15 novembre 2021, n. 30660 ritiene che:

  • la realizzazione di interventi di isolamento termico delle superfici opache verticali o orizzontali non rientri nell’ipotesi di esclusione di autorizzazione paesaggistica di cui al punto A.2;
  • ciò valga sia per gli edifici ante 1945, sia per gli edifici realizzati dopo, in entrambi i casi essendo necessaria la valutazione della Soprintendenza, pur se attraverso l’autorizzazione paesaggistica semplificata con riferimento all’allegato B.3.-

Il quadro normativo ed interpretativo è, pertanto, confuso e per nulla affidabile.

2.3. A questo punto è necessario trarre alcuni spunti conclusivi.

Il cappotto termico è intervento espressamente compreso nell’ambito dell’allegato A.2. del D.P.R. n. 31/2017, sia rispetto alle aree vincolate ai sensi dell’art. 142 del D.Lgs. n. 42/2004, sia rispetto alle aree vincolate ai sensi dell’art. 136 del medesimo decreto, posto che i limiti riferiti all’art. 136, comma 1, lett. a), b) e c), riguardano le aperture esterne o le finestre, ma non gli interventi di coibentazione.

Seppure la sagoma dell’edificio subisca indubbiamente una modifica, derivante dall’ispessimento delle superfici in forza degli interventi di coibentazione, ciò non pare ostativo all’applicazione dell’allegato A.2.; ad essere ostativa è semmai la realizzazione di elementi o manufatti emergenti rispetto alla sagoma. Ma ciò non è sufficiente a dipanare il quesito se il cappotto costituisca elemento o manufatto emergente dalla sagoma.

Nella definizione di sagoma desumibile dalle definizioni uniformi del RET (punto 18) essa è qualificata come il contorno dell’edificio, comprensivo delle strutture perimetrali ed anche degli aggetti e degli sporti superiori a 1,50 m.; laddove l’ispessimento costituisca aggetto o sporto e sia inferiore a detta misura, è sostenibile che il contorno dell’edificio non muti giuridicamente, pur mutando fisicamente.

Ma è sicuro che il cappotto costituisca aggetto o sporto?

E se vi fosse una norma di piano comunale ad hoc, che ammettesse senz’altro la realizzazione degli interventi di coibentazione, siccome non modificativi della sagoma dell’edificio, ove contenuti entro i limiti previsti dal D.Lgs. n. 115/2008?

E se il cappotto rientrasse tra le tolleranze costruttive, di cui all’art. 34, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001?

Il timore è che nessuna definizione edilizia sia idonea a vincere il divieto della disposizione paesaggistica speciale (allegato A.2.), che assoggetta all’autorizzazione paesaggistica gli interventi di coibentazione, che comportino la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma.

Ove anche si superassero le perplessità anzi viste, resta il limite del rispetto degli eventuali piani colore, nonché delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti; limiti, questi ultimi, che paiono imporre un’analisi caso per caso, piuttosto che una distinzione a seconda dell’epoca di realizzazione dell’immobile (prima del 1945 no senz’altro, dopo sì senz’altro). Distinzione, peraltro, non presente nelle specifiche disposizioni del D.P.R. n. 31/2017 e financo riferita – in via generale dal D.Lgs. n. 42/2004 – ai soli immobili pubblici.

Non è dato rinvenire, peraltro, precedenti specifici in giurisprudenza. Può essere però citata la sentenza del TAR Veneto, sez. II, 27.3.2020, n. 307, che pare accedere ad una lettura formale dell’allegato A.2., richiedendo però una motivazione reale e non stereotipata circa le caratteristiche storiche e tipologiche, la cui modifica può giustificare la mancata applicazione dell’allegato A.2.-

Alla fine dell’analisi non si possono rinvenire approdi senz’altro affidanti circa l’applicabilità in concreto dell’allegato A.2.: l’unica certezza è il rischio; rischio che può essere eliminato solo rifugiandosi nell’autorizzazione paesaggistica semplificata (allegati B.3. e B.5.).

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3. Parere della Soprintendenza e procedura S.U.A.P. in conferenza di servizi; parere della Soprintendenza e silenzio assenso ai sensi dell’art. 17 bis della L. n. 241/1990.

3.1. L’istituto dello Sportello unico per le attività produttive riveste importanza centrale nel nostro ordinamento giuridico. È a tutti nota la ratio, che governa l’istituto, il quale abbraccia un novero notevole di “attività produttive”, che vengono identificate dall’art. 1, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 160/2010, quali “le attività di produzione di beni e servizi, incluse le attività agricole, commerciali e artigianali, le attività turistiche e alberghiere, i servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari e i servizi di telecomunicazioni”. È parimenti noto come il Comune ricopra un ruolo decisivo, costituendo il punto di accesso delle domande S.U.A.P., così come il procedimento debba essere necessariamente unico (art. 7 del D.P.R. n. 160/2010) e possa comportare variante urbanistica (art. 8).

L’art. 4, comma 1, del D.P.R. n. 160/2010, dispone che il S.U.A.P. assicuri una risposta “unica e tempestiva in luogo degli altri uffici comunali e di tutte le amministrazioni pubbliche comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle preposte alla tutela … paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico …”.

Ciò significa che il procedimento unico S.U.A.P. – avente come esito il provvedimento finale che “è, ad ogni effetto, titolo unico per la realizzazione dell’intervento e per lo svolgimento delle attività richieste” (art. 7, comma 6, D.P.R. n. 160/2010) – deve contenere in sé anche l’autorizzazione paesaggistica, a sua volta resa previo parere della Soprintendenza.

In Regione Veneto lo S.U.A.P. è sottoposto a specifica disciplina normativa, data dalla L.R. n. 55/2012, che distingue tre fattispecie: (i) gli interventi, che non costituiscono variante urbanistica, pur potendo comportare limitate deroghe alla disciplina pianificatoria (art. 2); (ii) gli interventi, che comportano deroghe meno limitate, ma pur sempre contenute nei limiti di legge (art. 3); (iii) interventi in variante urbanistica (art. 4).

Ulteriore peculiarità degna di nota consiste nel fatto che gli interventi S.U.A.P. “sono sempre consentiti” in deroga alle disposizioni normative ed amministrative sul contenimento del consumo di suolo, ai sensi di quanto espressamente stabilito dall’art. 12, comma 1, lett. d), della L.R. n. 14/2017.

3.2. Esaurite le debite premesse, merita analizzare alcuni profili attinenti alla posizione della Soprintendenza nell’ambito del procedimento S.U.A.P., che si svolge tramite il modulo procedimentale della conferenza di servizi.

La disciplina della conferenza di servizi è scolpita negli articoli 14 e seguenti della L. n. 241/1990 e, seguendo queste coordinate normative, si può dar risposta ai quesiti, che sono stati posti.

La prima domanda attiene, da un lato, alla necessità della partecipazione della Soprintendenza in sede di conferenza di servizi, convocata nell’ambito del procedimento S.U.A.P., in particolare nel caso di variante urbanistica, dall’altro, alla mancata espressione del parere.

Giova premettere che la particolarità dell’istituto S.U.A.P. è quello dello snellimento procedimentale e della contestualità dell’esame dei vari interessi sottesi, di modo che in un unico procedimento debbano essere analizzati tutti gli aspetti in considerazione, anche l’aspetto del paesaggio, nel caso in cui l’intervento insista su un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, comunque esteso, o per legge o per provvedimento.

Sia l’art. 3, sia l’art. 4 della L.R. n. 55/2012 non paiono dubitare circa la necessità di ricorrere al modulo procedimentale della conferenza di servizio, tanto che, nel primo caso, il parere del Consiglio comunale segue (entro sessanta giorni) la trasmissione dell’esito favorevole della conferenza di servizi; nel secondo caso, il responsabile S.U.A.P. “convoca in seduta pubblica la conferenza di servizi”.

Comunque sia, alla base dell’istanza S.U.A.P. vi è un progetto edilizio (non una semplice istanza di variante urbanistica), di talché è necessario, comunque (anche nei casi in cui non sia necessaria alcuna variante urbanistica), il coinvolgimento della Soprintendenza, ove essa debba esprimere il parere presupposto rispetto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

Se la Soprintendenza deve essere coinvolta in conferenza di servizi (sincrona o asincrona, che sia), il suo intervento è necessario. O, meglio, è necessaria la sua convocazione in conferenza di servizi. Non è però necessaria la sua determinazione, nel senso che, ove essa venga resa (in termine di assenso o di dissenso propositivo, indicando, ove possibile, le modifiche necessarie ai fini dell’assenso), la conferenza di servizi ne prenderà atto, ai fini della decisione finale (sulla base delle posizioni prevalenti); ove essa non venga resa, perché la Soprintendenza, seppure regolarmente convocata, non si presenti o non esprima la propria determinazione, o esprima una determinazione negativa non motivata, si considera acquisito l’assenso. Un tanto vale in caso di conferenza di servizi semplificata o asincrona (art. 14 bis, commi 3 e 4, L. n. 241/1990), come in caso di conferenza di servizi simultanea o sincrona (art. 14 ter, comma 7).

Nel caso in cui la Soprintendenza esprima il proprio dissenso motivato, la determinazione conclusiva della conferenza di servizi avverrà sulla base delle posizioni prevalenti. Ma essa non sarà efficace in caso di dissensi qualificati (ossia resi dalle Amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei bei culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini). A tali Amministrazioni è data la facoltà di proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei Ministri, ove abbiano espresso il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. L’affare, quindi, viene in sostanza avocato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiamata a dipanare il contrasto tra Amministrazioni.

3.3. La seconda domanda, cui va data risposta, riguarda la necessità della Soprintendenza – e, più in generale, delle altre Amministrazioni convocate in conferenza di servizi – di esprimersi in seno alla conferenza o la facoltà alternativa di esprimere il proprio parere al di fuori di essa.

Al riguardo si registra una posizione giurisprudenziale non omogenea, divisa tra:

  • un primo orientamento, secondo cui prevale la sostanza sulla forma, con salvezza del parere reso al di fuori della conferenza di servizi (Cons. , sez. V, n. 5749/2015; Cons. St., sez. IV, n. 4734/2015; Cons. St., sez. VI, n. 3971/2015);
  • un secondo orientamento, in base al quale il parere reso al di fuori della conferenza di servizi è illegittimo e financo nullo per incompetenza, siccome assunto da un’autorità priva di potere (Cons. , sez. V, n. 6273/2018; Cons. St., sez. V, n. 2790/2018; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, n. 2732/2022);
  • un terzo orientamento, per così dire intermedio, che distingue due fattispecie comunque definite “anomale”, ossia il parere reso al fuori della conferenza di servizi (definito “parere extra moenia”) ancorché in corso di procedimento, dal parere reso al di fuori della conferenza di servizi, una volta che essa sia stata conclusa (c.d. “parere postumo”). Nel secondo caso è manifesta l’illegittimità; nel primo caso no, a condizione che il responsabile del procedimento convochi una (eventualmente nuova) conferenza di servizi, in cui dar conto del parere precedentemente acquisito extra moenia, sì da poter consentire il contraddittorio al riguardo (Cons. St., sez. V, n. 4191/2018; Cons. St., sez. IV, n. 4732/2015).

Non vi è, quindi, un orientamento, che possa dirsi prevalente e consolidato, anche se appare condivisibile, forse, il secondo orientamento, atteso che la partecipazione alla conferenza di servizi non sembra un dato meramente formale, ma sostanziale; infatti, l’istituto della conferenza di servizi ha lo scopo di consentire, da un lato, il contraddittorio dialettico tra le Amministrazioni coinvolte, dall’altro, la gestione del dissenso. Il confronto, che rappresenta la cifra caratteristica della conferenza di servizi nell’ambito della leale collaborazione, viene evidentemente a mancare nel caso di parere reso extra moenia senza alcun contraddittorio.

La soluzione intermedia potrebbe salvare all’un tempo la sostanza e la forma (che, come visto, è sostanza) con l’avvertenza però che il parere reso extra moenia deve precedere i termini preclusivi di cui agli articoli 14 bis e 14 ter della L. n. 241/1990, anche perché l’art. 2, comma 8 bis (introdotto dall’art. 12, comma 1, lett. a), n. 2), D.L. n. 76/2020, convertito in L. n. 120/2020), della medesima legge generale sul procedimento amministrativo, stabilisce che le autorizzazioni, i pareri, i nulla osta, gli atti d’assenso comunque denominati, adottati dopo la scadenza dei termini siano inefficaci, ferma restando la sola possibilità dell’autoannullamento, ricorrendo però le rigide condizioni di cui all’art. 21 nonies della L. n. 241/1990.

3.4. Ulteriore quesito, cui occorre dare risposta, attiene all’applicabilità dell’art. 17 bis della L. n. 241/1990 – meglio del silenzio assenso – al parere della Soprintendenza, finalizzato all’adozione dell’autorizzazione paesaggistica. Si tratta di esaminare se il meccanismo costituito dallo schema di provvedimento e dal silenzio assenso si applichi anche al parere paesaggistico, da rendere a cura della Soprintendenza.

L’art. 17 bis, comma 3, della L. n. 241/1990 estende espressamente lo schema anzidetto anche al parere paesaggistico.

Così ha ritenuto dapprincipio il Consiglio di Stato nel parere 13.7.2016, n. 1640, affermando addirittura l’avvento di un “nuovo paradigma” del silenzio dell’Amministrazione interpellata, equiparato ope legis ad assenso, al cospetto di decisioni pluristrutturate, ossia quando la decisione finale da parte dell’Amministrazione procedente (es. Comune, ove competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica) richieda per legge l’assenso vincolante di altra Amministrazione (Soprintendenza).

In modo singolare il ricordato parere del Consiglio di Stato viene utilizzato a supporto sia della tesi, che nega l’applicabilità dell’art. 17 bis alle autorizzazioni paesaggistiche, sia (forse più correttamente) a supporto della tesi, che, al contrario, afferma l’applicabilità dell’art. 17 bis alle autorizzazioni paesaggistiche.

A fronte di chiari indirizzi da parte dello stesso Mibact (Circolare 10.11.2015, n. 27158, nota 20.7.2016, n. 21892) nel senso dell’applicazione dell’art. 17 bis alle autorizzazioni paesaggistiche, la giurisprudenza appare divisa tra la tesi della non applicabilità (Cons. St., sez. IV, 29.3.2021, n. 2640), e la tesi dell’applicabilità (Cons. St., sez. VI, 24.5.2022, n. 4098), tesi – l’ultima – che ritengo preferibile.

Non risultano disposizioni eurounitarie ostative all’applicazione del silenzio assenso rispetto al parere della Soprintendenza, le uniche disposizioni europee, che richiedano il necessario provvedimento espresso, riguardando specifici provvedimenti in materia ambientale (VIA, VAS, AIA).

Alessandro Veronese

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