1. La questione sottoposta a giudizio della Corte Costituzionale, che si è definita con la sentenza in commento, muove dall’approvazione della L.R. Veneto n. 2 del 28 gennaio 2022 con cui era approvato il nuovo Piano Regionale Faunistico Venatorio (PFVR) per il quinquennio 2022 – 2027. La questione -per quanto di interesse- era che nell’ambito di detto Piano, il Comune di Rivoli Veronese (VR) era stato escluso dalla Zona Faunistica Alpina (ZFA) ed invece incorporato nel diverso Ambito Territoriale di Caccia n. 1 di Verona Ovest del Garda, essenzialmente sulla base di un criterio altimetrico (altezza media sul livello del mare, del territorio comunale).

Con la sentenza n. 148/2023 del 25 maggio/18 luglio 2023 in esame, la Corte ha affermato due principi di rilievo, condividendo i profili di incostituzionalità sollevati dal giudice amministrativo veneto: i) circa l’avvenuta approvazione con legge (art. 1 L.R. Veneto n. 2/2022) del PFVR e non già con un provvedimento amministrativo; con ciò rafforzando la propria linea interpretativa circa l’ampiezza dei poteri regionali in rapporto a quelli del legislatore statale e la riserva amministrativa in materia di caccia; ii) circa l’esclusione del suddetto Comune dalla ZFA (prevista dagli all.ti. B e C della citata legge) sulla base di parametri non previsti dalla legge nazionale, affermano la prevalenza di questi ultimi con una pronuncia che sul punto appare una novità, con la definizione della ZFA e delle sue caratteristiche.

2. Va al riguardo precisato, che la definizione legislativa della ZFA è data dall’art. 11, L. n. 157/1992 quale territorio ove sia presente in misura consistente la tipica flora e fauna alpina[1]; il Comune di Rivoli Veronese è sempre stato considerato, a partire dal D.M. 15.04.1940, quale parte della medesima ZFA, godendo in conseguenza di particolari misure di protezione del suddetto habitat. D’altra parte, con la LR 2/2022, la Regione ha espresso la volontà di innalzare il confine altimetrico della ZFA, cosicché il Comune di Rivoli Veronese, posto ad una quota altimetrica massima di circa 600 m s.l.m. e minima di circa 90 m s.l.m., avrebbe posseduto caratteristiche territoriali incompatibili con la definizione della medesima ZFA, cosicché sarebbe stato da essa escluso. Ciò che avrebbe comportato pregiudizi ambientali, economici, fiscali, turistici, per il territorio comunale.

2.1. Da qui l’avvio di una contestazione giudiziale che, attraverso il TAR Veneto, ha portato sino alla Corte sovrana.

Più precisamente il Comune ha impugnato dinanzi al TAR Veneto la L.R. n. 2/2022 (in modo forse atipico, ma non vi erano altre soluzioni; da qui anche una affermata violazione dell’art. 24 Cost.) e, con motivi aggiunti corredati da sospensiva, i provvedimenti applicativi della stessa (fra cui i decreti istituenti i comprensori alpini e gli ambiti territoriali di caccia). In tale sede, il Comune ha chiesto al TAR di sollevare questione di legittimità costituzionale della citata L.R. n. 2/2022 in relazione a una serie di parametri, per avere la Regione sottratto un atto tipicamente programmatorio alla giurisdizione del giudice amministrativo[2] e per avere illegittimamente derogato in peius rispetto ad una legge statale, in relazione ai livelli minimi ambientali che devono essere garantiti sull’intero territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. s), Cost.

2.2. Con ordinanza n. 615/2022 (confermata in Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4659/2022) il Giudice amministrativo ha concesso la tutela cautelare avverso i provvedimenti applicativi della L.R. n. 2/2022 e, con ordinanza n. 1170/2022, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, L. R. Veneto n. 2/2022 e degli allegati B) e C), nella parte in cui hanno escluso il Comune di Rivoli Veronese dalla ZFA, per affermata violazione degli artt. 3, 24, 25, 97, 100, 111, 113 e 117, co. 1 – quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU, nonché dell’art. 117, co. 2, lett. s) e 123 Cost.

Ammettendo l’impugnabilità in via incidentale della legge regionale mediante l’impugnazione degli atti applicativi della medesima, il TAR ha osservato che tale legge di approvazione del PFVR costituirebbe una legge-provvedimento e, come tale, dotata di capacità direttamente conformativa; ha rilevato la astratta violazione del principio di riserva di amministrazione, che impone l’approvazione del PFVR – in quanto piano di settore – con atto amministrativo, tanto più considerato che si versa in materia di ambiente, pertanto riservata alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. s), Cost.

Quest’ultima norma -sempre a dire del remittente- sarebbe stata violata perché non sarebbe stato rispettato da parte del legislatore regionale il vincolo di carattere procedimentale imposto dal legislatore statale in una materia di competenza esclusiva, quale quella ambientale, con riferimento alla fissazione dei livelli minimi di tutela ambientale, che, anche in forza dell’art. 10, l. n. 157/1992, prevede che le Regioni approvino il PFVR con provvedimento amministrativo[3].

Ancora: sarebbe stato violato anche l’art. 123 Cost., perché la legge regionale, nell’approvare il PFVR si sarebbe posta in conflitto con la norma interposta dell’art. 33, co. 3, Statuto regionale del Veneto, che prevede che il Consiglio Regionale approvi i piani di settore (quale è il PFVR) mediante deliberazione amministrativa. Ne consegue -a dire del TAR- la violazione degli artt. 3 (per la rilevata irragionevolezza), 24, 25, 97 (perché la legificazione dell’atto amministrativo è in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, impedendo l’esercizio dell’autotutela amministrativa), 100, 103 (perché la Regione ha sottratto il PFVR alla giurisdizione amministrativa), 111, co. 1 (per violazione del principio del giusto processo), 113 (secondo cui contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi alla giurisdizione ordinaria o amministrativa), 117, co. 1 in relazione all’art. 6 CEDU e al principio del giudice naturale precostituito per legge.

2.3. Il TAR ha altresì sollevato dubbi di costituzionalità circa l’avvenuta modificazione (sempre per legge) da parte della Regione dei confini della ZFA facendo ricorso ad un criterio di tipo altimetrico dei territori che a suo dire sarebbe stato estraneo alla normativa statale[4], rilevando piuttosto le caratteristiche oggettive del territorio – ovvero la presenza o meno della tipica fauna e flora alpina – a determinare la riconducibilità di una certa area in una ZFA. Ne sarebbe derivata – ancora a dire del TAR – la violazione dell’art. 117, co. 2, lett. s), Cost., perché la Regione, nel modificare (in peius) i confini della ZFA, avrebbe inciso su profili propri della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, invadendo così un ambito di competenza esclusiva statale in materia di livelli minimi di tutela ambientale. In ultimo, sarebbero stati violati anche gli artt. 3 e 117 Cost., per irragionevolezza e contraddittorietà rispetto agli atti endoprocedimentali di formazione del Piano.

3. Come detto, la questione nasce dalla disposta esclusione del territorio del Comune di Rivoli Veronese dalla ZFA attraverso il NPFV regionale del Veneto. Una esclusione disposta per legge. Si badi – e ciò rileva quale presupposto in fatto per la valutazione della Corte specie con riguardo al primo aspetto – che Rivoli Veronese è un Comune che si trova sul Monte Baldo, massiccio di 40 km di lunghezza, che beneficia di un particolare microclima controllato dalla presenza del Lago di Garda. Ciò significa che lungo le sue pendici e dentro le sue valli, si possono trovare diversi climi che sfumano l’uno nell’altro oltreché una grandissima varietà di fauna alpina.

3.1. Entrando sul tema, non si trattava nella specie di verificare se in astratto fosse ammissibile o meno una legge provvedimento[5], quanto piuttosto se, nella materia de qua, la legge provvedimento era ammissibile.

Il tema è articolato perché trattasi di garantire l’equilibrio tra l’esercizio dell’attività venatoria e la salvaguardia dell’ambiente di cui all’art. 9 Costituzione[6]; una salvaguardia dell’ambiente che rileva non tanto e non solo per la legittimazione ad agire del Comune, ma perché su tale tematica esiste – come noto – una riserva di legge statale ai sensi del 117 comma 2, lett. s) Costituzione.

La Corte ha dunque affrontato la questione della legge provvedimento, ricordando i propri precedenti (sent. n. 174/17 e nn. 139/17, 10/19) in relazione soprattutto alla materia della caccia, che rientra nella potestà legislativa residuale delle Regioni ed è disciplinata dalla legge n. 157 del 1992[7], la quale si basa sul principio secondo cui l’esercizio dell’attività venatoria è consentito purché non contrasti con l’esigenza della conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole (art. 1, comma 2). In particolare, la disciplina legislativa statale prevede che l’attività venatoria sia da esercitarsi sotto forma di «caccia programmata», lasciando dunque spazi per una riserva amministrativa e, del resto, si tratta di attività – quelle correlate alla perimetrazione della zona faunistica – che presuppongono necessariamente un’istruttoria degli uffici.

Ed anche a voler ammettere la compatibilità della legge-provvedimento che ci occupa con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione, appariva comunque evidente come nella specie fossero stati superati i limiti tracciati dalla stessa Corte per ritenere compatibile con le previsioni costituzionali e con il principio di ragionevolezza la norma sub iudice, nella specie asseritamente violata[8]. E non appare casuale se proprio l’irragionevolezza è stigmatizzata dal TAR al par. 12 e 12.1 della propria ordinanza di remissione, con riguardo al passaggio ove evidenzia che il tema ambientale è riservato alla competenza esclusiva della legge statale.

3.2. Ed in effetti il Giudice delle leggi ha mostrato di condividere l’orientamento del giudice veneziano. In primo luogo, con riguardo all’art. 117, c. 2, lett. s), Cost. ed ha affermato da subito che: “la materia della caccia, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rientra nella potestà legislativa residuale delle Regioni (…), e che l’art. 12 l. n. 157 del 1992 dispone che la caccia può essere praticata in via esclusiva in una delle forme della stessa previste, al fine di preservare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. In considerazione di tale ratio della norma statale, la legge regionale può intervenire su detto profilo (…) esclusivamente innalzando il livello della tutela” (p. 10); ciò che nella fattispecie non è accaduto.

Così, dopo un breve riferimento a puntuali articoli della L. 152 del 1992 (e precisamente agli artt. 10, 11 e 14), la Corte si è soffermata sulla prima questione che, come detto, inerisce all’approvazione con legge regionale del Piano faunistico-venatorio.

A tal riguardo, il Giudice delle leggi è rimasto nel solco tracciato da numerosi suoi precedenti[9], in cui si dà atto che “il legislatore statale, prescrivendo la pubblicazione del calendario venatorio e contestualmente del “regolamento” sull’attività venatoria … abbia inteso realizzare un procedimento amministrativo” (p. 12). Così ha mostrato di condividere quanto innanzi esposto e cioè che fosse opportuna una lettura congiunta degli articoli 10 e 18 della L. n.157/92, da cui si ricava la riserva amministrativa in materia. Ed infatti – a dire della Corte – detto art. 18, c. 4, L. n. 157/92 “garantisce un’istruttoria approfondita e trasparente anche ai fini del controllo giurisdizionale e non tollera che il calendario venatorio venga irrigidito nella forma legislativa (sentenza 258 del 2019)” (p. 12).

Ne deriva dunque che – secondo la Corte – la disposizione regionale in esame comporta una riduzione in peius dello standard minimo di tutela della fauna selvatica stabilito dall’articolo summenzionato, con conseguente violazione dell’art. 117, c. 2, lett. s), Cost., riguardante la competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente.

4. Ecco allora il secondo aspetto preso in esame, afferente le ragioni della scelta operata dal legislatore regionale, che invero appaiono tipiche di un provvedimento amministrativo. Esse sono state evidenziate alla p. 21-22 dell’ordinanza di remissione, che riporta come l’amministrazione assuma che si deve operare un innalzamento altimetrico della zona faunistica alpina perché sono stati utilizzati dei criteri legati alla storicità e dunque inattuali cosicché si devono operare delle correzioni di palesi incongruenze per cercare di sanare aree con caratteristiche incompatibili con la definizione di zona faunistica alpina. Conseguentemente, anche volendo riconoscere che – in base a uno standard di protezione ambientale – la Regione sia tenuta a determinare i confini della Zona faunistica della Alpi facendo riferimento alla presenza della flora e della fauna alpina, non può che riconoscersi parimenti che tale ordine di considerazioni debba necessariamente rivolgersi esclusivamente a quella parte del territorio regionale che, secondo le convenzioni e/o le acquisizioni delle scienze geografiche e la discrezionalità tecnica propria delle medesime, possa sensatamente essere qualificato come “territorio alpino”: dunque, un territorio montuoso, necessariamente identificato anche sulla base di un livello altimetrico minimo”.

4.1. Su tali osservazioni e, in particolare sulla necessità di identificare “territorio alpino” in base anche ad un requisito di livello altimetrico minimo, sorgono spontanei alcuni dubbi. Anzitutto, rileva l’articolo 11 della L. 157/92[10] da cui si desume che non ci sono criteri altimetrici nella legge statale per definire una zona alpina, e che sostanzialmente si debba fare riferimento alle caratteristiche ambientali, ovvero alla flora ed alla fauna. Ciò a prescindere dalla circostanza che nella specie il territorio è anche parte della Regione Alpina Europea regolamentata dalla Convenzione delle Alpi[11] (il che palesava una ulteriore circostanza che la norma regionale non aveva considerato).

A voler seguire l’approccio della Regione, secondo cui l’altimetria di circa 600 m. s.l.m. massima del Comune di Rivoli non sarebbe stata idonea a mantenerlo in zona alpina (ma il criterio era applicabile in senso generale e dunque trascendeva il caso concreto), non si sarebbe potuto spiegare come mai, ad es. comuni veneti come Ponte nelle Alpi (397 m. s.l.m.) o Longarone (473 m. s.l.m.) fossero rientranti nella medesima zona alpina. Ecco che il criterio dell’altimetria appare quanto meno insufficiente a definire una ZFA, e dunque impropriamente richiamato e comunque assente nella previsione normativa statale che non può essere integrata in pejus da una previsione di legge regionale.

4.2. La Corte (p. 15), ha quindi dichiarato assorbite le questioni sollevate dal TAR Veneto in riferimento agli artt. 24, 25, 100, 103, 111, primo comma, 113 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, mentre ha dichiarato fondata la questione inerente all’esclusione del territorio del Comune dalla ZFA, affermando che “ai sensi dell’art. 11, comma 1, L. n. 157 del 1992, la ZFA è individuabile nella consistente presenza della tipica flora e fauna alpina. Il legislatore statale, che ha dettato standard minimi e uniformi di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, non ha, quindi, fatto riferimento a dati puramente morfologici, né ha ritenuto il fattore altimetrico un criterio prioritario per individuare la ZFA” (p. 16); in altre parole in detta disposizione non si individua alcun criterio altimetrico per definire una zona alpina.

La scelta fatta propria dalla Regione di affidarsi unicamente al dato altimetrico, senza valutare l’effettiva presenza di flora e fauna alpina, comporta quindi inevitabilmente – afferma la Corte – un abbassamento degli standard minimi di protezione, in contrasto con l’art. 11, comma 1, L. n. 157 del 1992 e, per esso, con l’art. 117, c. 2, lett s) Cost. da qui la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1 L. R. Veneto n. 2 del 2022, per violazione dell’art. 117, c. 2, lett. s) Cost., ritenendo assorbite le ulteriori questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, 97 e 123 Cost.

5. Un pronunciamento chiaro ed univoco, quello della Corte sovrana che -specie per la montagna alpina- appare significativa. Una pronuncia condivisibile, tanto è vero che sollecitamente e nelle more della redazione di questo contributo, dopo la sua pubblicazione, il Consiglio Regionale del Veneto ha provveduto a licenziare, il 26 luglio 2023, la proposta di deliberazione amministrativa n. 66 relativa al “Piano faunistico-venatorio regionale 2022-2027. Esecuzione della Sentenza della Corte costituzionale. Art.8, comma 2, L.R. n. 50/1993”, dove si dà specificamente atto che i PFVR, ivi compreso il Piano 2022-2027, debbono essere approvati con una deliberazione amministrativa anziché legislativa; nel dettaglio, poi l’atto[12] sembra aver rimodulato la ZFA riportando il territorio del Comune di Rivoli Veronese all’interno della stessa, dando così piena esecuzione alla sentenza in commento. Tale provvedimento ha costituito la proposta da sottoporre al Consiglio Regionale, il quale, dalle informazioni pubblicamente disponibili[13], lo ha approvato (ex art. 8.2, L.R. n. 50/1993) senza emendamenti in data 1° agosto 2023.

Sentenza n. 148/2023

Guglielmo Gattamelata, Valentina Scappini

 

[1] In particolare, la Legge 11/02/1992, n. 157 recante Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio all’art. 11 individua il territorio delle Alpi nella “consistente presenza della tipica flora e fauna alpina”, considerandolo zona faunistica a sé stante.

[2] Che la programmazione del territorio, ivi inclusa la programmazione della caccia, sia una materia naturaliter amministrativa, è assunto pacifico nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, come ribadito nella motivazione della sentenza in commento (su cui v. infra). Si veda, ad esempio, Corte Cost., n. 20 del 2012, sull’incostituzionalità dell’approvazione mediante legge dei calendari venatori (pronuncia confermata da Corte Cost., n. 105 del 2012; Corte Cost., n. 116 del 2012; Corte Cost., n. 209 del 2014; Corte Cost., n. 258 del 2019). Inoltre, proprio in relazione al PFVR, la Corte Costituzionale ha confermato che il legislatore statale ha imposto una riserva di approvazione mediante atto amministrativo (Corte Cost., n. 174 del 2017; Corte Cost., n. 139 del 2017).

[3] Cfr. nota n. 1.

[4] Cfr. art. 11, l. n. 157/1992, anche per come interpretata dalla L.R. n. 50/1993, art. 23.

[5] Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, si definiscono leggi provvedimento “le leggi che «contengono disposizioni dirette a destinatari determinati» (sentenze n. 154 del 2013, n. 137 del 2009 e n. 2 del 1997), ovvero «incidono su un numero determinato e limitato di destinatari» (sentenza n. 94 del 2009), che hanno «contenuto particolare e concreto» (sentenze n. 20 del 2012, n. 270 del 2010, n. 137 del 2009, n. 241 del 2008, n. 267 del 2007 e n. 2 del 1997), «anche in quanto ispirate da particolari esigenze» (sentenze n. 270 del 2010 e n. 429 del 2009), e che comportano l’attrazione alla sfera legislativa «della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all’autorità amministrativa» (sentenze n. 94 del 2009 e n. 241 del 2008)” (così Corte cost., sentenza n. 275 del 2013; cfr. anche, Corte Cost., n. 64 del 2014). In assenza nell’ordinamento attuale di una ‘riserva di amministrazione’ opponibile al legislatore “non può ritenersi preclusa alla legge ordinaria la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidate all’azione amministrativa” (Corte cost., sentenza n. 62 del 1993; nello stesso senso Corte cost., sentenza n. 231 del 2014), per cui le leggi -provvedimento non sono di per sé incompatibili con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione (Corte cost., sentenza n. 85 del 2013 e, da ultimo, nn. 181 del 2019 e 116 del 2020).

[6] Come per di più costituzionalizzato nel 2022. Infatti, con la Legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, all’articolo 9 Costituzione è stato aggiunto il seguente comma: «Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».

[7] La materia della caccia, secondo la costante giurisprudenza della Corte, «rientra nella potestà legislativa residuale delle Regioni, tenute nondimeno a rispettare i criteri fissati dalla legge n. 157 del 1992, a salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema. Tale legge stabilisce il punto di equilibrio tra “il primario obiettivo dell’adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale” e “l’interesse […] all’esercizio dell’attività venatoria” (sentenza n. 4 del 2000); conseguentemente, i livelli di tutela da questa fissati non sono derogabili in peius dalla legislazione regionale (da ultimo, sentenze n. 139 e n. 74 del 2017). L’art. 12 della legge n. 157 del 1992 dispone che la caccia può essere praticata in via esclusiva in una delle forme dalla stessa previste, al fine di preservare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. In considerazione di tale ratio della norma statale, la legge regionale può intervenire su detto profilo della disciplina esclusivamente innalzando il livello della tutela (sentenze n. 139 del 2017 e n. 278 del 2012)» Sul punto, si veda la sent. n. 174 del 2017).

[8] Nel vagliare la legittimità delle leggi regionali che avevano provveduto in luogo dell’amministrazione la Corte, nel sanzionare l’intervento legislativo regionale, non si è limitata a prendere atto del contrasto con il principio fondamentale formulato dalla legge statale, ma ha anche valorizzato il ruolo svolto dal procedimento amministrativo nell’amministrazione partecipativa disegnata dalla L. 241/1990. Il portato delle numerose pronunce in materia è stato di recente puntualizzato nel senso che il procedimento amministrativo costituisce il luogo elettivo di composizione degli interessi, in quanto «[è] nella sede procedimentale […] che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 […]: efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l’imparzialità della scelta, alla stregua dell’art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.» (Corte cost., sentenza n. 69 del 2018).

Inoltre, secondo la più recente sentenza n. 116/2020, la valorizzazione delle modalità dell’azione amministrativa e dei suoi pregi non può rimanere confinata nella sfera dei dati di fatto, ma deve poter emergere a livello giuridico-formale, quale limite intrinseco alla scelta legislativa, pur senza mettere in discussione il tema della “riserva di amministrazione” nel nostro ordinamento. In effetti, se la materia, per la stessa conformazione che il legislatore le ha dato, si presenta con caratteristiche tali da enfatizzare il rispetto di regole che trovano la loro naturale applicazione nel procedimento amministrativo, ciò deve essere tenuto in conto nel vagliare sotto il profilo della ragionevolezza la successiva scelta legislativa, pur tipicamente discrezionale, di un intervento normativo diretto.

[9] Precedenti richiamati dalla stessa sentenza in commento: sentenza n. 20 del 2012; nello stesso senso, più di recente, cfr. sentenze n. 178 del 2020 e n. 258 del 2019.

[10] Si veda la nota n. 2.

[11] Comprendente 8 Paesi europei ed approvata il 7 novembre 1991 a Salisburgo.

[12] Si veda in particolare l’allegato B, pag. 19/20.

[13] Si veda sul punto il comunicato stampa del 1° agosto 2023 presente sul sito del Consiglio Regionale del Veneto. Alla data di redazione del presente contributo, non risulta ancora pubblicato il provvedimento così come definitivamente approvato.

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