Sommario: 1. Destinazioni d’uso; 2. Opere di urbanizzazione; 3. Recupero dei sottotetti; 4. Edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica.
1. Destinazioni d’uso.
Prima di entrare nel merito degli argomenti da trattare, merita precisare che la relazione seguirà un ordine tematico, analizzando gli argomenti indicati in sommario alla luce sia delle interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali, sia dei contenuti della Circolare n. 1/2021, che è stata l’occasione dell’approfondimento.
L’art. 3, comma 1, della L.R. n. 14/2019 detta le condizioni, per poter usufruire delle premialità volumetriche, previste dai successivi articoli 6 e 7, i quali si applicano agli edifici con qualsiasi destinazione d’uso negli ambiti di urbanizzazione consolidata, nonché nelle zone agricole, nei limiti e colle modalità stabilite dal successivo articolo 8.
Ora, va da subito chiarito che – in linea generale – i benefici volumetrici di Veneto 2050 si applicano agli edifici ubicati entro gli ambiti di urbanizzazione consolidata, come definiti dall’art. 2, comma 1, lett. e), della L.R. n. 14/2017 e come individuati dallo strumento urbanistico comunale, nonché agli edifici in zona agricola, pur se alle condizioni previste dall’art. 8 della L.R. n. 14/2019.
Dopo aver illustrato il primo criterio applicativo di Veneto 2050, di natura eminentemente localizzativa1, merita approfondire il significato della locuzione “con qualsiasi destinazione d’uso”, riferita ai medesimi edifici, che possono usufruire dei benefici di cui agli articoli 6 e 7 della L.R. n. 14/2019.
Orbene, l’art. 3, comma 1, della L.R. n. 14/2019 appare riferibile alla destinazione d’uso dell’edificio2, non già alla destinazione d’uso dell’area (quindi alla destinazione urbanistica). In particolare, la destinazione d’uso dell’edificio è riferita – in una dimensione propriamente edilizia – all’art. 23 ter del D.P.R. n. 380/2001 (secondo le categorie: residenziale, produttiva e direzionale, turistico-ricettiva, commerciale e rurale), invece la destinazione d’uso dell’area – in una dimensione propriamente urbanistica – all’art. 2 del D.M. n. 1444/1968 (secondo le seguenti tipizzazioni: A (agglomerati urbani, che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale), B (parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A), C (le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi), D (le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati); E (le parti di territorio destinate ad usi agricoli), F (le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale).
La distinzione è importante, perché – a titolo esemplificativo – l’edificio avente destinazione d’uso produttiva, ma sito in zona territoriale omogenea residenziale, non può essere ampliato, ai sensi dell’art. 6 di Veneto 2050, o ricostruito ai sensi dell’art. 7.
L’art. 3, comma 1, della L.R. n. 14/2019 è disposizione che va necessariamente coordinata con altre norme della stessa fonte, che limitano il perimetro applicativo del Piano casa, in particolare: con l’art. 3, comma 4, lett. c); con l’art. 6, comma 2, con l’art. 7, comma 7 e con l’art. 8.
1.2. Non è scontato che un edificio con destinazione d’uso commerciale, ancorché sito in ambito di urbanizzazione consolidata a destinazione commerciale, possa fruire senz’altro degli incrementi volumetrici di Veneto 2050, perché l’art. 3, comma 4, lett. c), della L.R. n. 14/2019 richiama il necessario rispetto della L.R. n. 50/2012, norma che non può essere elusa o derogata, ma che, al contrario, è da considerarsi – sul piano della gerarchia delle fonti – speciale rispetto al Piano casa.
L’art. 3, comma 4, lett. c), invero, non introduce un divieto assoluto di spendere la premialità di Veneto 2050 in riferimento agli edifici commerciali, ma un divieto relativo, impedendo gli interventi in contrasto con la L.R. n. 50/2012, non già altri interventi rispettosi della disciplina da ultimo indicata o altri tipi di interventi, ad esempio quelli volti all’ampliamento del magazzino o di parti dell’edificio non riservate alla vendita al pubblico3.
1.2. L’art. 6, comma 2, dipoi, non consente tutti gli interventi edilizi di ampliamento, ma li condiziona al fatto che tanto l’edificio, quanto l’ampliamento insistano in zona territoriale omogenea propria, a prescindere dalla destinazione d’uso dell’edificio stesso.
Merita, quindi, una riflessione proprio sul concetto di zona territoriale omogenea “propria”, per comprenderne a fondo il significato, posto che da esso dipende in concreto l’applicabilità o meno degli ampliamenti, ai sensi dell’art. 6 di Veneto 2050.
Sul concetto di zona “propria”, era già intervenuta la Circolare regionale n. 1/2014 (riferita alla L.R. n. 14/2009 e successive modifiche ed integrazioni) ed è nuovamente intervenuta la Circolare n. 1/2021, per ricordare – in continuità con la precedente – che la zona è da dirsi urbanisticamente “propria” quando appartiene alla specifica tipologia riconducibile all’art. 2 del D.M. n. 1444/1968; di talché, a mo’ d’esempio, un edificio residenziale, sito in zona residenziale, ben potrà fruire dell’ampliamento, ai sensi dell’art. 6 della L.R. n. 14/2019, nel caso di zona residenziale di completamento, come d’espansione. Al contrario, se l’edificio a destinazione produttiva insiste in zona residenziale, esso non potrà essere ampliato, ai sensi dell’art. 6 di Veneto 2050.
La prospettiva non muta in caso di destinazioni urbanistiche di tipo misto, ad esempio residenziale e direzionale, per le quali sono da ritenersi ammissibili gli ampliamenti tanto degli edifici residenziali, quanto degli edifici direzionali, anche oltre alle percentuali rispettivamente ammesse; sempre che non vigano specifiche limitazioni imposte dal piano: ad esempio una prescrizione speciale circa un rapporto predeterminato e vincolato tra volume assentibile con destinazione residenziale e volume assentibile con destinazione direzionale. Rapporto che dev’essere mantenuto.
Va anche ricordato come l’art. 6, comma 2, della L.R. n. 14/2019 sia stato modificato dall’art. 16 della L.R. n. 29/2019, che ha introdotto un ulteriore limite all’applicazione dell’ampliamento secondo Veneto 2050. In particolare, nel caso in cui la destinazione d’uso sia definita in modo specifico dallo strumento urbanistico (l’esempio ricorrente va al vincolo alberghiero4), la parte ampliata dovrà necessariamente mantenere la medesima destinazione d’uso.
Il limite, testé ricordato, ha da essere inteso in senso tipico, presupponendo una specifica destinazione d’uso impressa dal piano, ad esempio, una specifica schedatura dell’edificio.
1.3. Anche gli interventi di riqualificazione, di cui all’art. 7 di Veneto 2050, che consentono la demolizione e ricostruzione dell’edificio con acclusi i relativi benefici volumetrici, sono consentiti, purché gli edifici siano localizzati in zona territoriale omogenea propria, secondo quanto dispone l’art. 7, comma 7, della L.R. n. 14/2019.
Pur se la disposizione normativa non sia esplicita nel richiedere il presupposto della zona propria con riferimento tanto all’edificio da demolire, quanto all’edificio da ricostruire (come impone espressamente l’art. 6, comma 2, in riferimento sia all’edificio, sia all’ampliamento), pur tuttavia sembra corretto ritenere che la zona propria costituisca condizione di ammissibilità dell’intervento tanto con riguardo all’edificio da demolire, quanto con riferimento all’edificio da ricostruire. Ciò non solo in base ad un’interpretazione logico-sistematica della norma, ma anche in considerazione di quanto dispone il secondo periodo dell’art. 7, comma 7, laddove consente che, ove l’edificio si trovi in zona impropria, purché diversa dalla zona agricola, il Comune possa autorizzare il cambio di destinazione d’uso per l’edificio ricostruito, a condizione che la nuova destinazione d’uso sia consentita dalla disciplina urbanistica di zona (ossia venga ad essere realizzato in zona propria).
La prospettiva, cui è tesa la disposizione in esame, è quella di consentire proprio la riqualificazione edilizia ed, all’un tempo, urbanistica.
L’esempio tipico è quello dell’attività produttiva in zona impropria, in ipotesi in zona residenziale. In questo caso l’opificio produttivo non potrà né essere ampliato (ai sensi dell’art. 6 di Veneto 2050), né essere demolito e ricostruito, ottenendo la premialità volumetrica prevista dall’art. 7 della L.R. n. 14/2019; potrà però essere demolito e ricostruito con destinazione residenziale, usufruendo degli anzidetti incentivi volumetrici, a condizione che il Comune consenta il cambio di destinazione d’uso dell’edificio (non dell’area, che è già residenziale) in una dimensione squisitamente edilizia (fermo quanto previsto dall’art. 11, comma 2, della L.R. n. 14/2019). Non è necessaria alcuna variante urbanistica (semmai il nuovo edificio verrà a conformarsi alla destinazione urbanistica in essere), né alcuna deroga urbanistica e non sarà pertanto dovuto alcun contributo straordinario, ai sensi dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), del D.P.R. n. 380/20015. Quanto da ultimo sostenuto vale, a maggior ragione, dopo la modifica introdotta con l’art. 10, comma 1, lett. g), del D.L. n. 76/2020 (convertito in L. n. 120/2020), che ha espunto dall’art. 16, comma 4, lett. d-ter), del D.P.R. n. 380/2001 proprio la locuzione “o con cambio di destinazione d’uso”.
1.4. Da ultimo, sempre nella prospettiva del necessario raccordo tra l’art. 3, comma 1, della L.R. n. 14/2019 ed altre disposizioni della stessa legge, va considerata l’applicabilità degli articoli 6 e 7 di Veneto 2050 in riferimento alla zona agricola.
Ebbene, gli interventi edilizi di ampliamento o di demolizione e ricostruzione, associati ai benefici premiali previsti, possono essere realizzati in zona agricola, con l’esclusione dell’utilizzo del credito edilizio da rinaturalizzazione ed alle condizioni previste dall’art. 8 della L.R. n. 14/2019.
Quindi, solo in ipotesi di: (i) edifici a destinazione residenziale, posto che la legge impone che l’intervento edilizio sia “per la prima casa di abitazione” e per le relative pertinenze6; (ii) interventi di ampliamento in aderenza o sopraelevazione; (iii) interventi edilizi in deroga ai soli parametri edilizi di superficie e volume, fermo, quindi, il rispetto dell’altezza consentita dallo strumento urbanistico. Detti interventi, infine, sono ammissibili anche in assenza del requisito soggettivo di imprenditore agricolo e senza alcuna valutazione di funzionalità dell’intervento rispetto alla coltivazione del fondo, quindi in assenza di qualsivoglia piano aziendale.
A ben vedere, per le zone agricole non vale il limite della zona territoriale omogenea “propria”, posto che gli edifici residenziali – solo essi – possono fruire degli incentivi di cui agli articoli 6 e 7 di Veneto 2050, pur se la destinazione urbanistica dell’ampliamento o dell’edificio ricostruito non sia residenziale, ma agricola; ben inteso, con i limiti anzidetti. Resta fermo il fatto che in zona agricola non possa essere né ampliato, né ricostruito con i benefici di Veneto 2050 un opificio industriale, così come un immobile residenziale, diverso dalla prima casa di abitazione o un annesso rustico. Del pari, non può essere ampliato un corpo edilizio separato, pur se già esistente all’interno del medesimo lotto, né può essere derogata l’altezza prevista dallo strumento urbanistico.
Con riferimento, ancora, alla destinazione d’uso, fermi i limiti anzidetti per la zona agricola, il raccordo tra l’art. 3, comma 1, e l’art. 8 della L.R. n. 14/2019 legittima l’interpretazione, secondo cui gli articoli 6 e 7 di Veneto 2050 possono essere applicati non solo entro gli ambiti di urbanizzazione consolidata, ma anche in zona agricola, che d’ordinario non può rientrare in detti ambiti. È vero che i nuclei insediativi in zona agricola, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e), della L.R. n 14/2017, usualmente tipizzati come zone E4, sono inscrivibili all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata, di talché è da chiedersi se rispetto ad essi valga la disciplina ordinaria degli articoli 6 e 7 o la disciplina speciale dell’art. 8.
Secondo la lettura estensiva della Circolare regionale n. 1/2021, varrebbe la disciplina ordinaria e non si applicherebbe l’art. 8 della L.R. n. 14/2019. Ritengo preferibile, al contrario, accedere ad una diversa interpretazione, secondo cui la zona agricola è astretta alla disciplina speciale dell’art. 8, applicabile anche nei limitati casi in cui la zona agricola si trovi compresa negli ambiti di urbanizzazione consolidata, perché – anche in questo caso – la destinazione urbanistica permane pur sempre quella di zona agricola, non potendosi condividere che “le zone agricole sono quelle non incluse all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata”, secondo quanto sostiene la Circolare n. 1/2021, posto che le zone agricole sono quelle indicate dall’art. 2 del D.M. n. 1444/1968 e tipizzate nello strumento urbanistico.
Del pari, non pare condivisibile la lettura, questa volta restrittiva, della Circolare n. 1/2021, laddove sostiene che, in relazione all’art. 8, la prima casa d’abitazione debba essere tale al momento dell’entrata in vigore della L.R. n. 14/2019, posto che la definizione di prima casa d’abitazione, data dall’art. 2, comma 1, lett. g), di Veneto 2050, si riferisce non solo all’unità immobiliare, in cui l’avente titolo o i suoi familiari già risiedono alla data di entrata in vigore della legge, ma anche l’unità immobiliare, ove essi si obblighino a stabilire la residenza ed a mantenerla per un periodo non inferiore a cinque anni successivi all’agibilità dell’edificio (ampliato o ricostruito).
In difetto di disposizioni speciali per la zona agricola, il riferimento dell’art. 8 alla prima casa d’abitazione deve necessariamente andare all’art. 2, comma 1, lett. g), della L.R. n. 14/2019, di talché deve ritenersi ammissibile l’obbligo di stabilire la residenza e di mantenerla per il periodo minimo previsto, al fine di beneficiare delle premialità di Veneto 2050 anche in zona agricola7. Ma non è necessario che il requisito della prima casa d’abitazione sussista sin dalla data di entrata in vigore della L.R. n. 14/2019.
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2. Opere di urbanizzazione.
Il secondo tema oggetto di approfondimento riguarda l’art. 3, comma 2, della L.R. n. 14/2019 ed il principio, per cui gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 sono subordinati all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria, ovvero al loro adeguamento in ragione del maggior carico urbanistico connesso all’aumento di volume o di superficie.
Il principio ricalca quanto già stabilito dall’art. 9, comma 4, della L.R. n. 14/2009 e s.m.i., con la differenza che nessuna eccezione comporta, nella vigenza di Veneto 2050, la prima casa d’abitazione, in discontinuità rispetto a quanto previsto dalla previgente norma.
L’art. 3, comma 2, prevede l’esistenza e l’adeguatezza delle opere di urbanizzazione primaria, in conformità a quanto disposto dall’art. 12, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, che parimenti si riferisce alle opere d’urbanizzazione primaria.
Un primo chiarimento va dato circa la qualificazione delle opere di urbanizzazione primaria, che sono, da un lato, quelle indicate dall’art. 16, commi 7 e 7-bis, del D.P.R. n. 380/2001, ossia le strade residenziali, gli spazi di sosta o di parcheggio, le fognature, la rete idrica, la rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, la pubblica illuminazione, gli spazi di verde attrezzato, i cavedi multiservizi ed i cavidotti per il passaggio delle reti di telecomunicazione, dall’altro, quelle indicate dall’art. 86, comma 3, del D.Lgs. n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), ossia le infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici e per le opere relative.
Nel corso dell’istruttoria in merito alla SCIA o all’istanza di PdC, pertanto, il Comune non può ignorare il necessario approfondimento in tema di sussistenza e, comunque, di adeguatezza delle opere d’urbanizzazione primaria. Obbligo che, peraltro, incombe in linea generale al Comune in forza dell’art. 12, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001. Obbligo che, in certi casi, investe competenze valutative di altri enti, in particolare nel caso degli impianti a rete (ad esempio, fognature, rete idrica e di distribuzione dell’energia elettrica e del gas). In questi casi, che risultano ricorrenti, l’istruttoria deve essere necessariamente estesa ai gestori dei servizi, di cui trattasi, affinché esprimano il loro parere al riguardo. Sarà, ad esempio, il gestore del servizio idrico a valutare l’idoneità del sistema fognario in ragione dell’incremento del carico insediativo ed in ragione del dimensionamento della condotta fognaria.
V’è da chiedersi, inoltre, se la sussistenza e, comunque, l’adeguatezza possa essere oggetto di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000, resa da parte del progettista, che attesti appunto il fatto a sua conoscenza, ossia la sussistenza e l’adeguatezza delle opere di urbanizzazione primaria. La risposta può essere affermativa, anche se vanno ricordati i profili di responsabilità (penale e civile), che il progettista assume con riferimento alla dichiarazione resa, per il caso in cui venga attestata la sussistenza e l’adeguatezza della fognatura, la quale, invece, all’atto pratico si riveli insufficiente, causando danni e disservizi a terzi.
Mi pare che la sintesi sia comunque quella della necessità delle opere di urbanizzazione primaria e del loro eventuale adeguamento, che può essere senz’altro facilitato ricorrendo i presupposti di cui all’art. 11, comma 2, della L.R. n. 14/2019, ossia per gli interventi di realizzazione di edifici con volumetria superiore a 2.000 mc. o con altezza superiore al 50% rispetto all’edificio oggetto d’intervento, posto che in tali casi è necessaria la convenzione, ai sensi dell’art. 28 bis del D.P.R. n. 380/2001, previo imprimatur del Consiglio comunale; ossia è necessario l’incontro delle volontà delle parti in un atto necessariamente a forma scritta, nel quale andrà disciplinato anche l’eventuale adeguamento delle opere di urbanizzazione primaria.
Ma il medesimo principio opera anche per gli interventi puntuali di ampliamento o di ricostruzione, per così dire, sotto soglia, ossia al di sotto dei parametri di cui all’art. 11, comma 2, di Veneto 2050, dovendo l’ufficio competente curare, comunque, l’accertamento della sussistenza e dell’adeguatezza delle opere di urbanizzazione primaria nell’ambito del procedimento seguente alla presentazione della SCIA o dell’istanza di PdC, senza avere però il “filtro” della deliberazione consiliare e della convenzione.
In assenza di opere di urbanizzazione primaria o di adeguamento di esse in ragione dell’aumentato carico urbanistico, non può essere autorizzato l’intervento, non potendosi applicare né l’art. 6, né l’art. 7. Ove, invece, si riesca ad adeguare le opere di urbanizzazione primaria, l’intervento può essere assentito.
Detto così, sembra tutto semplice, ma non lo è. Perché si tenta di conciliare la deroga urbanistica con la garanzia delle dotazioni infrastrutturali, che è come dire conciliare la pianificazione urbanistica (volta a garantire anche la sostenibilità dei volumi edificabili rispetto alle dotazioni infrastrutturali idonee a supportare il relativo carico) con la sua deroga, che, per definizione, prescinde dalla pianificazione.
La sfida è comprendere se la conciliazione, tra pianificazione e sua deroga, cui tende l’art. 3, comma 2, di Veneto 2050, sia in concreto perseguibile.
Va chiarito in via preliminare che lo standard relativo all’urbanizzazione primaria, cui riferirsi, sembra essere lo standard minimo ex lege stabilito dal D.M. n. 1444/1968 e dall’art. 41-quinquies della L. n. 1150/1942 (Cons. St., sez. IV, n. 4276/2007; Cons. St., sez. V, n. 2562/2000; TAR Veneto, sez. II, n. 234/2012; Cass. Pen., sez. III, n. 38795/2015), non lo standard di piano, che potrebbe essere eccedente rispetto ai minimi.
Occorre valutare caso per caso, partendo dal principio, in base al quale ogni intervento ampliativo presuppone la verifica – e l’eventuale adeguamento – delle opere urbanizzazione (primaria), di modo che all’aumento del carico urbanistico corrisponda un coerente adeguamento delle infrastrutture d’urbanizzazione primaria, idoneo ad assorbire il maggior peso insediativo sull’area8.
Può essere che la dotazione in termini di opere di urbanizzazione primaria di una lottizzazione già completata eccedesse – per comune volontà delle parti stipulanti la convenzione urbanistica9 – la quota stabilita dallo strumento urbanistico generale, o che, in ipotesi di intervento edilizio diretto, lo standard previsto dallo strumento urbanistico generale fosse superiore a quanto stabilito dal D.M. n. 1444/1968 e dall’art. 41-quinquies della L. n. 1150/1942.
Nel primo caso, ove anche la quota eccedente potesse coprire il carico insediativo ulteriore derivante da Veneto 2050, senza necessità di adeguamento alcuno, ciò varrebbe sotto il profilo meramente urbanistico, ma non sarebbe fatto di per sé idoneo a modificare la volontà contrattuale, attestata sulla pristina misura urbanizzativa. Se si aumentasse il volume, senza aumentare la dotazione urbanizzativa, si altererebbe il sinallagma contrattuale, il che certo non potrebbe avvenire in via unilaterale. Dal punto di vista strettamente urbanistico il problema non si porrebbe, ma si porrebbe un duplice problema in senso lato civilistico: da un lato, nei rapporti tra le parti della convenzione urbanistica, come visto; dall’altro, nei rapporti tra i proprietari dell’ambito, posto che l’intervento ampliativo di uno di essi potrebbe drenare lo standard in eccedenza a detrimento degli altri, di talché si porrebbe il tema dell’assentibilità dell’intervento senza l’altrui consenso.
Nel caso dell’intervento edilizio diretto si porrebbero parimenti i problemi in senso lato civilistici, posto che l’adeguamento delle opere di urbanizzazione andrebbe ad interessare aree altrui (donde il problema della legittimazione attiva all’intervento) e non sarebbe agevole adeguare le opere di urbanizzazione.
Inoltre, la felice contingenza di uno standard primario eccedente rappresenta comunque l’eccezione alla regola, che vede solitamente il rispetto dello standard minimo. Nel caso di rispetto dello standard minimo, a fronte di interventi ampliativi può rivelarsi arduo adeguare le opere di urbanizzazione primaria, per il fatto che, verosimilmente, mancherebbe lo spazio disponibile.
Il che rende assai difficile l’adeguamento in via ordinaria, ossia mediante la realizzazione delle opere di adeguamento a carico del titolare del permesso o del segnalante, salvo il ricorso alla monetizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, prevista in termini generali – invero rispetto agli strumenti urbanistici attuativi – sia dall’art. 28 della L. n. 1150/1942, sia dall’art. 32 della L.R. n. 11/2004.
A ben vedere, neppure la monetizzazione può essere decisiva, seppure espressamente prevista dall’art. 11, comma 5, della L.R. n. 14/2019, che non riguarda i piani attuativi, ma, una modalità generale di adeguamento delle dotazioni territoriali, per così dire, alternativa.
La norma citata prevede che gli strumenti urbanistici comunali possano individuare gli ambiti di urbanizzazione consolidata, nei quali gli interventi di riqualificazione di cui all’art. 7 (ma non gli ampliamenti di cui all’art. 6) consentano la cessione di aree a standard inferiori ai minimi previsti dagli articoli 2, 4 e 5 del D.M. n. 1444/1968, qualora sia dimostrato che il fabbisogno delle aree possa essere soddisfatto da idonee dotazioni territoriali in aree contermini o in aree facilmente accessibili (con percorsi ciclopedonali protetti o con il trasporto pubblico). In tal caso le aree in parola possono essere oggetto di monetizzazione.
Tale forma di adeguamento alternativo sconta, però, alcuni limiti.
Innanzitutto, esso dev’essere espressamente previsto dallo strumento urbanistico; in difetto, non può essere applicato, donde è l’Amministrazione, in concreto, a decidere se dare attuazione o no alla norma. Inoltre, è applicabile solo alle fattispecie di cui all’art. 7, ma non a quelle di cui all’art. 6 di Veneto 2050.
Dal canto suo, la Circolare regionale n. 1/2021 non offre spunti risolutivi, limitandosi a ricordare che l’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria va intesa come loro adeguatezza rispetto ai bisogni collettivi e che la valutazione d’adeguatezza dev’essere effettuata in relazione allo standard minimo al momento della presentazione dell’istanza o della segnalazione.
Sembra chiarire, quanto meno indirettamente, per il tramite del rinvio alla giurisprudenza citata (TAR Veneto, sez. II, n. 234/2012; Cass. Pen., sez. III, n. 38795/2015), che l’eventuale adeguamento debba riferirsi allo standard minimo ex lege.
Restano però i ricordati problemi concreti, che appaiono oggettivi e che sovente non vengono affrontati o che vengono celati dietro a dichiarazioni d’adeguatezza delle opere di urbanizzazione primaria, che spostano le responsabilità, ma che non risolvono i problemi.
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3. Recupero dei sottotetti.
Il terzo tema oggetto di approfondimento riguarda la possibilità di recuperare i sottotetti esistenti (alla data di entrata in vigore di Veneto 2050), posto che il recupero in parola è espressamente previsto e disciplinato dall’art. 6, comma 7, della L.R. n. 14/2019, ricorrendo tre condizioni: (i) la preesistenza del sottotetto, come visto; (ii) l’insussistenza di contenziosi in qualsiasi stato e grado del procedimento (sembra dedursi – dall’espressa previsione circa il contenzioso “in qualsiasi stato e grado del procedimento” – che occorra l’incardinamento di un procedimento di natura giurisdizionale, non essendo sufficiente ad escludere l’applicabilità di Veneto 2050 la sussistenza di una mera controversi stragiudiziale); (iii) il rispetto dei requisiti tecnici di cui all’art. 2, comma 1, lettere a) e b), della L.R. n. 51/2019.
Per il vero, il recupero dei sottotetti – esistenti alla data del 6 aprile 2019 – può avvenire anche tramite la L.R. n. 51/2019, che ha recentemente superato indenne, nella sostanza, il vaglio di legittimità costituzionale (Corte Cost., 31 marzo 2021, n. 54), eccezion fatta per il titolo richiesto, di talché non è sufficiente una SCIA ordinaria, ma una SCIA alternativa al permesso di costruire, ferma restando la possibilità di richiedere ed ottenere il permesso di costruire.
Tra le due tipologie di recupero dei sottotetti esistenti, l’una in base all’art. 6, comma 7, di Veneto 2050, l’altra in base alla L.R. n. 51/2019 vi sono delle differenze sostanziali, sulle quali non mi soffermo10, limitandomi in questa sede ad affrontare, in particolare, un problema, che si è recentemente posto, con riferimento alla possibilità di applicare l’art. 6, comma 7, ad un sottotetto esistente, autorizzato come superficie praticabile nell’ambito di un piano attuativo di edilizia residenziale convenzionata, in attuazione alla L. n. 457/1978.
L’art. 16 di detta norma, che, all’interno del Titolo III (recante: “Norme per il credito fondiario”), disciplina i mutui agevolati, stabilisce, al comma 3, che la superficie massima delle nuove abitazioni, misurata al netto dei muri perimetrali e di quelli interni, non può superare 95 mq. (oltre a 18 mq. per autorimessa o posto auto), pena la decadenza dei benefici previsti.
In prima battuta, va compreso se il piano attuativo e, soprattutto, la relativa convenzione abbiano esaurito i propri effetti, avendo l’uno e l’altra durata temporalmente limitata.
In seconda battuta, ove la convenzione (di norma contenente obblighi e vincoli aventi durata superiore rispetto alla vita del piano attuativo) fosse ancora efficace, va analizzato se nel caso di specie fosse stato ottenuto il mutuo agevolato o no, presupposto esso d’operatività del limite massimo di superficie; nel caso non fosse stato ottenuto il beneficio anzi detto (mutuo agevolato), il limite non potrebbe porsi; nel caso in cui, al contrario, il beneficio in parola fosse stato ottenuto, il superamento della metratura massima non sarebbe vietato dal punto di vista edilizio, ma comporterebbe la decadenza del beneficio, non già il diniego della richiesta del recupero del sottotetto esistente, ai sensi dell’art. 6, comma 7, L.R. n. 14/2019.
La norma in esame, infatti, non prevede alcun divieto di superare i 95 mq. dal punto di vista edilizio, la conseguenza del superamento non costituendo alcun abuso edilizio, ma dando luogo alla decadenza del beneficio economico.
Mutuando lo stesso argomento ermeneutico utilizzato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 54/2021, per “salvare” la L.R. n. 51/2019, l’art. 6, comma 7, della L.R. n. 14/2019, del tutto similmente rispetto alla L.R. n. 51/2019, disciplina una fattispecie affatto specifica, perseguendo interessi ambientali apprezzabili, quali il contenimento del consumo di suolo, la riqualificazione e l’efficientamento energetico e valorizzando superfici già esistenti, che nella maggior parte dei casi permangono pertinenziali rispetto ad unità abitative già esistenti (il che è addirittura obbligatorio in base alla L.R. n. 51/2019, posto che il sottotetto non può costituire un’unità autonoma). Quanto qui ricordato non pare comportare alcuna deroga rispetto all’art. 16 della L. n. 547/1978, norma relativa alle sole agevolazioni di tipo finanziario, ma che non contiene alcun divieto edilizio circa il superamento del limite di 95 mq. di superficie.
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4. Edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica.
Il quarto tema oggetto di approfondimento riguarda gli edifici siti su aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica11.
Anche rispetto a questo argomento è necessaria una premessa di coordinamento tra l’art. 3, comma 4, lett. g), di Veneto 2050, che vieta l’applicazione degli articoli 6 e 7 rispetto ad edifici ricadenti in aree dichiarate da Piani stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata e l’art. 9 della L.R. n. 14/2019. La norma da ultimo citata, da un lato, consente l’applicazione di Veneto 2050 agli edifici siti in aree dichiarate di moderata o media pericolosità idraulica o idrogeologica (rispettivamente, P1 e P2), dall’altro, consente che gli edifici siti in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata (P3), pur non potendo fruire delle premialità di cui agli articoli 6 e 7 della L.R. n. 14/2019, possano però essere demoliti e ricostruiti: (i) in zona territoriale omogenea propria non dichiarata di pericolosità idraulica o idrogeologica (qualsiasi essa sia, ovvero anche moderata e media, è da ritenersi); (ii) in zona ad hoc individuata dal Consiglio comunale; (iii) anche in deroga ai parametri dello strumento urbanistico comunale (tutti, è da intendersi, ferma la destinazione urbanistica propria); (iv) con incrementi possibili fino al 100% del volume o della superficie.
Solo con riferimento agli edifici a destinazione residenziale, la ricostruzione è consentita anche in zona agricola, a condizione che: (i) la zona sia caratterizzata dalla presenza di un edificato già consolidato; (ii) la zona non sia soggetta a specifiche norme di tutela dello strumento urbanistico, che ne impediscano l’edificazione.
Per ogni tipo di edificio, che benefici della rilocalizzazione, valgono le seguenti prescrizioni: (a) l’edificio da trasferire va demolito entro tre mesi dall’agibilità dell’edificio ricostruito; (b) alla demolizione dev’essere associata la rinaturalizzazione del suolo, come definita dall’art. 2, comma 1, lett. c), della L.R. n. 14/2019, che a sua volta mutua la definizione data dall’art. 2, comma 1, lett. a), della L.R. n. 14/2017; (c) va prestata idonea garanzia per l’esecuzione degli interventi di demolizione e rinaturalizzazione, escutibile ove il beneficiario del titolo edilizio non provveda entro i termini indicati dalla legge. In caso di mancata rinaturalizzazione, l’intervento edilizio è da considerarsi abusivo, con la conseguente applicazione dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001.
Rispetto alla norma previgente, l’attuale consente la delocalizzazione solo con riferimento agli edifici in aree P4 o P3, così tipizzate in base ai Piani dell’Autorità di Bacino, non ad altri piani urbanistici (PTRC, PTCP, PAT), di talché non sembra applicabile in ipotesi di vincoli posti da Piani diversi da quelli assunti dall’Autorità di Bacino. Non vedo diverse interpretazioni, anche se ritengo che vi possano essere casi di aree a rischio, che sfuggono all’Autorità di Bacino, ma non – ad esempio – al Comune, che le riconosce e le disciplina. Non si comprende perché in tal caso non possa valere la disposizione di cui all’art. 9 di Veneto 2050.
La circolare non pare risolvere alcuni dei dubbi interpretativi posti dalla norma in esame, cui cercherò di dare risposta.
Il primo dubbio attiene alla necessaria individuazione dell’area d’atterraggio da parte del Consiglio comunale; il secondo attiene alla necessità di delibera consiliare rispetto al secondo comma; il terzo alla nozione di “edificato già consolidato”.
Con riferimento alla necessità della deliberazione di Consiglio comunale, essa ha l’evidente finalità di indicare in via generale le zone territoriali proprie, che possono ospitare gli atterraggi dei volumi provenienti dalle aree P4 o P3, ma non ha contenuto pianificatorio, né di variante, perché l’area d’atterraggio deve già essere propria. Sembra corretto ritenere che si tratti di una deliberazione consiliare unica, a valenza certamente urbanistica, ma non qualificabile come variante di piano. I parametri urbanistici del piano, per il vero, sono sì oggetto di deroga, ma in forza dell’art. 9 della L.R. n. 14/2019, non in forza della deliberazione consiliare in argomento.
Ad esempio, nel caso di un edificio produttivo, esso potrà essere rilocalizzato solo in zona produttiva indicata dal Consiglio comunale, ottenendo l’incremento volumetrico fino al 100%, di talché il legislatore presume che i costi di trasferimento possano essere quanto meno compensati dall’incremento volumetrico, la cui misura sarà parimenti fissata dal Consiglio comunale nella deliberazione in parola.
Nessun riferimento è fatto all’adeguamento delle opere di urbanizzazione primaria, posto che l’art. 3, comma 2, di Veneto 2050 è riferito solo agli interventi di cui agli articoli 6 e 7, ma non all’art. 9, anche se il principio di sussistenza e comunque d’adeguatezza delle opere di urbanizzazione primaria è principio assolutamente generale, previsto dall’art. 12, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, quindi applicabile anche all’art. 9 di Veneto 2050.
Il secondo dubbio emerge dalla lettura dell’art. 9, comma 2, della L.R. n. 14/2019, che consente, solo per gli edifici residenziali in area P4 o P3, la ricostruzione anche in zona agricola, ma nessun cenno viene fatto circa la necessità di una deliberazione di Consiglio comunale; mentre la zona agricola idonea all’atterraggio viene espressamente qualificata come “caratterizzata dalla presenza di un edificato già consolidato”, locuzione che si presta a dubbi interpretativi. Non pare che l’“edificato già consolidato” coincida con i nuclei insediativi in zona agricola, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e), della L.R. n. 14/2017, troppo restrittiva parendo questa prospettazione; è forse condivisibile l’interpretazione in base alla quale la zona agricola d’atterraggio debba contemplare un preesistente edificato significativo, per certo insussistente nel caso di zona agricola priva di edifici o con edifici sparsi a grande distanza l’uno dall’altro.
È evidente, comunque, la difficoltà definitoria della nozione di “edificato già consolidato”, rispetto alla quale non soccorre l’art. 2 di Veneto 2050; ma la carenza di una precisa nozione di “edificato già consolidato”, unitamente ad un’uniformità interpretativa del primo e del secondo comma dell’art. 9 inducono a ritenere che la deliberazione di Consiglio comunale sia necessaria anche nel caso dell’indicazione degli ambiti idonei per gli atterraggi degli edifici residenziali, i cui volumi provengano dalle aree P4 o P3, proprio per definire ed individuare gli edificati consolidati, sì da rendere concretamente possibile la rilocalizzazione in parola, risolvendo in tal modo anche il terzo dubbio. Al pari di quanto sopra ricordato, la deliberazione consiliare non costituirà variante urbanistica, posto che la conformità con la zona agricola è data direttamente dalla legge, la deliberazione consiliare limitandosi a definire ed individuare quali zone agricole siano caratterizzate dalla presenza di un edificato consolidato.
Alessandro Veronese