Questa relazione si pone lo scopo quello di fare sinteticamente il punto in materia di v.a.s. e urbanistica qui in Veneto.
Ponendo le basi, occorre considerare le fonti e le regole di produzione normativa.
Prima di tutto, la regina, ossia la direttiva 2001/42/CE e, poi, gli artt. 6 e ss. d.lgs. n. 152/2006 (ossia il t.u. ambiente).
Mi sembra doveroso, perché propedeutico all’analisi che seguirà, specificare che sotto il profilo di diritto nazionale e, specificamente, di riparto della competenza legislativa, l’ambiente è ritenuta materia c.d. “trasversale”: questo cosa significa?
L’ambiente è materia trasversale perché, ex art. 117, comma 2, Cost., la competenza legislativa statale è esclusiva sulla sua «tutela», mentre, ex art. 117, comma 3, la competenza legislativa è concorrente sulla sua «valorizzazione». Inoltre, la tutela ambientale spesso “intercetta” (secondo la formula lessicale impiegata da Corte cost.) materie che possono essere oggetto di competenza concorrente, ma ancora più spesso residuale (di cui al comma 4) delle regioni.
Pertanto, forse svilendo la complessità della questione interpretativa sottesa – che possiamo ricondurre alla lettura inaugurata dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 12/2009, l’unitarietà di disciplina in punto di tutela del bene ambiente (di competenza statale) irreggimenta i settori di disciplina dove c’è competenza concorrente o residuale; ma ciò non esclude che le Regioni possano stabilire disposizioni di tutela più rigorose incrementando il livello di tutela (fenomeno denominato quale “derogabilità in melius”). E questo è del resto positivizzato dall’art. 3-quinquies, comma 2, t.u.
L’obiettivo di disciplina posto dalla direttiva è stabilito all’art. 1, secondo cui essa ha «l’obiettivo di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e di contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, assicurando che [questi piani e programmi siano valutati qualora] possano avere effetti significativi sull’ambiente».
Il legislatore nazionale ha recuperato questa definizione d’obiettivo all’art. 4, comma 3, t.u. Lo stesso art. 4, al successivo comma 4, lett. a), stabilisce che la valutazione ha la funzione di integrare nei piani e programmi considerazioni ambientali con la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente. Perciò, nell’elaborazione del piano/programma, alle diverse discipline “classiche” che, di norma e quale quadro di riferimento, informano il piano/programma stesso, devono aggiungersi considerazioni ambientali e tali considerazioni sono integrate attraverso un modulo valutativo direttamente disciplinato dal diritto nazionale ed europeo, ossia la v.a.s.; è come se si aggiungesse una “matrice” prospettico-analitica diversa, quantunque questo lemma possa risultare fuorviante dato il settore di disciplina.
L’integrazione di saperi diversi rispetto a quello ritenuto stricto sensu “tipico” di uno specifico piano e programma non è però, di per sé, una novità (se si può definire novità dopo quasi un ventennio): pensiamo agli approdi più avanzati dell’urbanistica, senza dubbio attraversati dalla sociologia (che indaga aspetti completamente diversi dalla, e.g., perequazione). Per la v.a.s., però, il fenomeno è diverso, perché si tratta di una valutazione di un piano o programma che si innesta nel procedimento recando contenuti tipizzati e in un modulo procedimentale tipizzato, ossia considerazioni ambientali finalizzate a un elevato livello di protezione ambientale nel contesto del medesimo procedimento di approvazione del piano.
Proprio per questo il parere motivato che conclude la v.a.s è ormai configurato da giurisprudenza e dottrina quale parere endoprocedimentale necessario, che deve indefettibilmente intervenire prima dell’approvazione del piano (incorrendosi, diversamente, nel vizio di violazione di legge ex art. 11, comma 5, t.u.). E non, invece, quale subprocedimento a sé, proprio per l’ineludibile rapporto di compenetrazione/integrazione della v.a.s. nel procedimento di approvazione del piano/programma.
Nel medesimo senso mi sembrano deporre le sentenze (rarefatte e, a mio personale avviso, poco incisive) che si sono occupate di v.a.s. “postuma” o “in sanatoria”, escludendone l’esperibilità (benché vi sia almeno una pronuncia che non la esclude: T.a.r. Lombardia, Milano, Sez. V, n. 1319/2018): non ci si pronuncia su aspetti diversi, bensì si valuta lo stesso oggetto da due prospettiche distinte e la valutazione ambientale deve informare l’approvazione del piano e, pertanto, non la può strutturalmente seguire ex post. Si tratta infatti di programmazione e non della realizzazione di un opus (altrimenti detto “progetto”) e, quindi, non di v.i.a.; non si possono, pertanto e a mio sommesso avviso, né trasporre i principi elaborati in via interpretativa dalla Corte di Giustizia nella sentenza 26 luglio 2017 nelle cause C-196 e 197/16, né interpretare analogicamente l’art. 27 t.u. (che ne rappresenta positivizzazione), perché entrambe coordinate normative attinenti specificamente alla v.i.a., quantunque la prossimità nella disciplina dei due istituti (nonché la conformazione del procedimento di v.a.s. a quello, più risalente e collaudato, di v.i.a.) possa risultare decettiva (ed è questo un annoso problema che si spera oggi ormai superato).
Protagonista della v.a.s. è lo “sviluppo sostenibile”: lo vediamo molto rapidamente, anche alla luce delle recenti modifiche agli artt. 9 e 41 Cost., che vi hanno introiettato la tutela dell’ambiente, da un lato, tra le tutele espressamente assicurate dalla Repubblica (unitamente alla biodiversità, agli ecosistemi, includendo nel focus anche le future generazioni) e, dall’altro lato, tra le limitazioni alla generale libertà d’iniziativa economica privata.
Cos’è lo sviluppo sostenibile: è un principio posto dall’art. 3-quater del cod. amb., secondo cui:
_il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non [deve] compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future»; qui c’è il concetto di patto intergenerazionale, recentissimamente introiettato assiologicamente in Costituzione e che è qui un parametro valutativo;
_nelle scelte comparative discrezionalmente connotate (è un’endiadi?) «gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione»; qui assurge a parametro per informare la discrezionalità amministrativa.
Cosa si valuta con la v.a.s.? Piani e programmi. Non affatto, e la distinzione è capitale, progetti, come nel caso della v.i.a.
I piani e i programmi in considerazione sono definiti dall’art. 5, comma 1, lett. e), t.u.: «atti e provvedimenti di pianificazione e programmazione comunque denominati nonché le loro modifiche elaborati o adottati [esiste infatti, accanto alla figura dell’autorità procedente, ossia quella cui spetta l’elaborazione e/o l’approvazione del piano/programma, e a quella dell’autorità competente, ossia quella competente alla valutazione, la figura del proponente, ossia il terzo soggetto che promuove l’approvazione del piano/programma] da un’autorità [in scala sussidiariamente discendente] nazionale, regionale o locale, mediante una procedura legislativa, amministrativa o negoziale, previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative».
Tassonomicamente, poi, abbiamo tre categorie di piani e programmi, rispettivamente assoggettati a valutazione, a “mera” verifica, o esclusi da entrambe.
La prima, ossia piani assoggettati a valutazione tout court, è quella dei piani e programmi:
_ex art. 6, comma 2, t.u., «elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, pesca, energetico, industriale, dei trasporti, gestione rifiuti, acque, telecomunicazioni, turistico, pianificazione territoriale o destinazione dei soli e che definiscono il quadro per approvazione/autorizzazione/localizzazione dei progetti di cui agli allegati II, II-bis, III e IV» del codice (ossia, fondamentalmente, i progetti sottoposti a v.i.a. o verifica di assoggettabilità a v.i.a., statale o regionale). Oppure, quelli che riguardano aree della Rete Natura 2000 ossia le zone di protezione speciale e i siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat.
La seconda, di verifica (intesa quale di assoggettabilità a VAS) è quella di piani e programmi:
_ex art. 6, comma 3, t.u., «che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e programmi» [di cui sopra], oppure, ex art. 6, comma 3-bis, altri piani e programmi che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione di progetti. Per questi – a differenza dei piani e programmi della prima categoria, su cui si svolge la valutazione tout court – si svolge una verifica di assoggettabilità, che è tesa a verificare se il piano o il programma possa avere impatti significativi sull’ambiente. Se li può avere, allora si fa la VAS; se non li ha, non si fa la VAS.
La terza sono i piani esclusi, ex. art. 6, comma 4, categoria affatto residuale: piani di difesa nazionale sommamente urgenti o coperti da segreto di Stato; piani e programmi finanziari o di bilancio: piani di protezione civile; piani di gestione forestale in ambito aziendale o, comunque, locale.
Parallelamente e impregiudicata l’applicazione della disciplina sulla v.i.a., ai sensi dell’art. 6, comma 12, t.u., non è assoggettata a v.a.s. la localizzazione di singole opere sulla scorta di provvedimento autorizzativo che ha ex lege l’effetto di variare i piani e programmi di cui al comma 3.
Ancora, ma uscendo dal t.u. e dalla logica tassonomica sinora affrontata, ai sensi dell’art. 16, comma 12 della legge urbanistica (n. 1150/1942) sono esclusi dalla v.a.s. i piani che sono strumento attuativo «di piani urbanistici già sottoposti a valutazione ambientale strategica» come pure sono esclusi dalla «verifica di assoggettabilità qualora [lo strumento attuativo] non comporti variante e lo strumento sovraordinato in sede di valutazione ambientale strategica definisca l’assetto localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti piani volumetrici, tipologici e costruttivi degli interventi, dettando i limiti e le condizioni di sostenibilità ambientale delle trasformazioni previste [i.e.: sarebbero casi di duplicazione secca, di fatto]. Nei casi in cui lo strumento attuativo di piani urbanistici comporti variante allo strumento sovraordinato, la valutazione ambientale strategica e la verifica di assoggettabilità sono comunque limitate agli aspetti che non sono stati oggetto di valutazione sui piani sovraordinati. I procedimenti amministrativi di valutazione ambientale strategica e di verifica di assoggettabilità sono ricompresi nel procedimento di adozione e di approvazione del piano urbanistico o di loro varianti non rientranti nelle fattispecie di cui al presente comma».
Il tutto è consentito espressamente, a monte, dagli artt. 4, comma 3, e 5, commi 2 e 3, della direttiva 2001/42CE, e a livello nazionale dall’art. 12, comma 6, t.u.: l’ottica, sunteggiando al massimo, è quella di valutare tendenzialmente “tutto”, ma senza evitare sovrapposizioni (recte, «duplicazioni») di valutazioni per identità di oggetto (ossia quanto valutato in praeterito e a livello sovraordinato).
Questo è un versante della questione che occorrerà, per attualità, problematizzare nel seguito di questa relazione.
Ora, precisiamo meglio la finalità della tassonomia appena vista, ossia a cosa servono le prime due categorie, ossia di piani che devono essere sottoposti, rispettivamente, (direttamente) a VAS o a verifica di assoggettabilità.
Sottoposizione a v.a.s. significa che sul piano occorre svolgere la valutazione strategica vera e propria, ossia di sostenibilità ambientale del piano, che si incarna nel procedimento di approvazione del piano, innestandovi le considerazioni di tutela ambientale.
La verifica di assoggettabilità, invece, è un alter che è anche un prius; per i piani della seconda categoria (quella dell’art. 6, comma 3 e 3-bis, ossia, rispettivamente, le modifiche minori e i piani che non rientrano nel perimetro del comma 2) l’autorità procedente non deve sottoporre direttamente a v.a.s. il piano e non è neppure detto che ciò mai accada, anche in seguito. Con lo screening (che è espressione gergale contratta che sta per “verifica di assoggettabilità”) si verifica se questi piani possano avere «impatti significativi sull’ambiente» o meno. Ritengo si possa dire che lo screening consista quindi in una valutazione in un certo qual senso estrinseca del piano, per comprendere se vi sia la potenzialità che esso determini impatti o meno; la verifica non si incentra insomma sull’analisi di tali impatti, che è invece il corpo della v.a.s.
Qualora sia ravvisata questa potenzialità, con il provvedimento di verifica si assoggetta a v.a.s.; diversamente, con tale provvedimento si esclude la v.a.s. (se del caso, una volta con prescrizioni, oggi con raccomandazioni). Dicevo, prescrizioni, ora raccomandazioni: sembrano strutturalmente simili, considerato il complessivo tenore dell’art. 12 t.u., ma oggi le raccomandazioni sono strettamente correlate ai «motivi principali» sottesi al mancato rilievo di potenziali impatti significativi e quindi al mancato assoggettamento a v.a.s. del piano. Ciò potrebbe determinare l’esaurimento di quella giurisprudenza (per vero non folta) che ritiene l’abbondanza di prescrizioni imposte in sede di verifica alla stregua di un indice sintomatico dell’errato approdo dispositivo del provvedimento che ha escluso l’assoggettamento a v.a.s. del piano (T.a.r. Piemonte, Sez. I, n. 53/2021) in virtù di una più stretta correlazione analitica tra specifici motivi e raccomandazioni (ma questa è una mia personale ipotesi).
Dalle coordinate che abbiamo così tracciato, unitamente alle considerazioni in punto di competenza legislativa in esordio, si può comprendere che al legislatore regionale non è in realtà consentito ampliare o, comunque, restringere il perimetro tassonomico dei piani che si possono non assoggettare a v.a.s (o, quantomeno, a verifica di assoggettabilità).
In tema di passati fenomeni normativi di esclusione, da parte delle Regioni, di determinati piani e programmi da v.a.s. è fondamentale Corte cost. n. 58/2013 (idem 197/2014): non si possono sottrarre ipotesi di VAS, ma solo incrementare lo standard di tutela, come sopra detto. Quindi non si poteva escludere la v.a.s. per i p.u.a. su p.r.g. a loro volta illo tempore non assoggettati a v.a.s. (fattispecie cui è riferita la sentenza 58/2013, nello specifico).
In questo quadro, veniamo all’ambito regionale e, prettamente, all’urbanistica veneta: la disposizione di riferimento è l’art. 4 della l.r. n. 11/2004, come modificato dalla l.r. n. 29/2019 (nella formulazione odierna, successiva alla l.r. n. 29/2019).
Prima, c’era un diverso regime recato dalla l.r. n. 4/2008 e da alcune dd.g.r.v. applicative (le più notevoli: n. 1646/2012 e 1717/2013 e rispettivi allegati pareri della Commissione regionale v.a.s.).
Ora tutto ciò, in forza dell’art. 2 della l.r. n. 29/2019, è superato, come testualmente confermato dalla nota esplicativa della Commissione v.a.s. n. 83962 prot. del 21 febbraio 2020, dove si dice proprio che «va da sé che deve considerarsi superata» la disciplina delle anzidette dd.g.r.v.
Cosa ci dice l’art. 4, attuale formulazione? Innanzitutto, al comma 2, che sono sottoposti a VAS: il p.t.r.c., i p.t.c.p., i p.a.t. e i p.a.t.i. E, fin qui, non ci piove.
Dopodiché, e qui la faccenda è più interessante, dal comma 4-bis in poi, l’art. 4 stabilisce che per le fattispecie cui è dedicato l’art. 6, comma 3, t.u., la Giunta predispone una scheda, funzionale a una “verifica facilitata di sostenibilità ambientale”. Tradotto: per i piani che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori ai piani sottoposti (direttamente) a v.a.s., si svolge oggi una verifica “facilitata” per valutare l’eventuale significativo impatto potenziale (ossia quella che è, per diritto statale, la verifica di assoggettabilità).
Si tratta, quindi, di un modulo procedimentale che appare prima facie costituire una specificazione del procedimento di cui all’art. 12 t.u. (come, in realtà, parrebbe “dichiarare” l’art. 4 l.r. n. 11/2004); ma, in realtà, il procedimento è diverso e il parere motivato della Commissione v.a.s. n. 259/2021 informa in claris che, all’esito della verifica facilitata, la Commissione si riserva di disporre (non solo l’assoggettamento a v.a.s. del piano, bensì anche) la verifica di assoggettabilità quale disciplinata dall’art. 12 t.u.
E, invero, la scheda su cui si impernia la verifica facilitata non è (neppure materialmente come documento) il rapporto preliminare funzionale alla verifica di cui all’art. 12 t.u. e, al contempo, il termine a disposizione dell’autorità competente è più contratto (45 giorni anziché 90) e il procedimento delineato per la verifica facilitata non contempla la consultazione degli (altri) «soggetti competenti in materia ambientale».
Le ipotesi di verifica facilitata, normativamente identificate dall’art. 4, comma 4-quater, l.r. n. 11/2004 sono:
- varianti al p.a.t. o al p.i., conseguenti a modifiche o correzioni di normativa, non sostanziali e di modesta entità; oppure, conseguenti a correzioni cartografiche dei perimetri degli ambiti dei p.u.a., fino al 10% di superficie; oppure, ancora, conseguenti a una variante s.u.a.p.; ancora, riguardanti modifiche d’uso di singoli edifici esistenti, varianti verdi, approvazione di opere pubbliche e di impianti di interesse pubblico (quest’ultima ipotesi mi pare assimilabile a quanto disposto ex art. 6, comma 12, del cod. amb.);
- u.a. e relative varianti: con prevalente destinazione residenziale, entro 3ha, non su aree della rete natura 2000 (art. 6, comma 2, lett. b), t.u.; oppure conseguenti ad accordo di programma che sia già stato assoggettato a v.a.s.
Dalla presentazione della scheda l’autorità regionale si esprime con parere motivato entro 45 gg, qualora abbia verificato l’insussistenza di potenziali effetti significativi sull’ambiente. Diversamente, assoggetta il piano a v.a.s. o verifica.
La scheda, di cui dicevo poc’anzi, è stata approvata con d.g.r.v. n. 61/2020. Dopo questa d.g.r., del gennaio 2020, è stata pubblicata la nota esplicativa di febbraio, già citata prima, con cui è stato esplicitato che quanto stabilito nella vigenza dell’antecedente formulazione dell’art. 4 è da ritenersi superato. E, con tale mutamento di regime, anche le c.d. “cause di esclusione”, ossia le ipotesi antecedentemente stabilite in cui si prescindeva dalla v.a.s.
Oggi, non se ne prescinde più; semplicemente, e sulla base di un’osservazione empirico-prammatica della Regione, si procede a una verifica di assoggettabilità “guidata” dalla compilazione di una scheda, per agevolare soprattutto il proponente o l’autorità procedente.
Le ipotesi di esclusione tout court (vedere d.g.r. n. 1717/2013) si basavano su considerazioni fondamentalmente di non aggravio procedimentale e, almeno in thesi, in ossequio alla regola, direttamente stabilita dalla direttiva 2001/42CE, di non duplicare la valutazione nella progressione da pianificazione sovra a subordinata.
Ora, quindi, non ci sono più ipotesi di “esclusione” tout court?
In realtà no, perché sono state, di fatto, reintrodotte dalla Commissione v.a.s. sulla scorta dell’osservazione empirica dei contenuti delle istanze esaminate dopo circa un anno di applicazione della verifica facilitata e delle statistiche istruttorie. Così sono state individuate alcune ipotesi di esclusione nel parere motivato della Commissione v.a.s. n. 259 del 14 ottobre 2021:
- varianti al p.a.t. o al p.i., essenzialmente normative e “minori”, conseguenti all’approvazione di opere pubbliche e di impianti di interesse pubblico; varianti verdi; modificazione d’uso di singoli edifici esistenti. Il perimetro è lievemente diverso rispetto alle ipotesi dell’art. 4, comma 4-ter e, salvo errore, mi pare che manchino le varianti conseguenti alle correzioni cartografiche dei perimetri dei p.u.a.
Adesso, le esclusioni pongono un bel problema, proprio perché discendenti da una prognosi ex ante (quantunque, indubbiamente, discendente da una previa osservazione empirica e fondata su ragioni di non aggravamento procedimentale e di economia delle risorse, in primis umane, della Regione). Ciò, tuttavia, appare inibito dalla disciplina statale e sappiamo che il problema giuridico, qui, è che la dimensione della “tutela” dell’ambiente rientra per materia nell’alveo di competenza esclusiva statale.
Il t.u. mi par dire che non se ne scampa, quantomeno, dalla verifica di assoggettabilità.
Il punto è che a fronte del dato di realtà (che non revoco in dubbio) secondo cui, spesso o addirittura il più delle volte, l’oggetto valutabile o verificabile, evitando duplicazioni, si riduce un mero simulacro di contenuti nuovi (perché sostanzialmente inesistenti o di infima consistenza), non appare normativamente consentito stabilire ex lege, e tantomeno con provvedimento, ipotesi di esclusione ex ante.
Chiaro che, rimanendo in una dimensione astratta, il problema parrebbe risolversi in poco: si tratterebbe di ipotesi di verifica di assoggettabilità dal contenuto particolarmente frugale in concreto, come del resto stabilito dall’art. 12, comma 6, t.u. Nel concreto però immagino che, di per sé, il numero di verifiche di assoggettabilità “vuote” possa costituire un impegno burocratico particolarmente defatigante e tassante per gli uffici.
Rimane comunque che l’unica esclusione vera, a prescindere da quella tassonomica stabilita dall’art. 6, comma 4, t.u., è quella stabilita per i piani attuativi dalla legge urbanistica (come anzidetto). E, tuttavia, almeno dal mio personale osservatorio, mi pare difficile che la strumentazione generale rechi i contenuti che la legge urbanistica assume a presupposto per l’esclusione della v.a.s. sul piano attuativi. Osservo anzi che tali contenuti non sono neppure indispensabili per i p.u.a. stessi, specie il planovolumetrico, anche perché in quei casi – tipicamente di piano che reca schede norma – il piano sovraordinato prevede l’intervento edilizio diretto e, quindi, presuppone strutturalmente che non si passi per il piano attuativo.
Inoltre, che i p.u.a. debbano di regola essere sottoposti a (sola) a verifica di assoggettabilità, appare controvertibile; ciò anche in base all’interpretazione resa, in sede di rinvio pregiudiziale, dalla Corte di Giustizia nella sentenza 21 dicembre 2016, nella causa C444/2015, secondo cui la locuzione “piccole aree a livello locale”, significa, quantitativamente, area “minima” in relazione all’estensione totale dell’ambito territoriale dell’autorità procedente e, soggettivamente, che l’autorità procedente sia ente locale e non regionale o statale.
Però, per dare corpo concreto alla questione interpretativa, va detto che la giurisprudenza vi ha ricompreso anche p.u.a. da 20ha (Tar Veneto, Sez. II, n. 50/2017). Ma il sintagma “area minima”, lessicalmente, mi pare significare altro rispetto a tutte le ipotesi di trasformazione possibili con un p.u.a. la cui estensione è peraltro variabile.
La mia sensazione, comunque, è che si voglia sottrarre un livello di stratificazione: tutto dev’essere valutato, benché nella consecutio tra piano sovraordinato e subordinato vada valutato soltanto quanto costituisce quid novi; ciò nonostante, tale quid novi deve essere oggetto (quantomeno) di verifica per poi determinarsi in ordine ai potenziali effetti significativi e, quindi, nella direzione di assoggettare o meno a v.a.s. il piano.
Certo, frugalità, ma non salto, perché le ipotesi di esclusione sono altre. E, del resto, ciò è stato confermato anche recentemente da Corte cost. n. 118/2019 (su disposizioni urbanistiche della Regione Valdaosta), secondo cui un’esclusione ex ante e astratta di ipotesi tassonomiche (e quindi non di singole fattispecie oggetto di verifica) a v.a.s. o verifica di assoggettabilità è inibita al legislatore regionale.
Sul punto, la stessa Direttiva 2001/42/C, artt. 4 e 5, non mi pare lasciare spazio a dubbi: occorre evitare «duplicazioni» secondo il testo italiano, «duplication» nel testo inglese e «rèpètition de l’èvaluation» nel testo francese. Mi pare evidente, dunque, che occorre evitare la valutazione su oggetto in senso stretto identico e non mere sovrapposizioni. Evitare una duplicazione “pura”/”secca” mi pare significare quindi setacciare, escludendoli dal perimetro di quanto è da verificare/valutare, esclusivamente componenti di piano già compiutamente indagati.
Lascio però questi temi al Collega Masia, perché è un protagonista qui brutalmente chiamato in causa già dall’invito a tenere la propria relazione.
Provo però ad aggiungere una mia personale riflessione sul tema delle “nuove” ipotesi di esclusione, forse eccessivamente pragmatista. La Commissione v.a.s. le ha evidentemente elaborate sulla scorta di una coscienziosa analisi, che avrà restituito un dato statistico eloquente, secondo cui si tratterebbe di ipotesi di naturale duplicazione “secca”. Insomma, un girare burocratico vuoto.
Il vulnus però quanto a invasione della materia oggetto di competenza esclusiva statale o a violazione della disciplina stabilita dal legislatore statale potrebbe non solo, dismettendo per un solo istante le vesti di (umile) esegeta per affacciarsi all’analisi dell’impatto di questa particolare soluzione, non condurre ad alcun arretramento reale o percepibile quanto a tutela ambientale e sviluppo sostenibile. Ma, addirittura, non tradursi in alcun vulnus che non rimanga relegato nelle sole pagine di analisi teorica del problema senza tradursi in un problema pratico.
E, infatti, la giurisprudenza (sempre solerte nel verificare le condizioni dell’azione) esige che il ricorrente, qualora si dolga della mancata verifica di assoggettabilità come del mancato assoggettamento a v.a.s., chiarisca – quanto a interesse a ricorrere – in quale modo a tale vizio sia “causalmente” e “decisivamente” conseguita una deteriore pianificazione dei propri suoli (T.a.r. Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1268/2021). Un tale onere di deduzione, posto al confronto con le “nuove” ipotesi di esclusione, pare possa tradursi essenzialmente in un sistematico difetto di interesse a impugnare l’approvazione del piano a patto che le ipotesi di esclusione individuate dalla Commissione v.a.s. siano realmente “inoffensive” sotto il profilo sostanziale (e, naturalmente, prescindendo dal piano normativo), perché rappresentative di ipotesi che comportano invariabilmente o quasi una duplicazione “secca”. Se davvero così fosse, sarebbe praticamente (più che diabolico) impossibile dimostrare che il mancato ossequio al diritto statale ed europeo abbia comportato una deteriore pianificazione per il ricorrente che se ne assuma leso nel contesto di impugnazione dell’approvazione di un piano.
Senza spingermi oltre nel terreno del Collega cui tocca la successiva relazione, tocco il procedimento, anche se bastano cenni schematici a un uditorio qualificato.
Verifica di assoggettabilità: la procedente trasmette alla competente il rapporto preliminare di assoggettabilità che descrive il piano e le info e i dati necessari alla verifica; la competente individua i soggetti competenti in materia ambientale da consultare e trasmette loro il rapporto preliminare; il parere dei soggetti competenti è trasmesso entro i successivi 30 giorni alla competente; la competente verifica quindi se vi possano essere impatti significativi, o meno. Se non vi sono, entro 90 giorni, esclude la v.a.s. Se vi sono, assoggetta il piano a v.a.s.
Valutazione: la valutazione segue invece degli step.
Elaborazione rapporto ambientale: consultazione, ossia, prima si definisce il livello di dettaglio, sulla base di un rapporto preliminare; si individuano i soggetti competenti in materia ambientale per avere parere da essi entro 30 giorni; la consultazione quindi termina entro 45 giorni dopo i quali si redige il rapporto ambientale vero e proprio; ivi si individuano i potenziali impatti significativi e le ragionevoli alternative; si trasmette poi il tutto alla competente, che lo metterà a disposizione del pubblico (oggi solo su web).
Consultazioni: 45 giorni di pubblicazione entro i quali chiunque (legittimazione ampia tipica del diritto ambientale di matrice europea, come per l’accesso) può presentare osservazioni.
Valutazione rapporto e decisione: entro i successivi 45 giorni la competente esamina e valuta tutto, comprese le osservazioni, esprimendosi con parere motivato; quindi la procedente deve introiettare tutte le revisioni del piano in aderenza al parere motivato, per poi trasmetterlo per l’approvazione all’organo competente.
Informazione su decisione: si pubblica tutto, parere, piano e sintesi, nonché quanto previsto in punto di monitoraggio.
Monitoraggio (oggi più incisivo): la procedente, collaborando con la competente, con A.r.p.a. e I.s.p.r.a., assicura il controllo degli impatti, nel tempo successivo alla decisione; nel piano devono essere stabilite le responsabilità e le risorse per il monitoraggio; a quel punto, la procedente trasmette alla competente i risultati del monitoraggio e le eventuali misure correttive adottate; la competente si esprime sui risultati entro 30 giorni, che devono essere verificati alla luce delle strategie di sviluppo sostenibile stabilite dal Governo.
Simone Pavan
*Il testo riproduce e amplia l’intervento tenuto al seminario del 22 aprile 2022, svoltosi in Treviso e organizzato dall’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti dal titolo “Valutazione di impatto ambientale e Valutazione ambientale strategica”.