Sommario: § 1. Dall’urbanistica alla deroga, dalla pianificazione agli accordi; § 2. Le nuove linee dell’urbanistica pre Covid-19; § 3. Le nuove linee dell’urbanistica post Covid, il D.L. n. 76/2020, come convertito, e la semplificazione: dall’amministrazione difensiva all’urbanistica del fare, la nuova responsabilità erariale ed il nuovo abuso d’ufficio.

 

1. Dall’urbanistica alla deroga, dalla pianificazione agli accordi.

A che punto è l’urbanistica?

Prima di prospettare la visione futura dell’urbanistica post Covid-19 (confidando che effettivamente così sia), giova osservare dove tale disciplina sia giunta e, quindi, da dove essa muova, per poi tentare di comprendere quali saranno le linee di sviluppo della stessa.

Chi si è formato alla scuola dell’urbanistica, che si cibava di Piani ordinati secondo un criterio gerarchico (pur se, sovente, il piano gerarchicamente sovraordinato è giunto buon ultimo), assiste, non da oggi, alla fase di indigestione e di deroga alla pianificazione.

Complici, da un lato, un’eccessiva lentezza dei procedimenti di variante urbanistica, dall’altro, la progressiva erosione del carattere autoritativo della pianificazione urbanistica, che ha aperto le porte alla negoziabilità di talune scelte pianificatorie, o, addirittura, alla codeterminazione delle scelte pianificatorie, si è giunti all’urbanistica concertata o contrattata, che dir si voglia.

Dapprima con sprazzi normativi episodici (chi non ricorda, in Veneto, l’epopea dei P.I.RU.E.A., di cui alla L.R. 1° giugno 1999, n. 23) o con la prassi un po’ claudicante dell’atto unilaterale d’obbligo, poi, da un lato, con la riforma del 2005 della L. n. 241/1990, con particolare riferimento agli articoli 1 ed 11, dall’altro, con la L.R. n. 11/2004, l’ordinamento ha positivizzato gli accordi di pianificazione, rientranti nel genus dell’accordo sostitutivo del provvedimento, disciplinato in termini generali dall’art. 11 della L. n 241/1990.

Gli accordi urbanistici, da un lato, hanno natura intrinsecamente contrattuale, pur se costituenti esercizio indiretto del potere amministrativo (Corte Costituzionale, n. 204/2004), ossia un “modulo convenzionale o pattizio dell’agire amministrativo (accordo ex art. 11 della legge n. 241/1990)” (Cons. St., sez. VI, 15.5.2002, n. 2636), dall’altro, forzano quell’ordinato, ma rigido, sistema pianificatorio, che viene variato per tradurre a livello urbanistico i contenuti dell’accordo.

Dalla pianificazione “dall’alto” alla pianificazione per accordi “dal basso” il passaggio è stato breve; come breve è stato il transito dagli “accordi a valle” (le convenzioni degli strumenti urbanistici attuativi delle scelte urbanistiche generali) agli “accordi a monte[1], ossia quelli volti a determinare financo le scelte urbanistiche a livello di pianificazione generale.

Infine, è stata autorevolmente riconosciuta la legittimità non solo dei modelli di urbanistica convenzionale, affermando il principio di “piena ed assoluta fungibilità dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse”, ma anche degli “istituti perequativi della cessione di aree e del contributo straordinario” (Cons. St., sez. IV, 13.7.2010, n. 4545; id., n. 4542/2010). Principi affermati dalla giurisprudenza in relazione ad una norma del P.R.G. di Roma, introdotta ben prima del 2014, anno in cui è stato positivizzato il contributo straordinario (art. 16, comma 4, lett. d-ter), del D.P.R. n. 380/2001), “che attesta l’interesse pubblico”.

Accordi urbanistici, contributo straordinario, deroga della pianificazione: si pensi allo Sportello unico per le attività produttive, ai sensi del D.P.R. n. 160/2010 e della L.R. n. 55/2012, al permesso di costruire in deroga (art. 14 D.P.R. n. 380/2001), alle deroghe per esigenze ambientali, quali, ad esempio, le autorizzazioni uniche per gli impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti in automatica variante urbanistica, ex art. 208, comma 6, del D.Lgs. n. 152/2006 o, ancora, al Piano casa.

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2. Le nuove linee dell’urbanistica pre Covid-19.

Prima dell’emergenza derivante dalla pandemia si sono percepite le nuove linee di tendenza della politica urbanistica, in ispecie, regionale con particolare riferimento alla nostra Regione.

Riassumibili in: (L.R. n. 14/2017) contenimento di consumo del suolo (ma con molte, forse troppe deroghe), riqualificazione, rigenerazione, riuso temporaneo; (L.R. n. 14/2019) rinaturalizzazione (con i connessi crediti edilizi, appunto da rinaturalizzazione), ancora riqualificazione e rigenerazione, ma anche – con dubbia coerenza – Piano casa quater.

Si ha la sensazione che, quanto meno a livello di buone intenzioni, il legislatore veneto abbia imboccato con decisione la strada della riqualificazione urbanistica ed edilizia, del riuso del patrimonio edilizio per una conservazione e valorizzazione dell’esistente, abbandonando la via dell’espansione a tutto beneficio del contenimento di consumo del suolo, “risorsa limitata e non rinnovabile” (art. 1, comma 1, L.R. n. 14/2017).

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3. Le nuove linee dell’urbanistica post Covid, il D.L. n. 76/2020, come convertito, e la semplificazione: dall’amministrazione difensiva all’urbanistica del fare, la nuova responsabilità erariale ed il nuovo abuso d’ufficio.

Il legislatore nazionale è stato, per così dire, alla finestra, almeno sino al D.L. n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 120/2020.

La novella riprende alcuni concetti-guida, già sviluppati dalla legislazione veneta anzi vista, quali il recupero, la riqualificazione del patrimonio urbanistico esistente, la rigenerazione urbana, il contenimento del consumo di suolo, il riuso temporaneo; il tutto condito con un pizzico di semplificazione amministrativa, che non guasta mai.

L’intervento del legislatore statale ha condotto ad una nuova fattispecie di demo-ricostruzione, alla definizione di stato legittimo dell’immobile, al riuso temporaneo, alle nuove tolleranze costruttive, alle proroghe dei termini di inizio e fine lavori, alle misure di agevolazione degli interventi di rigenerazione urbana, di recupero degli immobili dismessi, di ristrutturazione, a tal fine prevedendo la riduzione del contributo di costruzione (nel suo complesso inteso) del 20%, quale riduzione minima operante ex lege, che i Comuni hanno però facoltà di aumentare, sino a giungere addirittura alla completa esenzione del contributo di costruzione.

Disposizioni, in definitiva, che mirano non solo al rilancio di un determinato tipo di edilizia, ma che incidono sull’urbanistica del futuro.

A ciò si devono aggiungere due disposizioni di riforma, che apparentemente nulla hanno a che fare con l’urbanistica e l’edilizia, ma che in realtà sono ad esse strettamente legate.

3.1. L’art. 21 del D.L. n. 76/2020, come modificato in sede di conversione dalla L. n. 120/2020, rubricato: “Responsabilità erariale”, contiene due commi.

Il primo comma modifica l’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994, introducendo, dopo il primo periodo, la seguente disciplina a regime, non a tempo, è da ritenersi[2]: “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, qualificando normativamente il dolo secondo la nozione propria del dolo penalisticamente inteso.

La precisazione si coglie ancora meglio leggendo il secondo comma, che costituisce la vera novità, laddove dispone che per un periodo temporalmente limitato (dal 17 luglio 2020 al 31 dicembre 2021) la responsabilità erariale è limitata ai casi di dolo, con esclusione quindi dei casi di colpa grave.

Ciò vale, però, solo per le condotte commissive, non per le condotte omissive o per l’inerzia del soggetto agente, per le quali resta ferma la responsabilità ordinaria per colpa grave oltre che per dolo.

Il tema della responsabilità erariale era ed è – per vero – estremamente sentito ed ha dato origine a quel fenomeno di “amministrazione difensiva” a tutti noto: nel timore di essere avvinti dalle spire della Corte dei Conti, le cui condanne incidono direttamente sul patrimonio degli agenti, la prudenza nel decidere si traduce sovente in una rinuncia all’esercizio del potere o nella consegna della decisione al giudice amministrativo, chiamato a svolgere un improprio ruolo di supplenza.

La norma in commento offre un salvacondotto – a tempo limitato, poco meno di un anno e mezzo – sul piano della responsabilità erariale[3].

L’intento del legislatore pare quello di tutelare – pur se in via interinale e limitata – il pubblico funzionario, affinché egli si lanci senza tema e con alacre solerzia nel proprio ufficio, soprattutto in questa fase di ricostruzione post pandemia: nella consapevolezza che la ripresa transita anche attraverso la capacità del pubblico funzionario di accompagnare lo sviluppo economico.

Il servizio allo Stato (in senso lato inteso) ed ai suoi cittadini, in verità, è il senso profondo della funzione pubblica, che promana dall’art. 97 della Costituzione, così come dall’art. 54, in base al quale l’esercizio della funzione pubblica deve avvenire “con disciplina ed onore”. L’art. 21 del D.L. n. 76/2020, come convertito in L. n. 120/2020, invita all’attivismo amministrativo, garantendo il salvacondotto per i funzionari e gli amministratori, che, pur potendo incorrere in condotte commissive astrattamente foriere di responsabilità erariale sotto il profilo oggettivo, potranno essere condannati solo ove esse siano connotate dall’elemento soggettivo del dolo. Ordinario trattamento, invece, è riservato alla responsabilità erariale da omissione o da inerzia, l’una come l’altra non tollerate nella peculiare contingenza, proprio nella logica di cui s’è detto[4].

3.2. Sulla stessa lunghezza d’onda pare sintonizzato l’art. 23 del D.L. n. 76/2020 (non modificato in sede di conversione), che riforma il delitto di abuso di ufficio, questa volta però non già a tempo, ma in via definitiva.

È a tutti noto il lungo dibattito circa la riforma dell’abuso d’ufficio, istituto che sovente ha visto l’impropria invasione del potere giudiziario (penale) nell’ambito riservato al potere esecutivo. Il risultato (ad oggi) è rappresentato dalla modifica dell’art. 323 c.p. in forza dell’art. 23 del D.L. n. 76/2020.

La locuzione “in violazione di norme di legge o di regolamento” prevista al primo comma dell’art. 323 c.p. diviene “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

È chiaro l’intendimento di ridurre il perimetro della rilevanza penale della condotta dell’agente, che deve transitare non solo necessariamente attraverso la violazione della legge o di atti aventi forza di legge – non rilevando più la violazione dei regolamenti – ma anche attraverso la violazione di quelle regole di condotta, imposte dalle fonti citate, che non lascino margine di discrezionalità.

Due le conseguenze: la limitazione oggettiva della violazione e la salvaguardia della discrezionalità amministrativa.

C’è un fil rouge, che unisce l’art. 21 all’art. 23 della novella in esame, ed è il recupero della discrezionalità amministrativa, la valorizzazione del ruolo cardine del funzionario pubblico in chiave di sviluppo dell’economia: l’amministrazione come motore della ripresa economica va difesa, sì che il potere esecutivo possa esercitare appieno la propria funzione.

Si tratta di un intervento legislativo, che ricerca un nuovo bilanciamento tra il potere esecutivo e quello giudiziario (rappresentato, in particolare dalle magistrature contabile e penale), nel tentativo di consegnare un’amministrazione più efficiente, in una reale dimensione di servizio al cittadino, anche rispetto alle molteplici prospettive di semplificazione, che pure derivano dal D.L. n. 76/2020, come convertito, con modificazioni, dalla L. n. 120/2020.

Alessandro Veronese

 

[1] Le felici locuzioni si devono a P. Urbani, Pianificare per accordi, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 4, 2005.

[2] In tal senso, L. D’Angelo, Il nuovo dolo erariale nelle prime decisioni del giudice contabile (nota a Corte Conti, Sez. I App., 2 settembre 2020, n. 234), in www.lexitalia.it; contra, Corte Conti, Sez. I App., 2.9.2020, n. 234, che ritiene l’art. 21, comma 1, da un lato, “a tempo”, come il comma 2, dall’altro, norma sostanziale e non processuale, quindi inapplicabile ai processi pendenti.

[3] Non è questa la sede per approfondire il tema della concorrente tutela civilistica, di fronte al giudice ordinario, con riferimento all’azione di responsabilità nei confronti del pubblico funzionario. Merita però ricordare che l’azione di responsabilità del pubblico funzionario può essere esercitata non solamente avanti la magistratura erariale, ma anche in sede di giurisdizione ordinaria, che rappresenta sede di tutela indipendente (Cass., SS.UU., ord. n. 16722/2020; id., ord. 24859/2019; in dottrina: M. Perin, Le modifiche (o soppressione) della responsabilità amministrativa per colpa grave. Saranno utili? Probabilmente no, in www.lexitalia, agosto 2020).

[4] In dottrina v’è chi sostiene che, alla luce della vista ratio del decreto semplificazioni, l’omissione e l’inerzia possano generare responsabilità erariale anche per colpa semplice, non solo per colpa grave (L. D’Angelo, Danno erariale e c.d. “decreto semplificazioni”: i mobili confini della responsabilità amministrativo-contabile, in www.lexitalia, settembre 2020). La tesi è, certo, suggestiva, ma non pare condivisibile. Di regola la responsabilità erariale deriva dalla condotta dolosa o gravemente colposa, in via di eccezione (in forza della novella in commento) deriva – per il visto periodo – solo dalla condotta dolosa (per i fatti commissivi), salvo per i fatti omissivi e per l’inerzia, rispetto ai quali torna la regola, ossia responsabilità anche per colpa grave (oltre che per dolo); non pare potersi sostenere la responsabilità erariale per colpa semplice  rispetto alle condotte omissive o all’inerzia (elemento soggettivo non previsto né dalla disciplina di regola, né dalla disciplina d’eccezione).

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