Sommario

Il presente intervento viene ad essere articolato nei seguenti termini: 1. Una prima parte, qualificabile come generale, è rappresentata dall’introduzione ed ha ad oggetto le linee guida di quella che può essere definita la nuova urbanistica; 2. Una seconda dedicata alla recente disciplina fissata dalla Legge n. 55 del 2019, sugli aspetti più squisitamente edilizi nella direttrice delle limitazioni del consumo del suolo; 3. Una terza parte rivolta agli effetti giuridici conseguenti alla dichiarazione di interesse universale operata dall’UNESCO; 4. Quindi, le conclusioni.

* * * *

1. Gli obbiettivi di fondo della futura attività di pianificazione urbanistica e dell’attività edilizio urbanistica.

1.1 Il futuro dell’attività di pianificazione urbanistica e dell’attività edilizio urbanistica è ragionevole ritenere sia destinato a concentrarsi su alcuni obiettivi di fondo rappresentati dal recupero e dalla riqualificazione del territorio e di ciò che su di esso è stato realizzato [1]; ovvero, per usare una significativa espressione adoperata da autorevole dottrina, nell’attività di ”riutilizzo dell’esistente”[2].

Sicché, per quella che può essere definita la “nuova urbanistica”, riceve particolare importanza, l’utilizzo del territorio già urbanizzato (come a tal proposito è stato ricordato)[3], da intendersi pure come riconversione a nuove funzioni del patrimonio edilizio-urbanistico esistente[4]: dalle zone centrali, quali anche i centri storici, a quelle periferiche contraddistinte da situazioni di significativo degrado, quali possono essere quelle caratterizzate dalla presenza di grandi opifici dismessi; si pensi, a mero esempio non esaustivo, alle numerose caserme presenti nel Triveneto ed ora dismesse.

Nell’ambito delle più recenti letture del territorio, quest’ultimo viene, poi, considerato come una risorsa complessa che ricomprende in sè le molteplici vocazioni di natura ambientale, culturale, produttive, storiche; il che si traduce nell’escludere che il territorio possa essere unicamente considerato come uno spazio topografico, suscettibile di sola occupazione edificatoria. Ciò porta a considerare il consumo del suolo come una delle variabili più gravi connessa alle problematiche relative alla pressione antropica sulle risorse naturali[5].

Questa presa di posizione si pone in termini coerenti con gli stessi indirizzi espressi, a suo tempo, in sede comunitaria[6]: ci si riferisce alla comunicazione della Commissione del 22.9.2006, rubricata “Strategia tematica per la protezione dei suoli”[7], nonché al più recente “Settimo programma di azione per l’ambiente”, di cui alla decisone n. 1386 del 2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20.11.2013[8].

Mi permetto di richiamare, su tale argomento, le leggi regionali che hanno fissato un termine per il raggiungimento di questo obiettivo inerente alla limitazione del consumo del suolo. Mi riferisco alla legge regionale Veneto, n. 14 del 2017, ed al suo art. 3[9], strumento preso in attuazione agli obiettivi comunitari[10]; alla legge regionale Lombardia n. 31 del 2014[11], sulla quale si è pronunciata, per la sua legittimità costituzionale, la Corte Costituzionale con la surrichiamata sentenza n. 179 del 2019; alla legge regionale dell’Emilia Romagna n. 24 del 2017[12].

La nuova urbanistica, per la legislazione veneta in particolare, si esprime nella individuazione degli ambiti spaziali in cui vengono riconosciuti come ammissibili gli interventi di riuso e rigenerazione urbana, contemplando, all’incontro, l’utilizzo di nuove risorse territoriali esclusivamente quando non esistono alternative alla riorganizzazione, alla riqualificazione del tessuto insediativo esistente[13], come indica l’art. art. 1, comma 2, ultima parte della L.R. Veneto n. 14 del 2017[14], obiettivi già peraltro contemplati con la precedente L.R. Veneto n. 11/2014, art. 2, comma 1, lett. d) [15].

1.2  Il suolo viene, pertanto, considerato quale “bene comune” – ovviamente non alla stregua dei beni comuni di cui alla L. n. 168 del 20 novembre 2017[16]-, di fondamentale importanza per l’equilibrio ambientale, la salvaguardia della salute, la produzione agricola finalizzata alla alimentazione umana e/o animale, la tutela degli ecosistemi naturali e la difesa dal dissesto idrogeologico[17].

Le finalità generali sono quelle di un processo evolutivo mirato ad individuare un nuovo rapporto tra le comunità stanziate sul territorio e l’ambiente all’interno del quale vive la comunità. Ed è in ordine ad un tanto che cresce la consapevolezza che il suolo rappresenta una risorsa naturale dell’ecosistema non rinnovabile, che si presenta essenziale per il raggiungimento dell’equilibrio ambientale, capace di esprimere una funzione sociale, includente una pluralità di interessi e di utilità collettive in quanto, come sempre indica la Corte Costituzionale nella (citata) sentenza n. 179/2019, “la tutela di quella pluralità di interessi e di utilità collettive si pone in termini intergenerazionali”, quale bene giuridico oggetto di protezione.

Del resto che lo stesso piano regolatore comunale, quale strumento fondamentale nella disciplina del territorio, non debba più contemplare solo lo sviluppo del suolo, meramente finalizzato a scopi edificatori, ma debba considerare, attraverso la disciplina dell’utilizzo delle aree, anche finalità economico e sociali della comunità locale la cui promozione rappresenta l’obiettivo di fondo dell’ente locale, come contemplato dall’art. 3, comma 2, del D.L.vo n. 267 del 2000 (TUEL) -, era stata già riconosciuta dal Consiglio di Stato nel 2012, allorché venne affrontata la questione relativa al piano regolatore del Comune di Cortina d’Ampezzo[18].

Il che si pone in termini coerenti con lo stesso disegno del legislatore costituzionale espresso con la riforma introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001, la quale ha modificato il contenuto dell’art. 117 Cost. nella parte in cui, con riguardo alle materie rientranti nella potestà legislativa concorrente Stato-Regioni, ha sostituto il termine “urbanistica” con la più estesa dizione di “governo del territorio”.

Sul punto vale la pena richiamare due significativi dati normativi che si esprimevano già coerentemente con questo modo di considerare il territorio: l’art. 1 della stessa Legge Urbanistica fondamentale, L. n. 1150 del 1942 in cui, accanto al contenuto della disciplina urbanistica, si affianca quello dei suoi scopi vale a dire quello dello sviluppo urbanistico in genere del territorio della Repubblica. L’altro dato è rappresentato dall’ormai abrogato art. 34, comma 2, del D.L.vo n. 80 del 1998, secondo cui “la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”.

Il che porta ad affermare, anche sulla scorta della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, espresso con sentenza n. 2529/2018[19], che l’urbanistica si proietta come “modello di sviluppo” che si intende imprimere ai luoghi, in ragione alla loro storia, tradizione e ubicazione. E, quindi, in essa deve tradursi il pensiero inerente al futuro della medesima collettività, attraverso le decisioni degli organi elettivi, con la insostituibile partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio.

Il potere di pianificazione urbanistica si presenta, pertanto, funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici che trovano il proprio fondamento negli stessi valori costituzionalmente garantiti[20].

 

2. La Legge n. 55 del 2019[21]: gli aspetti più squisitamente edilizi nella direttrice delle limitazioni del consumo del suolo.

2.1  Sulla demolizione e ricostruzione.

2.1.1  Nell’ambito di tale direttrice si può ragionevolmente ritenere si possa inserire pure la disciplina introdotta con il decreto legge n. 32 del 2019, convertito con modifiche dalla L. n. 55 del 2019, il cui art. 5 ha – com’è noto – modificato, rinnovandolo, l’art. 2 bis del D.P.R. n. 380 del 2001[22], (TUE), prevedendo una disciplina di deroga al D.M. n. 1444 del 1968[23], sugli standard urbanistici, in tema di demolizione e ricostruzione, nonché di distanze tra costruzioni e tra pareti finestrate, rispettivamente, riducendo i vincoli, se non addirittura eliminandoli, originariamente fissati da quel decreto.

 2.1.2  Ora, con l’iniziale entrata in vigore il 19 aprile 2019 del cd decreto “sblocca cantieri” si era modificato l’art. 2 bis del TUE (D.P.R. n. 380/2001) prevedendo come obbligatoria, per la Regione e le Province autonome, l’introduzione di deroghe al D.M. n. 1444 del 1968.

Con la legge n. 55 del 2019 di conversione, viene fatto il cd “passo indietro”, in quanto si reintroduce la versione iniziale del comma 1 dell’art. 2 bis del TUE, la quale era stata, a sua volta, inserita dalla L. n. 98 del 2013, definita come “legge del fare”. Questa, infatti, prevedeva la possibilità e, quindi, non l’obbligo per le Regioni e Provincie autonome, di introdurre deroghe al succitato D.M. n. 1444 del 1968, in ordine agli standard urbanistici; potere discrezionale esteso alla possibilità di fissare una disciplina su spazi da destinare al verde, ai parcheggi, agli insediamenti residenziali e produttivi nell’ambito della definizione o revisione degli strumenti urbanistici.

La finalità è quella di orientare i Comuni nella definizione dei limiti di densità edilizia, altezze e distanze dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.

Sicché, con la modifica legislativa, operata in sede di conversione, si è reintrodotta la previsione del potere discrezionale dei Comuni di porre disposizioni derogatorie al surriferito D.M. n. 1444 del 1968, mantenendo l’ulteriore potere discrezionale sulla fissazione di una disciplina funzionale ad un assetto complessivo unitario di specifiche aree territoriali.

Con il comma 1 ter del medesimo art. 2 bis, introdotto sempre con la L. n. 55/2009, nella direttrice della riduzione di consumo di suolo, si prevede che l’intervento di sostituzione edilizia, inteso come demolizione e ricostruzione, lo si viene a consentire nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti, in presenza di due condizioni: la prima, è che il sedime del nuovo edificio debba coincidere con quello dell’edificio preesistente, unitamente al relativo volume; la seconda, è che l’altezza massima del preesistente deve essere rispettata.

Con l’art. 2 bis del TUE, così come modificato dalla L. n. 55/2019, si prevede, pertanto, il potere per le Regioni di porre una propria disciplina derogatoria al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, e che alla demolizione di edifici esistenti possa seguirne la ricostruzione nella medesima posizione, a condizione che la ricostruzione avvenga “nei limiti della cubatura e dell’altezza preesistenti e delle distanze legittimamente (anch’esse) preesistenti”, rispettando, al tempo stesso, gli altri parametri di edificabilità previsti dal piano urbanistico comunale[24].

Significativo, a tal proposito è che il potere legislativo di dettare disposizioni derogatorie si presenta finalizzato alla definizione dei limiti di densità edilizia, altezza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del territorio.

Il che si pone in termini coerenti con quanto indicato dalla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, con le succitate sentenze del 2012 e del 2018, circa la strumentalità dell’urbanistica allo sviluppo economico e sociale del territorio. Aspetto questo che si presenta, pertanto: a) idoneo a porre le premesse, per garantire la realizzazione, in termini omogenei, dell’assetto di determinate aree del territorio; b) che può essere inteso come, appunto, il “passo avanti” riconosciuto alla surriferita normativa statale.

Sull’argomento la recente posizione espressa dalla Corte Costituzionale[25] con sentenza n. 231/2016, esprime il riconoscimento di un’invarianza sostanziale e di un particolare rilievo sanante già nell’intervento operato con il D.L.vo n. 69/2013[26], convertito con modificazione nella L. n. 9/2013 che ha introdotto l’art. 2 bis del TUE.

Ed in ordine ad un tanto, per invarianza sostanziale, va detto che il legislatore statale ha, sotto questo profilo, seguito la posizione espressa dal Giudice delle Leggi, in quanto ha tenuto ferma la competenza legislativa dello Stato in materia di ordinamento civile; mentre, al potere regionale ha attribuito la possibilità di intervenire nell’ambito della definizione e revisione di strumenti urbanistici aventi determinate finalità[27], con i limiti fissati dal comma 1 ter dell’art. 2 bis circa la definizione degli interventi demo-ricostruttivi, come oltre si dirà.

Questo aspetto di tale disciplina, diretto a favorire la valorizzazione dell’esistente, anche attraverso il consentire la deroga alle distanze, esprime l’intento del legislatore nazionale di avere di mira l’obiettivo del recupero del patrimonio edilizio esistente, anche laddove il medesimo non avesse rispettato la densità e le previsioni (ad esempio quelle inerenti all’altezza prescritta) fissate dallo strumento urbanistico. Sicché, l’indicata disposizione statale, di cui all’art art. 2 bis cit., avente carattere derogatorio rispetto alla disciplina ordinaria, assume natura di disciplina eccezionale, in quanto ammette una parziale deroga rispetto ai parametri edificatori in linea generale previsti per la zona interessata. Va da sé che tale disposizione (e in particolare gli specifici presupposti nella stessa stabiliti) debba, tuttavia, considerarsi assoggettata ad un’interpretazione restrittiva, limitata ai casi e alle situazioni espressamente previsti.

2.1.3  Merita, a questo punto, di essere ricordato che sulla base di una consolidata giurisprudenza, la ricostruzione di un edificio esistente può considerarsi, com’è noto, alla stregua di una ristrutturazione edilizia soltanto qualora vengano mantenuti la “sagoma” e l’ingombro dell’edificio originario e non si realizzi cubatura aggiuntiva o mutamenti di forma[28], ove per “sagoma” della costruzione esistente viene considerata la conformazione originaria dell’involucro dell’edificio, intesa sia in senso orizzontale che in senso verticale[29].

Quando non si tratti, invece, di una ricostruzione “fedele”, nel senso appena descritto, l’intervento edilizio ricostruttivo deve, per converso, qualificarsi alla stregua di una nuova costruzione e soggiace, in quanto tale, a tutte le prescrizioni edificatorie previste per la zona in cui si inserisce.

Nelle ipotesi di sopraelevazione, inoltre, alla stregua della suddetta giurisprudenza, non può procedersi ad alcuna “compensazione” tra i volumi edilizi preesistenti e quelli realizzati in aggiunta, compensazione volta a lasciare inalterata la cubatura complessiva dell’edificio esistente, trattandosi la sopraelevazione di nuova costruzione[30], ora, anche ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1 ter, TUE.

Si pensi, appunto, ad un edificio esistente che dovesse essere ricostruito nella medesima posizione e con la stessa cubatura dell’attuale, ma sopraelevato rispetto al livello precedente, così che l’altezza massima del fabbricato è destinata ad aumentare; in tal caso, la sopraelevazione è nuova costruzione[31].

Sicchè, ogni variazione dell’altezza preesistente e ogni ricostruzione “non fedele” dell’edificio preesistente, qualifica l’intervento come una “nuova costruzione”, con conseguente perdita del diritto al mantenimento del distacco preesistente, anche delle parti ricostruite nel rispetto della sagoma originaria; salvo, ovviamente, l’ipotesi in cui la normativa regionale, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1, abbia previsto una disciplina sulle distanze, derogatoria al D.M. n. 1444 del 1968 (art. 9).

2.1.4  Per quanto di rilievo, per l’oggetto del presente intervento, giova inoltre riprendere quanto stabilito dal TUE con riguardo alla “Definizione degli interventi”. In particolare, l’art. 3 sulla definizione di “ristrutturazione edilizia” ricomprende – com’è noto – anche gli interventi demolitori e ricostruttivi. Ed a tal proposito, si evidenzia che tali interventi possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Nell’ambito di tali interventi di demolizione e ricostruzione, va conservata la stessa volumetria di quella preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i., gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia, soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente[32].

Risulta, pertanto, chiaro che la definizione di “ristrutturazione edilizia”, già nella disciplina statale come novellata con D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (all’art. 30, comma 1, lett. a), convertito con modificazioni, dalla L. n. 98 del 2013, ricomprende e ricomprendeva la demolizione-ricostruzione, nei limiti della volumetria e altezza preesistente, col rigoroso vincolo del rispetto della sagoma per i soli edifici sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42[33].

L’attuale disciplina statale di cui alla legge n. 55/2019, pur prescindendo dalla espressa riconduzione degli interventi demolitori ricostruttivi nella definizione di “ristrutturazione edilizia”, non di meno, al comma 1 ter dell’art. 2 bis del TUE, ammette l’intervento coincidente con il rispetto della volumetria, dell’altezza, dell’area di sedime e nel rispetto di distacchi legittimamente preesistenti.

2.1.5  Va, peraltro, precisato che, sebbene sia venuto meno ogni riferimento al vincolo di sagoma, è ammesso che una ristrutturazione cd. “pesante”, realizzata mediante demolizione-ricostruzione, ai sensi dello stesso art. 2 bis, comma 1 ter, L. n. 55/2019, non possa portare a una movimentazione dei volumi. Si richiede, infatti, che venga assicurato il rispetto dell’altezza massima preesistente e quella della coincidenza del sedime della costruzione preesistente. E, poiché la norma parla “in ogni caso”, ai fini della qualificazione dell’intervento demolizione-ricostruttivo come “ristrutturazione edilizia”, essa si riferisce al solo caso in cui l’altezza del preesistente dovesse superare quella ammessa dalla disciplina di piano regolatore.

Dal momento che, l’art. 2 bis, comma 1 bis del TUE – introdotto dal D.L. n. 32/2019, come convertito dalla L. n. 55/2019 –, ha riconosciuto ai Comuni il potere di definire l’altezza e la distanza dei fabbricati “negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio” (in conformità agli indirizzi fissati dalla disciplina regionale di deroga alla normativa statale sulle distanze).

Nella diversa ipotesi in cui, invece, detta altezza non dovesse superare quella ammessa dal Piano Regolatore, nel ricostruire la preesistenza nei limiti della volumetria originaria, l’altezza può, tuttavia, essere portata sino a quella massima ammessa, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1 ter, TUE, in quanto essa può essere mantenuta nei limiti dell’altezza dell’edificio demolito.

La posizione trova conferma nella ratio della nuova disciplina sulla demolizione-ricostruzione, ragionevolmente volta a consentire il recupero della sostanza edilizia esistente, ma che non possa, comunque, ritenersi esuberante rispetto ai vigenti parametri urbanistici. In questa prospettiva il limite del rispetto dell’altezza del ricostruito riguarda all’evidenza il caso in cui questa non superi quella dell’edificio preesistente, bensì quella massima fissata dal Piano Regolatore.

In definitiva, si ha intervento di demolizione-ricostruzione, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1 ter, TUE, nel caso in cui l’edificio ricostruito non abbia un’altezza maggiore di quella demolita, benché venga superata l’altezza massima prevista dal piano regolatore.

Il comma 1 ter, dell’art. 2 bis, non introduce altri limiti al concetto di “ristrutturazione edilizia” come definito dall’art. 3 del TUE, autorizzando, tuttavia, nel primo capoverso – in caso di demolizione-ricostruzione – il mantenimento della cubatura preesistente, anche qualora questa superi quella ammissibile di zona, con il mantenimento dell’altezza preesistente.

Si tratta di una norma di tipo permissivo, che rappresenta una deroga, sia pure parziale, all’obbligo generale del rispetto per tutti gli interventi edilizi di tutti i parametri di edificabilità previsti dallo strumento urbanistico; ma al tempo stesso si pone, peraltro, in termini coerenti con il principio della già avvenuta compromissione delle situazioni oggetto di salvaguardia e protezione da parte della sopravvenuta nuova disciplina.

 

2.2  Sul problema delle distanze.

2.2.1  Con la normativa introdotta dall’art. 5, comma 1, lettera b bis, del D.L. n. 32 del 2019, convertito con modificazioni della L. n. 55 del 2019, si è introdotta una norma di interpretazione autentica dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, al quale si è sempre riconosciuta un’efficacia “precettiva inderogabile”[34].

L’elemento innovativo è rappresentato dal fatto che le norme sulle distanze minime tra i fabbricati, stabilite dall’art. 9, commi 2 e 3, del citato D.M., si vengono ad applicare, a questo punto, esclusivamente alle zone di espansione (zone territoriali omogenee C).

A tal proposito, non è inutile evidenziare che la riduzione dell’ambito di applicazione dei limiti di distanza tra i fabbricati si presenta idoneo a favorire, consentendole, operazioni di rigenerazione urbana e, ciò, con particolare riguardo, alle zone A) e B), così come definite dall’art. 2 del D.M. 1444 del 1968. Dette zone non risultano, a questo punto, sottoposte al rispetto delle distanze minime previste in linea generale, dall’art. 9 del surrichiamato D.M. 1444.

Si consegue ragionevolmente il punto di equilibrio rispetto alla competenza regionale concorrente relativa al governo del territorio, e si raggiunge la possibilità di fissare distanze che, rispetto a quelle minime stabilite dalla normativa statale, siano inferiori. Ciò può avvenire con legge regionale in virtù del riconoscimento, in linea generale, del potere di deroga al D.M. n. 1444 del 1968, operato ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1, primo periodo; ovvero, nell’ipotesi in cui con nuovo strumento urbanistico di revisione dello stesso, vengano dettate disposizioni mirate alla creazione di aree funzionali a determinati fini (aree verdi, parcheggi), nell’ambito di una più estesa pianificazione orientata alla definizione di un assetto urbanistico complessivo e unitario o di specifiche aree del territorio, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1 secondo periodo, del D.P.R. n. 380 del 2001 nella nuova sua formulazione.

Ciò chiarito, va evidenziato che nella prima parte del comma 1 ter, secondo capoverso, dell’art. 5, comma 3, per la demolizione-ricostruzione totale è previsto il diritto al mantenimento delle distanze legittimamente preesistenti (comunque, nel rispetto del minimo civilistico).

La disposizione deve essere letta nel senso che per l’edificio ricostruito possano essere osservate le distanze preesistenti, laddove più favorevoli rispetto a quelle previste dal Piano Regolatore; ciò tuttavia, per le sole parti in cui esso non ecceda la sagoma originaria. Si evidenzia sul punto che, in ragione alla particolare collocazione della norma sulla demolizione e ricostruzione – e, cioè, nel TUE in luogo del D.M. n. 1444 -, la tipologia dell’intervento ammesso è sempre realizzabile nei termini definiti dalla norma statale (in tal senso depongono le espressioni “in ogni caso”, e “… è comunque consentita…”); mentre, l’eventuale esercizio della potestà legislativa regionale concorrente, di cui al primo comma del medesimo art. 2 bis, può investire, in tal caso, la sola disciplina fissata dal surrichiamato D.M. n. 1444 del 1968.

2.2.2  Significativa la giurisprudenza civile intervenuta sull’argomento – sebbene formatasi sulla base della disciplina previgente alla normativa del 2019 – secondo cui in caso di “ricostruzione edilizia” con aumento di alcuna delle componenti dell’edificio (per esempio l’altezza), la distanza prevista dalle nuove disposizioni va riferita al nuovo fabbricato nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico contenga una norma espressa in tal senso, oppure, in mancanza, alle sole parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario[35].

Ulteriore giurisprudenza è venuta recentemente a confermare tale principio[36]; in particolare si è detto che “…. i volumi realizzati a livello della copertura con questa loro movimentazione integrano elementi costruttivi nuovi, nella parte eccedente rispetto alla sagoma preesistente, indentificata, ….con la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale, ovvero con i contorni che viene ad assumere l’edificio con ogni punto esterno”.

Per nuova costruzione, ai fini del regime distanziale applicabile, devono, infatti, intendersi non solo la realizzazione, per la prima volta, di un edificio del tutto nuovo, ma anche quelle modificazioni planivolumetriche che eccedono rispetto alla sagoma d’ingombro preesistente, andando ad incidere, modificandoli, sugli spazi vuoti tra i fabbricati esistenti, indipendentemente dal fatto che tali modificazioni implichino o no la realizzazione di una maggiore cubatura. In quanto, in una “costruzione nuova”, dette modifiche planivolumetriche sono soggette alla disciplina sui distacchi da osservarsi, in quel momento vigente[37].

Richiamando conclusivamente i suddetti principi, può essere detto che:

a) all’intervento demolitorio-ricostruttivo, per il quale vengono rispettate le distanze preesistenti, per la parte ricostruita nell’ambito della sagoma preesistente si applica il comma 1 ter, art. 2 bis;

b) mentre, per le parti eccedenti, da considerarsi nuove ai fini delle distanze, possono essere rispettati i distacchi previsti dalla soprannominata disciplina regionale, nonché dalle norme di attuazione del Piano Regolatore, modificato ai sensi del comma 1 bis, dell’art. 2 bis, TUE.

2.2.3 Una breve digressione valga per il cd “volume tecnico”, rigorosamente inteso, il quale, non essendo considerato come volume agli effetti edilizi, non è in grado di costituire elemento sulla scorta del quale sostenere una modificazione di una sagoma[38]e, quindi rientrare nell’ipotesi di demolizione- ricostruzione previste dall’art. 2 bis, comma 1 ter.

Problema a parte si pone, invece, per gli edifici oggetto di vincolo paesaggistico-ambientale, o storico-artistico, ex lege o provvedimentale, di cui  D.L.vo n. 42 del 2004, in quanto per essi il volume tecnico, potendo comunque comportare una modificazione estetica, per quanto priva di rilevanza edilizia, impone il previo controllo amministrativo di compatibilità con l’interesse protetto oggetto del medesimo vincolo[39].

 

2.3  Brevi cenni sulla legge regionale veneto n. 29 del 2019.

2.3.1  Nell’ambito della logica della riqualificazione dell’esistente, si inserisce pure la L.R. n. 29 del 2019 della Regione Vento il cui art. 13 ha introdotto l’art. 44 bis alla L.R. Veneto n. 11/2004, rubricato “Riutilizzo di strutture in zona agricola per finalità turistica o per finalità di classificazione come dipendenza di albergo diffuso”.

In esso si stabilisce, in buona sostanza, la possibilità di utilizzare per finalità turistica le strutture agricole produttive non più utilizzate nell’ambito dei comuni individuati con provvedimento della Giunta Regionale sulla scorta di determinati criteri; mentre, la finalità è rappresentata dal poter individuare gli interventi di riqualificazione ed i relativi limiti dimensionali massimi di volumi e superficie.

Saranno, poi, i Comuni ad individuare, su richiesta degli interessati, in una logica di ragionevole dimensionalità, le strutture da impiegarsi per le finalità turistiche, strutture il cui impiego non comporta mutamento di destinazione d’uso.

2.3.1  E’ previsto l’esonero del pagamento degli oneri di urbanizzazione contemplando, al tempo stesso, un incremento massimo fino a 120 mc per esigenze igienico sanitarie, realizzazione impianti di natura ambientale, ovvero l’abbattimento di barriere architettoniche.

Il che rappresenta l’espressione del principio che, nel settore contributivo edilizio la legge regionale si deve limitare ad introdurre una quantificazione; all’incontro il presupposto impositivo, rappresentato dall’aumento del carico urbanistico, così come previsto dall’art. 17, comma 4, del TUE, rimane di competenza statale. Anche se l’esonero del contributo di ricostruzione, in caso di aumento di volumetria fino a 120 mq, si ricollega unicamente alla realizzazione di impianti tecnico funzionali, ovvero all’abbattimento delle barriere architettoniche, aspetti questi, soprattutto con riferimento al primo – l’adeguamento per esigenze igienico sanitarie – che si presentano ragionevolmente collegati al diverso utilizzo abitativo, sia pure per finalità turistiche, del compendio immobiliare originariamente destinato ad attività agricola[40].

Va, peraltro, osservato che l’agevolare tali utilizzi di compendi abbandonati rappresenta la premessa per contribuire al mantenimento della presenza antropica sul territorio, con tutte le positive conseguenze che una siffatta evenienza è in grado di produrre, in quanto collegata al superamento degli effetti sfavorevoli che l’abbandono all’interno del territorio è in grado di produrre[41].

 

3. Le conseguenze giuridiche della dichiarazione di interesse universale operata dall’UNESCO delle colline del prosecco.

3.1. Nel considerare la nuova disciplina fissata dalla L.R. Veneto come strumento legislativo rientrante nella logica della riqualificazione delle aree agricole, non ci si può sottrarre dall’individuare la sua afferenza, non solo potenziale, alle aree rientranti nella Dichiarazione Universale operata dall’UNESCO, relativamente alle “colline del prosecco”.

Va detto che, benché l’UNESCO sia sorto nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a Parigi il 4 novembre del 1946, nella consapevolezza che l’educazione, la scienza e la cultura, si pongono, rispetto all’insufficienza degli accordi politici ed economici, come elementi essenziali per costruire una pace duratura tra le Nazioni, questi elementi hanno rappresentato, in realtà, la premessa perché, in questo caso, le colline del prosecco- le quali per le loro peculiarità non è azzardato considerarle come modello per una sorta di nuovo giardino all’italiana – si sia potuto per la loro specificità qualificarle come patrimonio di eccezionale valore e bellezza e, quindi, iscriverle al Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Ora, facendo riferimento ai dati normativi di interesse al presente intervento, va ricordato che la Convenzione dell’UNESCO viene sottoscritta a Parigi nel 1972 e ratificata dall’Italia con la Legge n. 184 del 1977.

Successivamente, con la legge 20 febbraio del 2006 n. 77, rubricata “Misure speciali di tutela e fruizioni dei siti e degli elementi italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella lista del patrimonio ambientale, posti sotto la tutela dell’UNESCO”, aggiornata con la legge 8 marzo 2017 n. 44, si è esteso il campo di applicazione agli elementi del patrimonio immateriale sancito dalla successiva Convezione UNESCO adottata a Parigi il 17 ottobre del 2003 “per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale”.

Sicché, se originariamente il riconoscimento UNESCO si riferiva in modo esclusivo ai soli siti iscritti nella lista contemplata dalla Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale Culturale del 1972, la successiva normativa con riguardo ai siti ed agli elementi iscritti nelle liste, previste dalla Convenzione UNESCO, per il carattere della loro unicità, quali punti di eccellenza del Patrimonio Culturale, Paesaggistico e Naturale Italiano, diventano elementi che si presentano idonei a rappresentare il nostro Paese nei rapporti internazionali.

A tal fine vengono individuati, quali strumenti diretti ad assicurare la conservazione e la valorizzazione di quei siti, i “Piani di Gestione e di Salvaguardia” (art. 3 della L. n. 77/2006).

3.2  Ad ogni buon conto, sono gli artt. 1 e 2 della Convenzione che danno la definizione dei due elementi concettuali di fondo sui quali la Convenzione si pone. Ci si riferisce al “Patrimonio Culturale” ed al “Patrimonio Naturale”, rispettivamente. Il primo ricomprende monumenti agglomerati e siti; con il secondo, si ha riguardo ai monumenti naturali, formazioni geologiche e fotografiche, zone costituenti habitat di specie vegetali ed animali minacciate, siti naturali o zone naturali.

Il denominatore comune per queste diverse categorie di beni è rappresentato dalla circostanza di possedere un valore universale eccezionale storico, artistico, estetico, estetico naturale, scientifico, conservativo, etnologico o antropologico.

A tal proposito, va ricordato che ai sensi dell’art. 2 della L. n. 77 del 2006 e s.m.i. del 2017, i beni rientranti nel perimetro di riconoscimento dei siti UNESCO hanno priorità di intervento qualora siano oggetto di finanziamenti in base alla normativa vigente. Ed è appunto per tale finalità che sono contemplati i “Piani di gestione” aventi l’obiettivo: a) di individuare le priorità di intervento e l’insieme delle modalità attuative dirette alla conservazione e salvaguardia dei beni sulla scorta delle reperite risorse pubbliche e private; b) di consentire l’effettuazione di interventi, previsti ai sensi dell’art. 4 della L. n. 77 del 2006 e smi, diretti alla valorizzazione ed alla diffusione, tra gli altri, del patrimonio enologico caratterizzante il sito UNESCO, nell’ambito della promozione del complessivo patrimonio tradizionale enogastronomico ed agro-silvo pastorale.

3.3  Ora, in ragione all’intervenuto riconoscimento del valore universale eccezionale delle colline del prosecco, vi sono una serie di conseguenze di natura giuridica che un siffatto riconoscimento porta con sè.

La prima considerazione è che i siti UNESCO non hanno una tutela a sè stante, né rientrano di diritto nei beni, ovvero nelle categorie di beni vincolati, sotto un profilo paesaggistico culturale, in base alla disciplina di questa categoria di beni rappresentata dal decreto D.L.vo n. 42/2004.

Come precisato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 22 del 2016[42], i siti UNESCO “… beneficiano delle forme di protezione differenziate, apprestate ai bei culturali e paesaggistici secondo le loro specifiche caratteristiche”.

Il concetto fatto valere dalla Corte Costituzionale è il seguente: pur non rientrando i siti UNESCO di diritto nella protezione dei beni culturali e paesaggistici, nondimeno per queste categorie di beni l’ordinamento vigente stabilisce:

a) l’osservanza dei trattati internazionali, intervenuti in materia, ai sensi dell’art. 132, comma 1, del D.L.vo n. 42 del 2004;

b) viene prevista una tutela di fonte provvedimentale con riguardo a quei beni riconducibili nelle categorie previste dall’art 136, comma 1, del medesimo codice dei beni culturali e ambientali, nell’ambito della cui categoria vi sono, appunto, le bellezze panoramiche, ovvero, il belvedere da cui si goda lo spettacolo di quelle bellezze.

Ed per tale motivo che si riconosce per tali beni, la possibilità di essere oggetto di specifico vincolo, in sede di pianificazione paesaggistica in virtù delle disposizioni di cui agli artt. 184 comma 1, lett. c) e 135, comma 4 del codice di beni culturali, ove si afferma che “per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate, tra l’altro, alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici, riconosciuti e tutelati con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO”.

3.4  La seconda considerazione, che merita di essere svolta, è che, con riferimento ai piani di gestione, nonché ai piani paesaggistici di cui ora si è fatto cenno, tali strumenti di pianificazione dovranno essere sottoposti alla previa valutazione ambientale strategica (VAS) alla stregua di quanto recentemente riconosciuto dal Consiglio di Stato con sentenza  n. 4471del 2017 [43], per i piani regolatori generali approvati dal Comune.

Al di là del riferimento normativo di cui all’art. 7 del D.L.vo n. 152/2006 (TUA) e s.m.i., che prevede, infatti, la sottoposizione alla procedura VAS dei “Piani e Programmi”, per interventi inerenti alla “…realizzazione di opere ed interventi i cui progetti, pur non essendo sottoposti a valutazione di impatto ambientale in base alle presenti norme, possono tuttavia avere effetti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale,…“, la previsione della VAS, con riguardo ai siti UNESCO, si pone in termini coerenti con le finalità sottese a tale istituto: e, cioè, quella di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente sì da rendere compatibile l’attività antropica con le condizioni di sviluppo sostenibile e ad integrare le scelte discrezionali tipiche dei piani e dei programmi, la peculiare natura del sito[44].

Sicché, la procedura VAS, dovrà essere precipuamente finalizzata per mettere in rilievo quegli aspetti di valorizzazione, tutela e salvaguardia, degli elementi caratterizzanti il sito UNESCO, attraverso l’adozione dei piani e dei programmi interessanti il sito stesso. Certo, la valutazione tecnico discrezionale assume un ruolo di fondamentale rilievo agli effetti di ogni successiva decisione in grado di disciplinare i conseguenti rapporti giuridici derivanti dall’esercizio di quel potere[45].

Il che si pone in termini di ulteriore coerenza sia con la direttiva comunitaria 2001/42 per la sua applicazione ai piani e programmi in grado di incidere in modo significativo sull’ambiente; sia al c.d. “principio di precauzione” di cui all’art. 301 del TUA, quale espressione di una difesa avanzata dell’ambiente e, quindi, di protezione dei siti UNESCO e delle loro caratteristiche[46].

3.5  L’altro ulteriore aspetto è correlato alla procedura cd di “seguito reattivo” prevista dalla Convenzione UNESCO. Nel senso che, l’iscrizione nella lista del sito riconosciuto di interesse universale eccezionale, non rappresenta solo un attestato onorifico delle sue peculiarità di bene del patrimonio culturale o naturale, come appunto definito dagli artt. 1 e 2 della Convenzione.

Quel riconoscimento porta con sé una serie di obblighi per lo Stato, per le Regioni per le rinnovate competenze riconosciute alla legge regionale, di cui si è detto ed in virtù della stessa L. n. 55 del 2019; nonché per gli stessi Comuni, nell’ambito del cui territorio è ubicato il bene. Tant’è che accanto agli obblighi riconosciti in capo all’intera comunità internazionale che ha il dovere di cooperate (art. 6), l’art. 5 della Convenzione fissa i vari obblighi che sono attribuiti allo Stato nelle sue articolazioni[47]. Il che, appunto, si traduce nell’obbligo di mantenere, conservare e salvaguardare i beni inseriti nei siti, nelle loro peculiarità che ne hanno determinato l’inserimento nella relativa lista.

Dal momento che, è sulla base di quella particolare procedura definita di “seguito reattivo” ( suivi reactif ) qualora avvenga che il Segretariato Generale del Comitato UNESCO riceva informazioni sul serio deterioramento del bene, ovvero, che eventuali misure correttive ritenute necessarie per la sua salvaguardia e conservazione non siano state prese, il Segretariato Generale è in grado di decidere, in consultazione con lo Stato interessato, di assumere le conseguenti determinazioni circa il mantenimento, o il mantenimento con prescrizioni, ovvero il non mantenimento del bene nelle lista del patrimonio mondiale.

A tal proposito, può essere ricordato che il problema si era posto per le isole Eolie e per la cattedrale di Colonia iscritta nella Lista del 1996.

Sicchè, con riguardo agli obblighi che discendono dal Trattato internazionale in vigore, quale appunto la Convenzione UNESCO, è ragionevole ritenere che gli stessi gravino su tutti gli organi e i soggetti dello Stato, sia centrale che regionale; dal momento che, l’art. 117 Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001 stabilisce, infatti, che la potestà legislativa viene esercitata dallo Stato, e dalle Regioni, nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi comunitari[48].

 

4. Conclusioni.

4.1 Ebbene, l’attività di monitoraggio collegata alla conservazione e salvaguardia dei beni inseriti nella lista, potrebbe essere, in ragione alla loro peculiarità, di difficile esplicazione sulla base di parametri di natura scientifica; nondimeno, è ragionevole ritenere che tale attività possa portare a rilevare effetti e situazioni non trascurabili e ricavabili da evidenze visibili, tangibili o, comunque, suscettibili di significativi riscontri.

Situazione che si presenta, pertanto, caratterizzata da connotazioni diverse da quelle che contraddistinguono la situazione di danno ambientale di cui all’art. 300 del D.L.vo n. 156 del 2006 e s.m.i. (TUA), la quale è accompagnata da effetti che devono sempre essere oggettivamente riscontrabili e non di mero pericolo, ovvero, da situazione di mero deterioramento del bene protetto.

Dal momento che, in ragione alla natura dei beni rientranti nei siti di valore universale, il deterioramento visivo può presentarsi idoneo a realizzare la soglia di rischio, in quanto il valore estetico è idoneo a motivatamente spiegare una rivisitazione delle originarie determinazioni che hanno portato il bene all’inserimento nella Lista di valore universale eccezionale.

E se questo impegno al mantenimento e salvaguardia di questi beni può presentarsi come il sinallagma funzionale, ossia il prezzo richiesto rispetto all’intervento più liberale che caratterizza la fisiologica disciplina inerente all’utilizzo, conservazione e rigenerazione dei suoli, affrontata nella prima parte di questo intervento, in realtà le differenze si presentano come più apparenti che reali.

In quanto le esigenze di tutela e di appropriata salvaguardia dei siti dovrà tradursi nella sapiente armonizzazione dei valori paesaggistici e ambientali con quelli collegati allo sfruttamento economico ed agronomico dei medesimi territori. Essere estremisti è assai facile in questa materia (e non solo in questa materia). Più complessa si presenta l’attività diretta alla reale armonizzazione e contemperamento dei diversi interessi.

Ed è questa verosimilmente la reale sfida di questo terzo millennio, sfida ovviamente collegata alla salvaguardia dei siti di eccezionale valore ed interesse universale e, quindi, anche delle colline del prosecco, quli espressione di “nuovi giardini all’italiana”.

Tale riconoscimento non rappresenta un passo indietro, ma anzi la premessa per un’ulteriore vitale ed originale forma di manifestazione di tutela del paesaggio e dell’ambiente, consapevolezza propositiva di nuove iniziative ed esperienze, destinate a tradursi nell’impegno diffuso perché la conquista raggiunta venga appropriatamente mantenuta.

Ed il nostro Paese, nelle sue diverse articolazioni di Regione, Province e Comuni e locali collettività, ha sia le formali competenze che le capacità sociali, politiche, culturali ed imprenditoriali per poter vincere la relativa sfida.

Il mio unico rammarico è che di questo affascinante aspetto del terzo millennio, non sono del tutto sicuro di poterne vedere la conclusione.

Francesco Longo

* Relazione tenuta al convegno su “Principi e deroghe della nuova  urbanistica veneta dal contenimento del consumo di suolo alla L.R. 14/2019 “Veneto 2050” svoltosi a Castelfranco Veneto il 29 novembre 2019 a cura dell’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti.

 

[1] Dello stesso avviso: R. di Pace “La rigenerazione urbana tra programmazione e pianificazione” in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2014, II, 237 e ss.; F. G. Cartei, “Il problema giuridico del consumo di suolo”, in Riv. It. Dir. Pubbl. comunit., 2014, 1261; V. Gasparri, “Il suolo, bene comune? Contenimento del consumo di suolo e funzione sociale della proprietà”, in Riv. Pubbl., 2016, 69 ss; F. Scalia, “Governo del territorio e tutela dell’ambiente: urbanistica e limitazioni del consumo di suolo”, in Urb. e App., 2016, 1065; L. Angiuli, “Rigenerazione identitaria e semplificazione nel governo del territorio”, in AA.VV., Governo del territorio e patrimonio culturale. Studi del XIX Convegno Nazionale AIDU, 30 settembre – 1 ottobre 2016; G. Torelli, “La rigenerazione urbana nelle recenti leggi urbanistiche e di governo del territorio” in istituzioni del federalismo, 2017, 651; P. Chirulli, “Pianificazione urbanistica e riqualificazione dell’esistente”, in AA.VV. Il Governo del territorio tra fare e conservare, Trento, 2014.

[2] P. Stella Richter, I sostenitori dell’urbanistica consensuale, in P. Urbani (a cura di), Le nuove frontiere del diritto urbanistico, Milano, 2013, 21e ss.

[3] B. Graziosi, “Il regime transitorio sulla quota massima di consumo del suolo nella nuova legge urbanistica regionale dell’Emilia Romagna” in Riv. Giur. dell’Edilizia, 2018, II, 12 ss.

[4] P. Stella Richter, I sostenitori dell’urbanistica consensuale cit. pag. 21.

[5] Così Corte Costituzionale, sent. n. 179 del 23 maggio 2019, dep. 16 luglio 2019, in G.U. 24.07.2019 n. 30.

[6] Su questo tema si segnala L. Mazzarolli, Riparto di competenze tra Unione Europea, Stati membri e Regioni dopo la riforma costituzionale, in AA.VV., Procedure di gara negli appalti pubblici dopo le novità del testo unico, Atti del Convegno dallo stesso titolo, tenutosi a Udine, Salone del Parlamento, Castello di Udine, il 18-19 ottobre 2006, edito in forma digitale in CD-Rom, a cura del Centro Servizi Condivisi della Regione Friuli Venezia Giulia.

[7] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 22.09.2006 che definisce il quadro per la protezione del suolo e la modifica della Direttiva 2004/35 CE, documento che si trova nel sito con URL https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2006:0231:FIN:it:PDF

[8] Documento che si trova nel sito con URL www https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32013D1386&from=EN

[9] L. R. Veneto n. 14 del 06 giugno 2017 “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”, pubblicata sul BURV n. 56 del 09 giugno 2017 ed entrata in vigore in data 24 giugno 2017.

[10] Sull’argomento ci si ha riguardo a M. M. Fracanzani, Le insidie della sussidiarietà all’autonomia: storia e prospettive di una miscela corrosiva, in A. Morganti (a cura di): Europa: il ritorno dei piccoli Stati. Autonomie, piccole patrie, processi di sussidiarietà, p. 47-56, Rimini, Il Cerchio, 2012.

[11] L.R. Lombardia n. 31 del 28 novembre 2014 “Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato” pubblicata sul BURL n. 49, suppl. del 01 dicembre 2014 ed entrata in vigore in data 02 novembre 2014.

[12] L.R. Emilia Romagna n. 24 del 21 dicembre 2017 “Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio”, pubblicata sul BURERT n. 304 del 21 dicembre 2017 ed entrata in vigore in data 01 gennaio 2018.

[13] Sull’argomento si segnala B. Barel, Contenimento del consumo di suolo tra diritto europeo e diritto regionale, in AA.VV., La Professione del Giurista. Scritti in onore dell’avv. Luigi Manzi, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018.

[14] L.R. Veneto n. 14 del 2017, art. 1, comma 2 “Il presente Capo detta norme per il contenimento del consumo di suolo assumendo quali princìpi informatori: la programmazione dell’uso del suolo e la riduzione progressiva e controllata della sua copertura artificiale, la tutela del paesaggio, delle reti ecologiche, delle superfici agricole e forestali e delle loro produzioni, la promozione della biodiversità coltivata, la rinaturalizzazione di suolo impropriamente occupato, la riqualificazione e la rigenerazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, contemplando l’utilizzo di nuove risorse territoriali esclusivamente quando non esistano alternative alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto insediativo esistente, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 2, comma 1, lettera d) della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”.

[15] L.R. Veneto n. 11 del 23 aprile 2004 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” pubblicata nel BURV n. 45/2004 secondo cui all’art. 2, comma 1, lett. d) “l’utilizzo di nuove risorse territoriali solo quando non esistano alternative alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto insediativo esistente”.

Sull’argomento si segnala P. Marzaro, La legge regionale del Veneto n. 11 del 2004 recante “Norme per il governo del territorio”: note complessive per una valorizzazione delle procedure nella formazione degli strumenti urbanistici, Rivista giuridica di Urbanistica, pp. 145-158, 2007 nonché, sempre della stessa autrice La centralità dei poteri regionali nella fruizione del territorio della Regione Veneto, Rivista giuridica di Urbanistica, pp. 23-27, 2011.

 [16] L. n. 168 del 20 novembre 2017 “Norme in materia di domini collettivi.” pubblicata in GU n.278 del 28 novembre 2017 ed entrata in vigore il 13 dicembre 2017.

[17] Sull’argomento ci si richiama agli autorevoli scritti F. Cazorzi, G. Dalla Fontana, Criteri per la revisione della gestione del vincolo idrogeologico. Applicazione pilota al bacino del Torrente Pontaiba, in Rapporto interno per la Regione Friuli Venezia Giulia e Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali, Università di Padova, 2002.

[18]Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 2710 del 10 maggio 2012 pubblicata nel sito ufficiale del Consiglio di Stato – www.giustizia-amministrativa.it.

[19] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 2529 del 26 aprile 2018 (udienza del 21 settembre 2017) pubblicata nel sito ufficiale del Consiglio di Stato – www.giustizia-amministrativa.it

[20] Così, appunto, Consiglio di Stato, sent. n. 2529 del 2018 cit.

[21] L. n. 55 del 14 giugno 2019, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici.” pubblicata G.U. n.140 del 17 giugno 2019 ed entrata in vigore in data 18 giugno 2019.

[22] D.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” pubblicato in GU n.245 del 20 ottobre 2001 – Suppl. Ordinario n. 239 ed entrato in vigore il 01 gennaio 2002, art. 2 bis “1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprieta’ e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attivita’ collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali. 1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densita’ edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio. 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima e’ comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche’ sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo.”

[23] D.M. 1444 del 1968 “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765” pubblicato nella GU 16 aprile 1968, n. 97 ed entrato in vigore in data 17 aprile 1968; art. 9 “Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: 1) Zone A) : per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale; 2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; 3) Zone C) : è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12. Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di: ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7; ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15; ml. 10 per lato, per trade di larghezza superiore a ml. 15 (1). Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche (2). [1] A norma dell’articolo 5, comma 1, lettera b-bis), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55, le disposizioni di cui al presente comma, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), del presente articolo. [2] A norma dell’articolo 5, comma 1, lettera b-bis), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55, le disposizioni di cui al presente comma, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), del presente articolo.”

[24] Inutile dire che, per quanto riguarda le prescrizioni in materia di ordinamento civile, la competenza rimane quella legislativa dello Stato.

[25] Ci si riferisce a Corte Costituzionale sent. n. 231 del 20 settembre 2016, in G.U. n. 45 del 09 novembre 2016, posizione espressa anche nelle sent. nn. 185 del 06 luglio 2016, in G.U. n. 30 del 27 luglio 2016; 178 del 06 luglio 2016, in G.U. n. 29 del 20 luglio 2016; 134 del 19 maggio 2014, in G.U. n. 23 del 28 maggio 2014.

[26] D.L.vo n. 69 del 21 giugno 2013 “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia.” pubblicata in G.U. n. 144 del 21 giugno 2013 – Suppl. Ordinario n. 50 ed entrato in vigore in data 22 giugno 2013, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 in S.O. n. 63, relativo alla G.U. 20 agosto 2013, n. 194.

[27] Per tale motivo può essere detto che la volontà del legislatore statale è stata quella di aver voluto recepire le indicazioni della Corte Costituzionale (così R. Chieppa cit in nota a Corte Cost. sent. n. 231/2016 cit.).

[28] Si vedano ad es. Cass., Civ., sez. II, sent. n. 15041 del 11 giugno 2018, in Giustizia Civile Massimario 2018 e Ibidem, sent. n. 29091 del 05 dicembre 2017, in Rivista Giuridica dell’Ediliza 2018, 2, I, 396.

[29] Si vedano ad es. Cass., Civ., sez. II, sent. n. 17043 del 20 agosto 2015 in Rivista Giuridica dell’Edilizia 2015, 5, I, 1071 e T.A.R. Bolzano, sent. n. 295 del 22 dicembre 2014 pubblicata in www.giustizia-amministrativa.it.

[30] In questo senso, ex multis, si vedano Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 4501 del 11 settembre 2013 e Cass. Civ., sez. II. sent. n. 21000 del 13 settembre 2013 in Guida al diritto 2013, 48, 68.

[31] Si cfr. Cass., Civ., sez. III, sent. n. 15732 del 15 giugno 2018, in Guida al Diritto 2018, 31, 47 (s.m. – nota di: Piselli); Ibidem, sez. II, sent. n. 29092 del 05 dicembre 2017, in Rivista Giuridica dell’Ediliza 2018, 2 I, 396 e Ibidem, sez. II, sent. n. 11049 del 27 maggio 2016, in Foro it. 2016, 11, I, 3541.

[32] Si cfr. Cass., pen., sez. III, sent. n. 24410 del 09 febbraio 2016 pubblicata in Diritto & Giustizia 2016, 14 giugno; Ibidem, sez. III, sent. n. 33043 del 08 marzo 2016 in Cassazione Penale 2017, 6, 2417; T.A.R. Puglia (Lecce), sez. I, sent. n. 675 del 04 maggio 2017 in Redazione Giuffrè amm. 2017; T.A.R. Sardegna (Cagliari), sez. II, sent. n. 53 del 31 gennaio 2018 in Foro Amministrativo (II) 2018, 1, 139; T.A.R. Campania (Napoli), sez. III, sent. n. 1093 del 20 febbraio 2018 in Redazione Giuffrè amm. 2018 e T.A.R. Toscana (Firenze), sez. III, sent. n. 210 del 07 febbraio 2019 in www.giustizia-amministrativa.it.

[33] Così Cass., civ., sez. II, sent. n. 14786 del 14 giugno 2017 in Guida al diritto, 2017, 46, 71 secondo cui “…non è sufficiente che un anteriore fabbricato sia fisicamente individuabile in tutta la sua perimetrazione, essendo indispensabile a soddisfare il requisito della sua esistenza che non sia ridotto a spezzoni isolati, rovine, ruderi e macerie, e, dall’altro, che la ricostruzione di esso, sia effettuata in piena conformità di sagoma, di volume e di superficie […]”.

[34] Per un’analisi della disciplina sull’argomento sì veda R. Chieppa, Ancora sui principi fondamentali in materia di governo del territorio sulle distanze minime tra le costruzioni e sugli interventi in zone sismiche, nota a Corte Costituzionale, 21.12.2016, n. 282, in Giurisprudenza Costituzionale, fasc. 1, 2017, pag. 0463B.

[35]  Così ex multis: Cass. Civ., SS. UU., ord. n. 21578 del 19 ottobre 2011 in Giustizia Civile Massimario 2011, 10, 1475; Ibidem, sez. II, n. 19287 del 07 settembre 2009 in Diritto e Giustizia online 2009; Ibidem sent. n. 21000 del 13 settembre 2013 in Guida al diritto 2013, 48, 68

[36] Cass., Civ., sez. II, sent. n. 473 del 10 gennaio 2019 in Foro it 2019, 9, I, 2859

[37] Si cfr. in tal senso, Cons. di Stato. sent. n. 4728 del 12 ottobre 2017 in Rivista Giuridica dell’Edilizia 2017, 6, I, 1327; Cass. Civ., sez. II, n. 473/2019 cit.

[38] Si cfr. Cons. di Stato, sez. V, sent. dell’11.07. 2016 n. 3059, in Redazione Giuffrè amministrativo 2016.

[39] Si cfr. Cons. di Stato, sez. VI, sent. del 03.06. 2019 n. 3732, in Redazione Giuffrè amministrativo 2019.

[40] Sull’argomento connesso ai limiti di intervento della legge regionale in materie di legislazione concorrente si cfr. Corte Cost. Sent. 231/2016 cit. con nota di R. Chieppa, Ancora sui principii… cit.

[41] Sull’argomento inerente alle conseguenze derivanti dall’abbandono del territorio con le connesse problematiche del dissesto idrogeologico ci si rifà a quanto indicato da F. Cazorzi e G. Dalla Fontana in Criteri per la revisione della gestione del vincolo idrogeologico. Applicazione pilota al bacino del Torrente Pontaiba, 2002, cit.

[42] In Foro Amministrativo (Il) 2016, 2, 261 (s.m); nonché sul sito ufficiale della Corte Costituzionale.

[43] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 4471 del 26 settembre 2017, dal sito ufficiale del Consiglio di Stato, giustizia-amministrativa.it.

[44]  Si cfr. nota precedente.

[45] Sull’argomento ci si rifà alla posizione espressa da F. Volpe in Norme di relazione, norme d’azione e sistema italiano di Giustizia amministrativa, Padova, 2004, pp. 196 ss., in relazione alla considerazione che il fondamento del potere di svolgere la procedura VAS lo si rinviene nella norma di cui al succitato art. 11 del D.L.vo n. 152/2006 che sottopone a procedura VAS i piani e programmi in grado di incidere in modo significativo sull’ambiente.

[46] Per una sua applicazione si cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. dell’08 febbraio 2018 n. 826 pubblicata nel sito ufficiale del Consiglio di Stato – giustizia-amministrativa.it

[47] Per una illustrazione dell’argomento si veda T. Scovazzi, “La strada per la rimozione della Lista del patrimonio mondiale UNESCO” in Rivista Giuridica dell’ Ambiente, fasc. 6, 2004, pag. 961.

[48] Si veda la nota precedente.

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