Non sono un fanatico delle udienze telematiche e, come molti, temo che si tragga occasione dall’epidemia per istituzionalizzarle.

Tuttavia, non esistono strumenti negativi in sé e, forse, le nuove tecnologie possono essere utilizzate per quel che di buono esse sono in grado di offrire, senza compromettere i principi e la funzionalità del processo.

Ne traggo spunto per ricordare che, come ben sappiamo, un tempo era uso tra noi avvocati del Foro amministrativistico veneto usare la cortesia di avvisare in anticipo il Collega di controparte, se si avesse voluto discutere effettivamente l’udienza di merito. In assenza di tale cautela, si dava per scontato che la causa sarebbe stata mandata in decisione senza essere discussa.

Vi era, peraltro anche una tesi, secondo la quale l’udienza era la regola e non il contrario. Questa tesi era patrocinata anche da Giulio Schiller, nostro storico presidente. Sulla sua base, non vi era nessun obbligo deontologico, morale o di cortesia, di anticipare al Collega l’intenzione di discutere.

Benché io fossi schierato a favore di questa seconda tesi (non foss’altro perché era minoritaria), riconoscevo l’utilità pratica della prima.

Essa evitava di essere presenti a Venezia o a Roma.

Si chiedeva a un Collega, che magari era al T.A.R. per altri motivi, di essere sostituiti e si evitava così di perdere la mattinata.

Oggi, come si sa, siamo in periodo di udienze telematiche generalizzate.

Come ho già detto, a queste udienze io non credo, in linea di massima.

L’udienza – quella vera – è sangue, è intuizione, è sintesi, è teatro.

È il luogo della strategia e anche quello della tattica.

Nell’udienza si riconoscono il carattere degli avvocati, l’ira, la passione, la calma o la compostezza. In una parola, vi si riconosce l’Uomo.

Se è vero che un Avvocato è fondamentalmente sempre uguale a sé, tuttavia egli sa che deve adattarsi al ruolo imposto dalla causa. Talvolta è bene spingere, altre volte è bene rallentare. Talvolta va bene il tono drammatico, altre volte è migliore la commedia.

È per questo che, qualche volta, usciamo un po’ rammaricati da un’udienza combattuta. Questo avviene quando comprendiamo che il Collegio è rimasto inerte e disinteressato allo spettacolo che gli abbiamo offerto. Tanto più questo ci dispiace quanto più siamo consapevoli di avere recitato bene la nostra parte.

Ecco perché rinunciare all’udienza non mi piace ed è strano che, questa volta, io mi trovi schierato con la maggioranza, che la pensa allo stesso modo.

Ci sono, tuttavia, “udienze” che possono essere tranquillamente sostituite con i mezzi telematici.

Sono quelle che oggi si risolvono nelle c.d. preliminari, quando, all’inizio della mattinata, il Collegio chiede agli avvocati se essi intendano discutere.

A spanne, circa l’ottanta per cento delle udienze si ferma lì, senza effettiva discussione. Al Consiglio di Stato, sono ancor di più.

Ma, allora, perché non prevedere, almeno per il merito, una chiamata telematica di udienze preliminari il giorno prima dell’udienza effettiva? La cosa risparmierebbe tempo e fastidi agli avvocati e renderebbe più programmabile il lavoro del giudice.

Alla fine, quando gli Avvocati, nel nostro Foro veneto, si telefonavano il giorno prima, per concordare che il giorno dopo non avrebbero discusso, essi già attuavano, a modo loro, una specie di preliminare telematica.

Rispetto all’uso veneto, questa più moderna telematica, peraltro, avrebbe anche il vantaggio dato dal fatto che vi parteciperebbe anche il Giudice. Il quale, magari, potrebbe avere lui stesso desiderio di chiedere qualcosa alle parti.

Quella sarebbe, appunto, l’occasione per manifestarlo, magari anticipando il tema dell’indagine e consentendo ai difensori di preparare al meglio i propri argomenti.

Francesco Volpe

 

 

 

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