1 – Il “fatto” della sentenza del TAR dell’Emilia Romagna che qui si annota è presto detto.

Con un suo provvedimento il Presidente della Regione Emilia Romagna ha sciolto, per asserite irregolarità gestionali, gli organi statutari della Partecipanza agraria di Cento. Alcuni consiglieri della Partecipanza hanno fatto ricorso al TAR, che ha annullato il provvedimento presidenziale impugnato.

E’ il “diritto” della sentenza ciò che merita essere messo in rilievo.

2 – Il punto fondamentale e discriminante è l’art. 1, comma 2, della legge statale 20 novembre 2017 n. 168 sui domini collettivi, secondo cui “gli enti esponenziali delle collettività titolari dei diritti di uso civico e della proprietà collettiva hanno personalità giuridica di diritto privato e autonomia statutaria”. La conseguenza è che la loro autoorganizzazione è improntata sul modello delle associazioni private, così come è affermata dalla Corte di cassazione nella sentenza 23 aprile 2021 n. 10837[1].

Secondo il TAR emiliano il principio della personalità giuridica di diritto privato degli enti esponenziali delle comunità titolari di proprietà collettive è un “principio fondamentale” della legislazione statale della materia dei domini collettivi di competenza legislativa esclusiva dello Stato quale “ordinamento civile” ex lett. l) dell’art. 117 Cost.

Orbene, l’art. 10 della legge 10 febbraio 1953 n. 62 [rubricata “Costituzione e funzionamento degli organi regionali”] sancisce che “le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo precedente[2], abrogano le norme regionali in contrasto con esse[3]. La conseguenza è stata la dichiarazione dell’abrogazione della legge della Regione Emilia-Romagna n. 6/2004 e, quindi, la sottrazione delle Partecipanze Emiliane al controllo e alla vigilanza della Regione.

3 – Ma il TAR aggiunge che la legge 168/2017 ha un altro principio fondamentale, quello che qualifica le proprietà collettive come beni di interesse paesaggistico. E ciò – secondo me – lo precisa, non solo perché così viene confermata la competenza esclusiva dello Stato nella materia dei domini collettivi la cui tutela affidata allo Stato sotto il profilo ambientale è affermata alla lett. s) del comma 2 dell’art. 117 Cost., ma – probabilmente – per valutare se implicitamente sia rimasta una situazione in cui la legge regionale non risulti essere abrogata dalla legge 168/2017. Invero, questa legge è stata integrata dalla legge 9 luglio 2021 n. 108 che ha introdotto all’art. 3 i commi 8-bis, 8-ter e 8-quater.

Orbene, il comma 8-bis attribuisce alle Regioni il (nuovo) potere di autorizzare “trasferimenti di diritto civico e permute” qualora i terreni a uso civico interessati “abbiano irreversibilmente perso la conformazione fisica o la destinazione funzionale di terreni agrari, boschivi o pascolativi per oggettiva trasformazione (…)”[4]. Trattasi di una ipotesi di “sclassificazione” dei beni civici che si aggiunge a quella dell’art. 12 della legge 1766/1927 sul “mutamento di destinazione”. Il comma 8-bis ribadisce implicitamente (con il non-richiamare il termine) l’inalienabilità di cui al comma 3 dell’art. 3 della legge 168/2017, ma ha una strutturazione particolarissima: per effetto della permuta la categoria dei beni paesaggisticamente vincolati viene allargata nel caso della liquidazione degli usi civici perché i beni dati in permuta devono essere, per superficie e valore ambientale, equivalenti a quelli oggetto della permuta (comma 8-ter) e nella suddetta categoria sono compresi tanto i beni permutati, quanto i beni dati in permuta (comma 8-quater).

Nulla, però, permette di intravedere l’attribuzione o la conservazione di un potere regionale di controllo e di vigilanza sulle comunità titolari dei beni collettivi.

Sentenza

Alberto Germanò 

*T.A.R. Emilia Romagna-Bologna, Sez. I 30 maggio 2023 n. 329 – Migliozzi, pres.; Amovilli, est. – Borghi ed a. (avv. Fata) c. Regione Emilia Romagna (avv.ti Lista e Mastragostino).

La materia dei domini collettivi è materia di competenza esclusiva dello Stato quale “ordinamento civile” [art. 117, lett. l) Cost.]. Gli enti esponenziali delle comunità titolari dei domini collettivi hanno personalità giuridica di diritto privato. Questa affermazione è un “principio fondamentale” della legislazione statale. Una legge regionale che preveda un potere di controllo e vigilanza su detti enti esponenziali è in contrasto con tale principio fondamentale. In virtù dell’art. 10 della legge 10 febbraio 1953 n. 62 sulla costituzione e funzionamento degli organi regionali la detta legge regionale è abrogata.

 

[1] La citata sentenza della Cassazione ha per oggetto la natura dell’ASBUC per i Comuni di Vagli di Sotto e di Stazzema, in una controversia in cui si discuteva del regolamento della Regione Toscana che prevedeva l’applicabilità al Comitato di gestione dell’ASBUC delle cause di ineleggibilità previste per i consiglieri comunali. La Corte di cassazione ne ha riconosciuta l’illegittimità proprio perché la legge 168/2017 ha ribadito, per le ASBUC, la natura di entità con personalità giuridica di diritto privato.

[2] L’art. 9 della legge 62/1953 è rubricato “Condizioni per l’esercizio della potestà legislativa da parte della Regione” e il primo comma recita: “L’emanazione di norme legislative da parte delle Regioni nelle materie stabilite dall’art. 117 della Costituzione si svolge nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti”.

[3] Il TAR dell’Emilia Romagna richiama Corte cost. 25 giugno 2015 n. 117 che ha dichiarato l’illegittimità della legge 7 agosto 2014 n. 16 della Regione Campania sul rilancio e lo sviluppo dell’economia regionale che aveva introdotto la figura professionale della guida archeologica subacquea in contrasto con la competenza dello Stato in materia delle figure professionali ex art. 117, comma 3, Cost. il quale riserva allo Stato la competenza esclusiva di determinazione dei principi fondamentali nelle materie della legislazione concorrente. V. anche TAR Umbria 22 gennaio 2018 n. 56 avente ad oggetto la procedura dell’aggiudicazione di lavori pubblici con riguardo all’indicazione degli oneri di sicurezza aziendali. Il TAR umbro ha dichiarato l’abrogazione, ex art. 10 legge 62 del 1953, delle leggi che ledono il principio del riparto delle competenze legislative in materia di appalti pubblici [art. 117, comma 2, lett. e), sulla “tutela della concorrenza”].

[4] E’ la formula contenuta nell’art. 10 della legge della Regione Abruzzo3 marzo 1988 n. 25, riconosciuta legittima dalla Corte costituzionale nella sentenza 3 giugno 1992 n. 237.  In alternativa alla “sdemanializzazione” delle terre collettive da attuarsi nel rispetto della legge del 1927, era possibile l’istituto della sclassificazione prevista per i beni demaniali dall’art. 829 cod. civ., quale “atto di natura meramente dichiarativa che accerta la perdita delle caratteristiche che qualificavano i terreni come beni del demanio collettivo”.

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