Mi sono imbattuto, per ragioni professionali, in una controversia alquanto singolare che riassunta, in sede di tralsatio judici avanti al Giudice Amministrativo in base al combinato disposto degli articoli 59 della L. 18 giugno 2009, n. 69 ed 11 del C.p.a., conteneva una domanda risarcitoria proposta in via autonoma senza cioè che fosse mai stato impugnato alcun provvedimento amministrativo. Dopo qualche anno il Giudizio è pervenuto a decisione ed è stato respinto, tuttavia con una motivazione che ha indotto il mio patrocinato a presentare appello. La problematica è molto interessante; è per questa ragione che mi permetto di parlarne in questa sede, sia pure rimanendo alla giusta distanza e reputando utile sintetizzare le mie riflessioni nel presente contributo, con la doverosa precisazione che quest’ultimo si configura come assolutamente privo di ambizioni di esaustività stante l’effettiva complessità e controvertibilità della materia.

1. I principi giuridici enunciati nella sentenza T.A.R. Veneto, Sezione I^, n. 143 del 9 febbraio 2018.

Ad avviso del T.A.R. per il Veneto il C.p.a., entrato in vigore in data 16 settembre 2010, successivamente all’instaurazione del Giudizio Civile da parte della ricorrente avanti al Tribunale Ordinario, ha superato definitivamente la questione della pregiudizialità dell’azione di annullamento rispetto all’azione risarcitoria.

In tal modo il Codice, argomenta il T.A.R. Veneto, ha accolto il principio della proponibilità in via autonoma dell’azione di risarcimento da lesione dell’interesse legittimo prevedendo, tuttavia, all’articolo 30, comma III^, un breve termine di 120 giorni decorrenti dalla verificazione del fatto ovvero dalla conoscenza del provvedimento, se il danno deriva direttamente dal medesimo; in caso di azione risarcitoria proposta in via autonoma va escluso il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento giuridico.

L’azione risarcitoria, proposta dalla ricorrente in via autonoma, è stata rigettata in virtù del principio di diritto evincibile dal succitato aarticolo 30, comma III^, C.p.a., come interpretato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2011.

Specificatamente, ad avviso del T.A.R. per il Veneto “…. In altri termini, secondo la condivisibile prospettazione dell’Adunanza Plenaria, mentre i termini decadenziali previsti dall’art. 30 c.p.a. per l’azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria non sono applicabili a fattispecie risalenti ad epoca anteriore all’entrata in vigore del Codice, di converso sia la regola dell’autonomia di tale azione risarcitoria (sancita dal primo comma dell’art. 30), sia la regola del concorso colposo del danneggiato (sancita dal terzo comma dell’art. 30), sono applicabili alle fattispecie risalenti ad epoca anteriore all’entrata in vigore del codice in quanto ricognitive di principi evincibili dal sistema normativo previgente” (cfr. sentenza impugnata, pagina 6).

La conclusione del Giudice Amministrativo di primo grado è la seguente:

  • sotto il profilo temporale non vi sarebbe dubbio che la disposizione dell’articolo 30, comma III^, C.p.a. si applichi, altresì, alla concreta fattispecie oggetto di cognizione;
  • la circostanza che il Legislatore, nell’introdurre la citata disposizione di cui all’articolo 30, comma III^, C.p.a. “abbia mostrato di apprezzare la rilevanza causale dell’omessa impugnazione tempestiva che abbia consentito la consolidazione dell’atto e dei suoi effetti dannosi, e la circostanza che tale disposizione sia rivolta direttamente al Giudice Amministrativo, chiamato a valutare “tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti” e ad escludere il risarcimento dei “danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”, indicono a ritenere che spetti al danneggiato dimostrare in Giudizio che la decisione di non esperire l’azione di annullamento sia frutto di un’opzione discrezionale ragionevole, perché l’interesse non è adeguatamente suscettibile di soddisfazione in forma specifica (cfr. in termini T.A.R. Lazio, II sez., n. 0584/2014 – cfr. sentenza impugnata, pagine 6 e 7);
  • la citata dimostrazione nella fattispecie non sarebbe stata fornita da parte del ricorrente con la conseguenza che la omessa attivazione degli strumenti di tutela (impugnatori e cautelari), anche nel sistema previgente all’entrata in vigore del C.p.a. è stato ritenuto ingiustificato dal Giudice amministrativo territoriale, tanto più in una materia, quale è quella degli appalti pubblici, nella quale la tutela per equivalente monetario (e, quindi, risarcitoria) si pone in rapporto di succedaneità rispetto alla tutela in forma specifica, secondo il principio ora contenuto nell’articolo 124 C.p.a. ritenuto dal primo Giudice già immanente nel sistema previgente all’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo.

2. Origine ed esegesi dell’articolo 30 C.p.a.: il venir meno della pregiudiziale amministrativa.

2.1.“L’azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma”. Così dispone l’art. 30, comma I^, C.p.a., nel sancire il principio di autonomia dell’azione risarcitoria rispetto all’azione impugnatoria o di annullamento.

Autonomia delle due forme di tutela, risarcitoria e impugnatoria che opera sia nei casi di giurisdizione esclusiva sia nei casi previsti dall’art. 30, comma III^, c.p.a. ossia nelle ipotesi di domanda di risarcimento del danno per lesione di interesse legittimo.

La disposizione in parola è l’esito di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale tra i sostenitori della tesi della cc.dd. pregiudiziale amministrativa e i fautori dell’opposta concezione della cc.dd. autonomia delle tutele.

Secondo lo schema della pregiudizialità amministrativa l’azione di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo può essere esperita solo successivamente o contestualmente alla proposizione dell’azione di impugnazione e, quindi, di annullamento del provvedimento stesso. In questa logica, la domanda di annullamento dell’atto illegittimo rappresenta una condizione processuale che il danneggiato ha l’onere di esperire, pena l’inammissibilità della correlata azione risarcitoria.

Contrariamente a questo modello, nello schema dell’autonomia delle due tutele il danneggiato può esperire l’azione di risarcimento del danno indipendentemente dalla domanda demolitoria, senza rischiare di incorrere nell’inammissibilità dell’azione risarcitoria.

La scelta dell’una o dell’altra opzione non è priva di conseguenze significative per le parti. È evidente, infatti, la diversità dei termini cui sono assoggettate le azioni di risarcimento e di annullamento.

L’azione di annullamento è proponibile entro un termine breve e decadenziale quale quello ordinario di sessanta giorni previsto dall’art. 29 C.p.a.; diversamente l’azione di risarcimento del danno, normalmente, è soggetta al termine prescrizionale più lungo di cinque o dieci anni, a seconda della natura, aquiliana o da inadempimento, della responsabilità. Ciò premesso, è evidente il senso del dibattito sulla pregiudizialità che aveva preceduto il Codice del processo amministrativo.

La tesi che sostiene l’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto all’azione impugnatoria espone il soggetto pubblico al rischio di subire, per un tempo più lungo quale quello prescrizionale, le pretese risarcitorie del privato danneggiato da un provvedimento illegittimo.

Diversamente la tesi della pregiudizialità avrebbe il “merito” di garantire certezza alle situazioni soggettive di diritto pubblico, imponendo al privato danneggiato di far valere la propria pretesa risarcitoria contestualmente all’azione impugnatoria entro il rispettivo termine decadenziale breve.

È evidente, tuttavia, che nello schema della pregiudizialità amministrativa il singolo che voglia ottenere il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo si trova costretto ad assolvere un onere, quale l’impugnazione del provvedimento, anche quando non un abbia concreto interesse alla caducazione dell’atto, e ciò soltanto perchè ricorra una condizione processuale imposta a pena di inammissibilità della domanda risarcitoria.

Evidenziata la portata degli opposti orientamenti, è possibile ricostruire le diverse ragioni sottese alle due diverse impostazioni teoriche.

Il primo argomento a sostegno della tesi della pregiudizialità si fonda sul rischio di elusione del termine decadenziale imposto per l’annullamento dell’atto amministrativo; mediante una domanda risarcitoria proposta in via autonoma; ad avviso dei fautori della tesi della cc.dd. pregiudizialità, infatti, si rischierebbe di compromettere l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico.

Si consente, infatti, al privato, che assuma di aver subito un danno dal provvedimento illegittimo, di far valere l’illegittimità dell’atto anche a notevole distanza di tempo dalla scadenza del termine decadenziale per l’annullamento di sessanta giorni.

La tesi della cc.dd. pregiudizialità, inoltre, evidenzia che al Giudice amministrativo la cognizione della legittimità dell’atto amministrativo è attribuita esclusivamente in via principale, non essendo ammessa un accertamento incidenter tantum della legittimità del provvedimento nell’ambito di un giudizio risarcitorio. Diversamente opinando, secondo la tesi della cc.dd. pregiudizialità, si attribuirebbe al G.A. un potere di disapplicazione inammissibile fuori delle ipotesi previste dall’Ordinamento, come nel caso di Regolamenti illegittimi.

A ciò si aggiungerebbe, inoltre, che il carattere sussidiario dell’azione risarcitoria non consente di sottrarre la stessa al termine decadenziale cui è soggetta l’azione impugnatoria.

Nel solco della teoria della cc.dd. pregiudizialità non manca, poi, chi fa leva sull’aggravio e sull’imprevedibilità dei costi che la P.A. si troverebbe ad affrontare in vista di un’azione risarcitoria proposta a distanza di anni dall’emanazione del provvedimento.

Infine, un ultimo argomento sviluppato a sostegno dell’opzione della pregiudizialità è quello che evidenzia la “dequotazione” del carattere oggettivo del Giudizio Amministrativo.

2.2. Alla tesi esposta sono state mosse numerose critiche che hanno indotto la dottrina e la giurisprudenza ad aderire al diverso orientamento, oggi codificato nell’art. 30 C.p.a., della autonomia dell’azione risarcitoria da quella impugnatoria. Si è sostenuto, infatti, che la possibilità di esperire in via autonoma un’azione di risarcimento per il danno cagionato da provvedimento illegittimo non incide sulla regolazione degli interessi delle parti determinata dall’atto illegittimo.

È stata, oltretutto, criticata la tesi che paventava un rischio di attribuzione al G.A. di un inammissibile potere di disapplicazione dell’atto illegittimo.

Al riguardo, infatti, si è evidenziata la diversità tra le due operazioni logiche poste in essere dal G.A. quando è chiamato a disapplicare un atto e quando, viceversa, deve conoscere incidenter tantum la legittimità dello stesso ai fini di pronuncia risarcitoria.

In quest’ultimo caso, infatti, l’illegittimità dell’atto, lungi dal determinare la disapplicazione tamquam non esset del provvedimento, è l’elemento decisivo posto alla base della pronuncia giudiziale di condanna al risarcimento del danno.

La tesi dell’autonomia delle tutele, inoltre, fa leva su una disposizione quale l’art. 2377 del Codice Civile, che assoggetta al termine decadenziale la domanda risarcitoria del danno da deliberazione assembleare annullabile; tale previsione dimostra, dunque, l’eccezionalità dei termini decadenziali quando riguardanti la tutela risarcitoria.

La tesi della cc.dd. pregiudizialità amministrativa, già prima del Codice del processo amministrativo, era stata negata dalla celeberrima pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 500/1999.

Tale pronuncia metteva in luce la diversità di oggetto nonché di logica tra le due diverse forme di tutela, impugnatoria e risarcitoria.

In particolare, quanto all’ambito dei rispettivi Giudizi, si osservava che nel giudizio risarcitorio l’illegittimità dell’atto è soltanto uno degli elementi che il Giudice è chiamato a valutare ai fini di una condanna di responsabilità ex art. 2043 C.C.

A tal fine, come evidenziavano le Sezioni Unite, rileva l’elemento psicologico del danneggiante nonché la circostanza che il danno può essere determinato anche da condotte successive o antecedenti il provvedimento illegittimo.

Le Sezioni Unite, oltretutto, mettevano in luce la diversità di logica, oggettiva e soggettiva, rispettivamente sottese alla tutela impugnatoria e a quella risarcitoria.

La tesi dell’autonomia delle due tutele è stata, poi, sostenuta dalle pronunce della Suprema Corte di Cassazione, prima con le Ordinanze numeri 13659 e 13660 del 2006, e dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 30254/2008.

Il Supremo Consesso di legittimità concludeva nel senso che spetta alla giurisdizione del G.A. la cognizione su una domanda risarcitoria c.d. “pura”, proposta in via autonoma dall’azione di risarcimento del danno; l’omessa pronuncia da parte del G.A. su tale domanda configura un vizio inerente la giurisdizione come tale deducibile con ricorso “straordinario” per Cassazione, ex Art. 111, ultimo comma, Costituzione.

La soluzione della Cassazione, ispirata a una logica di pienezza ed effettività della tutela dinanzi al G.A., constrastava con l’opposto orientamento del Consiglio di Stato; si ricorda, infatti, che l’Adunanza Plenaria nelle note pronunce n. 4 del 2003 e n. 12 del 2007 aveva aderito alla tesi della cc.dd. pregiudizialità.

Al riguardo una parte della giurisprudenza amministrativa, tornata a pronunciarsi sulla questione della pregiudizialità, nel 2009 sosteneva che una domanda risarcitoria proposta a fronte di un provvedimento illegittimo non impugnato tempestivamente, pur potendosi considerare ammissibile, fosse, tuttavia, infondata nel merito. In particolare, si evidenziava che la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno consente a tale atto di operare in modo precettivo come regola del caso concreto che autorizza il prodursi di effetti per i consociati; pertanto, così argomentando, si escludeva che il danno arrecato da tale provvedimento inoppugnato potesse essere considerato ingiusto, così come non potrebbe considerarsi ingiusta la condotta dell’amministrazione esecutiva del provvedimento in parola.

2.3. Tra le due tesi estreme, si colloca una tesi intermedia che sottolinea l’autonomia processuale, ma non sostanziale, delle due tutele. Questa tesi della cc.dd. autonomia “temperata” delle azioni, risarcitoria e impugnatoria, è quella codificata nell’Art. 30 C.p.a.

Tale norma è confermata dall’art. 7 C.p.a. nonché dai successivi commi II^ e II^ dell’Art. 34 C.p.a.

L’art. 7, comma IV^, C.p.a., prevede che nell’ambito della giurisdizione amministrativa generale di legittimità siano ricomprese le controversie relative al risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi “pure se introdotte in via autonoma”. 

L’art. 34, comma II^, nel sancire il divieto generale per il G.A. di pronunciarsi sulla legittimità dell’atto amministrativo non impugnato, ammette come eccezione l’ipotesi della domanda risarcitoria esperita, ai sensi del comma III^ dell’Art. 30 C.p.a., anche in via autonoma.

Nello stesso senso l’art. 34, comma III^, C.p.a. prevede che in caso di improcedibilità del Giudizio di annullamento per sopravvenuto difetto di interesse, il Giudice possa ugualmente conoscere incidenter, senza effetto di giudicato, la legittimità dell’atto che rilevi ai fini della pronuncia risarcitoria.

Come si è già detto l’autonomia dell’azione risarcitoria di cui all’Art. 30, C.p.a., è, tuttavia, “temperata”.

Al riguardo occorre premettere che alla base di tale autonomia non assoluta, vi sono due esigenze che, d’altro canto, gli stessi fautori della tesi dell’autonomia contrapposta alla pregiudizialità hanno evidenziato.

In primo luogo, infatti, è evidente che la P.A. si troverebbe esposta a una pretesa risarcitoria per un tempo eccessivamente lungo ove fosse possibile esperire domanda di condanna indipendentemente dall’impugnazione dell’atto.

A questo rischio si aggiunge la circostanza che il privato potrebbe negligentemente o, addirittura, maliziosamente omettere di impugnare l’atto e proporre domanda risarcitoria anche a notevole distanza di tempo dalla scadenza del termine di decadenza di sessanta giorni. Non è esclusa, infatti, l’ipotesi di una condotta opportunistica del singolo che, al fine di lucrare un maggior risarcimento, lasci volontariamente trascorrere del tempo prima di far valere la pretesa risarcitoria.

Ciò premesso, è evidente che l’art. 30, comma III^, C.p.a. sia frutto di un compromesso volto a soddisfare le suesposte esigenze.

Da un lato, infatti, il Codice del processo amministrativo assoggetta l’azione di risarcimento a un termine decadenziale di centoventi giorni che decorrono diversamente a seconda del “giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno derivi direttamente da questo”. 

All’esigenza di evitare condotte negligenti o opportunistiche del privato, il comma III^ dell’art. 30 C.p.a., ha stabilito che “nel determinare il risarcimento del danno il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

Il comma III^, dunque, mostra di accogliere la tesi intermedia summenzionata che attribuisce una rilevanza sostanziale, ma non processuale, alla pregiudizialità.

La proposizione dell’azione di annullamento non è più condizione di ammissibilità dell’azione risarcitoria ma rileva, comunque, con riferimento alla fondatezza della pretesa risarcitoria.

Al riguardo è intervenuta la nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2011 che ha chiarito che l’art. 30, comma III^, C.p.a., è norma ricognitiva di una regula iuris ricavabile dal sistema, in particolare dall’art. 1227 C.C.,, già prima dell’entrata in vigore del C.p.a., e, come tale, pertanto, risulta applicabile anche alle vicende in corso alla data del 16 settembre 2010.

La regola prevista dal comma III^ dell’art. 30 C.p.a., è confermata da altre disposizioni quali l’art. 124, comma II^,  e l’art. 243-bis, comma V^, del D.lgs. n. 163 del 2006. Il richiamo è, quindi, alle norme del Codice Civile, in particolare i commi 1 e 2 dell’art. 1227 C.C., che offrono delle regole applicabili in tema di causalità.

Dall’art. 1227, comma I^, C.C. si ricava che nell’ambito della c.d. causalità materiale, ossia il rapporto tra fatto illecito e danno-evento, è esclusa l’imputabilità del risarcimento del danno causato in parte dallo stesso danneggiato (cc.dd. concorso colposo del danneggiato). Il comma II^ dell’art. 1227 C.C. nell’ambito della cc.dd. causalità giuridica, ossia rapporto tra danno evento e conseguenze dannose, regola i criteri di determinazione del danno-conseguenza, escludendo il risarcimento del danno che il creditore avrebbe potuto evitare se avesse rispettato il dovere di correttezza.

Stando alla ricostruzione operata dall’Adunanza Plenaria l’art. 1227 C.C., cui rinvia l’art. 30, comma III^, C.p.a., è espressione di un più generale dovere di correttezza del creditore-danneggiato, in ossequio ai canoni generali di buona fede oggettiva (ex artt. 1175 e 1375, c.c.) e solidarietà sociale ex art. 2, Cost., in forza del quale il danneggiato ha una serie di obblighi negativi e positivi; in particolare il danneggiato deve evitare comportamenti che aggravino l’entità del danno e deve impegnarsi per evitare o quanto meno ridurre le conseguenze dannose.

Il limite a tali obblighi di condotta è il cc.dd. apprezzabile sacrificio. Ove si accerti che l’azione imposta secondo correttezza al danneggiato, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, se posta in essere avrebbe evitato, secondo un giudizio di probabilità relativa, il danno da provvedimento illegittimo, il Giudice escluderà in tutto o in parte il risarcimento del danno.

Il problema, sul quale si pronuncia l’Adunanza Plenaria n. 3 del 2011, riguarda il significato dell’espressione del comma III^ dell’art. 30 C.p.a., che si riferisce agli “strumenti di tutela previsti”.

Ci si è chiesti se nell’ambito degli strumenti di tutela che possono evitare o, quanto meno, ridurre il danno, rientri l’azione di impugnazione.

Al riguardo una prima tesi ha negato che il Giudice possa applicare lo schema dell’art. 1227 C.C. anche al caso in cui il singolo non abbia proposto azione di annullamento. La tesi in questione fa leva su due argomenti: in primo luogo si evidenzia che la ratio dell’art. 30 C.p.a. è quella di sancire l’autonomia della tutela risarcitoria rispetto a quella impugnatoria, al fine di assicurare pienezza ed effettività alla tutela dell’interesse legittimo.

L’autonomia dell’azione di risarcimento, pur formalmente riconosciuta, sarebbe di fatto frustrata da una previsione che escludesse i danni evitabili con azione di annullamento.

Inoltre, la tesi in menzione, evidenzia che dal tenore letterale del comma III^ dell’art. 30 C.p.a. non si ricava affatto che tra gli altri “strumenti di tutela previsti” sia ricompresa l’azione impugnatoria, e che, al contrario, proprio l’espressione “anche attraverso…” esprimerebbe il carattere non ineluttabile del mancato esperimento degli strumenti di tutela. Si fa leva, inoltre, sul principio di insindacabilità delle azioni giudiziarie del singolo dal quale non si può esigere un’azione giudiziale in ragione dei costi, tempi e rischi, normalmente insiti in un processo.

Di contrario avviso è, tuttavia, l’Adunanza Plenaria n. 3 del 2011.

Tale pronuncia chiarisce il principio di autonomia temperata dell’azione risarcitoria rispetto all’azione di annullamento, in linea con gli orientamenti della CGUE.

L’azione di risarcimento, infatti, mostrerebbe tutta la sua debolezza quando proposta in via autonoma, atteso che nel risarcimento del danno il Giudice, nella logica dell’art. 1227 C.C. può escludere quei danni che una tempestiva azione caducatoria avrebbe evitato.

L’Adunanza Plenaria, inoltre, sottolinea che unico limite di tale impostazione è il sacrificio apprezzabile, ossia la condotta che non potrebbe esigersi dal creditore secondo buona fede.

Al riguardo per esempio si ricorda che il danneggiato da provvedimento illegittimo potrebbe non aver più interesse all’impugnazione dell’atto, vuoi perchè questo interesse non vi sia ab origine, vuoi perchè venga meno successivamente ovvero non possa essere adeguatamente soddisfatto. Altresì l’annullamento sarebbe inutile ove riguardasse un provvedimento immediatamente eseguito dall’Amministrazione con effetti irreversibili.

In tutti questi casi è evidente che non si possa esigere dal privato l’esperimento dell’azione di annullamento del provvedimento illegittimo e dannoso.

L’Adunanza Plenaria aggiunge che tra gli strumenti di tutela che il danneggiato è tenuto ad esperire secondo la diligenza di cui al comma III^, art. 30, C.p.a., rientrano rimedi quali i ricorsi gerarchici e le istanze di modifica o revoca dell’atto in autotutela.

Il carattere temperato dell’autonomia dell’azione di condanna al risarcimento è evidente, inoltre, nella previsione di un termine decadenziale breve entro cui esperire la tutela risarcitoria. In particolare, il comma 3, art. 30, C.p.a. prevede il termine di centoventi giorni che decorrono, con evidente sincronia con l’azione di annullamento, dalla “conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”. Il successivo comma V^ prevede, invece, che, ove sia stata proposta azione di annullamento, l’azione risarcitoria resti proponibile, anche oltre il termine di cui al comma III^, nel corso del giudizio impugnatorio, con motivi aggiunti, e, comunque, sino a centoventi giorni dal giudicato di annullamento.

Riguardo all’introduzione di un termine decadenziale breve, non manca chi vi ha visto una reintroduzione de facto della pregiudizialità amministrativa. Sono stati, inoltre, sollevati dubbi di legittimità costituzionale sul punto. Secondo una tesi la previsione del comma III^ art. 30 C.p.a., sarebbe perfettamente compatibile con il dettato costituzionale, avendo il Legislatore piena discrezionalità nel fissare i termini decadenziali.

Diverso orientamento della giurisprudenza, che ha portato a sollevare questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale, sostiene l’illegittimità dell’art. 30 C.p.a.; tale norma, nell’assoggettare la domanda di risarcimento a un così breve termine decadenziale, rischia di frustrare la finalità perseguita dal Legislatore nel sancire l’autonomia delle tutele, risarcitoria e impugnatoria, ovvero quell’esigenza di assicurare pienezza ed effettività alla tutela dell’interesse legittimo leso da provvedimento illegittimo. Sul tema i dubbi manifestati riguardano, inoltre, la diversità strutturale e funzionale dei termini decadenziali e prescrizionali; di conseguenza, si è detto che l’azione di risarcimento si mostra suscettibile di ricadere soltanto nell’ambito di un termine prescrizionale più lungo.

Altro tema è quello riguardante l’applicabilità retroattiva del termine decadenziale anche ai fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo. Sul punto, di recente l’Adunanza Plenaria si è pronunciata con la sentenza n. 6 del 2015 nel senso di escludere l’applicazione retroattiva del termine di cui al comma III^ art. 30 C.p.a. Si è sottolineato che il termine in parola non ha una natura schiettamente processuale, ma piuttosto costituisce una fattispecie mista, un istituto sostanziale a rilevanza processuale che, alla luce della regola ex art. 11, preleggi, si applica ai solo fatti posteriori all’entrata in vigore della nuova normativa. Si è evidenziato, oltretutto, che, diversamente opinando, si rischia di esporre il singolo a una decadenza di creazione pretoria, con pregiudizio irragionevole e imprevedibile delle aspettative e del legittimo affidamento del privato. La soluzione adottata dall’Adunanza Plenaria, oltretutto, si mostra in linea con l’orientamento avallato dalla Corte Costituzionale nella recente pronuncia n. 57/2015.

Questo “lo stato dell’arte” del complesso thema decidendum.

3. E’ corretta la regula juris enunciata dal T.A.R. Veneto nella sentenza n. 143/2018?

Se così è, a nostro avviso, il T.A.R. per il Veneto non ha applicato correttamente l’articolo 30, comma III^, C.p.a.

Come sopra esposto l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella decisione n. 3/2011, ha sottolineato che l’unico limite alla proposizione dell’azione risarcitoria autonoma da parte del privato nei confronti della P.A. è il cc.dd. “sacrificio apprezzabile”, ossia la condotta che non potrebbe esigersi dal creditore secondo buona fede.

Al riguardo per esempio si ricorda che il danneggiato da provvedimento illegittimo potrebbe non aver più interesse all’impugnazione dell’atto perché, ad esempio, l’annullamento sarebbe del tutto inutile ove riguardasse un provvedimento immediatamente eseguito dall’Amministrazione con effetti irreversibili.

In tutti casi enucleati dall’Adunanza Plenaria è evidente che non si possa esigere dal privato l’esperimento dell’azione di annullamento del provvedimento illegittimo e dannoso.

Ma è proprio in merito a questo specifico punto che la sentenza del T.A.R. per il Veneto si dimostra, ad avviso dello scrivente, erronea.

Infatti, il T.A.R. ritiene che il Legislatore, nell’introdurre la citata disposizione di cui all’articolo 30, comma III^, C.p.a. “abbia mostrato di apprezzare la rilevanza causale dell’omessa impugnazione tempestiva che abbia consentito la consolidazione dell’atto e dei suoi effetti dannosi, e la circostanza che tale disposizione sia rivolta direttamente al Giudice Amministrativo, chiamato a valutare “tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti” e ad escludere il risarcimento dei “danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”, indicono a ritenere che spetti al danneggiato dimostrare in Giudizio che la decisione di non esperire l’azione di annullamento sia frutto di un’opzione discrezionale ragionevole, perché l’interesse non è adeguatamente suscettibile di soddisfazione in forma specifica (cfr. in termini T.A.R. Lazio, II sez., n. 0584/2014 – cfr. sentenza impugnata, pagine 6 e 7).

Poiché la citata dimostrazione, nella concreta fattispecie, non sarebbe stata fornita da parte dell’interessato, la conseguenza sarebbe ed è stata ad avviso del T.A.R. Veneto che la omessa attivazione degli strumenti di tutela (impugnatori e cautelari), anche nel sistema previgente all’entrata in vigore del C.p.a. sarebbe non giustificata tanto più in una materia, quale è quella degli appalti pubblici, nella quale la tutela per equivalente monetario (e, quindi, risarcitoria) si pone in rapporto di succedaneità rispetto alla tutela in forma specifica, secondo il principio ora contenuto nell’articolo 124 C.p.a. ritenuto dal primo Giudice già immanente nel sistema previgente all’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo.

Ci si permette di sostenere che tale dictum sia ingiustificatamente additivo rispetto alla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3/2011 la quale non onera, per quanto a conoscenza dello scrivente, parte ricorrente che propone in via autonoma azione risarcitoria di dimostrare “che la decisione di non esperire l’azione di annullamento sia frutto di un’opzione discrezionale ragionevole”, laddove è molto complesso definire, proprio sotto il profilo concettuale, la cc.dd. “opzione discrezionale ragionevole”.  

Se la soluzione data dal T.A.R. in detta sentenza dovesse ritenersi corretta i limiti della tutela risarcitoria proposta in via autonoma sarebbero decisamente troppo angusti atteso che si obbligherebbe parte ricorrente a porre in essere una sorta di probatio diabolica, con riemersione in toto della cc.dd. pregiudizialità amministrativa.

Per contro, sempre se abbiamo compreso bene la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2011, è il Giudice Amministrativo che deve valutare “tutte le circostanze di fatto della fattispecie e il comportamento complessivo delle parti”. Ciò all’evidenza anche utilizzando i poteri istruttori che il C.p.a. contempla.

Quindi, la pretesa infondatezza di qualsiasi domanda risarcitoria azionata in via autonoma dalla ricorrente nel Giudizio di che trattavasi, di fatto per omessa tempestiva attivazione dei rimedi impugnatori, va disattesa in quanto contrastante con il dictum di cui alla celeberrima sentenza n. 500/1999 della Suprema Corte di Cassazione la quale ha fatto venir meno la cc.dd. pregiudizialità amministrativa, nonché in quanto contrastante con un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 30, comma III^, C.p.a. che si ponga nel solco della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa, ex artt. 24 e 113 della Costituzione.

Giovanni Attilio De Martin

*  Nota a T.A.R. Veneto, Sez. I, 9 febbraio 2018 n. 143

Sentenza n. 143_2018

 

image_pdfStampa in PDF