I territori montani sono normalmente contraddistinti da comunità piuttosto ristrette, racchiusi come sono in vallate talvolta piuttosto anguste.

Storicamente, tuttavia, in alcune zone della montagna veneta le piccole comunità presenti si ritrovano contese tra il Comune e le Regole sussistendo una necessitata coabitazione tra tali diverse forme dell’“amministrare”.

E ben nota l’ontologica differenza tra le due formazioni sociali: gli Enti comunali sono soggetti di diritto pubblico, mentre le Regole rispondono ad uno schema sostanzialmente privatistico, sebbene siano per legge investite di compiti ed attività di sicuro rilievo collettivo.

Ora, frequentemente nell’Amministrazione pubblica e nelle Regole si assiste ad un intersecarsi di ruoli cosicché sussistono pubblici amministratori che sono anche regolieri e viceversa il che, data la coincidenza delle comunità amministrate, comporta inevitabilmente che possano generarsi delle situazioni di conflitto d’interessi.

Ma, a prescindere dall’opportunità o meno di partecipare all’assunzione di determinate scelte se si è portatori di interessi personali che coinvolgono il Comune e la Regola, nondimeno di preminente rilievo è stabilire se sussista o meno un obbligo giuridico di astensione da parte degli amministratori comunali che rivestano anche lo status di regolieri tout court nell’ambito delle proprietà collettive presenti in loco, pur non avendo nell’organigramma delle istituzioni regoliere alcun ruolo direttivo e/o funzione di natura gestoria.

Una problematica di tal sorta richiede, dunque, di esaminare se si incorra in un motivo di illegittimità delle relative deliberazioni, vale a dire delle deliberazioni comunali di interesse (anche) delle Regole, in base al dovere di astensione ex art. 78 del T.U.E.L.

I dubbi riguardano innanzitutto le scelte di tipo pianificatorio ma a tal riguardo potrebbero sorgere perplessità solo sulla scorta di una lettura della disposizione parziale ed inesatta, che non considera né l’evoluzione giurisprudenziale e legislativa subita dalla norma né la singolarità del caso di specie.

Invero, nel caso di deliberazioni relative ad atti generali l’obbligo di astensione può non trovare applicazione, essendo necessaria la sussistenza di una relazione ben precisa tra quanto introdotto attraverso la deliberazione approvata e gli interessi facenti capo all’amministratore. Ne consegue che, proprio in ordine alle deliberazioni in materia programmatoria, l’obbligo di astensione sussiste solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui venga a palesarsi un’evidente correlazione tra una specifica prescrizione dell’atto a contenuto pianificatorio e la peculiare posizione soggettiva rivestita dall’amministratore.

Non va dimenticato, infatti, che l’obbligo di astensione dei consiglieri comunali ha conosciuto una progressiva restrizione del proprio spazio di operatività, culminata nell’attuale formulazione dell’art. 78 del T.U.E.L., in base al quale il dovere di astenersi “non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado”. Se dunque la generica terminologia impiegata dagli artt. 290 e 279 rispettivamente del R.D. 148/1915 e del R.D. 383/1934 consentiva alla giurisprudenza più risalente di estendere il dovere di astensione ad ogni situazione correlata all’oggetto della delibera dell’organo collegiale, la novella legislativa contenuta nell’art. 78 del T.U.E.L. ha previsto per l’istituto un ambito di applicazione meno rigoroso e decisamente più ristretto.

Non a caso il Giudice Amministrativo ha chiarito che la valutazione circa l’interesse dell’amministratore “debba essere effettuata in concreto, con riguardo a specifici atti, e verificando la loro incidenza su determinati interessi dell’amministratore, e non già con riguardo alle astratte potenzialità riferibili al tipo di provvedimento oggetto di approvazione. Va invero sottolineato come la previsione limiti la funzione rappresentativa dei consiglieri, scelti dal corpo elettorale, e deve dunque trovare applicazione soltanto laddove essa abbia una reale utilità, e, dunque, quando tangibile sia il pregiudizio per l’interesse pubblico: e di ciò appare ben consapevole il legislatore, che, dapprima con l’art. 19 della l. 3 agosto 1999, n. 295, e successivamente, con l’art. 78 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ha stabilito che l’obbligo di astensione si applica ai piani urbanistici, solo quando «sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado»” (T.A.R. Veneto, Sez. I, 13 settembre 2001, n. 2534, in www.giustizia-amministrativa.it).

Non è dunque più sufficiente l’esistenza di un qualsiasi rapporto tra l’amministratore e l’oggetto della delibera di adozione della variante per inficiare la legittimità del provvedimento del Consiglio ma, “affinché operi l’obbligo di astensione nella particolare materia urbanistica, è necessario che dalla situazione concreta emerga la mancanza di una posizione di neutralità rispetto a concreti interessi a contenuto patrimoniale, facenti capo direttamente o indirettamente al consigliere comunale: interessi che, nel caso di adozione di uno strumento urbanistico devono essere confliggenti o coincidenti con quelli dell’amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2002, n. 3994). L’obbligo di astensione degli amministratori locali (già sancito dall’art. 290 T.U. 4 febbraio 1915 n. 148 e dall’art. 279 T.U. 3 marzo 1934 n. 383, specificato dall’art. 19 della legge n. 265/1999 e, allo stato, ribadito dall’art. 78 T.U. n. 267/2000) costituisce regola dettata al fine di garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa, per cui essa deve trovare applicazione nel caso di atti di pianificazione urbanistica che incidano immediatamente sulla destinazione di immobili ai quali siano direttamente interessati un amministratore locale o un suo parente o affine sino al quarto grado, mentre ne va esclusa l’operatività in caso di delibazione di variante urbanistica, non destinata ad arrecare specifici benefici a singoli immobili” (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 5 dicembre 2002, n. 727, in www.giustizia-amministrativa.it).

In pratica, la spiccata valenza proprietaria promanante dai canoni giurisprudenziali in precedenza enunciati rende “evidente, in punto di diritto, come le stesse situazioni -se pure possono, eventualmente, rilevare ai fini della autonoma valutazione, da parte del singolo Consigliere comunale, dell’opportunità o meno, sotto altri profili, di una propria astensione- non sono, invece, assolutamente idonee (stante il difetto del suddetto requisito di natura patrimoniale/proprietaria) a far sorgere, in capo ai medesimi titolari di tale carica istituzionale, l’obbligo giuridico di astenersi dal prender parte alla deliberazione di adozione dello strumento urbanistico di cui si tratta” (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 5 dicembre 2002, n. 727, cit.).

Ebbene, nel caso di specie non è riscontrabile la presenza di alcun interesse di matrice proprietaria in capo agli amministratori o ai loro parenti tale da giustificare la doverosa astensione del Sindaco e di alcuni consiglieri dalla discussione e dal voto. L’appartenenza dei consiglieri o di loro parenti alle locali Regole non ha infatti alcuna rilevanza ai fini della legittimità della delibera, ancorché le Regole siano proprietarie del terreno su cui una determinata deliberazione possa incidere.

Le Regole non rappresentano affatto una comunione in senso codicistico, ma una forma di proprietà collettiva a mani riunite caratterizzata da inalienabilità ed inusucapibilità. Come espressamente riconosciuto nella celebre “sentenza Fletzer” del 19 settembre 1986, “nei “laudi” sono contemplate forme di proprietà speciale collettiva che vengono chiamate “colonelli”. Le troviamo in diversi comuni: Auronzo, Lozzo, Vodo, Lorenzago, Domegge e altrove. Sono terre arative, prative e pascolive concesse ai “regolieri” ossia agli “homines” cioè capi famigliari o per assegnazione diretta (“per commoditatem”) o per estrazione a sorte (“per bolletinos”)” (Commissione usi civici Venezia, 19 settembre 1986, integralmente reperibile in I. CACCIAVILLANI, La sentenza Fletzer sulle Regole, Belluno, 1989, 53, nonché in Riv. dir. agr., 1987, II, 447).

La peculiare natura giuridica or ora richiamata è destinata inevitabilmente ad incidere sulla posizione soggettiva dei propri appartenenti, che non sono affatto contitolari dei terreni regolieri ma semplici componenti del medesimo per vincolo agnatizio.

L’esclusiva titolarità del bene in capo ad un ente particolare quale la Regola esclude, pertanto, ogni censura che pretenda di rilevare un “conflitto di interessi” in capo al consorziato-regoliere che, in qualità di amministratore comunale, si trovi a deliberare sui terreni di proprietà dell’ente. Non vi è infatti ravvisabile alcun interesse di tipo dominicale dell’amministratore-regoliere che imponga l’astensione ai sensi dell’art. 78 del T.U.E.L.

La carenza di un rapporto di tipo proprietario con i beni dell’ente di appartenenza è ben chiarita dalla citata “sentenza Fletzer” la quale ha infatti espressamente statuito che “una caratteristica del “colonello” è la sua inalienabilità ed inusucapibilità connesse al rapporto, che non è di titolarità, che gli “homines” cioè i capi famiglia hanno con il territorio” (Commissione usi civici Venezia, 19 settembre 1986, cit.).

Soggetto non è, infatti, il regoliere, ma la comunione familiare nella sua continuità, che non è lesa dal succedersi o dallo stesso variare dei suoi componenti, come non è lesa da eventuali variazioni agronomiche. Invero, l’acquisto dello stato di regoliere non comporta successioni di natura patrimoniale perché i singoli regolieri non sono proprietari pro quota indivisa delle terre arative, prative e pascolive che, invece, sono della Regola nella sua continuità, tanto che in base alla legge n. 1102 del 1971 la successione dello status di regoliere viene tassata a imposta fissa, pur a fronte di patrimoni di notevole entità (cfr. art. 10 ultimo comma a mente del quale “l’atto relativo all’acquisto e alla perdita dello stato di membro delle comunioni, disciplinato dallo statuto, è registrato a tassa fissa senza altre imposte”).Del resto, come da tempo ripete la Suprema Corte (si veda da ultimo la sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 7021 dell’11 aprile 2016, segnalata in Foro It. 2016, I, 2452 ss.), il regime delle proprietà collettive è di natura para-demaniale, soggetto ad uno stringente controllo pubblico, con vincolo di utilizzo e di fruizione che sono subordinati al controllo tutorio della Autorità amministrativa.

L’assenza di rapporti giuridici di tipo proprietario tra il consorziato e gli immobili di proprietà della Regola esclude, pertanto, la rilevabilità di qualsiasi correlazione immediata e diretta tra il contenuto della deliberazione volta a volta considerata e gli specifici interessi di quegli amministratori -o loro parenti- che appartengono a famiglie partecipanti all’ente collettivo.

A tal proposito, non pare inutile ricordare che la fondamentale caratteristica degli enti regolieri “è quella di essere basati sul vincolo agnatizio e di configurare il rapporto tra i singoli regolieri ed il patrimonio dell’ente in modo del tutto differente dal regolamento della comunione di derivazione romanistica”, precisando inoltre che tale patrimonio si rivela “suscettibile di fruizione secondo svariate forme da parte dei regolieri; ma non per questo confondibile con il patrimonio personale dei singoli partecipanti a tale particolare «comunione»” (Tribunale Belluno, 31 maggio 1997, in Foro it., 1999, I, 2121).

La totale separazione tra l’ente proprietario e i partecipanti è stata peraltro ritenuta dal medesimo Collegio motivo sufficiente ad escludere l’esistenza di una causa di incompatibilità ex art. 3 della L. 154/81 (ora assorbito dall’art. 63 del T.U.E.L.) nell’ipotesi di lite pendente tra le Regola partecipata dall’eletto ed il Comune: invero, “nelle cause civili pendenti (che per quanto si desume dagli atti riguardano proprio parte del c.d. patrimonio antico delle regole) non sono parte i consiglieri comunali ed il sindaco qui convenuti, bensì le regole quali soggetti di diritto distinti ed autonomi” (Tribunale Belluno, 31 maggio 1997, cit.).

Le forme di collettività a mani riunite quali Regole e Colonelli godono pertanto di un’individualità propria da non confondere in alcun modo con i singoli appartenenti alla medesima e che permette loro di curare in prima persona i rapporti con l’Amministrazione comunale. Non si spiegherebbe altrimenti quanto disposto dall’art. 14 della L.R. Veneto 19 agosto 1996, n. 26, che non solo ammette la possibilità per Regione, Comuni e Comunità montane di affidare in concessione alle Regole la realizzazione di interventi attinenti o connessi alle loro specifiche funzioni, ma prevede che, al fine di valorizzare le potenzialità dei beni agro-silvo-pastorali sia sotto il profilo produttivo sia sotto quello della tutela ambientale, “gli enti pubblici territoriali sono tenuti a coinvolgere le regole, acquisendone il preventivo parere, nelle scelte urbanistiche e di sviluppo locale, nonché nei processi di gestione forestale ed ambientale e di promozione della cultura locale. Gli enti interessati nell’assumere le deliberazioni finali devono motivare espressamente sul parere acquisito”.

È evidente che un simile coinvolgimento della Regola non troverebbe alcuna giustificazione ove si sostenesse la doverosa astensione dei regolieri-amministratori da ogni discussione in ordine a scelte di tipo programmatorio; al contrario, la completa separazione esistente tra la Regola e i regolieri permette alla prima di intervenire con il proprio apporto collaborativo anche con riguardo a questioni di tipo generale. Del resto, nel richiedere il parere obbligatorio della Regola nelle scelte urbanistiche il Legislatore regionale aveva ben presente non solo la grande estensione delle diverse forme di proprietà collettiva esistenti sul territorio della Regione, ma pure la frequente coincidenza tra amministratori e regolieri nei piccoli comuni veneti.

Ed infatti, anche il Tar Veneto – con la sentenza della Sezione II n. 92 del 27 gennaio 2005 (in www.giustizia-amministrativa.it) – ha nitidamente chiarito che “una simile conformazione giuridica (conformata dal richiamo effettuato dalla difesa resistente alla “sentenza Fletzer” del 1986, proprio in ordine alla natura del colonello), porta quindi ad escludere l’esistenza di quello specifico legame, di quella puntuale correlazione richiesta dalla norma affinchè insorga in capo agli amministratori l’obbligo di astensione: una volta chiarito che gli appartenenti alle singole famiglie riunite nel Consorzio non sono proprietari (pro-quota) dei terreni ad esso riconducibili, viene a mancare l’interesse di tipo proprietario in capo al singolo amministratore, in potenziale conflitto con l’interesse pubblico di assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa, sotteso nella fattispecie alla decisione di individuare la nuova sede del punto di ristoro”.

In buona sostanza, non è ravvisabile in capo ad amministratori comunali – regolieri un obbligo giuridico di astensione per deliberazioni e/o atti che riguardino in via generale la Regola e non afferiscano a posizioni specifiche di loro interesse particolare (come potrebbe essere – solo per esemplificare – nel diverso caso di un provvedimento che riguardasse un bene regoliere concesso in godimento esclusivo a quel determinato amministratore).

Nell’ipotesi – tuttavia – che l’amministratore comunale ricopra anche specifici incarichi direttivi ovvero gestionali all’interno della Regola la cesura sopra illustrata deve intendersi superata dal ruolo amministrativo rivestito in quanto si porrebbe una potenziale confliggenza di interessi non tanto rispetto all’istituzione regoliera quanto piuttosto in relazione alle potestà soggettiva e alla responsabilità gestorie connesse con la funzione svolta. Non per nulla la sentenza del T.A.R. Veneto or ora richiamata chiarisce in modo esplicito che “l’unico soggetto che aveva l’obbligo di astensione e che ha rispettato tale obbligo, è stato il presidente del Consorzio stesso, il quale, essendo consigliere comunale direttamente interessato alla nuova localizzazione, ha ritenuto doverosamente di non partecipare alla votazione”, il che, conferma l’insorgenza del dovere di astensione nei soli confronti degli amministratori della istituzione regoliera.

Stefano Canal

 

*Il contributo riprende un analogo intervento, titolato “Amministratori comunali – regolieri e dovere di astensione“, pubblicato in “Scritti in onore di Ivone Cacciavillani“, Ed. Scientifica, Napoli 2018.

 

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