Il patrimonio culturale italiano –costituito, come stabilito dall’articolo 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, dai beni culturali e dai beni paesaggistici- è, qualitativamente e quantitativamente, il più importante del mondo: come conferma anche il numero di beni e di siti dichiarati dall’UNESCO  patrimonio mondiale dell’umanità.

Non è certo un caso, quindi, che la Costituzione della Republica Italiana, in vigore dal 1948, tra i suoi “principii fondamentali”, all’articolo 9, abbia stabilito, con prescrizione cui il legislatore deve adeguarsi, che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura” e “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Già prima delle importanti leggi Bottai del 1939, la legge 20 giugno 1909, n.364 (c.d. legge Rosadi), aveva significativamente (ed anticipatamente) però provveduto al riguardo, dettando norme sulla protezione “delle antichità e delle belle arti” e sulla loro inalienabilità.

E particolarmente da evidenziare è la c.d. legge Croce, la legge 11 giugno 1922, n. 778, perché per la prima volta, si previde anche la tutela delle bellezze naturali.

Nella sua Relazione al Senato del Regno, il Ministro Benedetto Croce sottolineò –in modo tuttora attualissimo- la necessità della legge in difesa delle bellezze naturali, che definì come “la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi catteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue ripe, con gli aspetti molteplici vari del suo suolo”, per porre “finalmente, un argine alle ingiustificate devastazioni che si van consumando”: ciò rispondendo ad “alte ragioni morali e non meno importanti ragioni di pubblica economia”.

E’ evidente che egli pensava anche ai benefici che avrebbe potuto portare il turismo: aperto a tutti e non più riservato solo agli aristocratici europei che in passato facevano il Grand Tour, per arricchire la loro cultura.

Ed a distanza di un secolo, strano appare che, lo scorso anno, il Governo abbia separato le competenze del Dicastero che di ciò unitariamente si occupava, creando i due diversi Ministeri della Cultura e del Turismo.

Con la legge di Bilancio 2022, tutti i settori culturali hanno visto crescere l’investimento e l’intervento dello Stato.

E’ stato incrementato con 100 milioni di euro il Fondo per la tutela del patrimonio culturale, che così “consente” (o dovrebbe farlo) “di pianificare con ragionevole anticipo gli interventi prioritari” da effettuare. E’ stata pure rifinanziata con 20 milioni di euro la dotazione del Fondo cultura, per promuovere gli investimenti nuovi sul patrimonio culturale. E, come (forse) è noto, altri fondi possono derivare dall’erogazione dei contributi del 5 e dell’8 per mille, di cui alle dichiarazioni dei redditi, e da una quota degli utili erariali derivanti dall’estrazione del gioco del lotto.

Sicchè il Ministro Franceschini ha commentato: “la cultura è centrale nell’azione di politica economica del Governo”.

In realtà, non pare proprio che così sia e la cultura appare invece come una  Cenerentola, in vana attesa di un principe azzurro. E basti, al riguardo, pensare che dei 191,5 miliardi di euro, tra sovvenzioni e prestiti, previsti per l’Italia dal Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (Next Generation UE), solo 6,68 miliardi sono stati destinati a turismo e cultura: e ciò in un Paese che di questi soli, se ben gestiti, potrebbe vivere.

Recentemente, in occasione di una Relazione tenuta dal Ministro dell’Economia all’Accademia Olimpica di Vicenza, gli chiesi se non andrebbe, dunque, aumentato il plafond per i beni cullturali e paesaggistici, anche per favorire il conseguente turismo. La risposta è stata che, in questo momento è rischioso modificare il PNRR e che per nuovi finanziamenti si dovrà provvedere con leggi ordinarie, su proposta del Ministro della Cultura.

Speriamo che ciò avvenga: ma, come noto, “di doman non c’è certezza”. E la prova è stata data dal Decreto legge 30 aprile 2022, n.36, in vigore dal 1° maggio scorso, contenente “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”, che non prevede nessuna misura al riguardo.

Ma vediamo la situazione del patrimonio culturale di proprietà privata: che per la apposizione del relativo vincolo –è bene ricordarlo- non vede la previsione di indennizzo alcuno, nonostante le conseguenti limitazioni previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Invero, ai sensi dell’articolo 30 dello stesso, “i privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione”: ed “Ministero può imporre al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali, ovvero provvedervi direttamente ” (articolo 32).

Il restauro e gli altri interventi conservativi volontari ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore, debbono essere preventivamente autorizzati: ed in tale occasione il Soprintendente si pronuncia, a richiesta dell’interessato, sull’ammissibilità della concessione dei contributi statali –in conto capitale ed in conto interesse- previsti dagli articoli 35 e 37 (articolo 31) .

Ma il Ministero non è tenuto: ma “ha facoltà” e “può” concorrere alla spesa sostenuta dal privato.

Ciò, peraltro, in base all’ammontare delle risorse disponibili, determinate annualmente con Decreto ministeriale, adottato di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

In ogni caso –salvo gli interventi siano di particolare importanza o riguardino beni in uso o godimento pubblico: potendo (e non: dovendo) il Ministero concorrere in tal caso alla spesa fino al suo intero ammontare- il Ministero “può” partecipare alla spesa solo sino ad un ammontare non eccedente la metà della stessa.

E qualora il concorso finanziario vi sia –ma va notato che, ai fini della sua determinazione, sono considerati gli altri contributi pubblici e gli eventuali contributi privati da cui siano derivati benefici fiscali- ed i beni culturali privati anche grazie ad esso siano restaurati o sottoposti ad altri interventi conservativi, gli stessi devono essere “resi accessibili al pubblico”, secondo modalità fissate caso per caso da appositi accordi: che stabiliscono i limiti temporali dell’obbligo di apertura al pubblico, tenendo conto della tipologia degli interventi, del valore artistico e storico degli immobili e dei beni in essi esistenti (articolo 38).

In particolare, i contributi sono riconosciuti secondo il seguente ordine di priorità degli interventi: 1) ricostruzione e tutela del patrimonio culturale nelle aree colpite da eventi sismici o da altri eventi calamitosi riconosciuti; 2) situazioni eccezionali connesse al rispetto di intese istituzionali di programmi; 3) accertata e documentata situazione di grave difficoltà economica del beneficiario; 4) regolare apertura al pubblico del bene culturale; 5) superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche; 6) ricostruzione e tutela del patrimonio culturale nelle aree urbane degradate e nelle periferie. E, nell’ambito di ogni criterio,  si provvede all’eventuale riconoscimento dei contributi tenendo conto dell’ordine cronologico di presentazione delle domande.

I proprietari possono, inoltre, beneficiare di agevolazioni fiscali relative alle  imposte di registro, ipotecarie,  catastali, successorie,  oltre ad un’IVA agevolata.

Ma solo per i beni culturali pubblici il Decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, ha, con il c.d. “Art-bonus”, introdotto un meccanismo di beneficio fiscale, sotto forma di credito di imposta, per chi effettua donazioni liberali. Ma nulla ha previsto per i beni paesaggistici.

A ciò hanno, però, provveduto per ora –ed anche con riferimentto ai beni paesaggistici di proprietà privata- solo due leggi regionali, rispettivamente della Toscana (nel 2017) e del Friuli Venezia Giulia (nel 2019).

Ed è difficile comprendere perché siano stati previsti contributi per i beni culturali e non –pur essendo ricompresi assieme ai primi nel patrimonio culturale- per quelli paesaggistici (salvo rare eccezioni: come, nelle aree protette, dove il piano dei parchi “può” prevedere per i privati la concessione di contributi, detrazioni fiscali e misure di incentivazione). E perché, ad esempio, possano beneficiare di contributi “le ville che abbiano interesse artistico e storico” (e sono, quindi, tutelate come beni culturali) e non quelle “che si distinguono per la loro non comune bellezza” (e, perciò, sono tutelate come beni paesaggistici).

Insomma, per quanto riguarda finanziamenti e contributi (ma non solo), non sarebbe male se il legislatore apportasse qualche “aggiustamento” al pur positivo Codice dei beni culturali e del paesaggio e meglio tutelasse chi, proprietario, si trovi vincolato senza indennizzi e si veda costretto a defatiganti itinera burocratici (non necessariamente con esito positivo) per qualsivglia intervento intenda effettuare nell’ambito del suo patrimonio culturale.

Spes ultima dea.

Marino Breganze de Capnist

*Il contributo riprende e sviluppa l’intervento tenuto al Forum Distrettuale su “Rotary e patrimonio culturale: due leve per lo sviluppo” svoltosi in Aquileia, il 14 maggio 2022.

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