1. Signori Presidenti e magistrati e gentili colleghi,

quando ero giovane e alle mie prime udienze davanti al TAR del Veneto un simpatico avvocato dello Stato mi ammonì scherzosamente che mi ero messo sulla cattiva strada pretendendo di discutere davanti al collegio, perché la salute delle coronarie avrebbe tratto grande giovamento dal processo scritto, tanto che le udienze orali avrebbero dovuto essere del tutto abolite, a tutela della salute degli avvocati.

Ho avuto recentemente l’imprudente idea di raccontare l’episodio al nostro presidente avv. Bigolaro, il quale, in virtù della legge divina del contrappasso, già invocata dal filosofo Seneca e da Dante nella Divina Commedia, mi ha voluto qui oggi a propugnare con convinzione il principio della oralità nel processo amministrativo. Allora ci proviamo.

 

2. Confesso che non ho dubbi che l’oralità nel processo sia importante (già Chiovenda lo sosteneva oltre 100 anni fa anche per il processo civile), però per convinzione personale tendo a stemperare i massimi sistemi con un pizzico di fatalismo e di realismo e, quindi, anticipo la sintesi del mio breve intervento, dicendo che ritengo che il processo orale sia utile solo se il giudice lo ritenga importante e di conseguenza diriga la discussione in modo autorevole e dialettico, altrimenti esso si riduce a un rito simbolico, a un adempimento burocratico svolto per rispettare in modo formale il precetto del codice per il quale l’avvocato ha diritto di parlare.

 

3. L’esperienza maturata in 30 anni di attività mi consente di affermare che su ciò che accade in concreto in udienza non si può generalizzare: in verità da sempre ci sono udienze con molto dialogo tra il collegio e gli avvocati e altre udienze in cui accade il fenomeno delle sfingi, come ebbe a definirlo scherzosamente il presidente Nicolosi, vale a dire il fenomeno del collegio muto e impassibile, situazione che a essere del tutto onesti è quella che più di tutte mette gli avvocati a disagio e in difficoltà.

 

4. Tutti noi sappiamo che ci sono cause nelle quali il thema decidendum alla fine diventa molto semplice: data una disposizione di legge interpretabile in senso A o in senso B, il collegio deve decidere se ha ragione il ricorrente o il resistente, se sia giusta la soluzione A o la soluzione B.

Anche in casi così semplici però la dialettica in udienza fa la differenza.

Infatti una cosa è una udienza al buio in cui il collegio si limiti a chiedere se qualcuno ha qualcosa da dire oppure si limiti a dire che è tutto chiaro (affermazione che noi avvocati interpretiamo come un invito a non discutere) e un cosa del tutto diversa sarebbe sentirsi dire dal collegio: “abbiamo letto tutto quello che avete scritto e l’unica questione rilevante da decidere è se l’articolo x della tal legge vada interpretato in senso A o in senso B; il collegio su questo punto ha un suo orientamento e non sente la necessità di chiedere ulteriori chiarimenti alle parti”.

Nel primo caso (quello nel quale il collegio chiede se qualcuno ha qualcosa da dire oppure dice che è tutto chiaro) l’avvocato si trova perlopiù in evidente difficoltà, perché non sa su cosa si focalizzerà il collegio ai fini della decisione, non è in grado di capire se la questione che il collegio intende valorizzare sia stata sviluppata in modo adeguato negli atti oppure sia una di quelle questioni dal punto di vista dell’avvocato apparentemente secondarie, che magari vengono accennate negli atti, ma in modo non approfondito, e che potrebbero essere sviluppate, se ci fosse un sollecito sul punto.

 

5. Detto così, sembra perfino ovvio, ma segnalo che mi è capitato di partecipare per esempio a una udienza nella quale di fronte alla domanda del presidente se qualcuno avesse qualcosa da dire, ciascun avvocato, non sapendo cosa fare, ha ritenuto utile raccontare una parte di quello che già aveva scritto; uscendo poi dall’udienza uno degli avvocati ha detto a noi colleghi che aveva evitato di citare e di insistere sulla eccezione di irricevibilità per tardività che aveva formulato nella sua memoria difensiva, perché era evidente dai documenti prodotti che era infondata; poi, è uscita l’ordinanza di rigetto della sospensiva, motivata con riferimento alla fondatezze della eccezione di tardività non discussa in udienza (e che non era neppure fondata). Questa vicenda avrebbe avuto uno sviluppo ben diverso se il collegio avesse segnalato che gli appariva rilevante l’eccezione di irricevibilità e avesse invitato le parti a prendere posizione in merito.

 

6. A essere sinceri incomprensioni di questo tipo non sono poi tanto rare e hanno lo svantaggio che poi costringono una parte ad appellare su una questione che in verità sarebbe irrilevante e che procrastina la possibilità di affrontare nel merito il problema vero. Del resto queste situazioni creano anche notevoli problemi nei rapporti tra l’avvocato e il proprio cliente, dato che nell’ordinanza si legge che l’avvocato ha commesso un grave errore di procedura.

Ma anche in altre occasioni capitano episodi problematici e del tutto inaspettati rispetto a quello che accade in udienza. Un avvocato professore universitario qualche anno fa ha proposto tre ricorsi identici per tre ricorrenti diversi contro la stessa pubblica amministrazione per lo stesso medesimo identico unico motivo di diritto contro atti in serie identici. Due sono stati decisi dallo stesso collegio e accolti, il terzo è stato deciso dallo stesso collegio, ma con uno dei membri diversi, ed è stato respinto. Durante la discussione non si poteva immaginare questo esito, ed evidentemente c’è qualcosa che non quadra.

 

7. Mi è stato però segnalato da vari colleghi, tra cui un avvocato del mio studio, e con piacere lo faccio presente in questa sede, che ci sono altri casi proprio davanti al TAR del Veneto in cui, invece, il dialogo è molto approfondito e dà grande soddisfazione professionale a tutte le parti. Per esempio, in un caso recente il mio studio difendeva il comune e si discuteva di una pista ciclabile che il comune aveva progettato proprio a ridosso di un muro del 1500: si trattava del muro di recinzione del giardino di una villa, peraltro non vincolato come bene monumentale. Il collegio ha svolto una paziente opera di approfondimento della questione, e alla fine, dopo un rinvio dell’udienza, il comune si è persuaso a spostare il tragitto, a quel punto senza la necessità di accogliere o respingere la sospensiva.

Una soluzione di questo tipo può risultare più utile, per esempio, di ordinanza di accoglimento ai fini del riesame, perché quest’ultima può creare l’inconveniente della necessità di un nuovo ricorso (con i relativi costi) nel caso in cui la P.A. provveda di nuovo in senso sfavorevole al ricorrente.

Possiamo dire che qualche volta per ragionare le parti e i loro avvocati hanno bisogno di un incoraggiamento autorevole, magari anche con modalità atipiche, e per noi il giudice amministrativo è particolarmente autorevole, forse più di ogni altra autorità: signori giudici, se lo ritenete, tenetene conto.

Non credo di fare un discorso retorico se dico che nella opinione del popolo il giudice amministrativo, sia il TAR sia il Consiglio di Stato, incarna più di ogni altro giudice la figura del “giudice di Berlino”, invocato dal mugnaio di Potsdam, ricordato in un racconto di Bertold Brecht. L’imperatore Federico II di Prussia voleva espropriare un mulino per ampliare la visuale che si godeva dal nuovo castello di Sanssouci a Potsdam. Il mugnaio si oppose, dicendo che non si trattava di un esproprio per pubblica utilità, ma per un capriccio dell’imperatore, ma a Potsdam non riuscì a ottenere tutela, perché i giudici erano asserviti all’imperatore, ma egli tenne duro, con la famosa frase: “ci sarà pure un giudice a Berlino”, che mi ascolterà e mi darà tutela.

 

8. Un autorevole uso degli ampi poteri che il codice affida al collegio nella fase cautelare potrebbe davvero fare la differenza nella giustizia amministrativa italiana, anche tenendo conto della difficoltà che spesso riscontriamo di ottenere in tempi brevi la decisione nel merito: a questo fine potrebbe essere utile estendere il concetto di periculum in mora fino a comprendere anche casi che attualmente non sono considerati tutelabili per mancanza della attualità del danno, come accade in certi atti di pianificazione o in progetti preliminari di opere pubbliche o in molti atti casi. In verità capita spesso di capire fin da un primo atto preparatorio che la P.A. si è incamminata su una cattiva strada e che, se non viene fermata, procederà poi con l’attivazione di procedimenti complessi e costosi, che possono coinvolgere terzi controinteressati, rendono a quel punto molto costoso e complicato per il cittadino correre dietro a tutti gli atti che verranno emanati e ottenere giustizia. In fin dei conti anche la puntura dello spino di un pruno del bosco all’inizio può apparire una cosa banale e irrilevante, ma se poi da lì nasce il tetano ci si rende conto cosa vuol dire non risolvere i problemi per tempo, prevenendo che essi diventino più gravi.

Se il giudice amministrativo lo ritiene possibile, noi avvocati siamo pronti e disponibili a udienze del tutto dialettiche, affidandoci poi all’arcangelo Raffaele, esperto in materia, per la salute delle nostre e delle vostre coronarie.

Dario Meneguzzo

*Intervento tenuto al convegno su “Dal processo al procedimento: ruolo e prospettive della tutela cautelare e del rito camerale nel rapporto tra giudice amministrativo e amministrazione” svoltosi a Venezia il 2 dicembre 2019, presso Cà Vendramin Calergi.

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