Sembrerebbe scontato, immediato, naturale l’inquadramento nella fattispecie della “responsabilità precontrattuale” del caso di mancata aggiudicazione di un appalto in relazione al quale il giudice (Consiglio di Stato) dichiara in sentenza di aver maturato “… la certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla Stazione appaltante, la società appellante, seconda nella graduatoria di merito … si sarebbe senz’altro aggiudicata la commessa” (Cons. St. 8330 del 27.9.2022).
Gli ingredienti di tale forma di responsabilità e in particolare di quelli “confezionati” dall’art. 1337 (l’altra norma sulla precontrattuale è l’art. 1338 c.c.) sembrano esserci, in effetti, tutti:
1) manca il contratto (mancando anche, a monte, l’aggiudicazione) nei confronti dell’avente “certamente” diritto (il contratto è invece intervenuto nei confronti di soggetto illegittimamente individuato come aggiudicatario con l’aggiudicazione annullata);
2) il contratto manca a causa di un comportamento “scorretto” ex art. 1337 c.c., visto che sono state violate addirittura le regole “autoposte” proprio dalla parte delle trattative che ha fatto mancare il contratto;
3) il contratto manca per la condotta della p.a. che può qualificarsi come ritiro dalle trattative nei confronti del concorrente che ricorre al giudice, il quale ritiro dalle trattative è la fattispecie “tradizionale” di responsabilità precontrattuale;
4) infine, e ad abundantiam, per chi ritiene che presupposto implicito ma necessario della responsabilità precontrattuale sia anche l’affidamento incolpevole della parte che aspira al contratto (alla quale nozione non fanno, invero, riferimento l’art. 1337 e l’art. 1338 c.c.), l’affidamento legittimo o incolpevole (meglio non entrare nel merito della distinzione, pure autorevolmente operata dalla dottrina -v. Corradino, Manuale di diritto amministrativo, 2022, pag. esiste se il percorso di gara è arrivato ad un punto tale che la p.a. si è esposta mettendo in atto tutti gli elementi che consentono di affermare che, togliendo virtualmente (e giuridicamente, con l’annullamento) l’atto illegittimo, il contratto può dirsi certamente spettante alla parte aspirante, senza necessità di una riedizione di valutazioni “conformi” al dictum della sentenza.
Verrebbe poi da pensare che l’evidenziato, pressoché “automatico” collegamento mentale tra lesione da “mancata aggiudicazione” e responsabilità precontrattuale, apparentemente la naturale “sedes materiae” della problematica, si traducesse in un riferimento esplicito, approfittando della agilità grafica del sintagma (responsabilità precontrattuale) e della carica di contenuti regolatori che al riferimento a tale figura (o a quella della responsabilità contrattuale o extracontrattuale, in ciascuna delle quali due quella precontrattuale è con oscillazioni oggi prevalenti per la seconda -extracontrattuale- è incardinata) si accompagna, quali il regime della prescrizione, dell’onere della prova, del quantum del risarcimento, inducesse i giudici ad esplicitare già nelle massime, e comunque in motivazione, la classificazione di quella fattispecie di responsabilità come “precontrattuale”, in modo che l’operatore abbia immediatamente il quadro giuridico completo. In particolare, sul piano del quantum del risarcimento, “precontrattuale” vuol dire da sempre (secondo una giurisprudenza miracolosamente costante ma che non riesce ad indicare un fondamento positivo di tale orientamento) “interesse negativo”, cioè a non essere disturbati in trattative inutili, e quindi risarcimento correlato alle spese sostenute per le trattative svolte e al lucro cessante da occasioni perse, ossia contratti “altri” rispetto a quello nella trattativa per la cui conclusione si è prodotta la condotta imputabile di responsabilità precontrattuale.
Sennonché, tale candido “impulso”, dettato verosimilmente da un “interno” anelito verso la “semplicità delle cose (giuridiche)”, è smentito dalla lettura della giurisprudenza intervenuta in materia, nella quale si staglia, da ultimo, l’accennata a sentenza del Consiglio di Stato n. 8330 del 27.9.2022.
L’approfondimento del tema (responsabilità da mancata aggiudicazione) evidenzia che:
a. non esiste una sola tipologia di “responsabilità precontrattuale” della pubblica amministrazione ma ne esistono due, una cosiddetta spuria, ed una pura;
b. la responsabilità da “mancata aggiudicazione” dovuta ad aggiudicazione illegittima conferita ad altri concorrenti ed annullata, è responsabilità extracontrattuale da provvedimento illegittimo, come affermato (in ordine alla responsabilità da atto illegittimo) dall’Adunanza Plenaria n. 7 del 2021.
Sulle tipologie di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, relativa sia a procedure di gara, sia a procedimenti amministrativi non sfocianti in contratti quali le sovvenzioni (a volte convenzionati ma non necessariamente tali), appare particolarmente chiara la sintesi che ne fa Tar Catanzaro: “1. La disamina del ricorso richiede di rammentare la diversa tipologia di responsabilità in cui può incorrere la stazione appaltante nello svolgimento di procedura di evidenza pubblica.
Ove l’Amministrazione ponga in essere atti illegittimi della procedura di evidenza lesivi di posizioni di interesse legittimo degli operatori incorre in responsabilità precontrattuale cd. spuria cui consegue il ristoro del cd. interesse positivo da contratto perso e, dunque, il danno emergente ed il lucro cessante; ove, invece, pur non emanando atti illegittimi tenga comportamenti contrari all’obbligo di buona fede di cui all’art. 1337 c.c. lesivi di posizione di diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali incorre in responsabilità precontrattuale cd. pura, cui consegue il ristoro del cd. interesse negativo, definibile come l’interesse a non essere coinvolto in inutili trattative con ristorabilità delle spese sopportate e della perdita di occasioni alternative di contratto. In particolare nelle procedure di evidenza tale interesse negativo va ravvisato nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative (Consiglio di Stato, sez. V, 22/10/2019, n. 7161; Consiglio di Stato, sez. V, 28/01/2019, n. 697; Consiglio di Stato, sez. V, 27/03/2017, n. 1364; T.A.R., Venezia, sez. II, 16/06/2020, n. 508)” (T.A.R. Calabria sez. I – Catanzaro, 21/02/2022, n. 282).
Scende nel dettaglio del tema Tar Napoli n. 939/2020, relativa ad un tipico caso di responsabilità precontrattuale fatta valere dal concorrente ad una gara revocata per mancata conferma del finanziamento a favore della stazione appaltante, precisando che “Mette conto evidenziare inoltre , ai fini della perimetrazione in particolare degli oneri probatori della parte e del quantum di danno risarcibile , che nella presente fattispecie si verte in ipotesi di responsabilità precontrattuale cd pura.
Si distingue invero , in ambito di responsabilità precontrattuale della P.A, due ipotesi.
La prima è quella relativa alla “responsabilità precontrattuale c.d. “spuria”, che si configura in caso di illegittimità degli atti amministrativi di una procedura ad evidenza pubblica; in tal caso, la fonte del danno cagionato al privato non risiede nella violazione della regola della buona fede precontrattuale, ma nella violazione di specifiche regole pubblicistiche. La p.a. sarà responsabile in base ad un provvedimento illegittimo, da cui scaturisce un illecito aquiliano, ex art. 2043 in quanto il provvedimento sarà concepito come un fatto illecito causativo di un danno ingiusto.
La seconda ipotesi è quella della cd. “responsabilità precontrattuale pura”, ovvero riconducibile al modello civilistico di cui all’art. 1337 c.c.., qualora l’Amministrazione, con un proprio comportamento contrario a buona fede, lede il legittimo affidamento riposto dal privato nella conclusione del contratto, incidendo negativamente sul suo diritto all’autodeterminazione in ambito negoziale e, quindi, violando una posizione di diritto soggettivo; in tal caso la pubblica amministrazione risponderà secondo il regime della responsabilità da inadempimento.
La configurabilità di tale fattispecie ricorre tipicamente laddove , come nel caso in esame, l’amministrazione incida con atto di autotutela su di una gara già culminata nell’atto di aggiudicazione e il privato aggiudicatario avanzi una richiesta risarcitoria che fa leva sulla scorrettezza della stazione appaltante; di conseguenza il risarcimento può riguardare il solo “interesse negativo” , rappresentato dalle spese sostenute per partecipare alla procedura e mancati profitti da occasioni perdute a causa dell’impegno profuso nella partecipazione alla gara.
Tale è la situazione venutasi a creare nel caso di specie, per atto di ritiro legittimo sul piano amministrativo, in cui la responsabilità da contatto sociale qualificato è stata integrata dalla mancanza della idonea diligenza della stazione appaltante, successiva alla conclusione della procedura di evidenza pubblica, non avendo custodito il verbale di verifica e validazione del progetto dei lavori, e non essendo stata in grado di riprodurne validamente il contenuto, sì da giungere a subire il diniego di ammissione a finanziamento per effetto di tale carenza formale-sostanziale. A ciò deve aggiungersi la mancanza di adeguata tempestività nel comunicare alla impresa la sussistenza delle criticità della procedura di ammissione a finanziamento” (Tar Napoli n. 939 del 28.2.2020).
Aggiunge, esaminando, testualmente, il profilo soggettivo della problematica ma riaffrontando nella sostanza il tema dell’inquadramento della responsabilità connessa alle procedure di gara, la medesima sentenza del Tar Napoli: “In particolare, per il profilo dell’elemento soggettivo, mette conto evidenziare che prima della sentenza con cui la Suprema Corte nel 2016 ha qualificato la responsabilità precontrattuale come contrattuale da contatto sociale qualificato, non vi era alcuna differenza tra la responsabilità precontrattuale pura (di cui agli artt. artt. 1337 e 1338 c.c.) e spuria della p.a. (ex art. 2043 c.c.), atteso che entrambe venivano ricondotte alla responsabilità extracontrattuale, rispondendo secondo il relativo regime, anche se con una sostanziale differenza costituita dal fatto che per quest’ultima si applicava il modello della responsabilità soggettiva presunta per effetto della illegittimità del provvedimento amministrativo, mentre per la prima occorreva la prova della colpa dell’amministrazione . A seguito della pronuncia delle SS.UU. , la responsabilità precontrattuale spuria resta una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. da provvedimento illegittimo, mentre la responsabilità precontrattuale pura diventa una responsabilità da contatto sociale qualificato e, dunque, una responsabilità da inadempimento di un obbligo di protezione e di informazione, sussumibile nel regime di cui all’art. 1218 c.c..: pertanto il privato è sollevato dall’onere della prova dell’elemento soggettivo in base al regime proprio della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c.. Peraltro nel presente giudizio il privato ha assolto il proprio onere di allegazione della violazione della diligenza e buona fede, restando a carico dell’amministrazione la prova del fatto inevitabile, che nella specie è mancato”.
La sentenza, come accennato, riguarda un caso di responsabilità pura, da revoca legittima di una gara per l’affidamento di contratto d’appalto rimasto privo di finanziamento.
Il caso della sentenza del Consiglio di Stato da cui abbiamo preso le mosse (n. 8330/22) è ipotesi, invece, di responsabilità precontrattuale “spuria”, anche se non qualificato come tale (silenzio assoluto sul punto da parte della pronuncia), per la quale vale il seguente precedente, pure del Consiglio di Stato (il quale si è, per la precisione, limitato a confermare la sentenza di primo grado che aveva espressamente esaminato il problema della qualificazione della responsabilità): “In caso di mancata aggiudicazione di una gara d’appalto, laddove il ricorrente dimostri che in mancanza di un provvedimento illegittimo avrebbe vinto la procedura selettiva, è risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. il lucro cessante nella misura del danno da mancato conseguimento dell’utile che si sarebbe conseguito, oltre al danno curriculare, che deve essere computato in via equitativa e può essere calcolato in misura proporzionale alla somma già liquidata a titolo di lucro cessante, secondo una percentuale destinata a variare in considerazione dell’importanza dell’appalto illegittimamente aggiudicato ad altra impresa” (Consiglio di Stato sez. VI, 27/03/2019, n.2036).
Per la medesima giurisprudenza, non si può confondere “l’oglio con il grano”: “È illegittima per ultrapetizione ex art. 112 c.p.a. la sentenza che ha emesso una condanna risarcitoria per responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c,. malgrado il ricorrente avesse domandato il ristoro dei danni conseguenti alla mancata aggiudicazione della gara a proprio favore” (Consiglio di Stato sez. V, 27/03/2017, n.1364).
Si capisce tanto rigore se le cose fossero chiare, e soprattutto fondate su previsioni positive, ma la materia appare già per quanto appena detto fin qui piuttosto “fluida” (volendo usare un eufemismo).
Non può non apparire sconcertante la constatazione che una medesima situazione, qual è in fin dei conti il fatto oggettivo della partecipazione alla gara con la formulazione di una proposta vincente alla luce delle regole di gara e la mancata aggiudicazione, sia trattata in modo diverso sotto il profilo della tutela (si rischia l’inammissibilità se non si usano le formule giuste -sembra tornare alla “manus inictio” e al formalismo romano) a seconda che l’aggiudicazione sia stata attribuita ad un terzo con un provvedimento annullato o sia stata conferita all’aspirante legittimo ma la gara è oggetto di una revoca per mancato finanziamento.
L’identità di situazione è particolarmente evidente anche rispetto ad un caso piuttosto pacifico di responsabilità precontrattuale, e cioè quello di revoca della gara. Se la revoca è legittima, residua solo una responsabilità precontrattuale, da comportamento (negligenza nella verifica della disponibilità delle risorse finanziarie necessarie per l’appalto da affidare); se è illegittima e viene annullata, ma il ricorrente non è interessato al rifacimento della gara e chiede solo il risarcimento del danno, non si vede perché in questo caso si debba parlare di responsabilità precontrattuale e non extracontrattuale da provvedimento illegittimo. In entrambi i casi (annullamento dell’aggiudicazione illegittima, revoca illegittima di gara), la procedura potrebbe essere arrivata al punto della “discovery” delle offerte e potrebbe risultare vincente la proposta del soggetto che impugna la revoca illegittima, potendosi prospettare una spettanza del bene della vita costituito dal contratto oggetto della gara revocata, esattamente come nel caso di annullamento di aggiudicazione contrastante con la lex specialis.
Non si comprende quindi la differenza di inquadramento.
Ma superato lo sconcerto, occorre andare ad esaminare le conseguenze specifiche della distinzione.
Nella sentenza n. 8830/22 il Consiglio di Stato, “omisso medio” (e cioè ogni preliminare classificazione della responsabilità, e andando il sodo del quantum del risarcimento, riconosce il lucro cessante relativo all’appalto di cui è illegittimamente mancata l’aggiudicazione (il contratto era stato nel frattempo integralmente eseguito dall’aggiudicatario illegittimo).
Afferma la sentenza: “14.4. Orbene, la società appellante ha chiesto il risarcimento del danno per lucro cessante per mancato profitto e del ‘danno curriculare’. La stessa ha allegato una tabella riepilogativa del calcolo dei costi e dei ricavi per la partecipazione alla gara di appalto, calcolando un utile effettivo per un totale di euro 28.748, 95. Con riferimento alla determinazione del lucro cessante va precisato che, ai fini della base di calcolo della percentuale per il mancato utile, non si può prendere a riferimento l’importo posto a base della gara, dovendo aversi riguardo al margine di utile effettivo, quale ricavabile dal ribasso offerto dall’impresa danneggiata. Inoltre, il valore del mancato utile può essere integralmente ristorato solo laddove l’impresa appellante possa dimostrare di non aver potuto utilizzare le maestranze in altri lavori, perché in caso di impiego in altri appalti, l’utile così calcolato andrà decurtato in ragione dell’aliunde perceptum. 14.5. L’impresa danneggiata ha, quindi, diritto a titolo di risarcimento del danno al margine di utile effettivo, ricavabile dal ribasso offerto dall’impresa danneggiata, che va quantificato nella misura di euro 28.748, 95, atteso che, con riferimento all’abbattimento del risarcimento per il cosiddetto ‘aliunde perceptum’, la società appellante ha dimostrato, depositando anche documentazione di supporto, che le maestranze previste per l’esecuzione dell’appalto non sono state occupate in altri lavori” (v. Cons.St. 8330/22).
Evidente che, pur senza alcun richiamo espresso, il Consiglio di Stato fa chiaramente riferimento alla
fattispecie esaminata, stipulato per illegittima aggiudicazione (e illecita firma conseguente del patto contrattuale) a favore di terzo.
D’altronde, il Consiglio di Stato aveva “chiarito” che “Mentre i danni da mancata aggiudicazione sono parametrati al c.d. interesse positivo e consistono nell’utile netto ritraibile dal contratto, oltre che nei pregiudizi di tipo curriculare e all’immagine commerciale della società, ingiustamente privata di una commessa pubblica, nel caso di responsabilità precontrattuale i danni sono limitati al solo interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure ad evidenza pubblica nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative” (Consiglio di Stato sez. III, 02/04/2019, n.2181).
Sennonché, viene a porsi un problema analogo a quello sopra evidenziato: a fronte di situazione identica si prospetta un trattamento completamente diverso se non opposto. In entrambi i casi, ci si trova difronte ad una situazione connotata dall’elemento che appare lessicalmente qualificante della responsabilità precontrattuale: la mancata stipula del contratto, per lo meno da parte del soggetto che si lamenta del fatto che ciò non sia avvenuto a suo favore (non rileva di certo il fatto, eventuale, che un contratto sia stato firmato e perfino totalmente eseguito da altro, illegittimo aggiudicatario, come avvenuto nel caso della sentenza n. 8330/22).
Il risarcimento è in concreto diverso a seconda dei due casi?
La dottrina evidenzia che l’interesse negativo può condurre, perfino, in astratto, ad un valore superiore a quello corrispondente all’interesse positivo. Nel caso di risarcimento per violazione dell’interesse negativo, proiettato sul lucro cessante da occasioni altre, queste occasioni altre, che spetta al ricorrente provare, possono portare anche a valori superiori rispetto al lucro del contratto le cui trattative (o il cui procedimento di gara) sia(no) fallito(i): “… se il risarcimento può coprire anche la perdita di opportunità alternative di guadagno anche più profittevoli di quella persa, l’interesse negativo può superare quello positivo? Alcuni autori lo negano in base alla considerazione che non sarebbe logico attribuire a titolo di interesse negativo una somma addirittura maggiore rispetto all’utile che si sarebbe conseguito se il contratto fosse stato concluso(13); in questa prospettiva potrebbe in altre parole apparire un controsenso che proprio quando il contratto non viene concluso, il contraente deluso possa conseguire un utile ancora maggiore, provando la perdita di altre opportunità contrattuali ancora più vantaggiose; nonostante la mancata conclusione del contrato, il contraente deluso verrebbe cioè a lucrare una somma ancora maggiore rispetto a quella che avrebbe conseguito se il contratto fosse stato regolarmente conseguito, il che potrebbe apparire incongruo. In realtà non è così, dato che ove si ammetta che a titolo di risarcimento del lucro cessante occorre prendere in considerazione anche la perdita di altre occasioni contrattuali, anche più profittevoli di quella mancata, ne consegue che la somma ottenuta a titolo di risarcimento dell?interesse negativo può essere addirittura superiore rispetto a quanto sarebbe conseguibile a titolo di interesse positivo! La soluzione appare inoltre incontestabile ove si ritenga che comunque il risarcimento debba in ogni caso essere integrale in modo da ristorare in pieno la perdita subita” (Gallo, “Responsabilità precontrattuale – il quantum nella responsabilità precontrattuale”, in Giur. It., 2022, 5, 1084).
Vero è che, normalmente, la prova di “occasioni altre” e del relativo lucro è più complessa rispetto a quella del lucro relativo al contratto oggetto della gara illegittima.
La differenza di metodo, comunque, esiste: interesse negativo e positivo sono differenti.
Ci si deve, peraltro, chiedere (come anticipato sopra) che fondamento positivo ha la distinzione, perché la stessa è mobile rispetto alla mancata stipula del contratto attorno a cui si muove la vicenda contenziosa, perché non è l’interessato a poter scegliere di affrontare il rischio di allegare l’uno o l’altro interesse violato, a seconda dei casi, potendo incorrere in un esito negativo in giudizio, probabile nel caso delle occasioni altre (che, come accennato, potrebbero addirittura essere più favorevoli, o nulla sembra vietare che lo siano) e sia, invece, il giudice a decidere cosa spetti al ricorrente, a seconda del “fatto” prospettato come lesivo (provvedimento illegittimo o condotta non provvedimentale), potendo il ricorrente stesso solo “indovinare” la domanda giusta ma non imporre al giudice di esaminare l’una o l’altra a seconda della libera (e rischiosa) scelta.
Si legge nella recente giurisprudenza della Suprema Corte a Sezioni Unite: “la domanda di danno può essere legittimamente rivolta ab origine ad ottenere una condanna generica, senza che sia necessario il consenso del convenuto. Tale facoltà costituisce infatti espressione del principio di libera scelta delle forme di tutela offerte dall’ordinamento. Spetterà poi al convenuto, ove lo ritenga, formulare domanda riconvenzionale di accertamento dell’insussistenza del danno: domanda che, se proposta, ribalterà sull’attore l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare del danno. Questo principio è stato più volte affermato sia da queste Sezioni Unite (in particolare da Sez. U, Sentenza n. 12103 del 23/11/1995, che rappresentò la sentenza capostipite, e poi da Sez. U, Sentenza n. 390 del 2.6.2000; Sez. U, Sentenza n. 390 del 2.6.2000; Sez. U, Sentenza n. 108 del 10.4.2000); sia da tutte le sezioni semplici di questa Corte: dalla Prima Sezione (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 16776 del 24.5.2022); dalla Seconda Sezione (ex multis, Sez. 2, Ordinanza n. 19873 del 20.6.2022; Sez. 2, Ordinanza n. 10323 del 29.5.2020; Sez. 2, Sentenza n. 4962 del 04/04/2001); dalla Terza Sezione (ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 4653 del 22.2.2021; Sez. 3, Sentenza n. 25113 del 24.10.2017); dalla Sezione Lavoro (ex multis, Sez. L, Sentenza n. 2262 del 16.2.2012; Sez. L, Sentenza n. 15154 del 5.7.2007)”.
Anche in caso di responsabilità precontrattuale, a fronte del fatto che la norma rilevante è unica (art. 1223 c.c.), parla di perdita e mancato guadagno senza restrizioni dell’oggetto, potrebbe essere data la possibilità al concorrente ricorrente, asseritamente leso dall’esito finale non gradito (mancata stipula, per il tramite di altri comportamenti attizi-provvedimentali o di fatto -es. pura inerzia nella stipula del contratto, integrante ritiro ingiustificato dalle trattative che è l’ipotesi classica di responsabilità ex art. 1337 c.c.), di scegliere l’un criterio di quantificazione del danno (interesse positivo) o l’altro (interesse negativo).
La sentenza del Consiglio di Stato n. 8330/22 dimostra come ciò che avviene prima della stipula di un contratto per il quale le parti hanno agito prolungatamente, sviluppando “trattative” (nelle quali, dopo la Plenaria n. 5/2018 non vi è dubbio che siano rappresentate anche dal procedimento di gara), viene assimilato a quanto avviene dopo la firma di un contratto regolare (interesse al lucro cessante) senza che la firma sia avvenuta; il che consente di affermare che, salvi i problemi di prova sulla spettanza del bene della vita (con certezza o probabilità-chance), anche in casi diversi da quello dell’annullamento dell’atto di aggiudicazione a favore di altri concorrenti “abusivi”, si possano prospettare ragionamenti analoghi a quello dell’interesse positivo.
Perfino nel caso di responsabilità contrattuale “classica”, e cioè quella avente ad oggetto il mancato adempimento di un contratto firmato, area nella quale l’interesse negativo non è di certo mai entrato, potrebbe essere allegato (anzi, forse a maggior ragione in tale ambito), il danno da mancato guadagno per occasioni perse per effetto dell’impegno rivolto dall’imprenditore all’esecuzione di un contratto regolarmente firmato ma non onorato dalla controparte e risolto per inadempimento imputabile.
L’incertezza delle soluzioni giurisprudenziali in tema di tutela del concorrente di gare pubbliche riguarda anche il risarcimento delle spese. Si legge: “… non compete il ristoro del danno emergente, posto che i costi per la partecipazione alla gara sono destinati, di regola, a restare a carico del concorrente (il quale, perciò, può pretenderne il ristoro solo allorché lamenti, in chiave di responsabilità precontrattuale, di averli inutilmente sostenuti per essere stato coinvolto, in violazione delle regole di correttezza e buona fede, in una trattativa inutile), onde il cumulo con l’utile prospetticamente derivante, in caso di mancata aggiudicazione, dalla esecuzione della commessa darebbe vita ad un ingiustificato arricchimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803; Id., sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283; Id., sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437; Id., sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6444)” (Cons. 3.3.2021, n. 1803). Orbene, ancora una volta, lo stesso oggetto (spese di partecipazione) è fatto oggetto di un trattamento diverso a seconda di elementi esterni, di cui non si comprende il nesso con il tema della quantificazione del risarcimento: com’è possibile che le spese di partecipazione spettino se si prospetta una responsabilità precontrattuale, connessa ad un interesse (solo) negativo (secondo la rigida impostazione giurisprudenziale ampiamente riportata sopra e qui contestata), e non spettino se si prospetta una responsabilità da provvedimento illegittimo? In entrambi i casi è pacifico che la norma applicata è l’art. 1223 c.c., e che in entrambi i casi le spese di partecipazione sono condizione essenziale per l’ingresso nelle trattative, con il risultato che, a nostro avviso, spettano comunque al concorrente leso, in entrambe le ipotesi di responsabilità.
Conclusivamente:
a. appare più semplice, in linea con le esigenze di giustizia efficace di cui all’art. 1 cpa, la collocazione del discrimine tra responsabilità precontrattuale e contrattuale nella stipula o meno del contratto;
b. dovrebbe essere affidato all’interessato il potere di scelta del criterio (non normato) di quantificazione del risarcimento del lucro cessante, correlandolo all’interesse negativo (rivolto ad “occasioni altre”) o all’interesse positivo (rivolto al contratto fallito);
c. regime identico dovrebbe essere applicato al risarcimento della perdita, in tutti i casi includendovi il rimborso delle spese di partecipazione.
Franco Botteon