In questi giorni, purtroppo convulsi, che stiamo tutti vivendo, fra preoccupazioni per la salute di ciascuno e i dubbi sul futuro, anche economico, che ci aspetta, la normativa emergenziale si accavalla senza tregua, andando a toccare, più o meno direttamente, ogni ambito di attività.

Il più recente – com’è noto – è il c.d. “Decreto Cura Italia”, il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo stesso 17 marzo ed entrato in vigore in pari data.

Il decreto consta di 127 articoli con previsioni di diversa natura, non solo sanitaria ed economica, in quanto detta anche disposizioni, per esempio, relative alla gestione dei procedimenti giudiziari in questo periodo di emergenza sanitaria, ma pure norme in materia di trasporto, di autoservizi pubblici non di linea, misure per lo svolgimento del servizio postale, disposizioni in materia di svolgimento delle assemblee di società, e così via.

Per quanto più specificamente ci interessa in questa sede, l’art. 103 del Decreto citato disciplina la sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi e gli effetti degli atti amministrativi in scadenza.

Senza alcuna pretesa di esaustività, si intende proporre alcune riflessioni a prima lettura relativamente alla norma in esame.

 

La sospensione temporale dei procedimenti

La prima parte del primo comma stabilisce espressamente che «Ai fini del computo dei termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020».

Premesso che i procedimenti amministrativi, per norma generale o speciale, presentano un termine entro il quale devono (o dovrebbero) essere conclusi, la disposizione detta una nuova regola da valere in questo periodo di emergenza: per tutti i procedimenti – di qualsivoglia tipo o natura – già pendenti alla data del 23 febbraio 2020 [], o iniziati dopo tale data, non deve tenersi conto del periodo compreso tra la medesima data del 23 febbraio e quella del 15 aprile 2020, ai fini dell’individuazione del termine di conclusione. 

Di fatto, si ha un “congelamento” tout court dell’iter procedimentale, i cui termini ricominciano a decorrere dal 16 aprile.

Ipotizziamo un procedimento di rilascio di un permesso di costruire, ex art. 20, d.P.R. 380/2001. Dato che la norma sulla sospensione dei procedimenti amministrativi si applica sia ai termini endoprocedimentali che a quelli finali, possiamo considerare, per esempio, il termine di 60 giorni per il compimento dell’istruttoria, previsto dal comma 3, del citato art. 20, T.U. Edilizia  [].  

Se la domanda di permesso è stata presentata prima del 23 febbraio 2020,  I) si contano i giorni trascorsi fino al 22 febbraio;  II) si applica, quindi, la sospensione del nuovo Decreto in esame; e  III) i giorni che mancano per arrivare a 60 si ricominciano a computare dal 16 aprile.

Discorso analogo vale se il termine scade all’interno del periodo di sospensione: ipotizziamo che l’istanza di permesso di costruire sia stata depositata il 7 gennaio 2020, con conseguente scadenza del termine per concludere l’istruttoria fissata teoricamente al 7 marzo (24 gg. di gennaio + 29 gg. di febbraio + 7 gg. di marzo = 60 gg).

Poiché, in base al Decreto Cura Italia, non si può conteggiare il periodo compreso fra il 23 febbraio ed il 15 aprile, i 60 giorni dell’istruttoria si dovrebbero computare nel modo seguente: 24 gg. di gennaio + 22 gg. di febbraio (in quanto dal 23 scatta la sospensione) = 46. Di qui, i 14 giorni mancanti, per arrivare al termine ultimo di 60, iniziano a ri-decorrere dal 16 aprile.

Se, invece, l’istanza di permesso di costruire è stata depositata fra il 23 febbraio ed il 15 aprile, i 60 giorni di legge cominciano a decorrere sic et simpliciter dal 16 aprile.

Tale sospensione si applica anche ai “termini di formazione della volontà conclusiva dell’amministrazione nelle forme del silenzio significativo previste dall’ordinamento”, come espressamente previsto dall’ultima parte del primo comma dell’art. 103.

Di qui, per esempio, i 60 giorni previsti dall’art. 36 del T.U. Edilizia, per la formazione del silenzio rifiuto sull’istanza di accertamento di conformità, maturano senza computare, al loro interno, il periodo di sospensione previsto dal Decreto Cura Italia. 

Un tanto in linea generale, con la consapevolezza che l’attività pratica porterà, poi, con sé tutta una serie di situazioni di non immediata soluzione.

Per esempio, ci si può chiedere se il termine di 90 giorni concessi con un’ordinanza di demolizione ex art. 31, d.P.R. 380/2001, per rimuovere l’opera abusiva, possa intendersi sospeso tout court nel periodo 23 febbraio – 15 aprile.

Nel rispetto anche della ratio della disciplina in esame, la risposta dovrebbe essere positiva, benché la norma non appaia chiarissima sul punto. Nell’incipit del primo comma, l’art. 103 richiama, in effetti, anche i termini “esecutivi”, però parla di sospensione dei “procedimenti”, mentre i 90 giorni di cui all’art. 31, T.U. Edilizia, rappresentano un termine concesso al privato per ottemperare all’ingiunzione a demolire, e non già un termine (in senso stretto) entro il quale la P.A. deve evadere una determinata pratica.

Si potrebbe, però, valorizzare il fatto che si tratta di un termine all’interno del più ampio “procedimento” sanzionatorio e – come tale – considerarlo senz’altro soggetto alla sospensione di legge. Siffatta lettura appare sicuramente ragionevole, vista la situazione di grave emergenza che stiamo vivendo (anche se, però, merita sottolineare la natura assolutamente derogatoria ed eccezionale della norma in questione, la quale dunque dovrebbe essere assoggettata ad una stretta e rigorosa interpretazione).

 

L’adozione di misure organizzative da parte della P.A. e i procedimenti urgenti.

Lo stesso primo comma dell’art. 103 in esame, dopo aver disciplinato il periodo di sospensione dei procedimenti amministrativi, stabilisce che «Le pubbliche amministrazioni adottano ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati».

Tale disposizione potrebbe dare adito a dubbi interpretativi, poiché vi si potrebbe leggere l’obbligo – per gli Enti pubblici – di concludere comunque i procedimenti urgenti, in deroga al periodo di sospensione dianzi esaminato.

Una simile lettura, tuttavia, non appare convincente, in quanto il testo letterale della norma non fa nessun riferimento ad una possibile eccezione rispetto alla regola della sospensione poco prima enunciata.

Inoltre, la disposizione stessa si riferisce non già ai soli “procedimenti urgenti” (per i quali, in astratto, un’eccezione alla regola ci potrebbe teoricamente stare), ma a tutti i procedimenti in genere, con semplice “… priorità per quelli da considerare urgenti”, ma senza escludere quelli non urgenti.

In altre parole, secondo l’interpretazione del primo comma che appare più ragionevole, l’iter di tutti i procedimenti in genere è sic et simpliciter sospeso nel periodo 23 febbraio – 15 aprile,                       ma tale sospensione non significa totale inattività, da parte della P.A., la quale deve comunque adottare  ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli considerati urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati.

Gli Enti, cioè, pur nel rispetto delle disposizioni poste a tutela della salute pubblica, dovrebbero comunque essere attivi, per far sì che la sospensione introdotta ex lege non comporti una durata irragionevole dei procedimenti amministrativi in corso, con particolare riguardo a quelli caratterizzati da urgenza.

Questa disposizione, tuttavia, assomiglia più ad una norma di intenti, che ad un precetto concreto, mentre la sospensione dei procedimenti risulta un dato oggettivo.

Peraltro, la disposizione in esame utilizza in parte qua concetti di non facile lettura: la definizione di “durata irragionevole” non sembra immediatamente intuitiva, né parrebbe facile individuare i procedimenti “da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati”.

Premesso che, per la parte istante, la sua pratica è magari sempre urgente, più difficile è, per l’Amministrazione, effettuare una valutazione oggettiva.

Si pensi, poi, per esempio, ai procedimenti che richiedono l’intervento di più soggetti pubblici, come nel caso in cui l’evasione di una determinata pratica richieda l’acquisizione di pareri da parte di altri Enti. Un caso potrebbe essere la convocazione di una conferenza di servizi asincrona ex art. 14-bis, L. 241/1990, nell’ambito della quale l’Amministrazione procedente indica il termine perentorio entro il quale le altre Amministrazioni coinvolte devono rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della conferenza stessa.

Se il termine perentorio di cui sopra impatta con il periodo di sospensione previsto dal 23 febbraio al 15 aprile 2020, è assai difficile immaginare che l’Amministrazione procedente possa, da sé sola, valutare urgente quel procedimento e imporre agli altri Enti coinvolti di bypassare la sospensione. È intuitivo, infatti, che ciò che è urgente per un’Amministrazione, ben potrebbe non esserlo per un’altra, la quale potrebbe invece giudicare prioritarie altre pratiche. 

Ergo, una lettura molto pratica e concreta del primo comma dell’art. 103 in questione potrebbe essere la seguente: a) i procedimenti, tutti, sono sospesi ex lege nel periodo predetto, nel rispetto della prima parte della norma;  b) l’Amministrazione, se adotta delle modalità di lavoro agile per i propri funzionari, in senso lato, ha in ogni caso ottemperato alla disposizione successiva, nel senso che si è comunque concretamente attivata per garantire al meglio l’evasione dei procedimenti anche in questo difficile periodo storico;  c) se, durante questa situazione di emergenza, vengono portati avanti – anche in vista di una definizione successiva al 15 aprile – dei procedimenti senza rispettare l’ordine di arrivo al protocollo dell’Ente [], l’attività è comunque legittima, purché l’Amministrazione fornisca un minimo di motivazione sulla ritenuta urgenza di quel determinato procedimento, rispetto ad altri presentati in precedenza;  d) quest’ultima valutazione di urgenza, tuttavia, non può che essere rimessa a ciascun Ente, apparendo ragionevole che ogni Amministrazione debba verificare le pratiche che le vengono presentate alla luce anche dell’interesse pubblico che è chiamata concretamente a tutelare.

 

Reviviscenza e/o proroga degli effetti degli atti abilitativi

Il secondo comma dell’art. 103 in esame – in ragione delle difficoltà che incontrano, in questo periodo, anche i privati nello svolgimento delle più disparate attività – ha stabilito che «Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020, conservano la loro validità fino al 15 giugno 2020».

Si tratta, in buona sostanza, a) di una forma di reviviscenza degli effetti degli atti abilitativi in senso lato, la cui “scadenza” sia già intervenuta dal 31 gennaio scorso fino al 17 marzo (data di entrata in vigore del Decreto Cura Italia), nonché b) di una proroga ex lege della validità (o, più verosimilmente, dell’efficacia?) di tutti gli atti abilitativi, la cui scadenza sia intervenuta o debba intervenire nel periodo compreso fra il 17 marzo ed il 15 giugno p.v..

Si pensi, per esempio, all’efficacia quinquennale dell’autorizzazione paesaggistica prevista dall’art. 146, comma 4, del c.d. Codice Urbani (D.Lgs. 42/2004): se detto termine è scaduto o destinato a scadere nell’arco temporale compreso fra il 31 gennaio e il 15 aprile del corrente anno, il termine stesso deve ritenersi riesumato e/o prorogato automaticamente [] al 15 giugno p.v.

Lo stesso dicasi per i termini di decadenza del permesso di costruire di cui all’art. 15, d.P.R. 380/2001, sia per il termine triennale di completamento delle opere, sia anche per quello annuale di inizio dei lavori. Se il termine di un anno, dal rilascio del P.d.C., per iniziare i lavori rientra nel periodo 31 gennaio – 15 aprile, il privato deve senz’altro considerarsi legittimato ad iniziare l’intervento edilizio entro il successivo 15 giugno.

Analogamente, per la eadem ratio la proroga in esame dovrebbe ritenersi applicabile – così parrebbe, ad una prima lettura – anche al termine decennale di efficacia dei P.U.A., stabilito dall’art., 20, comma 9, della legge urbanistica veneta n. 11/2004, benché la delibera di approvazione di uno strumento urbanistico attuativo non sia un “provvedimento” in senso stretto.

Qualche dubbio potrebbe, invece, sorgere in ordine ad eventuali termini derivanti da una convenzione urbanistica, poiché si tratta di termini “contrattuali” e non legati ad un atto amministrativo vero e proprio. Cionondimeno, valorizzando il fatto che una tale convenzione rappresenta un accordo integrativo o sostitutivo di un provvedimento amministrativo, si potrebbe, in effetti, sostenere la prorogabilità anche di siffatti termini.

Naturalmente, la casistica appare essere molto ampia e l’applicazione pratica della norma nei prossimi mesi, non mancherà di suscitare dubbi interpretativi, ma … sarebbe strano il contrario.

 

L’eccezione alla deroga

Da ultimo, per completezza, si segnala che il terzo comma dell’art. 103 in esame prevede delle eccezioni rispetto alle previsioni precedenti, così stabilendo: «Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai termini stabiliti da specifiche disposizioni del presente decreto e dei decreti-legge 23 febbraio 2020, n. 6, 2 marzo 2020, n. 9 e 8 marzo 2020, n. 11, nonché dei relativi decreti di attuazione».

Domenico Chinello

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