Il titolo dell’incontro scomoda il sostantivo eredità. Per noi che stiamo proseguendo il cammino terreno è un lemma gravoso: una parola che interpella la nostra responsabilità, quella di professionisti non ignari che una eredità si può anche rinunciare o accettare con beneficio di inventario. Volendo coltivare questa simbologia successoria, c’è un testamento professionale di Ivone Cacciavillani, molto nitido e per nulla confuso, che interroga la nostra volontà di potenziali chiamati all’eredità. Pubblicato per i tipi di Cedam nel 2010 e titolato, appunto, “Testamento d’avvocato” è un lascito che esordisce raccontando nell’introduzione come sia “talmente mutato lo scenario di operatività della professione forense, da rendere non implausibile la domanda se quella d’oggi sia ancora quella di mezzo secolo fa; e non lo è più o lo resta in minima parte[1]. Non a caso, il nostro Autore spesso si spingeva ad adombrare che la professione modellata dalla legge professionale del 1933 (ancora vigente nel 2010) poteva considerarsi più vicina alla Correzione Gritti de Advocatis (la legge forense veneziana del 1537) che alla realtà del XXI secolo la quale esigeva un impianto ordinistico di radicale adeguamento alle novità dei tempi.

Nei lunghi decenni di toga vissuti da Chi ricordiamo era, infatti, letteralmente cambiata la “chimica” della professione, tanto da assistere sotto molteplici profili ad una vera e propria trasmutazione del ruolo del difensore. Però, nel mutamento profondo delle modalità di svolgimento della professione e delle aspettative (anche sociali) nutrite nei confronti dell’avvocatura, ho visto l’avv. Ivone mantenere sempre intatto un atteggiamento, un portamento interiore, quasi una movenza dell’animo. Per quanto mi riguarda l’approccio a cui mi riferisco è il bene ereditario più pregiato: sto parlando della ricerca infaticabile, assidua, indefessa – tanto nell’analisi di una disposizione legislativa come nella disamina di un fatto politico o storico – del “principio” o, meglio, di un legame, di un nesso, di una correlazione tra attività e principi. In questo era irrobustito da feconde letture rosminiane che lo rendevano insofferente alla rigidità dei formalismi, spesso nemici della essenza vitale della realtà. L’inclinazione ad un’indagine permanente tesa a scovare nelle varie situazioni la sostanza profonda in gioco ovvero il substrato recondito di ogni accadimento gli consentiva nelle varie sedi – tanto un convegno come un’aula d’udienza – sia di evitare la mera riproposizione di assiomi astratti, sia di scivolare verso attivismi fine a sé stessi o pragmatismi privi di principii. Nelle sue scelte e nelle sue tesi concretezza e idealità erano sempre strettamente congiunte, legando i postulati alle condizioni contingenti, date dalle fattispecie considerate.

Molta dell’ispirazione ideale che lo motivava veniva attinta perlustrando le tradizioni del territorio veneto. Ha ricercato, scavato e scritto molto, pubblicando nelle direzioni più svariate e, per certi versi, più impensabili, dai “Quaderni di cultura cimbra” a “Dolomiti”, rivista culturale bellunese. Negli anni Ottanta aveva fondato una collana, “Civiltà veneta”, con pregevoli volumi monografici che spaziavano dalla proprietà collettive della montagna veneta al regime giuridico della laguna, sino ai diritti di uso civico nelle valli di pesca. Nel 2004 avviò da fondatore – sottolineatura da marcare con vigore dato il tema che mi compete – una rivista inter-professionale ad hoc, battezzata con il nome di “Territorio e Ambiente Veneti”, dal sottotitolo molto significativo: “Rivista interdisciplinare di urbanistica, architettura e diritto”. Esplorando le regole cadorine, i diritti di pescatico, le casse peota, le comunanze forestali, i consorzi di bonifica intercettava sempre un filo conduttore, un principio (potremo dire “il” filo conduttore, “il” principio), cioè il tema del cooperare, dell’associarsi, del prendere parte, del federare le comunità, del cucire le esigenze territoriali, dell’animare forme strutturare di solidarietà.

Leggeva la storia prima di tutto come la storia di un’idea che nasce e si incarna, si confronta, combatte e si arricchisce per la speranza che suscita. La radice che resta assolutamente centrale nella riflessione di Ivone Cacciavillani è la questione del rapporto tra l’uomo e la terra, tra persona e territorio e questo spiega il suo interesse acuto per l’urbanistica, per l’assetto autonomistico dei municipi e dei comprensori, per le acque pubbliche, per il diritto forestale e così via. Era persuaso che la civiltà veneta avesse tradizionalmente declinato questo rapporto in modo non solo peculiare ma del tutto esemplare. Vedeva l’efficienza delle esperienze consortili, il fiorire del credito cooperativo, il permanere delle proprietà collettive, il radicamento del policentrismo veneto come la testimonianza che nella “terra madre” (come amabilmente venivano definite le Venezie) il diritto non veniva visto come diritto unicamente dei singoli ma era chiamato a farsi diritto dei cittadini e, dunque, delle città, delle comunità. Entro questa tensione morale decifrava il fondamentale rapporto fra l’uomo e la terra, come un rapporto di vita con vita, che si ampliava poi nel rapporto della comunità con la terra, presupposto di ogni attività umana.

Coglieva in questo l’invocazione ad un depotenziamento della presenza statuale nella società, guardando ad una liberazione da intrusioni pletoriche e distorsive. Nello sforzo di riduzione dell’ingombro pubblico e di recupero di un rapporto più rispettoso tra cittadini e istituzioni scorgeva il bisogno di rammendare la vita del singolo, la vita della comunità e la vita della terra, al di fuori di logiche di sfruttamento o asservimento dell’una con l’altra. Per mettere meglio a fuoco questa sua visione propriamente comunitaria della realtà vorrei chiudere leggendo un passaggio dell’editoriale di presentazione della rivista: “Il territorio veneto rappresenta forse il patrimonio più prezioso della Regione Veneto; in molta parte è stato creato dalla gente che l’ha abitato, che ne ha fatto un ambiente, in misura assolutamente prevalente in senso umano prima che fisico. L’avvento delle autonomie impegna tutti a salvaguardare e preservare territorio e ambiente. In quel senso globale – fisico culturale economico sociale – che è carattere peculiarissimo del Veneto[2].

Enrico Gaz

 

[1] I. CACCIAVILLANI, Testamento d’avvocato, Padova, Cedam, 2010, p. VII.

[2] I. CACCIAVILLANI, “Territorio e ambiente veneti. Una rivista per il territorio”, n. 1 – Giugno 2004.

 

* Il testo riproduce l’intervento tenuto al Convegno dell’8 aprile 2022, svoltosi in Padova e organizzato dall’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti e dall’Unione Giuristi Cattolici di Padova, dal titolo “L’eredità di Ivone Cacciavillani – L’uomo, l’avvocato, lo storico, il credente, il cittadino”.

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