Prima dell’esame della tematica riflessa dal titolo, non si può non notare che la “regolazione del caso” operata dal Consiglio di Stato e, forse ancora più icasticamente, dal Tar Bari, rispettivamente con la sentenza n. 7648 dell’8.8.2023 e con l’impugnata  pronuncia n. 1536/18, di una vicenda che denominiamo genericamente come “procedura selettiva” seguendo il tenore testuale delle sentenze, sembra, a nostro modesto avviso, dimostrare che esistono istituti dell’azione amministrativa o più in generale “azioni” della p.a. che “stanno sopra” le norme puntuali e che trovano adeguata regolamentazione nell’interesse collettivo anche senza la sottoposizione a discipline analitiche, essendo sufficienti quelli che possiamo chiamare “principi” (tanto più sulla scia della soluzione adottata  dal nuovo codice dei contratti di “positivizzare” e dettagliare siffatta nozione normalmente non testuale nel settore specifico  della contrattualistica pubblica) del diritto amministrativo. Al di là della comprensibile pulsione verso la dettagliata regolamentazione di ogni aspetto di ogni procedimento amministrativo, esistono forse “grundnorm” che, da sole, coprono quantomeno la grandissima parte delle esigenze regolatorie e che soddisfano adeguatamente il conflitto tra interesse pubblico all’acquisizione del migliore “risultato” (buona andamento dell’amministrazione) ed interesse alla massima estensione della possibilità di aspirare alla fornitura di quel risultato e al conseguimento del relativo, legittimo profitto (concorrenza).

Più banalmente e ordinariamente, le due sentenze pongono, all’operatore del diritto, la  tradizionale domanda: a quale disciplina è soggetto  una “procedura selettiva” finalizzata  all’acquisizione di sei “prestazioni” (bozzetti  di carri mascherati e -quanto  pare- realizzazione e messa a disposizione di  sei corrispondenti carri) da parte di pari numero  di “selezionati”, a fronte dell’erogazioone di un “contributo”?

In estrema sintesi e più in chiaro, quello che colpisce del testo delle due sentenze è che parlano entrambe di una  fattispecie di “procedura  selettiva”, specificamente indetta  dalla Fondazione che gestisce il carnevale di Putignano (evento nazionale)  per l’acquisizione di  sei bozzetti di carri mascherati con promessa dell’erogazioone di  un “contributo” fisso (euro 41.000) ma -questo appare il punto interessante- nessuna delle due sentenze risulta richiamare una sola norma che  regolerebbe la procedura  stessa né riporta alcuna statuizione degli atti della procedura che individui il quadro normativo applicato. Non si dispone degli atti amministrativi sottoposti a vaglio, che forse qualche richiamo fanno, ma ciò  che qui rileva è il fatto che i due Giudici non abbiano avuto bisogno, per risolvere il caso, dell’inquadramento del medesimo, per lex specialis espressa o per qualificazione autonoma, in una normativa di dettaglio.

Una norma viene citata (dal Tribunale, e solo dal medesimo) e di tale norma il Giudice fa effettivamente applicazione affermandone l’avvenuto rispetto nel  caso concreto. Si cita l’art. 12 della  l. 241/90, e cioè la norma sulla erogazione di contributi e sovvenzioni, la quale pone  la regola  generale  e di buon senso (anche rispetto  agli artt. 3 e 97 Cost) della predefinizione dei criteri di attribuzione di sovvenzioni e contributi (la distinzione tra i due è ancora piuttosto evanescente) prima dell’erogazione. Ricordiamo, per inciso, che il testo originario dell’art. 12 imponeva anche la previa pubblicazione della decisione dell’assegnazione di tali erogazioni ma la pubblicità è oggi regolata da  una normativa di  dettaglio, rappresentata dall’art. 26, d.lgs. 33/13.

Ma tale norma non viene evocata come fonte regolatrice della procedura nel suo complesso ma semmai  come “atomistica” disciplina di una frazione del procedimento.

Quel che appare certo è che, pur trattandosi, oggettivamente, di una procedura che presenta forti indizi (non  risolutivi, per quanto si dirà, ma sicuramente significativi) di procedura contrattuale, sottoposta ai corpi normativi ormai denominati “codice dei contratti pubblici” (d.lgs. 50/16; d.lgs. 36/23), essendo  destinata a dar luogo all’erogazione di “somme di denaro” (volendo deliberatamente usare le categorie più ampie) a sei “interlocutori” della committente “contro” una “prestazione” (costituita sicuramente dalla consegna di “bozzetti”, ossia “opere dell’ingegno”,  soggette “verosimilmente “ a diritto d’autore, tant’è che l’art. 5 dell’avviso prevedeva l’obbligo della  produzione di “autorizzazione dell’autore” -v. sentenza Consiglio di Stato, 4.2 e 4.3- ma “forse”  anche la realizzazione stessa dei carri oggetto dei bozzetti da parte dei sei “interlocutori” scelti con la procedura), le due  sentenze non si peritano di  parlare di procedura adottata ai sensi dell’allora vigente codice dei contratti. Ma neanche  parlano di procedura ai sensi dell’art. 12, l. 241/90, ammesso e (non) concesso che la norma possa essere intesa come contemplante una “selezione”, stabilendo desumibile in modo “subliminale” dall’uso  dell’espressione  “criteri  e modalità” (laddove criterio, derivando dal greco “Krino”, che vuol dire, per lo meno anche,  “distinguere”, “separare”, sembra  implicare l’allusione  anche alla “separazione”,  “distinzione” tra più soggetti con i quali l’ente pubblico interloquisce ai fini di  un risultato rivolto all’amministrazione o  alla collettività, anche se la norma sembra incentrare l’attenzione sul fatto che, a prescindere dalla molteplicità dei destinatari e dal rapporto tra sussidi offerti e domanda riscontrata, è necessario che il beneficio o generico “vantaggio economico” -quindi anche un “compenso”, come vuole il  codice penale- sia erogato a favore di un soggetto individualmente munito dei requisiti prefissati dalla pubblica amministrazione). Se vogliamo estendere  l’esame alle norme sulla “selezione” di interlocutori, che si attaglino o meno al caso peculiare in discussione, notiamo anche che le sentenze non parlano nemmeno di procedura ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 165/01, ancora evocato ai fini della individuazione di soggetti con i quali la pubblica amministrazione (nel quale ambito si è collocata implicitamente ma inequivocabilmente auto-collocata la Fondazione, di cui il Tar spiega che si tratta di “ente con capitale maggioritario pubblico, controllato dal Comune di Putignano” e che in causa, nei due gradi, nessuna eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo risulta aver formulato) instaura rapporti “finalizzati”, comportanti un esborso a fronte di una utilità offerta alla pubblica  amministrazione al soggetto. La giurisprudenza contabile, ad esempio, richiama tale norma agli effetti, proprio, della regolazione degli affidamenti di incarichi, anche relativi a singoli contenziosi, a favore di avvocati del libero foro, che rendono comunque una prestazione intellettuale sostanzialmente non diversa (salva la disciplina specifica  relativa all’accesso e al governo ad una  siffatta professione  regolamentata) da quella dell’autore di  opere dell’ingegno (professione non regolamentata, cioè non soggetta ad iscrizione ad albi  e non richiedente titoli abilitativi).  Ci si riferisce, tra le più recenti, a Corte dei Conti Sez. Giur. Regione Toscana 23 ottobre 2023 n. 341.

Sul fronte del rapporto tra appalto e  contributo, e quindi tra codice dei contratti pubblici e (sinteticamente) art. 12 l. 241/90, il discrimine non  è in concreto sempre di facile tracciatura.

Non sono pochi i “vantaggi economici di qualsiasi genere a persone ed enti pubblici e privati” di cui parla l’art. 12 usando  una locuzione che sembra avere funzione residuale e onnicomprensiva, includente tutto quanto già descritto  con le espressioni “sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari” ma anche più  di questo, ai quali “vantaggi economici di qualsiasi genere” corrisponde una condotta  del beneficiario che si presenta come oggetto di un obbligo, pari a quello della obbligazione civilistica, o quantomeno ad un onere, e cioè condotta che il soggetto interessato deve tenere “se” vuole mantenere o ottenere il  beneficio.

Basti esaminare  la alluvionale giurisprudenza in tema di giurisdizione sulla revoca di finanziamenti per constatare che convivono, da un  lato, per l’appunto, le sovvenzioni comunque denominate, dall’altro l’adempimento/inadempimento delle prescrizioni contenute nel provvedimento di concessione o nella  normativa che disciplina in  modo vincolato o legittimante una discrezionalità amministrativa o tecnico-amministrativa della pubblica amministrazione. Il “contributo” (continuiamo ad usare  indifferentemente tali espressioni, distinguendole non tra di loro -contributi, sovvenzioni, ausili, finanziamenti- ma rispetto al corrispettivo di un contratto a titolo oneroso che è l’oggetto delle fonti normative ora raccolte in quelli che si chiamano icasticamente “codice dei contratti pubblici” -v. d.lgs. 50/16; 36/23).

Si legge, al riguardo:

Sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione. Viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario. Appare evidente che, nel caso in esame, ricorre la situazione in cui l’erogazione è prevista direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato solo il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti, senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid e il quomodo dell’erogazione medesima, prospettandosi pertanto la situazione della richiedente in termini di diritto soggettivo, deve dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario” (Cassazione civile sez. un. – 13/04/2023, n. 9816).

Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato (non configurandosi alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata; ne consegue che sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In questo caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario”( Consiglio di Stato sez. III – 01/02/2022, n. 702

Il riparto di giurisdizione tra G.O. e G.A. in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste sempre la giurisdizione del G.O. quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla P.A. è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid e il quomodo dell’erogazione. Qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al Giudice Ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al G.O., attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione. Viceversa, è configurabile una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del G.A., solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario” (T.A.R. Lazio sez. I – Roma, 31/01/2023, n. 1716).

Sussiste la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in ordine alle controversie originate dalla revoca di un contributo statale, sia quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, e alla P.A. è demandato solo il compito di verificare l’effettiva esistenza dei presupposti per la sua concessione, senza alcuno spazio discrezionale in ordine all’an, al quid ed al quomodo dell’erogazione, sia in particolare quando la revoca discenda dall’accertamento di un inadempimento, da parte del fruitore, delle condizioni stabilite in sede di erogazione o comunque dalla legge stessa, nonchè nel caso di sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato; sussiste invece la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle controversie in materia di revoca del contributo, quando occorra sindacare il corretto esercizio della ponderazione comparativa degli interessi in sede di attribuzione del beneficio o in relazione a mutamenti intervenuti nel prosieguo, quindi quando il giudizio riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio oppure quando, successivamente alla concessione, l’atto sia stato annullato o revocato per illegittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario” (Tribunale Torino sez. I, 26/07/2019, n. 3747).

Abbiamo riprodotto nella  loro estensione le massime  per evidenziare come  siano perfettamente d’accordo, tanto da condividere il  testo,  Suprema Corte di Cassazione e Consiglio di Stato, magistrature di ultimo grado e  quelle di merito: l’inadempimento di  condizioni, prescrizioni, obblighi imposti  con il  provvedimento di concessione del “vantaggio economico”  spetta al giudice ordinario, che si trova davanti   ad un atto spiccatamente amministrativo (preso in considerazione in via generale dall’art. 12 l. 241/90 e, in pari termini generali, da poche altre norme, trattandosi di materia regolata piuttosto  da disposizioni sanzionatorie e quindi attinenti  alla fase patologica e non di attribuzione)  che dà  luogo ad erogazioni controbilanciate da “prestazioni”  a favore della “committente” pubblica. Si tratta di uno schema relazionale, ossia di  un rapporto che vede “comportamenti” bilaterali, volendo ancora  una volta  usare espressioni “inclusive”, capaci di “coprire” sia il contratto oggetto dei codici sopra menzionati, “istituzionalmente” ed “esplicitamente” a prestazioni corrispettive, sia il rapporto istituito  con “finanziamenti” e similari, lessicalmente unilaterali (dal lato   della  pubblica   amministrazione) ma  oggettivamente, sostanzialmente non privi  affatto di una componente di bilateralità negli obblighi (se  si parla di inadempimento, questa è la posizione giuridica che da predicarsi  nei confronti  del beneficiario) rapporto del contratto della pubblica amministrazione,  (ordinariamente di natura corrispettiva).

Con riguardo al caso  di specie, nemmeno la peculiarità della previsione dell’attribuzione del “contributo” non ad un  aggiudicatario ma a sei  soggetti che offrano sei distinte “prestazioni” conduce al di fuori dell’area dei contratti oggetto del codice di cui al d.lgs. 36/23, posto che i contratti d’appalto (e quindi l’opposto “naturale” del “finanziamento” secondo le categorie tradizionali, sono  definiti dall’art. 2, comma 1, lett. b), come “i contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più stazioni appaltanti e aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di beni o la prestazione di servizi”. Ed in effetti, si ritrovano, in dettaglio, le fattispecie dell’accordo quadro di cui (ora) all’art. 59, comma 4, d.lgs. 36/23, come  pure  il  partenariato per l’innovazione (art. 75), molto vicino al caso qui in esame dell’affidamento dell’ “ideazione” di un  bene immateriale quale oggetto prevalente su quello materiale (i carri conformi al bozzetto), e nonché l’art. 140, relativo alle procedure attivate in “caso di somma urgenza e di protezione civile”, l’art. 174, comma 1, lett. a), sul partenariato pubblico-privato. Non  appare vero nemmeno  il fatto che in questi casi  l’oggetto  della prestazione affidato ai molteplici  “operatori  economici” sia unico: alla pluralità degli operatori può corrispondere una  pluralità di prestazioni, come avviene, soprattutto, nel caso del partenariato  per  l’innovazione.

Si ricorda che il codice dei contratti non è nemmeno il recinto esclusivo dei contratti a prestazioni bilaterali. L’art. 8, comma 1, parla di  contratti anche a titolo gratuito, che possono essere stipulati dalle amministrazioni purché sia motivata la gratuità, e il comma 3 del medesimo articolo parla di donazioni anche di “prestazioni” (come la donazione civilistica, che, secondo la dottrina, può avere ad oggetto non solo “cose”, come nel codice ottocentesco, ma anche “obblighi”, tra i quali rientrano gli obblighi di fare, quantomeno di “fare autonomo”, posto che la prestazione gratuita di lavoro subordinato incappa in vincoli anche costituzionali e di diritto pubblico -v. Il contratto di donazione. Il tipo legale e il regime delle prestazioni, Antonino Cataudella, 6 marzo 2006); l’art. 13, comma 2, parla ancora di contratti a titolo gratuito come fattispecie “generale” del codice; l’art. 134, relativo ai contratti relativi a beni culturali, stabilisce che “Per tutte le attività finalizzate alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali, l’amministrazione può stipulare contratti gratuiti, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del codice, ferme restando le prescrizioni dell’amministrazione preposta alla loro tutela in ordine alla progettazione e all’esecuzione delle opere e delle forniture e alla direzione dei lavori e al loro collaudo”.

Si potrebbe dire che quasi paradossalmente, il codice dei contratti “prende di mira” proprio i contratti gratuiti (che comunque comportino un’opportunità di guadagno anche indiretto, secondo la specificazione che si legge al comma 5 dell’art. 13), più di altri non gratuiti, sottoponendoli all’applicazione dei primi tre articoli del codice, a differenza di quelli esclusi in base alle direttive comunitarie e a quelli attivi (da cui la pubblica amministrazione ricava un compenso). Secondo, infatti, la relazione di illustrazione dello schema di codice elaborata dalla commissione speciale del Consiglio di Stato, il comma 5 dell’art. 13 del codice (la commissione si riferisce al comma 4 che è diventato 5 nel testo definitivo), il quale sottopone ai primi principi di cui ai primi tre articoli del codice i contratti “esclusi” secondo il comma 2 del medesimo art. 13, si riferisce non a quelli a titolo oneroso (ma per l’appunto esclusi: quelli dell’art. 56, d.lgs. 36/23, tutti a titolo ordinariamente oneroso, e quelli attivi) ma solo a quelli a titolo gratuito che comportino opportunità di guadagno). Tale interpretazione restrittiva appare in contrasto con il tenore testuale del comma 5, che fa riferimento a tutti i contratti che comportino “opportunità di guadagno” indicati nel comma 2, ma è importante e significativo che sia avallata da chi ha scritto il codice e aveva in mente il sistema complessivo. I servizi legali sono esclusi dall’applicazione del codice secondo l’art. 56, anche se altamente onerosi, mentre i contratti gratuiti “remunerativi” (es. sponsorizzazione) devono rispettare i principi di risultato, fiducia e trasparenza. Si ricorda che l’art. 4 del d.lgs. 50/16 sottoponeva tutti i contratti cd. esclusi ai principi di economicita’, efficacia, imparzialita’, parita’ di trattamento, trasparenza, proporzionalita’ , pubblicita’, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.

Da quanto detto, dunque, i finanziamenti, seppur ordinariamente unilaterali, convivono, anche se definiti “a fondo perduto” (come perfino il contributo messo in “palio” dalla Fondazione protagonista della vicenda oggetto delle sentenze in esame), con obblighi del beneficiario e quindi con la bilateralità; dal canto loro, i contratti oggetto dei codici, ordinariamente a titolo oneroso, ammettono l’unilateralità e la gratuità, anche “liberale” (stando al richiamo alla figura della “donazione”, che ha come causa tale elemento “soggettivo”, a differenza del contratto a titolo gratuito “puro”, che non lo contempla: si pensi alle cessioni di aree ai fini della realizzazione di opere di urbanizzazione nell’ambito dei piani urbanistici attuativi: v. art. 16, comma 2, e 28 bis, dpr 380/01).

“Se ne trae la conclusione che la stessa “realtà” (rapporto bilaterale) sembra prestarsi ad una sottoposizione all’una e all’altra normativa (per i finanziamenti, quantomeno l’art. 12 l. 241/90). Si tratta di una situazione non infrequente: si pensi al caso dell’incarico  di difesa dell’amministrazione nella singola controversia, che è da tempo oggetto di posizioni differenziate, e in particolare quella della sottoposizione al codice dei contratti (quantomeno quello del d.lgs. 50/16, che regolava, per “principi”  in astratto ma in concreto con tutte le norme del codice, in base all’art. 4 del d.lgs. 50), all’art. 7  d.lgs. 165/01 (indirizzo seguito dalla sentenza sopra menzionata della Corte dei Conti),  nonché la “terza via” del contratto del tutto “privatistico”, da far precedere da una determinazione di affidamento che  però non deve essere preceduta da “procedura selettiva” o comunque da confronti tra più soggetti ma deve dare atto del rispetto dei principi generalissimi di governo dell’azione amministrativa quali economicità, trasparenza (non pubblicità), competenza, trattandosi di contratto da inquadrare nell’ambito della “non censita” dal diritto pubblico dei contratti fattispecie della prestazione d’opera intellettuale regolata dall’art. 2229 c.c. (v. Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale Lazio, 8 giugno 2021, n. 509; Consiglio di Stato 2730/2012; TAR Reggio Calabria n. 38/2016).

Con riguardo al caso di specie, a nostro avviso, l’operazione perseguita dalla Fondazione sembra inquadrarsi più appropriatamente al codice dei contratti, stante soprattutto la “immediata corrispettività” che vi si riscontra tra la prestazione richiesta dalla Fondazione e il contributo economico offerto, l’impossibilità del cui ribasso è conforme anche alle previsioni del codice, che ammettono il costo o prezzo fisso (v. art. 108, comma 5, d.lgs. 36/23, come nel codice previgente di cui al d.lgs. 50/16, stabiliva il comma 7 dell’art. 95).

Vero è che, come anticipato, in nessun punto della sentenza del Consiglio di Stato (come del Tar) si opta per una o l’altra delle fonti normative che potevano essere chiamate in gioco per quanto detto sopra.

Ma emblematica della astensione dei due giudici dall’inquadramento della “procedura selettiva” in un corpo normativo di diritto positivo, è l’analisi del quarto motivo del ricorso di primo grado, con il quale l’associazione ricorrente formulava censure di spiccata natura “appaltistica”, afferenti al rispetto della “lex specialis” sotto il duplice profilo, specificamente, della applicazione  da parte della commissione giudicatrice, di “parametri e criteri ulteriori e derogatori da quelli indicati nella lex specialis” e, in secondo luogo, aspetto ancora più caratteristico delle gare d’appalto, rappresentando un vizio esiziale in tale ambito, della elaborazione di tali parametri e criteri ulteriori da parte della commissione dopo la visione dei bozzetti.

Il Tribunale evidenzia come la violazione commessa dalla commissione sia consistita nell’applicazione di criteri non coperti dalla lex specialis elaborati in una specifica seduta dei lavori di valutazione della commissione (e quindi dopo l’apertura delle buste). Il parametro di illegittimità ritenuto decisivo ai fini dell’accoglimento del motivo (unico ritenuto fondato) è stato quello del disattendimento della lex specialis.

Orbene, tale parametro è espressione di un principio generale dell’ordinamento amministrativo: la “legge” che l’amministrazione fissa per regolare il proprio operato. È una ragione logica quella che fa sì un’amministrazione applichi prima di tutto le statuizioni amministrative da essa stessa poste. L’eccesso di potere di cui all’art. 29 cpa, per come declinato dalla giurisprudenza e in particolare per l’obbligo di coerenza e di non contraddittorietà che esso impone, conduce alla soluzione del caso di una commissione che disattende i parametri prefissati. In fondo, pur nell’estrema sintesi della norma dell’art. 12, che si profila sempre più come “grundnorm” delle selezioni tra interlocutori della pubblica amministrazione nell’erogazione di prestazioni, è quanto da essa stabilito con il duplice disposto dell’obbligo, chiaramente imposto dal principio di parità di trattamento e di correttezza, della fissazione dei criteri di selezione, e poi l’obbligo, applicativo del principio di trasparenza, della attestazione e dimostrazione del rispetto dei criteri prefissati nel contesto dell’atto di erogazione del “vantaggio economico”.

Si può dire che, a prescindere dall’inquadramento specifico in una o nell’altra normativa specifica, la soluzione del caso non sarebbe stata diversa.

Anche la soluzione offerta dal Consiglio di Stato  alle questioni poste con le due censure prese in considerazione in sede di appello (il terzo motivo è stato dichiarato improcedibile per carenza di interesse) si basa su principi di diritto comune, civilistico (relativamente al primo motivo) e pubblicistico (per quanto riguarda il secondo).

Sul primo motivo, il Consiglio di Stato parla di “causa di giustificazione dell’inadempimento” con riguardo alla presentazione di documentazione integrativa oltre il termine “perentorio” fissato a tali fini (presentazione della documentazione integrativa) dall’art. 5 dell’avviso di indizione della selezione, causa di giustificazione dell’inadempimento che sarebbe consistita nel fatto che la Fondazione ha assunto l’iniziativa (adottando un comportamento concludente) di invitare l’associazione interessata ad un incontro nel quale poteva anche essere presentata documentazione integrativa  e che era stato convocato per una data successiva a quella del termine perentorio. A nostro modesto avviso, poteva efficacemente evocarsi il principio civilistico per il quale il termine essenziale (equiparabile al termine perentorio pubblicistico) è rinunciabile, posto che, in base all’art. 1457 c.c., il “creditore” (la pubblica amministrazione nel nostro caso) può pretendere comunque la prestazione anche dopo il termine. Nella fattispecie, la Fondazione ha richiesto comunque la prestazione rappresentata dalla esibizione della documentazione integrativa. La Fondazione ha applicato anche la regola imprescindibile della par condicio, convocando tutte le associazioni che si trovavano nelle stesse condizioni di quella che la ricorrente voleva vedere esclusa.

Interessante, comunque, l’applicazione diretta che il Consiglio di Stato opera del codice civile in ordine al procedimento e non di contratti con soggetti pubblici, ai quali si applica notoriamente il diritto comunque già in base all’art. 1, comma 1 bis, l. 241/90. Applicabile direttamente il disposto dell’art. 1, comma 2 bis, l. 241/90,  che dispone l’applicazione del principio di buona fede anche all’attività pubblicistica, ed in forza di tale principio l’aspirante assegnatario di un contributo che viene invitato ad un incontro anche per la consegna di documentazione integrativa non può certo essere considerato inadempiente del termine dell’avviso.

Quanto al secondo motivo, esso richiama in causa il principio del rispetto tassativo, anche in negativo, della lex specialis, sopra ampiamente esaminato, per il quale principio il Consiglio di Stato si è rifiutato giustamente di ritenere inserito nell’avviso il parametro dell’originalità non desumibile da nessuna disposizione dell’avviso suddetto, da leggere (l’avviso) secondo il tenore testuale se si tratta di penalizzare quale partecipante alla selezione, per l’ulteriore principio del favor partecipationis, di interesse pubblico imprescindibile.

Certo, ci sono temi su cui spetta alla legge fissare le regole puntuali in relazione agli obiettivi di indirizzo politico che il legislatore si prefigge, come può valere per i criteri di aggiudicazione, sui quali si manifesta la volontà ormai consolidata della priorità data ai criteri qualitativi rispetto a quelli economico-quantitativi (ribasso massimo).

Al di là di tali ambiti, invero più ristretti di quanto si possa pensare, appare vero che l’azione amministrativa, nel sistema italiano è già solidamente governata e agganciabile a principi di ampio respiro idonei ad offrire all’amministrazione la soluzione del caso anche prima e senza una legislazione ossessivamente proiettata sul dettaglio. Il richiamo fatto dal nuovo codice all’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione in base al codice stesso è un segno positivo che va in questa direzione, seppure tale segnale sia contenuto in un corpo normativo tutt’altro che leggero.

Franco Botteon

Sentenza TAR Puglia-Bari n. 1536/2018

Sentenza Consiglio di Stato n. 7648/2023

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