La normativa: il Codice della Navigazione e le concessioni sul demanio marittimo per finalità turistico ricreative. 

1) Per parlare dell’attuale situazione delle concessioni per finalità turistico ricreative sul demanio marittimo ritengo sia opportuno seguire la traccia delle varie sovrapposizioni normative che sono intervenute negli ultimi anni, a partire dall’adozione del D.L 5 ottobre 1993, n. 400, con il quale sorge la qualificazione delle concessioni per finalità turistico ricreative.

In primo luogo, va detto che il Codice della navigazione (R.D. 30 marzo 1942, n. 327) non conosce l’accezione di demanio turistico ricreativo.

L’art. 28 individua esclusivamente il demanio marittimo dato dall’insieme di: a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo”;

salvo poi indicare come accessorio tutto ciò che vi è stato costruito sopra.

Dai tradizionali usi del mare, collegati alla navigazione, alla portualità, alla pesca, alle varie forme di produzioni interessate dalla collocazione costiera (molluschicoltura, attività agricole, raccolta di materiali vari), è sotto gli occhi di tutti  come a partire dal secondo dopoguerra abbiano acquistato prevalenza anche usi collegati all’attività turistica, in senso ampio, che hanno alimentato intere filiere produttive ed economie locali che si fondano sull’uso delle spiagge e dei beni demaniali ad esse contigui.

2) In questa chiave di innovazione della funzione del demanio marittimo va collocata l’accezione di demanio a finalità turistico ricreative”, espressione di sintesi che è stata definita nell’ambito della conversione in legge del decreto – legge 5 ottobre 1993, n. 400, operato con la legge 4 dicembre 1993, n. 494 (malgrado il termine fosse stato indicato all’art. 59 del DPR 616/1977), dove al comma 1 dell’art. 01, aggiunto in fase di conversione, si elencano una serie di nuove tipologie di utilizzo del demanio marittimo circoscritte nel seguente modo:

a) gestione di stabilimenti balneari;
b) esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio;
c) noleggio di imbarcazioni e natanti in genere;
d) gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive;
e) esercizi commerciali;
f) servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di utilizzazione di cui alle precedenti categorie di utilizzazione”.

Merita di essere considerato che questa elencazione è inserita in un provvedimento legislativo di carattere eminentemente fiscale. Lo si ricava dal tenore della rubrica del decreto – legge, che riguarda “Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime”, e dal tenore del testo base, rivolto, in un momento di una delle tante crisi finanziarie dello Stato, a recuperare dal demanio marittimo dei maggiori proventi rispetto a quelli provenienti dalla gestione che l’amministrazione statale ne aveva fatto in precedenza e che aveva permesso la costruzione di una florida economia turistica nella più parte del litorale nazionale.

La definizione della tipologia funzionale nasce, quindi, per permettere l’individuazione di un imponibile fiscale qualificato a cui il decreto-legge accompagnava la determinazione di nuovi canoni concessori fino a sei volte superiori a quelli precedenti.

Il carattere di emergenza fiscale della novella legislativa spiegano le ragioni dell’inappropriatezza della disciplina che il legislatore stava coniando, oltre alla inadeguatezza dei nuovi canoni concessori, che furono, anch’essi, immediatamente oggetto di contestazione e di una successiva repentina revisione.

Come si vedrà in seguito e come si ricava dai criteri indicati nelle sentenze dell’Adunanza plenaria 17 e 18/2021, il legislatore è intervenuto sulla materia senza aver effettuato un necessario approfondimento sia sulla realtà economica, sia sullo stato giuridico della materia. Una maggior riflessione su quella che era diventata la realtà socioeconomica del settore turistico balneare sarebbe stata opportuna. E ciò a prescindere dagli sviluppi normativi di matrice comunitaria che, negli anni successivi, sono entrati nell’ambito della materia delle concessioni demaniali in materia molto impattante.

La durata delle concessioni demaniali e di quelle a finalità turistico ricreative.

3) Uno dei primi elementi di caratterizzazione della nuova tipologia di concessioni (e dell’inappropriatezza della loro disciplina) fu l’introduzione di una scadenza uniforme, fissa e breve, delle concessioni rilasciate per finalità turistico ricreative.

Infatti il secondo comma dell’art. 01 previde che tutte le tipologie di concessione sopra menzionate avessero una durata uniforme di 4 anni. Mentre, e va segnalato, l’art. 36, comma 2, del Codice della Navigazione non indica quale debba essere la durata di una concessione demaniale marittima. La sua estensione temporale è stata sempre variamente disposta a seconda dei casi. In genere per categorie di beni, altre volte in relazione alla tipo della concessione, all’interesse del concessionario o a quello della stessa amministrazione demaniale.

Dalla previsione di durata delle concessioni, come indicata dal secondo comma dell’art. 36, si individuano, infatti e in massima sintesi, due principali modalità di costituzione del godimento del demanio marittimo. Quella per durata inferiore ai quattro anni, da rilasciarsi a mezzo di licenza. E quella di durata superiore, laddove la concessione preveda la realizzazione di impianti permanenti o di difficile rimozione, la quale comporta il rilascio di un atto concessorio formale in genere collegato a un disciplinare d’uso.

A questa previsione circa una non perentoria durata delle concessioni, corrisponde il successivo art.  37, comma 1, del Codice, che richiede che l’autorità che presiede al rilascio debba valutare le domande con un’ampia discrezionalità. Potendo essa scegliere, “nel caso di più domande”, il “richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell’amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico”.

4) La dottrina si era già varie volte posto il problema di superare questi schemi e  di dare alla materia una disciplina più moderna e dinamica considerando che l’utilizzo del demanio marittimo, in particolare di quello per finalità turistico – ricreative, avviene oggi nell’abito prevalente di attività imprenditoriali e che l’utilità sociale non è più data dalla semplice utilizzazione del bene come presente in natura, ma in ragione dell’“organizzazione imprenditoriale che lo gestisce per un miglior soddisfacimento dei bisogni della collettività”.

5) Dal punto di vista fiscale, inoltre, un primo tentativo di rivedere gli importi dei canoni demaniali era già stato tentato a mezzo del decreto-legge n. 90/1990, convertito nella legge 26 giungo 1990, n. 165 che, con l’art. 12, aveva demandato ad appositi decreti governativi la determinazione dei criteri per l’aumento fino a sei volte tanto il valore dei canoni concessori anche per il demanio marittimo.

Su queste premesse legge di conversione n. 494/1993, del decreto – legge 400/10993, introdotto perciò alcuni elementi ordinamentali, certamente innovativi e di sostanziale discontinuità rispetto al regime allora corrente, ma proposti in modo poco conforme alla sottostante situazione giuridica e di fatto.

6) In secondo luogo, merita di essere evidenziato l’art. 6 del testo finale della legge 494/1993demandava al Governo il compito di assumere gli adempimenti necessari a rendere effettiva la delega delle funzioni amministrative alle regioni. E, nel caso di inerzia, dopo un anno, si sarebbe resa effettiva la delega al “rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime”.

In tal modo si dava attuazione all’art. 59 del D.P.R. 616/1977, che aveva disposto: “Sono delegate alle regioni le funzioni amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale e fluviale, quando la utilizzazione prevista abbia finalità turistiche e ricreative. Sono escluse dalla delega le funzioni esercitate dagli organi dello Stato in materia di navigazione marittima, di sicurezza nazionale e di polizia doganale”.

Le prime modifiche normative sulla durata delle concessioni per finalità turistico ricreative

7) Per le varie rimostranze degli operatori del settore la limitazione temporale a quattro anni di durata conobbe vari ripensamenti.

L’art. 10 della legge n. 88/2001 dapprima previde che concessioni sul demanio turistico ricreativo, “indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni.  Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell’articolo 42 del codice della navigazione”. Disposizione questa che fa riferimento al fatto che anche le concessioni per finalità turistico ricreative erano revocabili da parte dell’amministrazione marittima solo per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse”). Un secondo aggiustamento venne dall’art. 13, comma 1, della legge 172/2003, il quale escluse dall’applicazione della legge 493/1993 le concessioni rilasciate dalle autorità portuali nelle rispettive circoscrizioni territoriali.

8) Sempre in ragione di una esigenza fiscale, ma anche nella constatazione che il rinnovo automatico di sei anni in sei anni, di fatto aveva costruito un regime perpetuo, il legislatore, con il comma 252, dell’art. 1 della finanziaria per il 2007 (la legge 27 dicembre 2006, n. 296), modificò il regime temporale e previde, con il comma 4 bis all’art. 03 della legge 494/1993, che “le concessioni di cui al  presente  articolo  possono  avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni  in ragione dell’entità e  della  rilevanza  economica  delle  opere  da realizzare e sulla base dei piani di  utilizzazione  delle  aree  del demanio marittimo predisposti dalle regioni”.

I “piani di utilizzazione”, in vero, erano già stati indicati dall’art. 6 dell’originaria versione della legge 494/1993 nella parte in cui aveva previsto la delega della gestione del demanio per finalità turistico ricreative in capo alle Regioni.

La disciplina regionale

9) Con la previsione, contenuta nel decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 118, art. 105, furono conferite alle Regioni tutte le funzioni inerenti alla gestione di tutto il demanio marittimo, eccezion fatta per i porti.

A cascata, con la legge regionale n. 11 del 2001, la Regione Veneto completò l’operazione di decentramento amministrativo distribuendo molte delle competenze ricevute a favore di Province e Comuni, ma escludendo da questo perimetro la materia relativa alle concessioni del demanio marittimo.

Per la devoluzione ai Comuni delle competenze amministrative per il rilascio e il rinnovo delle concessioni di carattere turistico ricreativo intervenne, invece, la coeva legge regionale 6 aprile 2001, n. 9, “Norme per l’attuazione delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo”. La quale fu subito abrogata ed integralmente assorbita nella legge regionale 4 novembre 2002, n. 33, “Testo unico delle leggi in materia di turismo”.           

L’art. 46 della l.r. 33/2002, infatti, in modo consonante a quanto aveva già effettuato la l.r. 9/2001 (art. 11), dispose il trasferimento della “funzione amministrativa per il rilascio, il rinnovo e ogni modificazione inerente alle concessioni demaniali marittime, in conformità alle leggi dello Stato e della Regione ed ai contenuti del piano regionale di utilizzazione delle aree del demanio marittimo”.           

Quanto alla durata delle concessioni, le due leggi regionali recepirono la norma dello Stato al tempo vigente e previdero che la durata delle concessioni fosse di sei anni rinnovabili automaticamente, di volta in volta per altri sei.

La norma regionale previde, inoltre, un atto di impulso nei confronti dei Comuni destinatari delle deleghe, quali, in base al “Piano regionale di utilizzazione delle aree”, avrebbero dovuto dotarsi entro il 31 dicembre 2005 di un proprio “Piano degli arenili”, un piano particolareggiato di contenuto urbanistico, adottato ai sensi della vecchia legge urbanistica della Regione Veneto (art. l.r. 61/1985) con il quale individuare le varia zone di spiaggia destinate alle concessioni, al libero accesso e la distribuzione dei relativi servizi a di spiaggia e quelli di carattere ricreativo. Le modifiche apportate a seguito dell’intervento della Commissione europea.  

10) Come noto, all’inizio del 2009, la Commissione europea avviò la procedura di infrazione n. 2008/4908 per l’incompatibilità con il diritto dell’Unione europea del sistema nazionale di preferenza per il concessionario uscente (cosiddetto diritto di insistenza). Oggetto del rilievo comunitario erano stati l’art. 37 del Codice della Navigazione, che prevedeva il c.d. diritto di “insistenza” e del rinnovo automatico delle concessioni già assentite. In uno la Commissione europea censurò anche una legge del Friuli – Venezia Giulia (la n. 22/2006), che, in luogo del diritto di insistenza, riconosceva al concessionario uscente un punteggio garantito del 30%, se imprenditore, o del 10%, se era una associazione, nelle procedure comparative per il rinnovo o l’assegnazione di una nuova concessione sullo stesso bene.Queste due norme venivano ritenute in contrasto con gli artt. 45 e 46 del Trattato CE perché ad esse veniva imputato l’effetto di rendere più difficile l’accesso al mercato agli operatori provenienti da mercati stranieri in quanto, snaturando la procedura di selezione a favore dei concessionari scaduti, provocavano una rottura della parità di trattamento dovuta ai diversi operatori economici.

11) Con una prima risposta a queste censure, con l’art. 1, comma 18, del decreto- legge 30 dicembre 2009, n. 194, lo Stato italiano abrogò il “diritto di insistenza”, disponendo, pur tuttavia, la proroga delle concessioni in corso sino al 31 dicembre 2012 ed, in sede di conversione (legge 26 febbraio 2010, n. 25), al 31 dicembre 2015. In questa fase il legislatore dichiarò peraltro salvi gli effetti del rinnovo automatico previsto e attuato dalla legge 494/1993.La risposta, soprattutto per l’introduzione di quest’ultimo elemento, fu ritenuta insufficiente e diede luogo a una messa in mora complementare, recapitata il 5 aprile 2010, dove si evidenziava l’ulteriore contrasto della legislazione italiana con l’ordinamento comunitario. Questa volta con l’art. 12 della direttiva CE n. 2006/123/CE del 12.12.2006 (c.d. “Direttiva Bolkentein) nel frattempo entrata in vigore il 28.12.2009 e recepita in Italia a mezzo del D. Lgs. 26/3/2010, n. 59.

12) Con un ulteriore intervento legislativo (art. 11, della legge 15.12.2011, n. 217 (l. comunitaria 2010) venne così definitivamente abrogato il secondo comma dell’art. 01, d.l. n. 400/1993, così eliminando ogni riferimento al rinnovo automatico delle concessioni di sei anni in sei anni.Con il comma secondo di quel medesimo articolo venne, inoltre, delegata al governo l’adozione di un decreto legislativo contenente “la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime” sulla base dei criteri e dei principi ivi enunciati. La delega non fu mai attuata. Così, nel 2012, la Commissione archiviò la procedura di infrazione ritenendosi soddisfatta per la rimozione delle norme censurate e per la previsione di una riforma organica da parte dello Stato della materia.

13) Solo nelle fasi finali della successiva XVII legislatura il Governo presentò un disegno di legge in tal senso, che fu approvato solo dal Senato e decadde alla fine della legislatura senza il voto conforme della Camera dei deputati (periodo autunno/inverno 2017/18, cfr. Atti Camera n. 4302).

La sentenza della Corte costituzionale n. 213/2011

14) In questo contesto e in linea con iniziative analoghe di altre regioni la Regione Veneto intervenne sull’argomento con la legge 16 febbraio 2010, n. 13, di “Adeguamento della disciplina regionale delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico ricreativa alla normativa comunitaria. Modifiche alla legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 ‘Testo unico. delle leggi in materia di turismo’ e successive modificazioni”.

In particolare, all’art. 5, fu previsto che (comma 1): “tutte le concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa in essere, alla data di entrata in vigore della presente legge ivi comprese quelle oggetto di domanda di rinnovo in corso di istruttoria alla stessa data, scadono al 31 dicembre 2015, fatta salva la diversa maggiore durata prevista dal titolo concessorio.
2. Il titolare di concessione in corso di validità all’entrata in vigore della presente legge, anche per effetto del comma 1, che abbia eseguito o esegua durante la vigenza della concessione interventi edilizi, come definiti dall’articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (…) ovvero che, oltre agli interventi edilizi, abbia acquistato attrezzature e beni mobili per un valore non superiore al venti per cento dell’importo degli interventi edilizi, può presentare al comune, entro quarantacinque giorni dall’entrata in vigore della presente legge, una istanza di modifica della durata della concessione in conformità a quanto previsto dalla lettera e) ter dell’allegato S/3 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni. Ovvero fino alla durata massima di venti anni (n.d.r.).
3. Il comune, verificate le condizioni di cui al comma 2, modifica la durata della concessione, con decorrenza dalla data del provvedimento di modifica, in conformità a quanto previsto dalla lettera e) ter dell’allegato S/3 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni.
4. Il titolare di concessione in corso di validità all’entrata in vigore della presente legge, anche per effetto del comma 1, che abbia eseguito o esegua durante la vigenza della concessione interventi infrastrutturali di pubblica utilità previsti dal comune, non rientranti nelle tipologie di cui al comma 2, può presentare al comune, entro quarantacinque giorni dall’entrata in vigore della presente legge, una istanza di modifica della durata della concessione per un periodo compreso tra due e quattro anni. Il comune, valutate le condizioni, può accogliere la domanda di modifica della durata della concessione, con decorrenza della durata dalla data del provvedimento di modifica”.

15) La disposizione finì immediatamente al vaglio della Corte costituzionale per ricorso in via diretta da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri per supposta violazione del primo comma dell’art. 117, comma 2 lett. e), che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela del mercato e della concorrenza,  e portò alla dichiarazione di incostituzionalità dell’intero articolo 5 con una sentenza cumulativa, la n. 213 del  2011, pronunciata anche nei confronti di norme simili della Regione Marche e della Regione Abruzzo.

Le argomentazioni dedotte dalla Corte partirono dalla considerazione che, sebbene, la materia del demanio marittimo fosse soggetta a un riparto di competenza tra lo Stato e le Regioni, l’art. 1, comma 18, del DL 194/2009, aveva adottato “una disciplina carattere transitorio, in attesa della revisione della legislazione in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento, sulla base di una intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui al citato art. 37, secondo comma, cod. nav”.

Da qui l’affermazione che la finalità del legislatore era stata, dunque,quella di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli investimenti nelle more del riordino della materia, da definire in sede di Conferenza Stato-Regioni”.

Conseguentemente il rilievo di incostituzionalità verso l’art 5 della legge regionale 13/2005 segnalò una tripla situazione di difformità rispetto alla disciplina transitoria adottata dal legislatore nazionale con il d.l. n. 194/2009. Tutte i rilievi  riguardavano la durata delle proroghe previste dalla legge regionale, rilevati come difformi rispetto alla legislazione statale.

16) Per un primo profilo, relativo al comma 1, dell’art 5, la Corte argomentò che il “legislatore regionale (…) nel fare uso della proroga ope legis prevista dalla norma statale (fino al 31 dicembre 2015) la applica a concessioni diverse da quelle prese in considerazione da quest’ultima (e cioè in corso al 30 dicembre 2009, data di entrata in vigore del d.l n. 194 del 2009), perché esso “prende in considerazione le concessioni in corso e quelle oggetto di domanda di rinnovo alla data di entrata in vigore della legge regionale, cioè il 19 febbraio 2010 e, dunque, con riguardo ad un momento temporale diverso e successivo rispetto a quello indicato dalla norma statale, così trovando applicazione rispetto a fattispecie differenti da quelle di cui all’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009”

In secondo luogo, con riferimento ai commi 2 e 3, perché, “il titolare di una concessione in corso di validità al momento dell’entrata in vigore della legge regionale” (…) che abbia eseguito delle opere edilizie ed abbia acquistato attrezzature per un determinato importo, può richiedere la modifica della durata della concessione in conformità a quanto previsto dall’allegato S/3, lettera e)-ter, dalla legge regionale n. 4 novembre 2002, n. 33 e cioè per un periodo che varia da sei a venti anni”. 

Infine, con riguardo al comma 4, perché “il titolare di una concessione in corso di validità al momento dell’entrata in vigore della legge regionale, se ha eseguito lavori di pubblica utilità previsti dal Comune e non rientranti in quelli dei precedenti commi, può chiedere la modifica della durata della concessione per un periodo tra i due e i quattro anni”.

17) Con queste valutazioni la Corte, e lo stesso vale anche per la dichiarazione di incostituzionalità delle norme della Regione Marche e della Regione Abruzzo, non ritenne violata riserva di competenza legislativa dello Stato per violazione dell’art. 117, comma 2, lett. e), di tutela della concorrenza, come proposto dal ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Quanto, piuttosto, ritenne che fosse stato violato l’art. 117, comma 1, della Costituzione, laddove questo sottopone la legislazione statale e regionale al rispetto dei “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”. Ovvero, nella sostanza, perché le disposizioni regionali, formulando delle estensioni temporali diverse rispetto all’impegno assunto dal Governo e dal legislatore statale nei confronti della Commissione europea, contravvenivano agli articoli 49 e 101 del Trattato comunitario, che garantivano la libertà di insediamento degli operatori economici e la tutela della concorrenza.

18) Ad analoga sorte era andata incontro l’Emilia-Romagna che aveva subito la declaratoria di incostituzionalità di una norma, che aveva previsto, in luogo del diritto di insistenza, una soluzione simile a quella veneta. Anche il quel caso con sentenza n. 180/2010, del 12 maggio 2010, la Corte aveva ritenuto sussistere l’incostituzionalità della norma impugnata per contrasto con l’art. 117, primo comma della Costituzione, sulla ben più esplicita circostanza che in tal modo si causava una “compressione dell’assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo, invadendo una competenza spettante allo Stato, violando il principio di parità di trattamento (detto anche “di non discriminazione”). In buona sostanza per la Corte il valore costituzionale da preservare stava nella esigenza di rispetto del Trattato, in quel contesto garantito dalla salvaguardia dell’efficienza applicativa dell’art. 1 comma 18, del d.l. n. 194/2009 in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

I contenuti della legge regionale 33/2002.

19) Malgrado questa vicenda la legge 4 novembre 2002, n. 33, rimase intonsa e ha continuato a costituire diritto vigente.

Pur tuttavia, in attesa di una legge che, sulla base dei recenti provvedimenti dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato riprenda in modo organico la disciplina della materia, indicando una congrua durata delle concessioni, le modalità per far luogo al subentro di un nuovo concessionario a fronte degli investimenti effettuati da quello uscente e per la determinazione di criteri che possano garantire gli operatori nella loro professionalità, è opportuna una breve illustrazione dei suoi contenuti. Almeno per gli aspetti qui rilevanti.

La menzionata legge ha un apposito capo, il secondo, dedicato alle concessioni del demanio marittimo interessate dall’attività turistico ricreativa. Il quale all’art. 45 esordisce con l’elencazione dei compiti trattenuti in capo alla Regione e relativi all’attività di indirizzo e di programmazione, di disciplina generale nel rilascio delle concessioni, del monitoraggio sulla gestione dei provvedimenti concessori, delle opere e dei finanziamenti eventualmente erogati ai concessionari. Oltre che alla verifica sulle modalità di attuazione della programmazione, alla vigilanza sul trasferimento di competenza, e alla formazione del catasto de demanio marittimo. Compiti, questi, tutti già sommariamente indicati o, comunque, desumibili dallo scarno impianto della legge n. 494 del 1993.

Come già detto ai Comuni venne trasferita (art. 46) la funzione amministrativa per il rilascio, il rinnovo e per ogni modificazione inerente alle concessioni demaniali marittime, in conformità alle leggi dello Stato e della Regione ed ai contenuti del Piano regionale di utilizzazione delle aree del demanio marittimo.

20) Il criterio di base per la gestione di siffatta delega da parte dei Comuni è proprio il “Piano regionale di utilizzazione delle aree marittime”, il cui contenuto è composito, in quanto non ha avuto solo una valenza urbanistica, ma anche ha svolto funzione di determinare i criteri per permettere ai Comuni di disciplinare la materia anche con riguardo alle procedure di gara per il rilascio o il rinnovo delle concessioni.

In particolare ha permesso (e permette tuttora) ai Comuni di effettuare le proprie scelte operative secondo le quali individuare, nello specifico, le vocazioni delle singole porzioni di demanio marittimo a seconda della loro collocazione geografica, della loro caratteristica geofisica e morfologica e la loro rilevanza economica.

La disposizione, che non si è mai tradotta in un piano urbanistico sopra ordinato alla pianificazione comunale, è composto, come ricorda l’art. 47 della l.r. n. 33/2002, dall’insieme degli atti di indirizzo contenuti nell’allegato S/1 ed ha come contenuto la esposizione dei vincoli e degli elementi necessari per la pianificazione urbanistica dei Comuni attraverso l’adozione del “Piano degli arenili”.

21) Questa impostazione, di impronta nettamente urbanistica, nasce dal contesto operativo dell’epoca in cui furono varate la legge regionale n. 9/2001 e la successiva n. 33/2002. Il quale era connotato dai primi difficili esercizi di applicazione delle competenze sul demanio marittimo assegnate alla Regione, sia con la legge n. 494/1993 che con i successivi decreti “Bassanini”.

Alla fine degli anni ’90, agli esordi dell’esercizio delle competenze ricevute dallo Stato,  la Regione si trovò infatti a dover riassegnare delle concessioni, scadute alla fine di un periodo di quarant’anni di durata, in una località litoranea dove il contesto urbanistico si era trasformato da un insieme di spiaggia, dune litoranee e di bosco planiziale, in un un’area fortemente urbanizzata, dove non solo dei privati avevano acquistato, per titolo derivativo di diritto privato, delle piccole porzioni edificate dei beni dati in concessione; ma dove anche il Comune locale aveva costruito, senza un titolo abilitante, delle strade di accesso al centro turistico e delle strade all’interno di lottizzazioni di fatto.

In questa chiave l’art. 47 ha imposto ai comuni con la redazione del “Piano degli arenili”, contenente le modalità distributive dei servizi di spiaggia, delle aree da assegnare in concessione e degli spazi di libero accesso.

22) A ben vedere l’impianto normativo su cui si fondano i contenuti del “Piano degli arenili” (art. 48 l.r. n. 33/2002 e allegati S/1, S/2, S/3, ed S/4) ha anche aperto la strada alla determinazione, da parte dei Comuni, dei criteri di base, ex art. 12 della legge 241/1990 a regolamentazione ex art. 12 della L. n. 241/1990, che devono presiedere al rilascio delle concessioni per finalità turistico ricreative.

La ambivalenza di queste previsioni, come norme di pianificazione urbanistica e, al contempo, di predeterminazione regolamentare dei parametri per la selezione dei concessionari, emerge proprio dalla disamina dell’allegato S/1. Il quale nel primo paragrafo prevede la emanazione di direttive di carattere generale non solo necessari per la redazione di un piano urbanistico di carattere attuativo a carico dei Comuni.

Mentre nel secondo paragrafo indica delle direttive destinate a disciplinare lo standard dei servizi di spiaggia con contenuti che, di tutta evidenza di carattere edificatorio.

Mentre nei successivi allegati S/2 ed S/3, sono esposti elementi che riguardano prevalentemente i criteri di assegnazione delle concessioni a venire.

In pratica, partendo dai contenuti degli allegati S), che hanno un indubbio carattere innovativo rispetto alla disciplina derivante dal Codice della navigazione e dal suo Regolamento di attuazione, viene introdotta, attraverso atti regolamentari che devono assumere i Comuni, la disciplina di dettaglio qualificante l’assegnazione delle  varie porzioni delle aree del demanio turistico ricreativo poste nella disponibilità degli operatori e dei turisti, fruitori finali.

A ben vedere questa serie di atti di indirizzo altro non sono che l’estrinsecazione piuttosto articolata  delle valenze del miglior proficuo utilizzo e di tutela dell’interesse pubblico, che costituiscono i principi base previsti dall’art. 37, comma 1, del Codice della navigazione per far luogo all’ottimale rilascio delle concessioni demaniali.

Da qui la constatazione che la loro congruità e ragionevolezza costituisce un parametro di legittimità per tutte le procedure e i criteri di assegnazione delle singole concessioni in materia.

Il regime attuale

23) In considerazione del contenuto affermato nella riportata sentenza della Corte Costituzionale n. 213/200l è da comprendere quale sia ora il regime di durata applicabile per il rilascio delle concessioni. Almeno fino a quando il legislatore nazionale non avrà riformato la materia. E comunque quale sia il regime applicabile per il caso in cui ciò non avvenisse.

Si parte dalla demolizione operata dall’Adunanza plenaria che, nei nella stesura dei principi di diritto, ha sancito che le “norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, del d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 sono in contrasto con il diritto comunitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/2123/CE.. Tali norme, pertanto non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione”.

A fronte di questa pronuncia e del fatto che le concessioni in essere, per disposto della stessa Adunanza plenaria, proseguono fino al 31 dicembre 2023, l’ambito applicativo residuale riguarda tutto ciò che non è oggetto di scadenza nel periodo intermedio, fino al 31 dicembre 2023, ovvero il rilascio di concessioni del tutto nuove o l’ampliamento o la modifica di quelle esistenti.

24) Su questa premessa occorre far presente che, malgrado la sentenza della Corte Costituzionale n. 220/2020 (di cui si illustrerà in seguito il contenuto) il primo comma dell’art. 54 è tuttora vigente e dispone che “la durata concessioni è disciplinata dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494 e successive modifiche ed integrazioni”.

L’allegato S/3 al punto e/bis) propone, a sua volta una procedura per il rilascio o della proroga di concessioni per una durata superiore ai sei anni e fino ai venti, se collegate a opere che comportino investimenti rilevanti commisurati alla maggior durata della concessione.

La indicazione di questa durata massima è il portato della delibera della Giunta regionale n. 1543/2013. Detto organo, ai sensi dell’art. 94 della l.r. 33/2002, ha infatti la possibilità di apportare delle correzioni agli allegati della stessa legge, sempre che sia sentita la apposita commissione consiliare e, per quanto riguarda il capo relativo alla disciplina delle concessioni demaniali, con interventi anche su richiesta dei Comuni.

Il riferimento normativo, recepito dalla predetta delibera regionale e trasfuso nell’allegato S/3, è, a sua volta, da rinvenirsi nella legge finanziaria per il 2007 (la legge 27 dicembre 2006, n. 296) che all’art. 1, comma 253, introdusse il comma 4 bis all’art. 03 della legge 493/1993, a mezzo del quale, abrogando il precedente meccanismo di rinnovo automatico, disponeva che le concessioni potessero “avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell’entità e della  rilevanza  economica  delle  opere  da realizzare e sulla base dei piani di  utilizzazione  delle  aree  del demanio marittimo predisposti dalle regioni”.

Questa previsione, che è antecedente all’avvio della prima procedura di infrazione del 2009, si riferisce alle “concessioni rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei per i quali si applicano le disposizioni relative alle utilizzazioni del demanio marittimo”.

Non fu affatto oggetto delle censure comunitarie, né fu abrogata ma convisse (almeno per la parte relativa ai rinnovi) con regime delle varie proroghe a data fissa di cui si rese autore il legislatore nazionale.

25) Il regime attivato dal comma 18 dell’art. 1 del decreto – legge 30 dicembre 2009, n. 194, in ragione dell’esigenza di superare la procedura di infrazione contestata all’Italia, previde infatti, inizialmente, che il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore dello stesso decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2012, fosse prorogato fino a tale data. Ma fu immediatamente esteso, in sede di conversione in legge (L. 26 febbraio 2010, n. 25) al 31 dicembre 2015. Quindi ulteriormente rinviato al 31 dicembre 2020 dall’art. 34 duodecies del decreto – legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Milleproroghe), convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221.

È storia recente l’ulteriore proroga al 31 dicembre 2033 contenuta nell’art. 1, commi 682 e 683, del 30 dicembre 2018, n. 145, estesa, per effetto dell’art. 10, del D.L. 114 agosto 2020, n. 104, anche alle concessioni del demanio lacuale ed idrico in genere, sia stata da ultimo oggetto della disapplicazione da parte dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ribadita dall’art. 182, comma 2, del d.l. n. 34/2020, convertito in legge n.77/20202.

Per cui, allo stato, le disposizioni applicabili per la durata delle nuove concessioni delle concessioni rimangono quelle indicate nell’allegato S/3 sopra riportato e nella Legge 296/2006, art. 1, comma 253.

Le esperienze applicative in regime di proroga. La giurisprudenza che si è formata sulle procedure per il rilascio delle concessioni demaniali ex lege regionale 33/2002.

26) L’attivazione dei regimi di proroga a scadenza fissa, a partire dalla fine del 2011, ha portato a una applicazione assai limitata dei criteri contenuti negli allegati S) della l.r. n. 33/2002. Il rilascio di nuove concessioni è avvenuto in forma del tutto sporadica ed è accaduto solo laddove si è verificata la cessazione, per cause diverse dalla intervenuta scadenza, di quelle in essere.

Su queste premesse non tutti i Comuni litoranei sono stati motivati a dotarsi di un regolamento applicativo delle procedure di gara.

Quello che invece è stato oggetto di attuazione da parte di tutti i Comuni rivieraschi è stato il “Piano degli arenili”. Condizionati in questo dalla sanzione di non poter esercitare l’attribuzione di funzioni prevista dalla legge regionale n. 33/2002, nel caso in cui non si fossero conformati entro il 31 dicembre 2005 al c.d. Piano regionale per l’utilizzo del demanio marittimo (art. 47 l.r. 33/2002).

Assolutamente scarna è di conseguenza la giurisprudenza che si è formata in materia. Non ho rinvenuto nelle decisioni del TAR Veneto sentenze che abbiano esaminato nel merito le questioni proposte.

Le sole due pronunce emesse (n. 337/2017 e 381/2019) a riguardo dell’esercizio delle procedure di gara previste per l’assegnazione delle concessioni del demanio turistico ricreativo si sono risolte nella dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi introduttivi. Con ciò trascurando, quindi, ogni valutazione a riguardo della fondatezza criteri indicati negli allegati S) e assunti dai Comuni con le norme tecniche a corredo del “Piano degli arenili” o con la regolamentazione delle procedure  per il rilascio delle concessioni di loro competenza.

I ricorsi relativi alle due menzionate sentenze avevano peraltro a riferimento una specifica modalità di violazione dell’art. 12 della c.d direttiva Bolkenstein perché, in fattispecie, era stato contestato che l’accorpamento di quattro distinte concessioni demaniali in una sola non avrebbe costituito variazione, né rinnovo delle concessioni stesse, ma una mera proroga e/o prolungamento delle concessioni demaniali oltre la loro naturale scadenza.

27) Per converso il Consiglio di Stato, oltre alle recenti pronunce dell’adunanza plenaria sulla incompatibilità con l’ordinamento comunitario delle proroghe ex legge delle concessioni in essere, in via di principio ha più volte affermato come il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente contrasta non solo con l’art. 117, comma 2, lett. e) della Costituzione, relativamente alla competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ma anche con l’art. 117, comma 1, Cost., per mancato rispetto del diritto comunitario, in quanto le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative hanno come oggetto un bene/servizio limitato nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali (Consiglio di Stato sez. IV, 16/02/2021, n.1416); condizione che funge da presupposto della disciplina comunitaria a tutela della concorrenza e della libertà di insediamento delle imprese.

Citando una giurisprudenza risalente nel tempo (Consiglio di Stato sez. V, 21/06/2005, n.3267) merita, – per inciso – di essere anche ricordato una sentenza inerente la fruibilità dei criteri di natura urbanistica a cui si è ispirata la l.r.33/2002, ritenuti validi sia come strumento che come canone selettivo per la scelta del concessionario.

Nella indicata decisione i giudici di Palazzo Spada hanno infatti ritenuto che il piano di utilizzazione dei litorali costituisce uno strumento settoriale destinato ad assolvere, nella prospettiva della migliore gestione del demanio marittimo d’interesse turistico-ricreativo, ad una funzione schiettamente programmatoria delle concessioni demaniali assentibili.

28) Sui criteri adottati dai Comuni per il rilascio delle concessioni per finalità turistico ricreative si segnala, da ultimo, una recentissima sentenza del TAR Veneto (Sez. 1, n. 315/2022), che ha però a riguardo il demanio lacuale. (La gestione del quale è stata anch’essa) delegata ai Comuni per effetto dell’art. 61 della l.r.33/2002). Il ricorso, accolto dal TAR Veneto, aveva contestato l’incongruità dei criteri scelti da un Comune per il rilascio di una concessione in riva al lago di Garda per lo svolgimento di attività di diporto nautico. I quali facevano riferimento a dei requisiti soggettivi del richiedente ultronei e non pertinenti con la tipologia del provvedimento richiesto.

La questione dell’indennizzo a favore del concessionario cessante. La sentenza della Corte Costituzionale n. 222/2020.

29)  A completamento dello scarno quadro giurisprudenziale che si è formato intorno alla legge regionale n. 33/2002, sembra giusto concludere con l’illustrazione di una abbastanza recente sentenza della Corte costituzionale (n. 222/2020), che riprende però, una questione già più volte in precedenza esaminata e decisa con la declaratoria di incostituzionalità delle norme regionali simili.

Con un’ordinanza del 27 maggio 2019 ( n. 143 del 2019) il TAR Veneto ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 54, commi 2, 3, 4 e 5, della legge regionale 33/2002, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), a seguito di un ricorso che contestava il fatto che la procedura adottata da un Comune litoraneo per rilascio di nuove concessioni subordinata subordinasse l’atto al pagamento di un indennizzo in favore del concessionario uscente (cosi come indicato dall’art. 54, comma 2della l.r. 33/2020).

Di come, inoltre, a tale scopo, il Comune competente debba acquisire dall’originario concessionario una “perizia di stima asseverata di un professionista abilitato da cui risulti l’ammontare del valore aziendale dell’impresa insistente sull’area oggetto della concessione”, pubblicandola poi all’interno dell’avviso di gara (comma 3); che le domande di nuova concessione siano corredate “a pena di esclusione dalla procedura comparativa, da atto unilaterale d’obbligo in ordine alla corresponsione, entro trenta giorni dalla comunicazione di aggiudicazione della concessione, di indennizzo”.

Di come, infine, il rilascio della concessione sia condizionato al pagamento dell’indennizzo, in mancanza del quale l’autorità competente dovrà procedere all’aggiudicazione «nei confronti del soggetto utilmente collocato in graduatoria e fino all’esaurimento della stessa» (comma 4). E di come la misura dell’indennizzo al gestore uscente sia pari al novanta per cento dell’ammontare del valore risultante dalla citata perizia di stima (comma 5).

Nell’adottare questa procedura, che non ha riscontro nel Codice della navigazione e nel suo Regolamento esecutivo, il legislatore veneto aveva raccolto le istanze degli operatori del settore che, in tal modo, intendevano monetizzare, stante, dapprima, l’accorciamento della durata delle concessioni sul demanio turistico ricreativo e, poi, la sopravvenuta instabilità delle disposizioni relative alla loro durata, la quota non ammortizzata degli investimenti effettuati nel corso degli anni di godimento ininterrotto sulle aree del demanio marittimo.

La fattispecie inoltre sottoposta al giudice amministrativo non riguardava il rilascio di una nuova concessione, ma la circostanza che il precedente concessionario non si era avvalso della possibilità di ottenere la proroga automatica della propria per effetto delle varie norme che avevano disposto le proroghe delle concessioni in essere. Di modo che il riconoscimento dell’indennizzo era stato configurato come il riconoscimento del mancato ammortamento degli investimenti posto ex lege a carico del subentrante.

In punto in diritto va, per inciso, osservato che questa previsione di pagamento di un’indennità per il subentro ha una sua valenza civilistica, che meriterebbe una opportuna riflessione e una adeguata considerazione da parte del legislatore statale.

È infatti opportuno ricordare che, per effetto dell’art. 49 del Codice della navigazione (regio decreto 30 marzo 1942, n. 327) alla fine della concessione i beni non amovibili diventano patrimonio dello Stato. E poiché è quest’ultimo, lo Stato, che ne trae vantaggio in termini patrimoniali, dovrebbe essere questo il soggetto onerato di un simile pagamento perché, dalla estinzione del rapporto concessorio acquisisce degli accessori che vanno ad integrare il valore del bene dato in concessione.

30) Il giudice rimettente aveva peraltro posto la questione di costituzionalità anche per violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. e), per violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di “tutela della concorrenza”, perché, anche se si volesse riconoscere al cedente l’ammortamento del valore dei beni investiti, la previsione e, soprattutto la misura del 90 % del “valore aziendale dell’impresa insistente sull’area oggetto della concessione” del bene  costituiva un parametro incerto e “un’eccessiva barriera a discapito dei nuovi entranti nel settore economico di interesse”. E ciò in contrasto con l’esigenza di garantire parità di trattamento ed uniformità di condizioni di mercato sull’intero territorio nazionale.

Anche per questo profilo la Corte ha ritenuto l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, sposando la tesi del collegio rimettente, e richiamando alla propria giurisprudenza affermata a tutela dei principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale» (sentenze n. 86 del 2019 e n. 40 del 2017) anche nell’ambito dell’affidamento nel rilascio delle concessioni demaniali.

In questa direzione ha così sostenuto che il pagamento di un indennizzo in favore del concessionario uscente influisce “sulle possibilità di accesso al mercato di riferimento e sulla uniforme regolamentazione dello stesso, potendo costituire, per le imprese diverse dal concessionario uscente, un disincentivo alla partecipazione al concorso che porta all’affidamento” (sentenza n. 157 del 2017).

Di qui la violazione del parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e non di quello di cui alla lettera i), relativo all’”ordinamento civile”, ritenendo che, malgrado l’inerzia del legislatore nazionale nel riconoscere  un adeguato indennizzo al concessionario uscente, pur sempre spetta allo Stato il compito di  “di tutelare […] l’affidamento e la certezza del diritto degli operatori locali”  e di «disciplinare in modo uniforme le modalità e i limiti della tutela dell’affidamento dei titolari delle concessioni già in essere nelle procedure di selezione per il rilascio di nuove concessioni” (sentenza n. 1 del 2019).

Ezio Zanon

*Intervento tenuto dall’avv. Ezio Zanon durante il seminario del 25.02.2022 dal titolo “Le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali  dopo le sentenze n. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria” organizzato dall’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti.

image_pdfStampa in PDF