Ringrazio gli organizzatori del Convegno odierno, interamente dedicato alla memoria dell’Avvocato Ivone Cacciavillani e mi sento onorato per l’invito che considero un onore e un privilegio.

Allo stesso modo considero un onore e un privilegio la possibilità che mi avete dato di ritrovare e ringraziare colleghi di lavoro, perché tale considero tutto il foro veneto, e amici con i quali ho condiviso una larghissima parte della mia attività professionale, spesa al comune servizio della giustizia, presso il TAR Veneto.

Un tuffo nella memoria e alcuni flash per ricordare chi è stato per me Ivone Cacciavillani, quando e come l’ho conosciuto e cosa ricordo di lui come avvocato in udienza a un anno dalla sua scomparsa e quando i ricordi appannati dal tempo mi riportano indietro, mi sembra incredibile, di più di sette lustri.

Sono approdato al Tar Veneto, nella sede del Ponte dei Greci nel 1985, da Palermo dove avevo prestato i primi due anni di servizio e i nomi che ricordo dei colleghi, molti dei quali scomparsi, sono Maffezzoni, Bagarotto, Magro, Puchetti, Trivellato, Balucani e Roello. Ero il più giovane del gruppo e i tempi erano quelli in cui il processo amministrativo era per così dire ancora nella fase dell’adolescenza: le sentenze si scrivevano a mano per penuria di dattilografi e la carta regnava sovrana; gli avvocati erano parsimoniosi e contenuti negli scritti, anche perché ogni quattro pagine un cicerone da mettere in conto al cliente e le poche riviste che riportavano la giurisprudenza erano sfasate di almeno sei mesi rispetto alle novità che segnalavano in copertina.

Il foro veneto era considerato da tutti un foro di riconosciuto valore e nel novero degli studi più noti e rappresentativi c’era anche il nome di Ivone Cacciavillani. Un cinquantino, avrebbe scritto Camilleri, siccagnu, nirbusu cu ciriveddru ca ci furriava puri di notti [un cinquantenne smilzo e iperattivo, con un cervello che teneva in funzione a pieno regime anche di notte.]

L’avvocato Ivone Cacciavillani era conosciuto, così mi dicevano i colleghi, per essere un tipo originale e di certo erano, o apparivano a quel tempo, originali (e a volte anche troppo) certe sue tesi che portava avanti con convinzione ma che avevano un solo difetto: quello di essere un tantinello distopiche, non dico utopiche, e quindi spesso erano come un seme calato su un terreno arido e per questo solo motivo non attecchivano.

L’idea che mi dava, ascoltandolo in udienza, man mano che la foga incalzava la parola, era che oltre alla convinzione sulle cose che diceva ci fosse in lui anche un consapevole tratto di commediante, come l’avvocato goldoniano della sua commedia, e che mentre arringava la Corte, cercando di capire dallo sguardo dei giudici se il piatto servito fosse sapido oppure insipido, in fondo si sentiva come si sente un attore in scena. E la scena era tutta sua perché il suo ruolo non era mai di comparsa ma di protagonista.

Una cosa era certa, e cioè che quando Ivone discuteva le cause, le questioni da affrontare, o se volete le pietanze servite, non erano mai banali e tanto più gli avversari gli opponevano il precedente che egli detestava e definiva la passione insana per la massimite, tanto più si spendeva per controbatterlo.

Ricordo che certe volte quando, come si usava dire, partiva per la tangente, a causa della passione che metteva nelle sue idee, io lo osservavo come si guarda ad un funambolo sul filo, ammirandone il coraggio se non l’audacia perché le tesi erano talvolta spericolate come l’esercizio sulla corda tesa che Ivone praticava.

Ma quante volte le sue idee provocatorie hanno prodotto nel tempo quei risultati che fanno dire che senza le gambe e la testa degli uomini le buone idee non hanno futuro!!! E qui penso in particolare alla sentenza breve del cosiddetto rito veneziano, alla cui ideazione Ivone ha dato un contributo assolutamente importante che tutti gli hanno sempre riconosciuto.

E quando dico che era una mente originale intendo dire che il suo pensiero, la sua idea di giustizia, di solidarietà, di soccorso a chi si presentava in studio per chiedere il suo patrocinio era frutto di passione ricerca e fatica. Non era un artigiano ma un artista e, in questo senso, un anticonformista: non era come chi (avvocato o giudice non faccio qui distinzioni) si appoggia alla tesi più comoda e meno dispendiosa dal punto di vista lavorativo ma come chi non è mai soddisfatto dell’approdo raggiunto e cerca l’isola che (per tutti gli altri) non c’è.

L’Uomo era sempre un passo avanti e quando la fatica non produceva il risultato sperato, lo stesso impegno creativo usato nel giudizio lo utilizzava nella critica distruttiva della decisione avversa.

Il Consiglio di Stato o meglio lo Sconsiglio di Stato, titolo di una sua graffiante monografia, era spesso oggetto dei suoi strali perché rappresentava, mi disse una volta, la giustizia con lo sguardo rivolto alle sue spalle, mentre nutriva una maggiore simpatia per il giudice di prime cure.

E quando gli dissi, era l’anno 2006, che avevo rifiutato il passaggio per anzianità al Consiglio di Stato perché preferivo l’avamposto alla retroguardia Ivone mi disse, lo ricordo ancora: “Consigliere, lei ha fatto bene, l’appello è in fondo solo una minestra riscaldata”.

Voglio chiudere questo ricordo del maestro Ivone Cacciavillani appropriandomi in gran parte, dandone atto a Mario Bertolissi, della chiusa della prefazione alla monografia dedicata all’articolo 2 della Costituzione, intitolata Partecipazione e solidarismo nella Costituzione.

A differenza di quanti per ignavia, incultura o conformismo rappresentano la perfezione del nulla, Ivone Cacciavillani ci ha dato moltissimo, nel lavoro, nella vita, nell’insegnamento e da ultimo nelle sue riflessioni sulla solidarietà: sintesi e riepilogo di una vita intensa in cui si sono combinati secondo la logica sapiente del Dio di Abramo passione, fatica, dolore e amore per la vita.

E mi piace immaginare e anzi sono certo che, dovunque egli in questo momento si trovi stia, con la consueta foga, cercando di convincere il Padreterno che la giustizia degli uomini è imperfetta e abbisogna di urgenti restauri perché: “qualche volta è commedia, qualche volta è tragedia e troppe volte è anche farsa”.

E anche se non sappiamo cosa gli abbia risposto di preciso il Padreterno possiamo immaginare che abbia chiamato San Pietro per chiedergli di annotarsi il nome di Ivone Cacciavillani e di farsi venire qualche idea per rimediare.

Angelo De Zotti

* Il testo riproduce e amplia l’intervento tenuto al Convegno dell’8 aprile 2022, svoltosi in Padova e organizzato dall’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti e dall’Unione Giuristi Cattolici di Padova, dal titolo “L’eredità di Ivone Cacciavillani – L’uomo, l’avvocato, lo storico, il credente, il cittadino”.

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