Commento a Cons. Stato, 13 ottobre 2023, n. 8928

Sommario: 1. Brevi cenni sulla sinteticità e chiarezza degli atti nel processo amministrativo. 2. Il caso di specie: la sentenza n. 8928/2023 del Consiglio di Stato. 3. Superamento dei limiti dimensionali e inammissibilità dell’atto: una conseguenza necessaria? 4. Conclusioni.

1. Brevi cenni sulla sinteticità e chiarezza degli atti nel processo amministrativo

La regola di sinteticità degli atti processuali è stata introdotta per la prima volta nell’ambito del processo amministrativo dal d.lgs. 20 marzo 2010 n. 531 il quale, nel dettare una disciplina speciale per il rito in materia di appalti2, al fine di garantire una più celere definizione del giudizio rispetto al rito ordinario, ha previsto che: «tutti gli atti di parte devono essere previsti sintetici e la sentenza che decide il ricorso è redatta ordinariamente in forma semplificata»3.

In seguito, l’art. 3 del d.lgs. 104/2010 (d’ora innanzi c.p.a.) ha esteso l’applicazione di questa regola a qualsiasi giudizio amministrativo, elevandola al rango di vero e proprio principio generale del processo amministrativo4, stabilendo che: «ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato. 2. Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica».

La disciplina attuativa di questo principio, con il necessario corredo di parametri e sanzioni, è intervenuta in un secondo momento.

In particolare, il d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160 (c.d. secondo correttivo al c.p.a.) ha modificato l’articolo 26 c.p.a., dedicato alle spese di giudizio, prevedendo che il giudice possa disporre in merito alle spese di lite «tenendo anche conto del rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità di cui all’articolo 3, comma 2»5.

Il legislatore ha poi provveduto a individuare i parametri per la qualificazione della sinteticità dell’atto6, in prima battuta con riferimento al rito speciale degli appalti7 e, in seconda battuta, in via generale per l’intero processo amministrativo.

L’estensione del campo di applicazione di queste regole, prima valide solo per il rito appalti, è stata compiuta dall’art. 7-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168 convertito in L. 25 ottobre 2016, n. 197, il quale ha abrogato il comma 6 dell’art. 120 c.p.a. richiamato nella nota precedente e ha introdotto l’art. 13-ter all’allegato II al c.p.a.8.

Come acutamente osservato9, il disposto di tale articolo è identico a quello dell’art. 120, comma 6, c.p.a., salvo che per l’ultimo capoverso dell’ultimo comma: mentre infatti l’art. 120, comma 6, prevedeva espressamente che il giudice dovesse analizzare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti e che il mancato esame delle suddette questioni costituiva motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello, l’art. 13-ter, al suo ultimo comma specifica, a contrario, che l’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non costituisce motivo di impugnazione10.

L’art. 13-ter dell’allegato II al c.p.a. è stato attuato dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016, il quale ha stabilito non solo i criteri redazionali11 e i limiti dimensionali degli atti processuali12, ma ha anche stabilito i casi (rectius le modalità) attraverso cui è possibile derogare ai limiti suddetti. Infatti, l’art. 6 del suddetto decreto consente al ricorrente di presentare istanza motivata per l’autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali sulla quale il Presidente o il magistrato delegato si pronuncia con decreto entro tre giorni13. È altresì prevista una ratifica postuma in caso di superamento dei limiti dimensionali non autorizzato preventivamente che però può avvenire solo “per gravi e giustificati motivi”, con la possibilità per il giudice, di autorizzare in tutto o in parte il superamento dei suddetti limiti14.

In tale quadro normativo, è interessante verificare quali siano le conseguenze che la giurisprudenza ha dedotto dalla violazione dei limiti dimensionali15, già puntualizzando che tali conseguenze sembrano non essere sempre pienamente allineate a quanto previsto dalla norma di legge.

Per un primo filone giurisprudenziale16 il superamento dei limiti dimensionali comporterebbe l’inammissibilità in parte qua delle censure o comunque delle deduzioni difensive che superano quantitativamente suddetti limiti.

Tuttavia, come già acutamente osservato17, nelle sentenze sopra richiamate, l’inammissibilità dell’appello è dichiarata per il fatto che la prolissità dello stesso rende «quasi impossibile ricostruire, attraverso la lettura dell’atto, la realtà di situazioni di fatto e processuali, non potendosi accettare che una parte renda oggettivamente non comprensibile le sue pretese ragioni giuridiche con la violazione del dovere di specificità dei motivi di ricorso sancito dal combinato disposto degli artt. 40, co. 1, lett. d) e 101, co. 1, c.p.a., nonché del dovere di sinteticità sancito dall’art. 3, co. 2, c.p.a.»18.

Se ben si comprende il ragionamento del giudice, l’inammissibilità non è dichiarata per la sola violazione del principio di sinteticità, ma anche per quello di chiarezza e, soprattutto di specificità dei motivi (di ricorso e di appello); in altre parole, la prolissità e l’estrema lunghezza delle difese possono rendere non comprensibili petitum e causa petendi dell’atto, incorrendo così nella sanzione di inammissibilità prevista dagli art. 40, comma 1, lett. d) e 101, comma 1, c.p.a.19

Accanto a questo indirizzo giurisprudenziale se ne è sviluppato un altro, per il quale la parte di atto eccedente i limiti dimensionali non sarebbe esaminabile dal giudice20.

In particolare, secondo questo orientamento, la violazione del limite dimensionale di sinteticità entro cui va contenuto l’atto processuale previsto dall’art. 13-ter dell’allegato II del c.p.a. non genera la conseguenza, a carico della parte che lo abbia superato, dell’inammissibilità dell’intero atto, ma solo il degradare della parte eccedentaria a contenuto che il giudice ha la mera facoltà di esaminare21.

Vi sono poi alcune sentenze che, in presenza di atti sovradimensionati, hanno invitato la parte a produrre una memoria riepilogativa che contesse una esposizione chiara e concisa di tutte le censure già proposte22.

Infine vi è un nutrito orientamento giurisprudenziale che sanziona la violazione del dovere di sinteticità al momento della liquidazione delle spese processuali, ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a.23.

In questo quadro normativo e giurisprudenziale si colloca la sentenza qui in commento che riporta quindi all’attenzione dell’interprete e del libero foro la questione delle conseguenze derivanti dal superamento dei limiti dimensionali degli atti processuali nel processo amministrativo.

 

2. Il caso di specie: la sentenza n. 8928/2023 del Consiglio di Stato

La questione posta davanti al Consiglio di Stato riguardava l’attuazione di un piano di lottizzazione sito in contrada Urselli in provincia di Ostuni e, in particolare la persistente o meno efficacia del piano suddetto e le modalità di attuazione dello stesso previste nella convenzione urbanistica24.

Contro la sentenza di primo grado, che giudicava il ricorso in parte infondato, in parte inammissibile, la società ricorrente proponeva appello con un atto di 87 pagine.

Come precisa il Consiglio di Stato nella sentenza qui in esame, il collegio aveva rappresentato in sede di camera di consiglio alle parti appellanti il superamento dei limiti massimi di estensione del ricorso, e, non ricevendo scritti difensivi sul punto, aveva ribadito la problematica in sede di udienza pubblica, invitando le parti a trattare tale questione.

Nel decidere l’appello in questione il Consiglio di Stato lo giudica inammissibile, precisando che nel caso di specie il limite dimensionale è esaurito dall’appellante a p. 52 (su 87), prima dell’articolazione dei motivi di appello, non essendo quindi il Collegio tenuto ad esaminarli «quale sanzione prevista dal legislatore per i casi di violazione del principio di sinteticità degli atti processuali previsto dall’art. 3 c.p.a.» e ciò in applicazione dell’art. 13-ter, comma 5 dell’allegato II al c.p.a. per il quale: «il giudice è tenuto ad esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite non è motivo di impugnazione».

Il Collegio, in questa sede, sembra compiere un ragionamento in parte diverso dagli orientamenti giurisprudenziali in materia, specificando che: «il ricorso, in presenza di motivi di appello che il giudice non è tenuto ad esaminare, diviene inammissibile perché, in relazione ad una parte essenziale per la identificazione della domanda- richiesta dall’art. 44, comma 1, lett. b) c.p.a. a pena di nullità – viene meno l’obbligo di provvedere e con esso la stessa possibilità di esame della domanda».

Infatti, il Collegio, nelle premesse del suo ragionamento, sposa quell’indirizzo per il quale il comma 5 dell’art. 13-ter non lascerebbe comunque al giudice la facoltà di esaminare l’atto oltre i limiti processuali25, ma invece «in ossequio ai principi di terzietà e imparzialità obbliga il giudice a non esaminare le questioni che si trovano oltre il limite massimo di pagine»26.

Si tratta ora di verificare come si pone il ragionamento fatto dal giudice in questa sentenza con la cornice normativa sopra ampiamente ripercorsa e, soprattutto, rispetto al principio di sinteticità e chiarezza degli atti processuali di cui tale disciplina dovrebbe costituire attuazione.

 

3. Superamento dei limiti dimensionali e inammissibilità dell’atto: una conseguenza necessaria?

La sentenza qui in esame presenta profili di interesse, e ciò non tanto per la “sanzione” di inammissibilità dell’appello presentato per la violazione dei limiti dimensionali, quanto per le motivazioni poste a sostegno di suddetta inammissibilità.

La sanzione di inammissibilità che colpisce l’atto di appello non deriva, come si è già visto in altre sentenze, dal fatto che l’atto in questione, anche a causa della sua prolissità, renda impossibile per il giudice comprendere i motivi di appello in quanto non specificatamente individuati, ma per il fatto che tali motivi, essenziali per l’identificazione della domanda, richiesta dall’art. 44, comma 1, lett. b) c.p.a. a pena di nullità, si trovano oltre il limite di pagine che il giudice sarebbe tenuto ad

In primo luogo, è necessario verificare la premessa generale dalla quale parte il ragionamento del giudice, per cui l’art. 13-ter, comma 5, del II allegato al c.p.a. dovrebbe essere interpretato nel senso che, rispetto alla parte eccedente i limiti dimensionali, verrebbe meno l’obbligo di esame da parte del giudice.

Tale premessa non sembra condivisibile perché, come osservato dalla dottrina27, solo forzando il dato letterale si può sostenere che la norma sancisca un vero e proprio divieto per il giudice di esaminare la parte dell’atto eccedente.

Infatti, l’omessa pronuncia sulla parte del ricorso eccedente i limiti dimensionali, quale eccezione al principio generale per il quale il giudice ha l’obbligo di pronunciarsi sull’intera domanda28, dovrebbe essere prevista specificatamente dalla disposizione.

Proprio alla luce dell’obbligo del giudice di conoscere gli atti delle parti nella loro interezza si ritiene che l’interpretazione costituzionalmente orientata29 della disposizione sia quella di far permanere in capo al giudice la facoltà di esaminare l’atto oltre i limiti dimensionali suddetti.

Ancora, non si è pienamente d’accordo sulla ragione posta dal giudice alla base del (presunto) obbligo di non pronunciarsi sulla parte eccedente ai limiti dimensionali, che deriverebbe dal doveroso rispetto dei principi di imparzialità e terzietà; prendendo in prestito gli argomenti dal decreto del C.G.A.R.S n. 104/2023, tale principio escluderebbe che in un processo di parti come quello amministrativo si possa dare “benevolenza” ad una parte, tenendo in considerazione anche quanto posto oltre i limiti processuali, perché tale “benevolenza” si tradurrebbe inevitabilmente in un pregiudizio ingiusto per le altre controparti processuali.

Ora, non è chiaro quale sia il pregiudizio che le controparti processuali dovrebbero subire dal fatto che il giudice considera l’intero atto, anche nella parte eccedente i limiti processuali: è, infatti, evidente che la diligenza professionale imporrà all’avvocato di queste controparti di prendere posizione sull’intero atto dell’avversario e ciò non solo perché controparte potrebbe chiedere e ottenere un’autorizzazione postuma al superamento dei limiti processuali, ma anche per l’incertezza, tutt’oggi presente in giurisprudenza, rispetto alle conseguenze di tale violazione. Inoltre, anche qualora controparte non avesse ritenuto di doversi esprimere sulla parte eccedente dell’atto, il giudice, prima di pronunciarsi sullo stesso nella sua interezza, dovrebbe assegnare a controparte ulteriori termini a difesa, assicurando così il pieno rispetto del contradditorio tra le parti ed evitando che l’analisi del ricorso nella sua interezza generi un pregiudizio in capo alle altre controparti processuali.

In aggiunta si segnala come possa essere più utile per controparte avere una sentenza che rigetta il ricorso in quanto infondato e non in quanto inammissibile, per la maggior pregnanza del giudicato nel primo caso30.

Oltre a non condividere le premesse del ragionamento fatto dal Consiglio di Stato, non persuadono le conclusioni, che portano a dichiarare l’intero appello inammissibile perché la parte contenente i motivi dell’appello si trovava in una parte dell’atto che il giudice non sarebbe tenuto ad esaminare. Tuttavia, come acutamente osservato31, il punto fermo dovrebbe individuarsi nell’assunto che non ci sono norme che espressamente prevedono la sanzione dell’inammissibilità per il solo fatto del superamento dei limiti dimensionali, operando l’inammissibilità solo ed esclusivamente nei casi indicati dagli artt. 40 c.p.a.32.

Pertanto, per tutte le ragioni qui indicate, non si condivide pienamente il ragionamento condotto dal Consiglio di Stato nella sentenza qui in esame con riferimento alle conseguenze da ricondurre al superamento dei limiti dimensionali dell’atto processuale.

 

4.  Conclusioni

Secondo la giurisprudenza amministrativa, il dovere di sinteticità, sancito dall’art. 3, comma 2, c.p.a., strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2, c.p.a.), è a sua volta corollario del giusto processo, ed assume una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dal rilievo dell’interesse pubblico in occasione del controllo sull’esercizio della funzione pubblica. Tale impostazione è conforme alla considerazione della giurisdizione come risorsa a disposizione della collettività, che proprio per tale ragione deve essere impiegata in maniera razionale, sì da preservare la possibilità di consentirne l’utilizzo anche alle parti nelle altre cause pendenti e agli utenti che in futuro indirizzeranno le loro controversie alla cognizione del giudice statale33.

Ci si chiede però se, nell’attuazione normativa di questo principio, si sia rimasti fedeli alla sua valenza strumentale alla realizzazione del giusto processo.

La risposta non sembra essere del tutto positiva, e ciò deriva da quello che sembra essere il primo equivoco del legislatore che ha trasformato il principio di sinteticità in regola di brevità.

Ora, senza scomodare la dottrina, è la stessa giurisprudenza a riconoscere che: «L’essenza della sinteticità, prescritta dal codice di rito, non risiede nel numero delle pagine o delle righe in ogni pagina, ma nella proporzione tra la molteplicità e la complessità delle questioni dibattute e l’ampiezza dell’atto che le veicola, in quanto la sinteticità è “un concetto di relazione, che esprime una corretta proporzione tra due grandezze, la mole, da un lato, delle questioni da esaminare e, dall’altro, la consistenza dell’atto – ricorso, memoria o, infine, sentenza – chiamato ad esaminarle” (Cons. St., sez. III, 12 giugno 2015, n. 2900) ed è, si deve qui aggiungere, sul piano processuale un bene-mezzo, un valore strumentale rispetto al fine ultimo, e al valore superiore, della chiarezza e della intelligibilità della decisione nel suo percorso motivazionale»34.

In altre parole, non è per niente scontato che la previsione di un limite dimensionale agli atti processuali porti alla redazione di atti sintetici (e soprattutto chiari), come invece si vorrebbe proprio in attuazione del principio di sinteticità e chiarezza35.

Peraltro, una rigida limitazione del numero di battute degli atti nel processo amministrativo non tiene in considerazione il fatto che spesso, la narrazione definitiva “prolissa” o “ridondante” dal giudice dipende proprio dalla necessità per il ricorrente (ma anche per chi si difende) di versare nel proprio primo atto tutte le deduzioni in fatto e in diritto per non incorrere in possibili preclusioni o eccezioni di parte. Inoltre, è fatto notorio, che il contezioso amministrativo spesso si formi su questioni caratterizzate da un alto grado di tecnicità, per i quali, può rendersi necessario, proprio per maggiore chiarezza, un “supplemento” di spiegazione.

Si dirà che la soluzione al problema sta nella possibilità di derogare a tali, a volta angusti, limiti dimensionali previa autorizzazione preventiva o successiva del giudice; si ritiene tuttavia non pienamente convincente dal punto di vista sistematico far dipendere l’esplicazione del proprio diritto di difesa da una autorizzazione del giudice, peraltro prevista da una fonte non di rango primario.

In conclusione, non si vuole certo ignorare l’importanza di avere atti chiari e sintetici per la miglior conduzione del processo; ciò che non si condivide appieno sono le conseguenze, gravi, che si riconducono alla violazione dei limiti dimensionali che possono portare, come visto, alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Può allora rivelarsi utile un confronto con il processo civile il quale, in seguito alla riforma che lo ha recentemente interessato, prevede oggi all’art 121 che:« Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico»36 e, nelle disposizioni attuative, sancisce chiaramente che: «il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo»37.

Si potrebbe allora auspicare che anche nel processo amministrativo il superamento dei limiti dimensionali dell’atto sia sempre considerato alla stregua di una semplice irregolarità e che le conseguenze di tale superamento siano limitate sul piano della liquidazione delle spese di lite, evitando che tale superamento sia sanzionato con l’inammissibilità dell’intero atto.

Clara Silvano

 

Sentenza

 

1 Con tale decreto legislativo si è inteso dare attuazione alla direttiva 2007/66/CE che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici.

2 Con riferimento alla sinteticità degli atti processuali nelle controversie in materia di contratti pubblici si confronti M. NUNZIATA, La sinteticità degli atti processuali di parte nel processo amministrativo sui contratti pubblici, in L’amministrativista.it, 2016.

3 Tale previsione, originariamente contenuta all’art. 8, comma 2-undecies, d.lgs. 53/2010, è stata trasposta all’art. 120, comma 10, del d.lgs.2 luglio 2010, n. 104. Si precisa tuttavia che suddetto articolo, così come modificato dall’art. 209 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, non presenta più la previsione in ordine alla sinteticità degli atti.

4 L’art. 3 del c.p.a. è inserito nel Capo I del Libro I del codice dedicato, per l’appunto, ai principi generali. Per un commento all’art. 3 si rimanda a G.P. CIRILLO, Dovere di motivazione e sinteticità degli atti, in Il nuovo processo amministrativo, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. SANTANIELLO, vol. XXXXII, 39. Osserva correttamente F. FRANCARIO, Principio di sinteticità e processo amministrativo. Il superamento dei limiti dimensionali dell’atto di parte, in Dir. proc. amm., 1/2018, 134, come «è quindi sicuramente significativo il fatto che il legislatore abbia sentito la necessità di richiamare il principio di sinteticità tra i principi generali del processo amministrativo, anche se ciò appare spiegabile più con l’intento di generalizzarne appunto l’applicazione al di fuori del rito speciale appalti, che come una considerazione in termini di principio fondamentale del processo amministrativo».

5 Sembra condividere questa scelta legislativa F.G. SCOCA, Il “costo” del processo tra misura di efficienza e ostacolo all’accesso, in Dir. proc. amm., 4/2014, 1421, per il quale, con riferimento alle spese processuali, non «sembra irragionevole che, nel liquidarle, il giudice tenga conto della chiarezza e sinteticità degli atti processuali» e anzi «questa sembra essere l’unica razionale sanzione contro la inutile prolissità degli atti processuali». Molto critica invece nei confronti di questa previsione M.A. SANDULLI, Il codice del processo amministrativo nel secondo correttivo: quali novità? in Federalismi.it, 20/2012, 1.

6 Il concetto di sinteticità sarà analizzato al paragrafo 4 del presente contributo al quale pertanto si rimanda.

7 L’art. 40 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazione dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 ha modificato il comma 6 dell’art. 120 c.p.a. prevedendo che: «al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticità di cui all’articolo 3, comma 2, le parti contengono le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei termini stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale forense e l’Avvocato generale dello Stato, nonché’ le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. Il medesimo decreto, nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi, tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell’atto. Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello». In attuazione di tale articolo è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 40 del 25 maggio 2015. Per un’analisi critica di questa disciplina si confronti M.A. SANDULLI, Il tempo del processo come bene della vita, in Federalismi.it, 18/2014, in particolare 40 e ss. Con riguardo specifico al decreto di attuazione di queste misure si confronti F. VOLPE, Sui limiti all’estensione degli atti di difesa nel processo amministrativo, in Lexitalia, 5/2015, il quale, in conclusione osserva come: «si nutre il timore che ogni forma di regolamentazione della brevità degli atti sia in sé destinata a fallire, perché erroneo è il suo presupposto. Vale a dire che si possa contingentare l’esposizione degli argomenti di difesa».

8 Art.13-ter. Criteri per la sinteticità e la chiarezza degli atti di parte «1. Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con i principi di sinteticità e chiarezza di cui all’articolo 3, comma 2, del codice, le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato, da adottare entro il 31 dicembre 2016, sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio nazionale forense e l’Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria degli avvocati amministrativisti. 2. Nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi si tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell’atto. 3. Con il decreto di cui al comma 1 sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. 4. Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, anche mediante audizione degli organi e delle associazioni di cui al comma 1, effettua un monitoraggio annuale al fine di verificare l’impatto e lo stato di attuazione del decreto di cui al comma 1 e di formulare eventuali proposte di modifica. Il decreto è soggetto ad aggiornamento con cadenza almeno biennale, con il medesimo procedimento di cui al comma 1. 5. Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione».

9 F. FRANCARIO, Principio di sinteticità, cit., 137.

10 Sull’interpretazione da dare a questo comma si confronti infra par. 3.

11 Cfr. art. 2 del decreto 167/2016.

12 Cfr. art. 3 del decreto 167/2016. Tale articolo assegna un numero massimo di caratteri per ciascun atto processuale in maniera diversa a seconda del rito, differenziando tra riti dell’accesso, del silenzio, del decreto ingiuntivo, elettorale di cui all’art. 129 c.p.a. (30.000 caratteri); rito ordinario, rito abbreviato comune di cui all’art. 119, rito elettorale di cui all’art. 130 c.p.a. (70.000 caratteri).

13 La motivazione di cui deve essere corredata l’istanza di autorizzazione avrà verosimilmente ad oggetto le ragioni di particolare complessità del caso di specie che hanno portato a superare i limiti dimensionali. Con riferimento al regime processuale proprio di questa autorizzazione si confronti M. LIPARI, La sinteticità degli atti difensivi, in Treccani. Libro dell’anno del diritto 2016, Roma, 2016,751 le cui considerazioni, pur riferite al precedente DPCS n. 40/2015, sono perfettamente valide anche con riferimento al DPCS n. 167/2016.

14 Con riferimento all’autorizzazione postuma, sulla parte richiedente incombe un onere di motivazione rafforzato, in quanto deve giustificare i gravi e giustificati motivi a sostegno della richiesta postuma e non preventiva di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali. Con riguardo alla concreta valutazione che deve operare il giudice nel concedere (o meno) suddetta autorizzazione postuma si concorda con quanto affermato da F. FRANCARIO, Il principio di sinteticità, cit., 167, per il quale «il giudice deve necessariamente esaminare la domanda nella sua interezza e concederà o negherà l’autorizzazione a seconda che l’atto risulti nel suo complesso intellegibile o meno». Sempre secondo l’Autore «se l’autorizzazione viene invece negata, si deve nondimeno ritenere che l’atto sia stato necessariamente conosciuto nella sua interezza e che si sia giunti alla conclusione che la parte eccedente i limiti dimensionali non reca questioni formulate in maniera chiara e specifica e che il carattere prolisso pregiudica effettivamente l’intellegibilità dell’atto; se la decisione, che in ultima istanza spetta sicuramente al Collegio, si rivela sbagliata, sarà giusto consentire l’impugnazione della sentenza, che risulterà comunque viziata per tale motivo».

15 Per una recente e approfondita disamina in merito si confronti A. CRISMANI, L’eccesso di lunghezza degli atti processuali e l’accetta del giudice (nota a CGARS, sez, giur., 4 aprile 2023, n. 104), in Giustiziainsieme.it, 6 luglio 2023.

16 Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2016, n. 4636. In termini Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 2017, n. 295 che richiama al suo interno quale precedente conforme Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2016, n. 1268; sez. III, 21 marzo 2016, n. 1120; sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 8; sez. V, 2 dicembre 2015, n. 5459; sez.V, 30 novembre 2015, n. 5400; sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4153. Più di recente si confronti Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 2023, n. 843; sez. IV, 09 gennaio 2023, n. 280 con ampi rimandi giurisprudenziali.

17 Commentando in particolare la sentenza n. 4636/2016 (ma il ragionamento è lo stesso anche nelle altre sentenze richiamate alla nota che precede) osserva F. FRANCARIO, Principio di sinteticità, cit. 145, come la motivazione della sentenza «assimili il principio (di sinteticità) di cui all’art. 3 c.p.a., alle regole (sulla forma e sul contenuto degli atti) di cui agli articoli 40 e 101 c.p.a. e tenda a confondere e risolvere il principio di sinteticità in un indistinto coacervo con i principi di specificità e di chiarezza dei motivi nonché del giusto processo o a declinarlo in termini di mera brevità dell’atto processuale» aggiungendo che «non si riesce perciò a cogliere quale sia in ultima analisi la norma dalla quale sarebbe possibile trarre la conseguenza dell’irricevibilità o inammissibilità in parte qua dell’atto processuale sovradimensionato»

18 Cons. Stato n. 295/2017.

19 In questo senso, commentando l’orientamento in esame F. SAITTA, La violazione, cit., 559.

20 Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2017, n. 2852. In tale sentenza, in realtà, il giudice non collega l’impossibilità per il giudice di esaminare le difese che eccedono i limiti dimensionali per il solo superamento degli stessi ma per il fatto che i limiti suddetti erano stati superati senza la preventiva autorizzazione del giudice.

21 In termini T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 15 maggio 2018, n. 5381; Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2018, n. 2190; Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2018, n. 5287.

22 C.G.A.R.S. ordinanza 15 aprile 2014, n. 536; ordd. 20 novembre 2015 n. 657 e 30 novembre 2016 n. 444. Più di recente Cons. Stato, sez. VI, 13 aprile 2021, n. 3006.

23 T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 1° giugno 2018, n. 6105; 24 aprile 2018, n. 4467. 4468, 4471, 4485, 4487. In queste sentenze, tuttavia, il giudice, non sanziona la violazione del dovere di sinteticità degli atti secondo quanto previsto dal comma 1, ma applica la sanzione per lite temeraria prevista dal comma 2. Si legge, infatti, nella sentenza n. 6105/2017 che: «le spese di lite possono essere compensate in ragione della peculiarità della vicenda. La soccombenza della parte ricorrente giustifica, tuttavia, in considerazione della violazione da parte di questa del dovere di sinteticità degli atti e ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., l’applicazione della sanzione pecuniaria pari all’importo del contributo unificato versato per il ricorso, da versarsi al bilancio della giustizia amministrativa». Più corretta sembra essere l’applicazione della disposizione da parte del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 04 giugno 2019, n. 1279 il quale ritiene di compensare le spese e di non liquidare le stesse alla parte ricorrente in ragione del fatto che i suoi atti sono risultati estremamente prolissi e ripetitivi.

24 Il caso è stato deciso in primo grado con la sentenza T.A.R. Puglia, Lecce, 21 novembre 2019, n. 1840.

25 Così invece ritengono F. FRANCARIO, Principio di sinteticità, cit., 153 e ss; F. SAITTA, La violazione, cit., 562. Quest’ultimo osserva che: «l’omessa pronuncia sulla parte eccedente, costituendo eccezione alla regola (rectius principio generale del processo) secondo cui il giudice è obbligato a pronunciarsi sull’intera domanda dovrebbe essere statuita esplicitamente».

26 In termini C.G.A.R.S., n. 104/2023 con commento di A. CRISMANI, L’eccesso di lunghezza, cit.

27 F. SAITTA, La violazione, cit., 561. In termini anche E.M. BARBIERI, Il superamento dei limiti dimensionali stabiliti per i ricorsi giurisdizionali amministrativi, in Dir. proc. amm., 1/2022, 231.

28 Ciò in applicazione. del principio della domanda di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c., il quale opera nel processo amministrativo oltre che in virtù del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a., anche in relazione al disposto degli artt. 41, co. 1, e 34, co. 1, c.p.a., a norma dei quali, rispettivamente, «le domande si introducono con ricorso» e il giudice adotta le pronunce previste dal Codice «nei limiti della domanda». Sul principio della domanda nel processo amministrativo si confronti, ex multis, V. DOMENICHELLI, Il principio della domanda nel processo amministrativo, 1/2020, 26.

29 Sebbene non sia mancata la dottrina che abbia fatto notare come anche la previsione di una mera facoltà per il giudice di non esprimersi su una parte dell’atto solo perché supera i limiti dimensionali sarebbe in contrasto con l’art. 24 Cost. e con l’art. 6 della C.E.D.U. Si confronti I. PAGNI, Chiarezza e sinteticità degli atti processuali: il protocollo di intesa tra Cassazione e CNF, in Giur.it., 12/2016, 2782, in particolare 2783 e ss. Per la dottrina amministrativistica si confronti E.M. BARBIERI, L’abuso del copia e incolla nel ricorso giurisdizionale amministrativo, in Riv. dir. proc., 2016, 1582; F. VOLPE, Sui limiti di estensione, cit.

30 A conferma di questa ricostruzione di confronti Cons. Stato, sez. II, 17 febbraio 2021, n. 1450, nella quale il giudice decide di prescindere dai profili di inammissibilità del ricorso, che peraltro discenderebbe «non già per la richiamata irragionevole estensione del ricorso (la quale, nella specie, non è, ratione temporis, normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata (cfr. Cass. civ., n. 8009 del 2019), con conseguente violazione della regola di specificità dei motivi di appello (art. 101, comma 1, c.p.a.), imposta a pena di ammissibilità del gravame.», in quanto lo stesso sarebbe infondato nel merito.

31 A. CRISMANI, L’eccesso di lunghezza, cit.

32 La normazione in materia di giurisdizione è infatti coperta da riserva assoluta di legge ai sensi dell’art. 101 e 111 Cost. Su questo aspetto si confronti ex multis F.G. SCOCA, I principi del giusto processo, in (a cura di) F.G. SCOCA, Giustizia amministrativa, Torino, 2011, 166.

33 L’idea della funzione giurisdizionale quale “risorsa scarsa” è stata sviluppata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in due recenti pronunce, 25 febbraio 2014, n. 9 e 27 aprile 2015, n. 5, e ripreso dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nelle sentenze 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 e, da ultimo, nella sentenza 20 ottobre 2016 n. 21260.

34 Cons. Stato, sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045.

35 Chiaramente M. TARUFFO, Note sintetiche sulla sinteticità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2/2017, 464, per il quale: «rimane da dimostrare che un testo, per essere sintetico, debba anche essere breve, e che quindi il problema della sintesi possa risolversi semplicemente “dando i numeri”».

36 Comma così modificato dall’art. 3, comma 9, lett. a), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022. Per l’applicabilità e l’effetto di tale disposizione vedi l’art. 35 del medesimo D.Lgs. n. 149/2022.

37 Art. 46 disp.att. cod. proc. civ.

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