Sommario: 1. Premessa generale; 2. I procedimenti amministrativi di autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio degli impianti ed i più recenti interventi di semplificazione con particolare riferimento agli impianti fotovoltaici; 3. Aree non idonee ed aree idonee. L’obbligo di utilizzo dell’energia rinnovabile nelle nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni “rilevanti”; 4. Semplificazione amministrativa, proporzionalità, promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione: conclusioni di sintesi.

 

1. Premessa generale.

1.1. In principio era il D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, recante: “Attuazione della direttiva 2001/77/CE) relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”. In particolare, il suo articolo 12 ha introdotto alcuni importanti principi generali in materia di autorizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Giova ricordare come consimili impianti costituiscano un unicum, dato sia dall’impianto in sé considerato, sia dalle opere di connessione alla rete elettrica, di modo che l’autorizzazione comprenda tanto l’infrastruttura di produzione dell’energia, quanto il collegamento alla rete elettrica.

L’autorizzazione, ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, è unica e vale a legittimare tanto la costruzione dell’impianto (e le relative opere di connessione), quanto il suo esercizio; contiene la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere (impianto ed opere di connessione), di talché le aree possono essere oggetto di espropriazione, ove necessario; contiene le autorizzazioni ambientali, nel caso siano richieste, ossia la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione integrata ambientale; contiene l’autorizzazione paesaggistica e, comunque, ogni eventuale autorizzazione necessaria.

L’autorizzazione unica è rilasciata a seguito di un procedimento unico, governato dalla L. n. 241/1990 ed articolato tramite il ricorso al modulo organizzativo della conferenza di servizi; deve contenere l’obbligo della rimessa in pristino stato dei luoghi a carico del soggetto esercente, una volta dismesso l’impianto.

L’autorizzazione unica, infine, è – come regola – di competenza delle Regioni o delle Province delegate; non può essere subordinata a misure di compensazione a favore di tali Enti.

Il tema delle misure compensative è argomento assai delicato. La sola circostanza che venga realizzato un impianto di produzione d’energia da fonti rinnovabili non dà, per ciò stesso, luogo a misure di compensazione, le quali, al contrario, presuppongono una particolare concentrazione territoriale di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto sul territorio. Le misure compensative[1] sono quindi eventuali, non automatiche ed hanno carattere ambientale e territoriale non meramente patrimoniale o economico. Possono essere imposte solo ove ricorrano tutti i presupposti indicati nell’art. 1, comma 4, lett. f), della L. n. 239/2004 e non possono essere unilateralmente fissate dal singolo Comune, ove si verrà a trovare l’impianto, ma devono essere definite dalla conferenza di servizi. Esse non possono comunque comportare un impatto economico superiore al tre per cento dei proventi derivanti dalla valorizzazione dell’energia elettrica prodotta annualmente dall’impianto, ivi comprendendosi anche le tariffe incentivanti erogate da Gestore dei Servizi Elettrici S.p.A. (GSE).

Non sempre è necessaria l’autorizzazione unica, ai sensi della diversa regola dettata dall’art. 12, comma 5, del D.Lgs. n. 387/2003. Gli impianti, aventi capacità di generazione inferiore alle soglie individuate nella Tabella A allegata al medesimo decreto (e recentemente modificata dall’art. 31, comma 7, del D.L. n. 77/2021, convertito, con modificazioni in L. n. 108/2021, il cui Allegato II ha sostituito la Tabella A del D.Lgs. n. 387/2003), sono soggetti a denunzia di inizio attività. Le soglie testé indicate possono essere modificate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della transizione ecologica, ma non possono essere aumentate ad libitum da parte delle Regioni[2].

L’art. 12, comma 7, prevede la generale compatibilità degli impianti rispetto alle zone classificate agricole dai vigenti strumenti urbanistici.

Infine, l’art. 12, comma 10, del D.Lgs. n. 387/2003 rinvia ad apposite “linee guida per lo svolgimento del procedimento”, finalizzate a meglio governare il rilascio dell’autorizzazione unica e volte ad assicurare il corretto insediamento degli impianti nel paesaggio, con specifico riferimento agli impianti eolici. In attuazione delle linee guida le Regioni possono motivatamente individuare siti o aree non idonee all’installazione di specifiche tipologie di impianti, essendo evidentemente preclusa l’esclusione generalizzata ed immotivata di ampie porzioni di territorio, quale scelta marcatamente ostracistica rispetto agli impianti in parola[3].

Al contrario, i principi eurounitari e nazionali depongono per un marcato favor[4] rispetto agli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, per regole di semplificazione e celerità dei relativi procedimenti, disciplinati sulla base dei principi fondamentali recati dallo Stato, anche attraverso le linee guida nazionali.

1.2. Le linee guida nazionali sono state approvate con D.M. 10 settembre 2010. Va detto, però, che, medio tempore, la Direttiva 2001/77/CE (unitamente alla Direttiva 2003/30/CE) era stata abrogata e sostituita dalla Direttiva 2009/28/CE, attuata in Italia per il tramite del D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, oggi norma fondamentale ai fini della disciplina sia dei procedimenti di autorizzazione degli impianti, sia del procedimento di incentivo, sia dei procedimenti ripristinatori e sanzionatori in ordine alla decadenza o alla riduzione della tariffa incentivante.

La trattazione dei procedimenti amministrativi per il rilascio delle autorizzazioni alla costruzione ed all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile non può prescindere da un cenno sui procedimenti ripristinatori e sanzionatori in tema di tariffa incentivante. I momenti topici della vita di un impianto (e dei destini del soggetto gestore) sono quelli dell’autorizzazione e dell’incentivo, inteso sia come momento di concessione della tariffa incentivante, sia come momento patologico, con riguardo alla decadenza o alla riduzione di essa durante la vita utile dell’impianto medesimo.

1.3. Ultima considerazione di carattere generale ed introduttiva riguarda la più recente produzione normativa europea e nazionale.

Giova muovere dalla Direttiva 2018/2001/UE sulla promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili, che ha fissato l’ambizioso obiettivo vincolante della quota del 32% di energia rinnovabile al 2030 a livello complessivo europeo, attuata in Italia per il tramite del D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 199, particolarmente significativo anche in tema di ulteriore (ennesima, ma non ultima) semplificazione dei procedimenti autorizzatori, di disciplina di superfici idonee e di obbligo di utilizzo di energia rinnovabile in riferimento agli edifici di nuova costruzione, nonché agli interventi di ristrutturazione rilevante di edifici esistenti, per cui la richiesta del titolo edilizio è stata presentata decorsi centocinquanta giorni dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 199/2021.

Non è solo il D.Lgs. n. 199/2021 ad aver modificato il D.Lgs. n. 28/2011; rilevanti novelle sono state introdotte, in particolare, dal D.L. n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 120/2020; dal D.L. n. 77/2021, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 108/2021; quindi, dal D.L. n. 17/2022, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 34/2022; infine, dal D.L. n. 21/2022, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 51/2022. Lo stesso D.Lgs. n. 199/2021 è stato modificato dal D.L. n. 50/2022, in corso di conversione.

Insomma, un crescendo rossiniano di norme, che si professano semplificatorie, ma che, allo stato, conducono ad una situazione di straordinaria complessità, tanto che, compulsando il sito internet del Gestore dei Servizi Energetici si rinviene una sinossi dei titoli autorizzativi, la quale occupa ben diciotto facciate, utilizzate – beninteso – solo per individuare i titoli autorizzativi in relazione agli impianti.

Un labirinto.

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2. I procedimenti amministrativi di autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio degli impianti ed i più recenti interventi di semplificazione con particolare riferimento agli impianti fotovoltaici.

2.1. E’ opportuno dare conto dello stato dei titoli autorizzatori alla luce dei più recenti interventi legislativi, che hanno novellato profondamente il D.Lgs. n. 28/2011, con particolare riferimento agli impianti fotovoltaici ed alle maggiori novità al riguardo.

Dal punto di vista generale, l’art. 4 del D.Lgs. n. 28/2011 reca alcuni principi fondamentali, quali: il favor per lo sviluppo degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili nel rispetto della leale collaborazione tra Stato e Regioni; l’applicazione di procedure amministrative “semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate”.

Il sistema autorizzativo è oggi articolato, sempre in base all’art. 4 – e fermo il rispetto degli articoli 6, comma 9-bis, 6-bis e 7-bis, comma 5 – come segue: (i) autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, letto assieme all’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2011; (ii) procedura abilitativa semplificata (PAS), nei casi previsti dall’art. 6 del D.Lgs. n. 28/2011; (iii) dichiarazione di inizio lavori asseverata, per le ipotesi di cui all’art. 6-bis del D.Lgs. n. 28/2011; (iv) attività edilizia libera, nelle fattispecie individuate all’art. 6, comma 11, del D.Lgs. n. 28/2011, che a sua volta, da un lato, prevede la “comunicazione relativa alle attività in edilizia libera” (quindi, non di edilizia libera strettamente intesa si tratta, posto che è prevista la comunicazione), dall’altro, rinvia – sotto il profilo oggettivo – agli impianti previsti dai paragrafi 11 e 12 delle linee guida nazionali; (v) comunicazione di inizio lavori, ai sensi dell’ art. 6, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, in relazione all’installazione di pannelli solari e fotovoltaici al servizio degli edifici siti al di fuori della z.t.o. di tipo A.

Si ritrae un sistema regolatorio di singolare complessità, specie se confrontato con l’originario impianto, costituito solo art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, basato su autorizzazione unica e denuncia di inizio attività.

Due esempi concreti.

L’impianto fotovoltaico di potenza compresa tra 50 kW e 1 MW deve essere autorizzato, di regola,  con autorizzazione unica di competenza regionale o provinciale (art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 e Tabella A), ma può essere soggetto a dichiarazione di inizio lavori asseverata, da indirizzare al Comune (art. 4, comma 2-bis, lett. a) ed art. 6-bis) del D.Lgs. n. 28/2011), ove sia localizzato su aree in disponibilità del proponente, qualificate come idonee, ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021 (sulle aree idonee, si veda infra sub § 3.1).

Sempre con riferimento agli impianti fotovoltaici su aree idonee, per quelli aventi potenza superiore a 1 MW e fino a 10 MW l’autorizzazione è con PAS di competenza comunale (art. 4, comma 2-bis, lett. b), del D.Lgs. n. 28/2011); per quelli con potenza superiore a 10 MW, il titolo è l’autorizzazione unica di competenza regionale o provinciale (art. 4, comma 2-bis, lett. c). Ma se l’impianto è localizzato su aree (inter alia) a destinazione industriale, produttiva o commerciale, gli impianti fotovoltaici sino alla potenza massima di 20 MW sono autorizzati con PAS (art. 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 28/2011). Così come, ai sensi dello stesso comma 9-bis, seconda frase, è soggetto a PAS l’impianto fotovoltaico di potenza fino a 10 MW, ove sia qualificato come “agrovoltaico”, anche se non situato su area idonea, ove, però, l’impianto non disti più di tre chilometri dalla zona industriale, artigianale e commerciale.

2.2. La maggior parte delle modifiche normative di fresco conio riguardano gli impianti fotovoltaici, che si vogliono evidentemente incentivare.

Tra i più recenti tentativi di semplificazione vi è stata l’introduzione del comma 9-bis all’art. 6 del D.Lgs. n. 28/2011, cui si è già accennato.

La norma è stata inserita ad opera dell’art. 31, comma 2, del D.L. n. 77/2021 (convertito con modificazioni dalla L. n. 108/2021), poi sostituita dall’art. 9, comma 1-bis, del D.L. n. 17/2022, introdotto, in sede di conversione, dall’art. 1, comma 1, della L. n. 34/2022, recante: “Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali”, noto anche come “Decreto Bollette”. Ma non è finita: l’ultima (per ora) modifica è avvenuta ad opera dell’art. 7-quinquies, comma 1, del D.L. n. 21/2022, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 maggio 2022, n. 51, recante: “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”, noto anche come “Decreto Taglia Prezzi” o “Decreto Ucraina bis”.

In relazione a talune tipologie di impianti fotovoltaici, la disposizione contiene previsioni di deroga, da un lato, urbanistica, dall’altro, rispetto all’art. 4 del D.Lgs. n. 28/2011 ed all’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, ossia rispetto ai titoli autorizzativi richiesti, dall’altro ancora, ambientale.

Sotto il profilo urbanistico, gli impianti fotovoltaici, le relative opere di connessione e le necessarie infrastrutture – individuati dall’art. 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 28/2011 – sono soggetti ad intervento edilizio diretto, anche qualora lo strumento urbanistico richieda piani attuativi. Si tratta, quindi, di una deroga rispetto al vincolo strumentale impresso dalla pianificazione urbanistica, di modo che, ove anche lo sviluppo dell’area in considerazione fosse subordinato ad un piano attuativo, da esso si potrebbe prescindere in forza di legge.

Sotto il profilo dei titoli autorizzativi è prevista la PAS per:

  • la costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici di potenza fino a 20 MW e delle relative opere di connessione alla rete elettrica di alta e media tensione localizzati: a) in aree a destinazione industriale, produttiva o commerciale; b) in discariche o lotti di esse chiusi e ripristinati; c) in cave o lotti di esse ripristinati. Sia per le discariche esaurite e ripristinate, sia per le cave chiuse e ripristinate, l’autorità competente deve aver rilasciato la certificazione dell’avvenuto completamento delle attività di recupero e di ripristino ambientale;
  • impianti fotovoltaici di potenza fino a 10 MW su aree classificate idonee, ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021 (sulle aree idonee si veda infra sub 3);
  • impianti agrovoltaici[5] (di cui all’art. 65, comma 1-quater, del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 27/2012), che non distino più di tre chilometri da aree a destinazione industriale, artigianale e commerciale.

Sotto il profilo ambientale, limitatamente alle anzidette tipologie di impianti fotovoltaici:

  1. è prescritta la verifica di assoggettabilità a VIA non più ove la potenza sia superiore ad 1 MW (punto 2, lett. b), dell’Allegato IV alla Parte II del D.Lgs. n. 152/2006), ma solo nel caso in cui la potenza sia superiore a 20 MW;
  2. il limite di 10 MW, previsto dal punto 2) dell’Allegato II alla Parte II del D.Lgs. n. 152/2006 per gli impianti fotovoltaici, è elevato a 20 MW;
  3. le deroghe anzi viste operano ove il proponente alleghi una dichiarazione sostitutiva, da cui risulti che l’impianto non sia compreso all’interno delle aree individuate come non idonee, di cui all’Allegato III, lett. f), delle linee guida nazionali (D.M. 10.9.2010), ossia (inter alia): zone vincolate ai sensi della Parte II del D.Lgs. n. 42/2004; zone dichiarate di notevole interesse pubblico, ai sensi dell’art. 136 del Codice Urbani; zone vincolate ai sensi dell’art. 142 del D.Lgs. n. 42/2004 (pur se, al riguardo, valutando in concreto la loro incompatibilità con la realizzazione degli impianti); aree naturali protette; siti UNESCO; zone in prossimità di parchi archeologici; zone umide ai sensi della Convenzione di Ramsar; aree agricole di particolare pregio (DOC, IGP, STG, DOP, DOCG); zone di dissesto o rischio idrogeologico, individuate dai Piani delle Autorità di Bacino (si pensi, in Veneto, al PGRA, di recente adozione).

2.3. La disciplina, che consente – alle viste condizioni – l’autorizzazione con PAS di impianti fotovoltaici aventi potenza sino a 20 MW, financo – sempre ricorrendo i visti presupposti – omettendo lo screening VIA, risale a meno di due mesi or sono, essendo entrata in vigore il 21 maggio 2022.

In sede di prima applicazione, la norma ha richiamato l’interesse degli operatori, per il fatto che – in linea teorica – la misura semplificativa potrebbe essere assai rilevante. Al contempo, però, essa desta rilevanti questioni interpretative.

Il primo dubbio riguarda la portata oggettiva dell’art. 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 28/2011, laddove sottopone a PAS gli “impianti fotovoltaici di potenza fino a 20 MW e delle relative opere di connessione alla rete elettrica di alta e media tensione localizzati in aree a destinazione industriale, produttiva o commerciale”, nonché nelle altre aree indicate (discariche chiuse e ripristinate, cave esaurite). La lettura formale della disposizione, secondo il criterio ermeneutico offerto dall’art. 12 delle Preleggi, sembra richiedere che tanto i pannelli fotovoltaici, quanto le relative opere di connessione debbano insistere nelle indicate zone. Inoltre, trattandosi, come visto, di disposizione di deroga, la sua interpretazione ha da essere necessariamente tipica, formale, quindi restrittiva, come insegna la giurisprudenza[6].

Ma, se così fosse, difficilmente la disposizione potrebbe avere concreta applicazione, posto che il collegamento dell’impianto alla rete avviene tramite un punto di connessione, posto sovente a grande distanza, verosimilmente collocato in zona tipizzata diversamente rispetto alla destinazione richiesta dall’art. 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 28/2011.

Inoltre, il vantaggio forse maggiore della disposizione da ultimo citata sembra essere l’esenzione dallo screening di VIA, d’ordinario necessario per gli impianti fotovoltaici di potenza superiore ad 1 MW; un tanto non opera con riferimento alle aree non idonee, di cui alle molteplici fattispecie dell’Allegato III, lett. f), delle linee guida nazionali. Ciò riduce di molto gli ambiti territoriali eligibili, posto che la rilevante estensione territoriale richiesta per ospitare un impianto fotovoltaico della potenza di 20 MW comporta l’elevata probabilità di intercettare aree non idonee. Senza contare che la (per nulla semplice e molto rischiosa) certificazione che l’impianto non si trovi all’interno delle ridette aree non compete all’amministrazione procedente, ma al proponente, che deve rendere l’apposita dichiarazione sostitutiva, a cui sono connesse le ben note responsabilità in capo a chi la dovesse rendere.

Per quanto attiene agli impianti agrovoltaici, evidentemente collocati in aree agricole, anche se vicine ad aree a destinazione industriale, produttiva e commerciale (non dovendo distare da esse più di tre chilometri), la loro definizione appare, allo stato, ancora estremamente generica, siccome rimessa all’art. 65, comma 1-quater, del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni in L. n. 27/2012, come introdotto dall’art. 31, comma 5, della L. n. 108/2021, di conversione in legge del D.L. n. 77/2021, recante: “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”. La norma citata definisce agrovoltaici gli impianti “che adottino soluzioni integrative innovative con montaggio dei moduli elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi, comunque in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale, anche consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione[7].

Da ultimo, si pone anche un problema di competenza, posto che la PAS è ascritta alle attribuzioni del Comune e non tutti i Comuni sono muniti di uffici attrezzati, per numero di persone e conoscenze, a governare la complessità del procedimento d’autorizzazione relativo ad un impianto fotovoltaico della potenza di 20 MW.

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3. Aree non idonee ed aree idonee. L’obbligo di utilizzo dell’energia rinnovabile nelle nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni “rilevanti”.

3.1. Parte della complessità del regime autorizzatorio è legata ad uno dei temi più problematici in materia di impianti di produzione d’energia elettrica da fonti rinnovabili, ossia quello delle aree idonee.

Il sistema disegnato dalle linee guida nazionali (§ 17 ed Allegato III) si basa(va) sulla possibilità, in capo alle Regioni ed alle Province autonome (tramite “propri provvedimenti, tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica”, All. III), di individuare aree non idonee. Ciò, beninteso, non al fine di “rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti” (All. III).

Le linee guida nazionali costituiscono principi fondamentali della materia “produzione e distribuzione nazionale dell’energia”, ai sensi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione (Corte Cost., sentenze nn. 258/2020; 106/2020; 69/2018), principi che debbono essere osservati dalle Regioni, siccome espressione della leale collaborazione Stato-Regioni (Corte Cost., n. 86/2019) ed aventi “natura inderogabile”, dovendo “essere applicate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale” (Corte Cost., nn. 186/2019; 86/2019). Ciononostante, sovente le Regioni hanno tentato di limitare – se non di vietare senz’altro – la realizzazione di impianti su determinate aree, in particolare agricole.

Peraltro, le aree non idonee non costituiscono un impedimento assoluto, un vincolo inderogabile, posto che l’impianto potrebbe essere valutato compatibile con i valori tutelati (Cons. St., sez. IV, 8.4.2021, n. 2848; T.A.R. Sardegna, sez. II, 8.7.2020, n. 573, sentenza confermata da Cons. St., sez. IV, 4.4.2022, n. 2464).

In altri termini, le aree non idonee non hanno efficacia escludente assoluta, ma su di esse le richieste d’autorizzazione di impianti necessitano di un’adeguata istruttoria caso per caso: nel singolo procedimento amministrativo, volto al rilascio dell’autorizzazione, si deve cercare la sintesi tra gli interessi giustapposti (Corte Cost., n. 177/2021). La medesima giurisprudenza della Corte ricorda che: “Una normativa regionale, che non rispetti la riserva di procedimento amministrativo e, dunque, non consenta di operare un bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla specificità dei luoghi, impedisce la migliore valutazione di tutti gli interessi pubblici implicati e, di riflesso, viola il principio, conforme alla normativa dell’Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex multis, sentenza n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011)” (Corte Cost., n. 177/2021, cit.).

Attorno alle aree inidonee si è consumata, invero, una forte contrapposizione tra Stato e Regioni, tanto da rendere necessario l’intervento del legislatore, che ha tentato di superare il dualismo istituzionale, con nuove disposizioni normative, volte a garantire la maggiore diffusione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, per raggiungere gli obiettivi europei e nazionali (Direttiva 2018/2001/UE e Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, in sigla PNIEC).

Il riferimento è oggi l’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, che supera il § 17 e l’Allegato III delle linee guida con una disciplina del tutto nuova e sostitutiva (in tal senso, Cons. St., sez. IV, n. 2464/2022, cit.). La norma indicata è stata oggetto di modifiche, non solo in forza del D.L. n. 17/2002, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 34/2022, ma anche dall’art. 6, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), del D.L. 17 maggio 2022, n. 50, in corso di conversione in legge.

Innanzitutto, sembra cambiare la prospettiva, trattandosi ora di individuare – in positivo – le aree idonee, anziché – in negativo – le aree non idonee.

Vengono rimessi ad uno o più decreti del Ministro della transizione ecologica di concerto con il Ministro della cultura ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata, i principi ed i criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee[8].

Ciò non significa sia radicalmente impedito individuare aree inidonee, che lo stesso art. 20 nomina; ma rileva che vengano individuate superfici ed aree idonee in misura sufficiente ad allocare gli impianti a fonte rinnovabile per una potenza di produzione d’energia elettrica pari a quella necessaria per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili.

Appare, quindi, di assoluta evidenza come il legislatore si prefigga l’obiettivo dell’individuazione delle aree idonee, in misura tale da consentire la realizzazione degli impianti, dovendosi raggiungere gli obiettivi di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, siccome stabiliti dalla disciplina europea e nazionale.

Inoltre, le aree non comprese entro quelle idonee non possono essere dichiarate non idonee in forza della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee. Ciò conferma che le aree non comprese tra quelle idonee possono essere qualificate come inidonee, ma non per esclusione, semmai attraverso un procedimento di individuazione e previa opportuna istruttoria e motivazione.

Nelle more dell’individuazione delle aree idonee (i regolamenti avrebbero dovuto essere assunti entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 199/2021, ossia dal 15 dicembre 2021, termine oramai decorso), da un lato, non possono essere disposte moratorie o sospensioni dei termini dei procedimenti autorizzatori, dall’altro, l’art. 20, comma 8, introduce aree idonee ex lege.

Tra le aree idonee per legge rientrano, ad esempio: i siti oggetto di bonifica ambientale ai sensi del Titolo V, Parte IV, del D.Lgs. n. 152/2006; le cave e le miniere esaurite, non recuperate o abbandonate o in condizioni di degrado ambientale; i siti e le infrastrutture ferroviarie e delle società concessionarie autostradali. Fattispecie di idoneità, per così dire, speciali valgono per gli impianti fotovoltaici – anche con moduli a terra – in particolare sulle seguenti aree, ove non soggette ai vincoli della Parte II del D.Lgs. n. 42/2004: (i) le aree classificate agricole, comprese entro un perimetro, i cui punti distino non più di 300 m. dalle zone industriali, artigianali e commerciali, compresi i siti di interesse nazionale, le cave e le miniere; (ii) le aree interne agli impianti o agli stabilimenti industriali, nonché le aree agricole comprese entro un perimetro, i cui punti distino non più di 300 m. dal medesimo impianto o stabilimento. Appare evidente lo scopo di avvicinare gli impianti fotovoltaici alle aree, su cui sono insediate le attività maggiormente energivore.

Si è quindi transitati dal sistema, dato dall’art. 12, comma 10, del D.Lgs. n. 387/2003, dal § 17 e dall’Allegato III delle linee guida nazionale, in base al quale erano le Regioni (e le Province autonome) con “propri provvedimenti” a dover individuare le aree non idonee, pur se sulla base dei principi statali, al sistema vigente, dato dall’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, che si basa sull’individuazione delle aree idonee, all’espresso fine di consentire la realizzazione degli impianti a fonte rinnovabili per raggiungere la potenza complessiva richiesta dalle disposizioni normative eurounitarie e statali. L’individuazione delle aree idonee spetta ancora alle Regioni, che debbono però provvedere con legge regionale, nel rispetto dei criteri indicati dai decreti assunti ai sensi dell’art. 20, comma 1.

Come visto, quindi, si tratta di un approccio affatto diverso rispetto al sistema previgente, finalizzato a superare i contrasti tra Stato e Regioni, per giungere al più volte ricordato obiettivo. Non resta che vedere il nuovo sistema alla prova dei fatti.

3.2. Un cenno merita anche l’art. 26 del D.Lgs. n. 199/2021. La norma dispone l’obbligo, per i progetti di nuova costruzione e di ristrutturazione “rilevante” degli edifici esistenti, l’obbligo – entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 199/2021 (termine oggi scaduto ed obbligo quindi efficace) – di utilizzare fonti rinnovabili per la copertura del fabbisogno di calore, elettricità e raffrescamento, secondo i principi minimi di integrazione di cui all’Allegato III del D.Lgs. n. 199/2021. Ferma restando l’acquisizione dei pareri o degli atti di assenso nel caso di vincoli, sono previste delle eccezioni, connesse all’incompatibilità degli impianti rispetto ai vincoli di cui alla Parte II ed all’art. 136, comma 1, lett. b) e c), del D.Lgs. n. 42/2004.

Ma se i pareri siano favorevoli e se non ricorrano le eccezioni anzi dette, l’obbligo sussiste appieno e la sua inosservanza comporta il diniego del rilascio del titolo edilizio.

Si tratta, dunque, di una disposizione, che impatta sul D.P.R. n. 380/2001, anche se non costituisce una novità, posto che simile obbligo era presente nell’ordinamento in base all’art. 11 del D.Lgs. n. 28/2011, norma abrogata dall’art. 26, comma 11, del D.Lgs. n. 199/2021.

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4. Semplificazione amministrativa, proporzionalità, promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione: conclusioni di sintesi.

4.1. In rubrica sono indicati i principi europei e nazionali, che dovrebbero informare lo sviluppo degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Non pare che, sotto il profilo autorizzatorio, il sistema sia effettivamente semplice. Lo era all’inizio, posto che l’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 prevedeva due soli titoli, ossia l’autorizzazione unica e la denuncia di inizio attività, per gli impianti aventi la potenza indicata nella Tabella A.

Oggi non più, posto che nel tempo si è avuta una vera e propria gemmazione di titoli autorizzativi: è vero che gli obiettivi di parziale decarbonizzazione al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050 hanno impresso un’accelerazione alla realizzazione degli impianti alimentati con fonti rinnovabili, ma non pare che il percorso di semplificazione sia stato compiuto; anzi, il sistema è troppo complesso.

Forse la vera semplificazione non si raggiunge moltiplicando i titoli, agendo quindi sul procedimento, quanto, piuttosto, cercando di semplificare le disposizioni sostanziali. Ad esempio, le norma sulla verifica di assoggettabilità a VIA forse merita di essere ripensata ed attagliata quanto meno agli impianti di produzione di energia elettrica non termici, in particolare di tipo fotovoltaico, i quali sono pur sempre impianti temporanei, tanto che – a fine vita – se ne prevede la riduzione in pristino, assistita da congrue garanzie.

4.2. Sotto il profilo dell’incentivazione e della sua tendenziale stabilità nel tempo, parimenti, non si può dire che il nostro ordinamento si sia distinto per il rispetto di detto principio; si pensi non tanto al fisiologico decremento dell’incentivazione, quanto agli interventi di forzosa riduzione o rimodulazione della tariffa incentivante in forza del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito in L. n. 166/2014 (c.d. “Decreto spalma incentivi”, invero salvato sia dalla Corte Costituzionale con la sentenza 24 gennaio 2017, n. 16, sia dalla Corte di Giustizia U.E. con la sentenza 15 aprile 2021, nella cause riunite C-798/18 e C-799/18, sia da taluni lodi di arbitrati internazionali[9]) e, forse ancor più, ai numerosi provvedimenti di decadenza dalla tariffa incentivante, disposti dal Gestore dei Servizi Elettrici, sovente in relazione a tariffe incentivanti riconosciute molti anni prima.

Con riferimento all’ultimo dei profili ricordati, giova osservare come l’art. 42 del D.Lgs. n. 28/2011 sia stato significativamente modificato dal D.L. n. 76/2020, convertito in L. n. 120/2020. In particolare, da un lato, rispetto al provvedimento di decadenza degli incentivi per violazioni rilevanti, vi è stata l’estensione dei presupposti di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, ossia delle condizioni dell’annullamento d’ufficio, dall’altro, per gli impianti in esercizio che percepiscono incentivi, non è possibile assumere il provvedimento di decadenza totale della tariffa incentivante, ma solo la sua riduzione in misura compresa tra il 10% ed il 50%. Ciò all’evidente fine di salvaguardare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

4.3. Dal punto di vista del procedimento, si sente la necessità di una effettiva semplificazione, che dipani la complessa stratificazione oggi vigente.

La nota positiva è però il cambio radicale di prospettiva: si transita dal concetto di aree inidonee al concetto di aree idonee; la preoccupazione non dev’essere quella di vietare la realizzazione degli impianti o di limitarli in relazione a determinate aree, ma quella di rinvenire aree idonee ad ospitare gli impianti fino al raggiungimento degli obiettivi europei e nazionali.

Da questo bisogna partire.

Alessandro Veronese

*Il testo riprende e sviluppa l’intervento tenuto al XXXII Convegno annuale dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti di Cortina d’Ampezzo dal titolo “Ambiente, Energia,  Paesaggio, Impresa. Amministrazioni, privati e giudice amministrativo di fronte alla sfida della transizione energetica”.

 

[1] Per una esaustiva trattazione in tema di misure di compensative, ricca di richiami dottrinali e giurisprudenziali, si veda: A. Paire, Fonti rinnovabili e compensazioni ambientali, ultimo atto: la Consulta “salva” la sanatoria del 2018. Spunti per una ricostruzione (critica) del sistema, in Federalismi.it, 9/2021. Sia consentito anche il rinvio a A. Veronese, Gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili tra misure di compensazione tipiche ed atipiche, in Riv. giur. ambiente, I, 2011, p. 81 ss.-

[2] Corte Costituzionale, 26 marzo 2010, n. 119.

[3] Al contrario, vige il principio di massima diffusione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 13.5.2022, n. 121; 16.7.2014, n. 199) ed amministrativa (Cons. St., sez. IV, 12.4.2021, n. 2983).

[4] Corte Cost., 13.5.2022, n. 121; Corte Cost., 30.7.2021, n. 177.

[5] In Regione Veneto è in corso di approvazione il progetto di legge n. 97, recante: “Norme per la disciplina per la realizzazione di impianti fotovoltaici con moduli ubicati a terra”. Il testo è già stato licenziato dalla seconda Commissione consiliare in sede referente ed è all’esame del Consiglio. Tra le novità più rilevanti vi sono: (i) i criteri di presuntiva non idoneità delle aree; (ii) i parametri di valutazione delle istanze per l’insediamento degli impianti fotovoltaici di potenza uguale o superiore a 1 MW in zona agricola, secondo cui nessun limite sussiste per: (a) gli impianti agrovoltaici, mentre sono autorizzabili (b) gli impianti con moduli fotovoltaici a terra solo nel caso in cui sia rispettato il “regime di asservimento”, ossia costituito un vincolo pertinenziale, da trascrivere nei registri immobiliari della durata almeno pari alla durata dell’impianto, su aree agricole aventi un’estensione pari a venti volte la superficie occupata dall’impianto fotovoltaico.

[6] Cons. St., sez. IV, 1.6.2020, n. 3405; Cons. St., sez. VI, 30.5.2018, n. 3249; T.A.R. Veneto, sez. II, 17.2.2021, n. 235; id., 12.12.2018, n. 1166.

[7] Nel sito del MITE sono state pubblicate nel giugno del 2022 le “Linee Guida in materia di Impianti Agrivoltaici”.

[8] Detti decreti debbono essere muniti dei contenuti dati dallo stesso art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, sì che si possa raggiungere la sintesi tra minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale, sul paesaggio, fermo restando l’obiettivo del 2030 e tenendo conto della sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento dell’obiettivo.

[9] Si veda l’arbitrato internazionale SunreserveLuxco Holdings S.A.R.L. v. Italy (SCC case no. 132/2016), instaurato avanti l’Arbitration Institute of the Stockholm Chamber of Commerce.

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