Le Sezioni Unite Civili, con ordinanza n. 2488 del 24 giugno 2020, hanno recentemente affrontato il tema – come vedremo problematico – della soggettività giuridica degli enti esponenziali delle collettività.
La problematicità della questione non risiede, in realtà, nel suo inquadramento legislativo.
Infatti, sotto il profilo del diritto positivo, la conclusione a cui approda la Corte di Cassazione, riconoscendo la personalità di diritto privato a tali enti e la loro piena autonomia statutaria, è del tutto coerente con il dato normativo.
Quanto all’autonomia statutaria già la L. n. 97 del 1994 (legge-quadro «per la montagna»), al primo comma dell’art. 3, aveva parlato espressamente di «autonomia statutaria» e nella medesima direzione si è orientato il legislatore statale nel 2017, nell’ambito dell’ultimo intervento normativa in materia. L’art. 1, comma 2, della L. n. 168 del 2017 (concernente “Norme in materia di domini collettivi”) dispone ancor più esplicitamente che “Gli enti esponenziali delle collettività titolari dei diritti di uso civico e della proprietà collettiva hanno personalità giuridica di diritto privato ed autonomia statutaria”.
Anche la disciplina regionale di settore individua nella potestà statutaria l’espressione più significativa della dimensione autonoma e peculiare riconosciuta alle proprietà collettive nel contesto dell’ordinamento giuridico italiano.
L’articolo 4 della L.R. n. 26 del 1996 fissa in modo inequivoco la capacità delle Regole di autodisciplinarsi, id est di darsi da sé la propria organizzazione, quasi per mezzo di un processo di «autolegislazione». Ne deriva che, a norma del primo comma dell’art. 4, le Regole sono rette da tre tipologie di norme proprie: le norme statutarie, quelle fissate dal laudo e quelle consolidatesi in via consuetudinaria. In buona sostanza, l’autonomia regoliera si esplicita sia sulla base del «diritto antico», costituito dalle disposizioni derivanti dai laudi originari e dalle secolari consuetudini, sia sulla base delle norme moderne introdotte dagli statuti recenti (elaborati, per le Regole da ricostituire, ai sensi del precedente art. 3), le quali, come si evince indirettamente dall’art. 13.1, possono trovare esecuzione anche in virtù di normazioni successive di natura regolamentare.
È peraltro opportuno ricordare che sulla permanente vigenza delle norme consuetudinarie si era espressa anche la Corte Costituzionale con ordinanza n. 917 del 26 luglio 1988 (1), in cui si legge testualmente che «le comunioni familiari sono disciplinate anche dalle consuetudini».
Invece, molto più spinoso – in linea generale e, per così dire, “di sistema” – si rivela il riconoscimento legislativo di una personalità giuridica privata alle istituzioni regoliere. Se da un punto di vista puramente formale appare schiacciante l’evidenza assorbente delle predette disposizioni normative non vanno sottaciute le notevoli perplessità che questo approdo suscita dal punto di vista sostanziale.
Qualsiasi seria disamina storica del fenomeno delle proprietà collettive porta ad appurare con certezza l’estraneità al mondo regoliero del concetto di persona giuridica (2).
Ab antiquo il regoliere veniva considerato proprietario dei beni, cosicché l’assemblea si limitava alla gestione degli stessi secondo le modalità stabilite dal laudo. In altre parole, non vi era necessita di “costruire” una soggettività terza quale centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive attive e passive.
Sotto certi aspetti, il riconoscimento della personalità giuridica, nonostante i notevoli vantaggi che comporta nei rapporti con i terzi, potrebbe legittimare il sospetto che sia la stessa persona giuridica titolare diretta dei beni regolieri, risolvendo il concetto di proprietà collettiva in quello di proprietà individuale.
I dubbi erano (e, in parte, sono) tra l’altro rafforzati – quantomeno dal punto di vista letterale – dal tenore della stessa legge regionale n. 26 del 1996 che, con riguardo al patrimonio regoliero, non esita a definire le Comunioni familiari come «proprietarie» (cfr. il secondo comma del- l’art. 1 della legge cit.) L’affermazione sembrerebbe vieppiù avvalorata dal rilievo che anche gli artt 5, 6, 8, e 10 della legge dispongono in ordine al «patrimonio antico della Regola».
A fronte di questa possibile devianza interpretativa, è necessario ricorrere al consolidato canone ermeneutico secondo cui, in caso di possibili letture alternative delle norme, va sempre privilegiata quella conforme a Costituzione.
Solo in tal modo, l’ipotesi che il Legislatore regionale fosse incorso nell’errore patente di considerare l’istituzione come “proprietaria”, e non già le cellule soggettive che la costituiscono, può essere adeguatamente riconsiderata.
Se la legge regionale avesse inteso trasferire la proprietà in capo alle Regole tout court ne risulterebbe palese il contrasto con l’art. 42 della Carta Costituzionale, senza dire della conclamata assenza di potestà legislativa regionale in materia di «diritto privato» (3).
Tuttavia, il testo della legislazione di riferimento mancava di enunciazioni esplicite e puntuali: la stessa L. n. 97/94, all’art. 3, confermava che si tratta di «beni agro-silvo-pastorali in proprietà collettiva», adombrando un rinvio (soltanto) implicito alle nozioni categoriali elaborate al riguardo.
Ora, la legge n. 168 del 2017 ha introdotto – in una con la definitiva riaffermazione della personalità giuridica privata delle proprietà collettive – un dettato specifico di maggiore precisione, attribuendo alle Regole la “capacità di gestione del patrimonio naturale, economico e culturale, che fa capo alla base territoriale della proprietà collettiva, considerato come comproprietà inter-generazionale” (cfr. art.1.1, lett. c) della legge).
Alla luce di questa recente statuizione, è agevole arguire che la speciale legislazione di materia inquadra il riconoscimento della personalità giuridica come un elemento di mediazione tra la collettività regoliera e l’ordinamento, senza per questo trasferire alcun diritto dominicale in capo all’Ente, che si delinea come un semplice amministratore del patrimonio.
Per tali ragioni è corretto riferire la disciplina dominicale dettato al riguardo non tanto all’Ente, quale soggetto in posizione di terzietà rispetto ai regolieri, ma alla somma dei regolieri proprietari. Ed infatti, anche la normativa regionale veneta che – come detto – potrebbe prestarsi ad ambiguità interpretative definisce la Regola quale «Comunità dei fuochi famiglie» (si veda l’art. 1 delle L.R. n. 26 cit.), intesa non come terzo distinto rispetto ai consorti ma come rappresentante organizzato – e, per così dire, «sintetico» – degli stessi.
D’altro canto, il Consiglio di Stato, con la decisione del 22 gennaio 1964, n. 10, pronunciata dalla Sezione VI (4), aveva ben chiarito che la proprietà non spetta alla Regola ma ai soggetti che essa rappresenta in quanto espressione del vincolo di solidarietà di cui i regolieri sono le partes.
Ed è significativo che un tale pronuncia sia stata resa dal Giudice Amministrativo in vigenza del D.Lgs. n. 1104 del 1948 che – in maniera altrettanto (potenzialmente) equivoca – all’art. 3, primo comma – menzionava «l’amministrazione dei beni silvo-pastorali delle Regole…» e al medesimo comma dell’art. 4 citava «la mappa dei beni della Regola…».
Va da sé che, oramai, il riconoscimento della personalità giuridica è un dato acquisito: di esso va apprezzata la natura privata che costituisce un valido baluardo dell’autonomia gestionale a lungo agognata dal mondo delle proprietà collettive, anche come difesa da pervasivi controlli pubblici e nel contempo come volano ottimale della loro libertà di azione.
Tuttavia, non deve sfuggire quanto sottolineano le Sezioni Unite circa l’assoluta peculiarità delle proprietà collettive, le quali integrano un vero e proprio “terzo ordinamento civile della proprietà”, non riducibile pertanto entro le consuete categorie qualificatorie basate sulla summa diviso tra proprietà pubblica e proprietà privata e- di conseguenza – tra enti pubblici e enti privati.
Enrico Gaz
* Recita la massima: “Ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 20 novembre 2017, n. 168 (contenente “Norme in materia di domini collettivi”, entrata in vigore il 13 dicembre 2017 e, quindi, ratione temporis applicabile nel caso di specie), agli enti esponenziali delle collettività titolari di uso civico e della proprietà collettiva è riconosciuta personalità giuridica di diritto privato nonché autonomia statutaria, così rimanendo superata al riguardo ogni disposizione normativa previgente (da considerarsi, perciò, abrogata). L’espressa qualificazione normativa rinvenibile nell’indicato art. 1, comma 2, della legge n. 168/2017 (con la quale è stata regolamentata – come ritenuto in dottrina – un terzo ordinamento civile della proprietà, ovvero quello della c.d. proprietà collettiva) comporta, quindi, che a detti enti (tra i quali si include l’odierna ricorrente) debba essere conferito il carattere giuridico di associazione privata”.
1) Reperibile in Foro. It. 1988,1, 3166.
2) Ex plurimis si veda la voce «allodio», curata da G. ASTUTI, in Grande dizionario enciclopedico, Torino, UTET, 1954, vol. I, pp. 390-391.
3) Sul punto, cfr. E. GAZ, La soggettività giuridica delle istituzioni regoliere (nota al primo decreto regionale di riconoscimento di personalità giuridica privata ad una Regola) in Rivista Amministrativa della Regione Veneto, n. 4, anno V, ottobre-dicembre 1998, pag. 294.
4) In termini vedi E. ROMAGNOLI – C. TREBESCHI, Comunioni familiari montane, I, 1975, p. 14.