SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’istruttoria a fondamento delle ordinanze sindacali ed il fenomeno della ludopatia come “fatto notorio”. – 3. L’esigenza di una programmazione quanto meno regionale.
1. PREMESSA
Con la sentenza in oggetto, il TAR Veneto è tornato a pronunciarsi su un tema che ultimamente è stato più volte portato all’attenzione dei Giudici Amministrativi, tanto di primo grado quanto d’appello: vale a dire quello della legittimità delle ordinanze sindacali volte a disciplinare (rectius, a limitare) gli orari di funzionamento degli apparecchi da gioco lecito e quelli di apertura/chiusura degli esercizi commerciali ove le cd slot machine siano installate, al fine di combattere il fenomeno della ludopatia, ossia del cd G.A.P. (gioco d’azzardo patologico).
È noto che la diffusione, negli ultimi anni, dei casi di ludopatia, in particolare tra giovani ed anziani ha indotto il Ministero della Salute a considerarlo non solo un fenomeno sociale, ma una vera e propria malattia. Così il DL 158/2012, convertito con modificazioni dalla L 189/2012 (cd “Decreto Balduzzi”), ha inserito la ludopatia nei livelli essenziali di assistenza (cd “LEA”) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da questa patologia.
Orbene, a tale politica legislativa si è accompagnata la frequente adozione da parte dei Sindaci delle specifiche ordinanze al fine di disciplinare (nel senso di ridurre) gli orari di funzionamento degli apparecchi da gioco lecito e quelli di apertura degli esercizi dove tali apparecchi siano installati; ordinanze che ovviamente, incidendo pesantemente sull’attività degli esercenti, sono state più volte oggetto di impugnazione e dunque di scrutinio da parte dei Giudici Amministrativi.
2. L’ISTRUTTORIA A FONDAMENTO DELLE ORDINANZE SINDACALI ED IL FENOMENO DELLA LUDOPATIA COME “FATTO NOTORIO”
2.1 Posto che è oramai pacifica in giurisprudenza l’ammissibilità di tali ordinanze e la competenza del Sindaco ad emanarle[1], l’elemento che rappresenta sempre di più la “cartina tornasole” per valutarne la legittimità è l’istruttoria che le precede ed in particolare la rispondenza di tali ordinanze alle specifiche esigenze della comunità di riferimento, nonché la proporzionalità di tali provvedimenti al fenomeno della ludopatia nello specifico contesto sociale in cui sono chiamati a produrre effetti.
È infatti evidente che se la finalità cui tende una determinazione così pesantemente limitativa dell’autonomia imprenditoriale privata – qual è la è riduzione degli orari di un esercizio commerciale – è quella di scongiurare un fenomeno socio – patologico come la ludopatia, un siffatto provvedimento, per poter essere ritenuto legittimo, deve necessariamente essere preceduto da una accurata e puntuale analisi che dia conto della sussistenza e dell’incidenza di tale fenomeno nel territorio comunale ove l’atto è destinato ad esplicare i propri effetti.
Ed è proprio sotto tale profilo che colpisce la sentenza del TAR Veneto che, rigettando il ricorso proposto da una società titolare di una sala giochi contro l’ordinanza sindacale di riduzione degli orari di esercizio delle medesime sale e di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro[2], ha statuito che “nell’attuale momento storico la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della società civile costituisce un fatto notorio o, comunque, una nozione di fatto di comune esperienza”[3]; tale dunque, sembrerebbe, da esimere il Giudice dall’indagare se il Comune abbia puntualmente dimostrato e valutato l’incidenza del fenomeno nel contesto comunale interessato dall’ordinanza[4].
Un tale orientamento, se si dovesse radicare nei vari Tribunali Amministrativi Regionali, mostra un certo grado di pericolosità, dal momento che legittimerebbe l’emanazione di ordinanze di riduzione degli orari di apertura di esercizi commerciali, quali sono le sale giochi, e di funzionamento degli apparecchi da gioco lecito del tutto sganciate rispetto alle realtà territoriali su cui vanno ad incidere e dunque all’incidenza del fenomeno della ludopatia in quelle medesime realtà.
In altre parole, il rischio è quello di legittimare il proliferare di “ordinanze – fotocopia” emanate dai Sindaci dei diversi Comuni d’Italia, più per ragioni “politiche” che per la reale e concreta esigenza di contrastare un fenomeno patologico esistente nel proprio territorio comunale.
Sotto tale profilo, dunque, appare più garantista l’orientamento assunto da altri TAR, ed in particolare dal TAR Toscana e dal TAR Molise, che hanno recentemente accolto diversi ricorsi dei gestori di sale dedicate ai giochi leciti avverso le rispettive ordinanze comunali proprio in quanto il potere di limitazione degli orari non risultava assistito da “precisi studi scientifici relativi all’ambito territoriale di riferimento”[5].
In tal modo, lungi dal considerare quella della ludopatia una “nozione di fatto di comune esperienza” che non abbisogna di alcuna prova, quest’ultima giurisprudenza richiede, più ragionevolmente, che tali ordinanze siano precedute da una precisa istruttoria che affronti, “non già la questione nella sua generica definizione sociale”, ma che dimostri l’incidenza del fenomeno che si intende contrastare (il gioco d’azzardo patologico) sul territorio comunale in cui le medesime ordinanze sono destinate a produrre effetto.
Ciò che, dunque, anche i Giudici dovranno considerare ogni qual volta siano chiamati a valutare la legittimità di tali provvedimenti.
2.2 L’esigenza di una puntuale istruttoria che dimostri la reale incidenza nel Comune interessato dall’ordinanza sindacale del fenomeno della ludopatia e dunque la necessità di non valutare quest’ultima come un dogmatico “fatto notorio”, appaiono ancora più evidenti considerando le gravissime ripercussioni ed i pesantissimi effetti che la limitazione degli orari hanno sull’attività imprenditoriale degli esercizi colpiti da tale ordinanza, che si vedono infatti spesso ridurre l’orario di esercizio di oltre il 50%, soprattutto nelle fasce orario di maggiore affluenza.
Sotto tale profilo, la medesima giurisprudenza del TAR Toscana ha censurato il “sostanziale unilateralismo” delle ordinanze di tale tipologia che non operino un reale bilanciamento tra i due contrapposti interessi coinvolti (l’esigenza di prevenzione della ludopatia e la tutela della libertà di iniziativa economica privata)[6].
In ragione di ciò, di sicuro rilievo può essere il coinvolgimento dei principali destinatari dell’ordinanza sindacale, vale a dire i gestori delle sale gioco regolarmente autorizzate giacché, in sede istruttoria, costoro potranno fornire all’Amministrazione un rilevante contributo al fine di addivenire all’adozione di provvedimenti idonei a realizzare un equo contemperamento dei contrapposti interessi, senza invece penalizzare ingiustamente ed indiscriminatamente i titolari degli esercizi in cui sono collocati gli apparecchi da gioco lecito.
3. L’ESIGENZA DI UNA PROGRAMMAZIONE QUANTO MENO REGIONALE
Da ultimo ci si deve peraltro realisticamente chiedere se queste ordinanze sindacali, quand’anche formalmente ineccepibili, servano realmente e cioè se siano concretamente idonee a raggiungere lo scopo a cui sono destinate, vale a dire il controllo e, auspicabilmente, la riduzione di un fenomeno patologico qual è la ludopatia.
La domanda ha ragione di porsi soprattutto se si considera che molte volte i Comuni limitrofi a quello in cui viene emanata un’ordinanza che impone una riduzione degli orari di funzionamento degli apparecchi da gioco non adottano a loro volta simili ordinanze, oppure le adottano prevedendo orari differenti o addirittura complementari.
Con la conseguenza che i giocatori “patologici” del Comune interessato dalla riduzione d’orario potranno agevolmente spostarsi nei Comuni limitrofi per “coprire gli orari” di chiusura e/o di mancato funzionamento degli apparecchi da gioco imposti nel loro Comune.
Alla luce di ciò, dunque, tali ordinanze rischiano solo di ledere pesantemente gli interessi ed i diritti dei soggetti che svolgono le attività di esercizio del gioco lecito; senza tuttavia contribuire utilmente al contrasto del fenomeno della ludopatia e, al contrario, incentivando la diffusione di flussi di giocatori da un Comune ad un altro.
In ragione di ciò, se quello della ludopatia è avvertito come un fenomeno da controllare, se non addirittura da contrastare, tale obiettivo non sembra efficacemente perseguito a livello di ogni singolo Comune, ma dovrebbe presupporre una valutazione ed una programmazione quanto meno a livello regionale, così da dettare una disciplina omogenea per l’intero territorio della Regione.
Programmazione, questa, che dovrebbe ragionevolmente coinvolgere, oltre che le Ulss ed i Comuni interessati, anche i rappresentanti degli esercenti le attività di gioco lecito; così da rendere la ludopatia non un “fatto notorio”, ma un fenomeno monitorabile e gestibile.
Ambrogio Dal Bianco
[1] Anche se si potrebbe dubitare della competenza del Sindaco, dal momento che l’art. 50, comma VII, del Dlgs 267/2000, sul quale esse si fondano, consente al Sindaco di coordinare e di riorganizzare, sulla base degli indirizzi espressi dal Consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla Regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle Amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l’espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti. Sul punto, diverse sono le sentenze dei Giudici Amministrativi che hanno ritenuto viziate sotto i profili dell’eccesso di potere e dell’incompetenza tali ordinanze, statuendo la “sostanziale impossibilità di riportare alla materia degli ‘orari delle attività commerciali’ una disciplina limitativa che non ha niente a che fare con l’apertura dell’esercizio commerciale, attenendo, in realtà, all’impossibilità di vendere un determinato bene in determinate fasce orarie ed in determinate circostanze” (così TAR Toscana, II, 07/03/2013, 388).
Il TAR Brescia ha, per esempio, affermato una vera e propria incompetenza del Sindaco ad adottare tali ordinanze, evidenziando in proposito che “sul piano costituzionale sono legittime le limitazioni all’attività delle sale giochi motivate da ragioni di pubblica sicurezza, ma in questa materia le funzioni sono attribuite alle autorità statali e non ammettono duplicazione a livello comunale. Sono poi ammissibili altre limitazioni, parimenti richiamate nell’art. 41 Cost., che tutelano profili di utilità sociale. Queste ultime limitazioni (come precisato nel comma 3 dell’art. 41 Cost.) devono trovare un fondamento legislativo: alle singole Amministrazioni locali non è consentito di impostare una propria autonoma politica di contenimento o allontanamento delle attività imprenditoriali collegate al gioco”. Invero “un fondamento legislativo non può essere individuato nella norma sul potere di regolazione degli orari delle attività commerciali e degli esercizi pubblici (v. art. 50 comma 7 del Dlgs. 18 agosto 2000 n. 267), perché manca nella legge nazionale un riconoscimento espresso della possibilità di estendere il suddetto potere alla sfera della pubblica sicurezza e a quella sanitaria. Per quanto riguarda specificamente quest’ultima si deve quindi escludere che lo strumento della regolazione degli orari possa essere utilizzato dai comuni per prevenire e combattere la ludopatia attraverso la limitazione delle occasioni di gioco” (così TAR Lombardia – Brescia, II, 09/10/2012, 1673).
Così come dubbi si potrebbero porre con riguardo alla stessa ammissibilità di tali tipologie di ordinanze dal momento che il cd Decreto Balduzzi disciplina nel dettaglio le “misure di prevenzione per contrastare la ludopatia”, senza tuttavia prevedere un provvedimento sindacale di riduzione degli orari. Sono infatti previsti il divieto di messaggi pubblicitari concernenti il gioco con vincite in denaro nel corso di trasmissioni televisive o radiofoniche e di rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte ai minori, nonché sulla stampa; l’inserimento sulle schedine o sui tagliandi dei giochi di “formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro, nonché le relative probabilità di vincita”; la valorizzazione nelle scuole del tema del gioco responsabile; il divieto di accesso ai minore degli anni 18 nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro interne alle sale bingo, nonché nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati i videoterminali; la predisposizione da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, di intesa con la S.I.A.E., la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri ed il Corpo della Guardia di Finanza, su base annuale di almeno diecimila controlli, specificamente destinati al contrasto del gioco minorile, nei confronti degli esercizi presso i quali sono installati gli apparecchi da gioco lecito; la pianificazione, da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, di forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco che risultano territorialmente prossimi a istituti scolastici primari e secondari, strutture sanitarie ed ospedaliere e luoghi di culto.
[2] Prima dell’impugnata ordinanza sindacale, la società ricorrente fruiva di un orario di apertura illimitato (h 24), mentre la rimodulazione operata dal Sindaco prevedeva un orario di apertura al pubblico dalle 8.00 alle 22.00 di tutti i giorni.
[3] Nello stesso senso è anche TAR Veneto, III, 26/01/2017, 128
[4] Si ricordi che ai sensi dell’art. 115, II comma, c.p.c. “il giudice può, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.
[5] In particolare, il TAR Toscana, II sezione, con la recentissima sentenza n. 806 del 12/06/2017 ha annullato l’ordinanza in quella sede impugnata, “assistita da una relazione dell’A.U.S.L. 9 di Grosseto”, in quanto “mancano del tutto i precisi studi scientifici necessari per poter procedere all’emanazione della disciplina restrittiva degli orari degli esercizi di gioco” e rilevando che “i pochi dati presenti nella detta relazione si riferiscono all’intera Provincia di Grosseto e non al territorio comunale e sono pertanto da ritenersi non utilizzabili, non apparendo focalizzati sul territorio del Comune che ha emanato l’ordinanza di regolamentazione degli orari degli esercizi in gioco”.
Nello stesso senso è il TAR Molise che, con la sentenza della I sezione, n. 155 del 28/04/2017, ha precisato che “in assenza di un’apposita istruttoria che provi, ad esempio, l’insufficienza delle misure preventive e terapeutiche poste in essere dalle strutture sanitarie pubbliche rispetto a fenomeni di co-dipendenza psicologica ovvero metta in luce altre fenomenologie di contesto, il provvedimento contingibile e urgente difetta degli elementi di fatto e motivazionali che giustifichino l’intervento “extra ordinem” dell’autorità comunale”.
“Se è vero che la decisione della Corte costituzionale del 2014 (sentenza n.220 del 2014) ha considerato pienamente legittimo l’utilizzo in questo campo dei poteri di ordinanza ex art. 50, comma 7, del T.u.e.l. per esigenze di tutela della salute”, prosegue il TAR, “nondimeno i provvedimenti comunali di contrasto della ludopatia (benché ancorati a disposizioni di legge regionale), devono riguardare aspetti specifici della comunità locale amministrata, non già la questione nella sua generica definizione sociale”.
Pertanto, “in tale quadro, le limitazioni di orario all’attività degli esercizi commerciali troverebbero giustificazione, anche alla luce del dettato costituzionale e della normativa comunitaria sulla libertà dell’iniziativa economica, in esigenze concrete – da dimostrare volta per volta – di prevenire, almeno per un periodo di tempo limitato (stante la natura provvisoria e contingente di tali misure) il fenomeno della ludopatia tra le fasce più deboli della popolazione, ad esempio, gli adolescenti, ovvero di contenere il fenomeno dell’evasione scolastica durante l’anno scolastico, ovvero ancora di regolare i problemi di traffico e viabilità dovuti all’afflusso notevole di utenza in prossimità dei locali di gioco-scommesse, e via dicendo. Tutto questo non può essere semplicemente affermato in via apodittica ma deve trovare riscontro nei dati che l’Amministrazione comunale può e deve acquisire, in via istruttoria, in sede procedimentale, prima di adottare un provvedimento di tal genere e di tale impatto”.
Ancora, il TAR Toscana, con la sentenza n. 1415 del 26/10/2015, poi confermata dalle successive sentenze della II Sezione, n. 396 del 17/03/2017 e n. 407 del 01/03/2017, richiamando un precedente orientamento giurisprudenziale, ha annullato le ordinanze impugnate evidenziando la necessità che le stesse fossero supportate da “approfondite indagini sulla realtà sociale della zona e sui quartieri limitrofi, con l’acquisizione di dati ed informazioni – il più possibile dettagliati ed aggiornati – su tendenze ed abitudini dei soggetti coinvolti (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 31 agosto 2012 n. 1484; T.A.R. Lazio, Latina, 16 settembre 2015, n. 616); a questo proposito, sono pertanto da ritenere insufficienti i generici riferimenti a <<non meglio specificati “studi clinici” in ordine alle dipendenze patologiche da gioco>> (T.A.R. Toscana, sez. II, 18 novembre 2011, n. 1784) o altri generici riferimenti”.
“Nel caso di specie”, prosegue il TAR Toscana, “l’intera istruttoria esperita dall’Amministrazione comunale di Massa si esaurisce, in buona sostanza, nella sola mail 25 febbraio 2015 proveniente dall’A.U.S.L. competente e in un generico parere favorevole del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, del tutto carente di motivazione; in particolare, la mail dell’A.U.S.L. 1 di Massa Carrara sopra richiamata opera un generico riferimento a studi epidemiologici di vari enti, operandone una mera trasposizione statistica alla Provincia di Massa Carrara, senza però mai evidenziare dati specifici relativi alla Città di Massa; sono poi riportati i dati relativi alle persone (circa un centinaio) in trattamento nella Provincia di Massa Carrara, senza evidenziare quale possa essere l’incidenza del fenomeno a livello comunale. In buona sostanza è pertanto mancata una seria valutazione dell’incidenza del fenomeno a livello cittadino, della gravità dello stesso sotto il profilo patologico, sociale ed economico e della diversa domanda di giochi (scommesse; videogiochi, ecc.) presente sul territorio”.
[6] Invero, “l’intervento dell’autorità in materia di apertura delle sale giochi deve contemplare un accurato bilanciamento tra valori ugualmente sensibili (il diritto alla salute e l’iniziativa economica privata), sulla scorta di approfondite indagini sulla realtà sociale della zona e sui quartieri limitrofi, con l’acquisizione di dati ed informazioni – il più possibile dettagliati ed aggiornati – su tendenze ed abitudini dei soggetti coinvolti” (TAR Toscana, II, 17/03/2017, 396; T.A.R. Lazio – Latina, I, 16/09/2015, 616; T.A.R. Lombardia – Brescia, II, 31/08/2012, 1484).
“Il sostanziale unilateralismo dell’atto impugnato”, rilevano i giudici amministrativi, “che considera solo le esigenze di prevenzione della ludopatia e la mancanza completa di una qualche considerazione degli interessi contrapposti appaiono poi ancora più rilevanti, in un contesto in cui l’importanza percentuale della riduzione oraria imposta agli esercenti (due terzi) e l’esiguo numero di ore rimaste a disposizione portano a ritenere concreto il pericolo che la disciplina limitativa possa risolversi nella pratica interdizione di un’attività che, al contrario, continua ad essere permessa dallo Stato” (TAR Firenze, II, 12/06/2017, 806; idem 01/03/201, 407).