Porgo anzitutto i saluti del Vescovo di Padova, Sua Ecc.za mons. Claudio Cipolla, riportando alcuni passaggi della lettera inviata alla famiglia il 18/02/2021, all’indomani della morte dell’avvocato Ivone Cacciavillani: Era una mente lucida e un acuto storico attento ai cambiamenti in atto, condividevo molte delle sue sensibilità. L’avvocato Ivone è stato uomo di grande fede oltre che di cultura e con grande spirito cristiano ha messo instancabilmente a servizio di diverse realtà ecclesiali le sue molteplici competenze e professionalità. Ricordiamo anche, tra i tanti, il suo impegno come Presidente dei Giuristi cattolici di Padova e come cultore di storia della Chiesa veneta. È stato un modello positivo per molti.
Nelle parole di mons. Cipolla è delineato anche il perimetro del mio intervento. Non è comunque semplice affrontare il tema della testimonianza di fede di una persona, perché la prima delle virtù teologali include una dimensione oggettiva (fides quae creditur) e una soggettiva (fides qua creditur) e il sottoscritto non ha una conoscenza così articolata dell’esperienza di Ivone da poter argomentare l’una e l’altra in modo accettabile. Fermerò la mia attenzione su un aspetto della sua testimonianza, a lui per altro molto caro: la laicità.
Nell’introduzione al volume Chiesa e territorio del 1991, che pubblicò per tenere vivo lo spirito del Convegno ecclesiale di Aquileia, voluto dalle Chiese del Triveneto nel 1990 per leggere e interpretare le domande del tempo presente e al quale aveva partecipato su richiesta dell’allora Vescovo di Padova, Mons. Antonio Mattiazzo, Ivone presentò il proprio contributo come squisitamente laico. E il termine -scrive- va inteso in duplice accezione: ad indicare oltre che lo status personale di chi scrive, anche l’angolo visuale sotto cui i problemi vengono esaminati: non teologico o dottrinale, ma prevalentemente -se non esclusivamente- organizzativo.
I libri da lui scritti, i pareri espressi sugli argomenti che gli venivano sottoposti, le cento battaglie sostenute rappresentano la sua partecipazione, da laico, alla vita della Chiesa. Non si pensava profeta né ambiva a riconoscimenti ecclesiali. L’unico suo desiderio era essere utile alla sua Chiesa, prevenendo la domanda: e tu cosa hai fatto perché le cose andassero meglio?
La laicità di cui si parla non è solo uno stato sociologico. Per Ivone è stata una vera e propria vocazione. Come ricorda Lumen Gentium 31: è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita.
Ivone ha incarnato lo spirito di questo testo, declinando la sua vocazione laicale tanto ad intra quanto ad extra, appassionandosi, da battezzato, alla vita della Chiesa e alle questioni legate alla presenza delle comunità cristiane nel territorio. Ha dato un contributo importante all’abbattimento di quel diffuso e capillare clericalismo che considera i problemi religiosi appannaggio di Vescovi e Presbiteri.
Se dovessi qualificare con un aggettivo la laicità di Ivone, direi: pensosa. Si tratta cioè di un esercizio di responsabilità che si esprime attraverso il pensiero ragionato, documentato, critico a volte ma sempre costruttivo. Mi sembra illuminante un episodio da lui stesso ricordato nel volume: la Chiesa oggi vista da un uomo di toga (credo del 2020), avvenuto il 7 febbraio 1957 (data della sua iscrizione all’Ordine degli avvocati di Venezia), quando sostenne l’esame di ammissione alla Lateranense di Roma per conseguire la laurea in utroque jure. Ecco le sue parole: una delle domande cadde sulla posizione giuridica del suddito nel rapporto del pubblico Potere. Precisai che non intendevo proprio parlare di suddito, potendosi ora solo parlare di cittadino e qui sorse una discussione (ovviamente sempre latine loquendo!) che coinvolse gli studenti dei banchi vicini, a loro volta in attesa d’esame. Sostenni ovviamente che il principio di parità apparteneva al diritto naturale e che la tesi del testo dell’Ottaviani, secondo cui, se in uno stato acattolico esiste un solo cattolico, la sua opinione deve far aggio su quella di tutti gli altri, essendo egli solo nella vera fede, era null’altro che una oscenità giuridica; al limite della blasfemia! Dopo la vivace discussione, il voto: triginta summa cum laude. Novità assoluta; nessuno l’aveva mai vista. Mi restò il crescente disagio: chissà quanti ‘teologi’ avranno studiato su quell’osceno testo, uscendo con simili idee bislacche!
La vivacità narrativa di questa pagina ci parla della parresia di un uomo credente per il quale l’assenso della ragione alle verità rivelate non escludeva l’uso della medesima, chiamata in causa nel processo di contestualizzazione dei principi e nella mai conclusa opera di discernimento che l’attività pastorale della Chiesa richiede. Credo che possano essere annoverati tra i suoi ‘maestri’ di vita e stile laicali Paolo di Tarso (si veda: San Paolo giurista, del 2013), appassionato ermeneuta della legge, e Vinicio dalla Vecchia, di cui era stato diretto successore nella Presidenza Diocesana della GIAC. Due testimoni tra loro molto lontani nel tempo ma a Ivone familiari per assidua e personale frequentazione. Del secondo fu depositario dei diari spirituali che consegnò al Postulatore della causa di beatificazione in corso nella Diocesi di Padova.
Mi sono chiesto donde abbia tratto la linfa per questa laicità pensosa e coraggiosa. A me pare di poter individuare nel circolo della FUCI di Padova, cui era iscritto, uno degli ambienti più significativi per la formazione di questa sensibilità. Fin dagli anni nei quali Montini fu assistente nazionale della Federazione, uno dei capisaldi della vita dei circoli fu la carità dell’intelligenza: anche l’attività del pensiero e della penna è un atto di carità. Implicita in questa frase c’è anche l’affermazione della libertà del pensatore credente, il cui esercizio non è subordinato al nihil obstat di un superiore ma alla sola consapevolezza di giovare al prossimo. Ivone fu ben lontano da ogni forma di vile ossequio nei confronti di chiunque, laico o chierico che fosse, non per sfida ma per onestà e, alla luce di quanto abbiamo detto, come espressione di carità.
Circolavano tra gli universitari padovani del dopoguerra alcuni scritti di Evangelista Groppo (ucciso il 27 aprile del 1945 a un posto di blocco nazista), che molto probabilmente anche Ivone ha avuto tra le mani e interiorizzato: Siamo frati lanciati nel mondo senza corda, senza saio e senza voti. Siamo lanciati nel mondo perché la nostra carità in potenza di irradiamento non deve avere confini: al di là del muro che ci chiude, al di là della nostra famiglia che riscalda di affetto, è il nostro cuore, perché il nostro cuore è con Cristo alla ricerca di ogni anima smarrita. Se il nostro cuore è con Cristo ha la potenza di dilatarsi e di avvolgere tutte le anime che vivono in questo mondo in un unico abbraccio fraterno.
In queste parole c’è tutta la testimonianza di fede di Ivone.
don Roberto Ravazzolo
* Il testo riproduce e amplia l’intervento tenuto al Convegno dell’8 aprile 2022, svoltosi in Padova e organizzato dall’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti e dall’Unione Giuristi Cattolici di Padova, dal titolo “L’eredità di Ivone Cacciavillani – L’uomo, l’avvocato, lo storico, il credente, il cittadino”.