Già molto è stato detto dell’avvocato Ivone – chiamiamolo con il suo nome, così come lui voleva essere chiamato – e molto si dirà del cittadino e dello storico, soprattutto di Venezia e delle sue Istituzioni per le quali aveva una conoscenza profonda e un’ammirazione sconfinata, al limite dell’idolatria.

Fra le pieghe dei ricordi dell’uomo pubblico è già trapelato e certo ancor più trapelerà anche quello dell’uomo privato, del padre, del maestro, dell’amico. Perché Ivone all’amicizia teneva molto, e posso testimoniarlo da quando lo conobbi, lui avvocato già celebre, io giovane laureato. Fra noi nacque subito un’immediata simpatia, fors’anche per le comuni origini “rivierasche” (intendo della riviera del Brenta: Lui di Strà, io di Fiesso d’Artico), che presto volse in un’amicizia vera e forte, tanto che volle venire al mio matrimonio (1973) e poi insieme facemmo mille cose legate anche all’avvento delle Regioni che in quegli anni muovevano i primi passi.

Un legame sempre vivo, fra incontri e telefonate, anche l’ultima pochi giorni prima di morire quando volle sentirmi per telefono “solo per salutarmi”, parole dette con fatica, in veneto naturalmente.

Ma per non commuovermi, torno al tema che mi è stato assegnato: Ivone l’innovatore, il precursore, l’avvocato che non si fermava davanti alla giurisprudenza consolidata, che immaginava, proponeva e percorreva con coraggio e fantasia sempre strade nuove.

Sostenne la risarcibilità dell’interesse legittimo, insieme ad altre voci del Foro e della dottrina più illuminata, che trovavano inaccettabile, quasi innaturale, che il danno causato da un provvedimento non fosse risarcibile.

Non era stato lui l’avvocato della sentenza delle S.U. n. 500/1999, ma senza la tenacia degli avvocati  come Ivone e le costruzioni sempre più convincenti della dottrina che sosteneva la tesi della risarcibilità, non sarebbe stata superata  la “granitica “ giurisprudenza della Cassazione che rifiutava l’idea che il potere illegale fosse fonte di danno ingiusto risarcibile.

Come noto già con il D.Lgs. 80/1998 – che aveva esteso le materie di giurisdizione esclusiva – il legislatore aveva introdotto il potere del giudice di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reinterazione in forma specifica, ma ancora il risarcimento dell’interesse legittimo rimaneva un tabù che solo la S.C. riuscì a superare.

E l’anno successivo con la L. 205/2000 il legislatore lo codificò (art. 7).

Altre tesi “immaginifiche”, come le ha definite Alberto Borella nel suo contributo agli studi in onore di Ivone, ha sostenuto il Nostro nel corso della sua lunga carriera costellata da tanti successi, battendo spesso  “incognite  contrade”  come  un  esploratore  alla ricerca però  non dell’arca perduta, ma di una soluzione che giovasse al suo cliente o più in generale al cammino dell’ordinamento.

I tanti lavori di avvocato e di studioso – di “curia e di toga” avrebbe detto Ivone – dedicati alla proprietà pubblica o privata delle valli da pesca, alle concessioni demaniali marittime, al demanio regoliero, agli usi civici, testimoniano quanto fosse affascinato dagli istituti di antica origine, che studiava però come storico del diritto per poi utilizzarne le risultanze nel nostro tempo, anche nell’epocale trasferimento delle funzioni alle Regioni, dai decreti del 1972 e del 1977 al federalismo demaniale del 2010. Regioni che tanto ci videro lavorare insieme, con Mario Bertolissi, Giovanni Sala e Leopoldo Mazzarolli.  Quest’ultimo, è noto, non amava propriamente le Regioni, ma accettò di dirigere la rivista “ Il diritto della Regione” (della Regione Veneto) fin quando non si dimise (e noi con lui) per un tentativo di censura da parte di qualche zelante funzionario regionale che pensava così di servire meglio il suo padrone politico!

Ma il suo “capolavoro” (lo ricordano i presidenti Trotta e De Zotti sempre nel volume degli Studi in suo onore) fu la sentenza in forma semplificata (il c.d “rito veneto” o veneziano che dir si voglia).

Non occorre che ricordi di cosa si tratta: la possibilità di definire la lite, già   nella camera di consiglio chiamata a pronunciarsi sull’istanza cautelare, con sentenza motivata in modo essenziale purché la questione di diritto sia di agevole soluzione, sia rispettato il  contraddittorio (“sentiti” gli avvocati), rispettati o rinunciati i termini a difesa, e il giudizio non necessiti di istruttoria.

La sentenza breve o in forma semplificata è certamente figlia del “rito veneto” ideato da Ivone , discusso con qualche suo collega, e accompagnato dal Presidente Trotta, che l’agevolò.

Il coraggio fu di entrambi.

Correvano gli anni 1993-1994: il Codice di allora, o meglio la legge TAR del 1971, il T.U. del Consiglio di Stato del 1924  e il regolamento di procedura del 1907 non prevedevano nulla di simile.  E se il “processo” è “rito”, proporre un rito diverso (breve) significava innovare modificando il processo: il che spetta solo al legislatore, non certo agli avvocati, ma nemmeno al giudice!

Ciò che appariva coraggioso, al limite dell’avventatezza (De Zotti), fu però avallato dal Consiglio di Stato che seguì lo stesso rito, nell’appello che subì la prima sentenza semplificata del TAR Veneto (la n. 155/1994)

La sentenza fu scritta dal relatore Giorgio Calderoni, in un Collegio di cui facevano parte Angelo De Zotti  e Gaetano Trotta che lo presiedeva: tre nomi che meritano tutti ammirazione.

Di lì a poco tutti i TAR si adeguarono e prima nel settore dei ll.pp. (D.L.101/1995) e poi in via generale nel 2000 (con l’art. 3 della legge 205), il legislatore formalizzò il rito abbreviato e lo inserì nel processo amministrativo (oggi negli artt. 60 e 74 del CPA) nei casi in cui la sentenza possa essere “succintamente motivata”: ovvero nei casi di manifesta fondatezza o infondatezza, ovvero nei casi di inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità del ricorso.

Qual era l’humus in cui germogliò l’idea e poi radicò la pianta?

Lo ricorda Gaetano Trotta (sempre nel volume degli Studi in onore di Ivone):

  1. La trattazione delle “cautelari” in giorni d’udienza diversi dai “meriti”.  Il che favoriva la discussione delle moltissime istanze cautelari e dunque anche i loro profili di merito che, ci ricorda Trotta, venivano studiati e discussi anche fra i magistrati che, però, poi non potevano decidere il merito perché le due fasi (cautelare e merito) erano distinte.
  2. Il ruolo emergente dell’Associazione Veneta degli avvocati amministrativisti voluta da Benvenuti e allora presieduta da Ivone. Associazione che divenne uno stabile interlocutore del Tribunale: un dialogo fra Foro e Curia che continuava anche nei convegni e… nella cena natalizia cui venivano invitati i magistrati del TAR. Insomma fu determinante il clima di fattiva e cordialissima collaborazione, fra giudici e avvocati.
  3. L’idea partì da Ivone e ad essa parteciparono anche altri  (fra cui il sottoscritto), per proporre al Presidente Trotta un “protocollo d’intesa”: volto a regolare una procedura “contratta” rimessa alla volontà delle parti e fondata sulla disponibilità del processo (sul principio della domanda).

La proposta era incentrata su un’istanza diretta alla decisione della sospensiva insieme al merito, in realtà con due istanze separate e con rinuncia ai termini dilatori per la fissazione del merito. Se tale istanza fosse stata accettata dalle controparti, il Presidente avrebbe potuto fissare l’udienza di merito successiva di almeno 10 giorni all’iscrizione del ricorso.

Un’istanza delle parti che era pur sempre sottoposta al Collegio che valutava se il giudizio fosse maturo per la decisione.

Da questi presupposti nacque il rito veneziano: se nell’udienza cautelare il relatore dichiarava che la causa era matura per il merito e che poteva essere decisa con sentenza succintamente motivata, il Presidente segnalava alle parti la disponibilità del Collegio di definire il merito, e se le parti accettavano, rinunciando ai termini, rinviava al merito la sospensiva fissando un’udienza molto ravvicinata.

Nel 1994, come ricordavo prima, le prime sentenze in forma semplificata  (la  prima  in assoluto  è  la  n. 155/1994  che riguardava un’IPAB difesa da Ivone) nella quale venivano richiamati i principi di economicità del giudizio, della corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), della disponibilità della domanda e dell’effettività della tutela giudiziaria.

Quali le reazioni al rito veneto?  Scontato il favore dell’Associazione veneta che l’aveva promosso, più cauto quello del Foro nazionale; contrario quello dell’Associazione magistrati amministrativi che non voleva ruoli “aggiunti” a quelli contingentati oggetto di una loro rivendicazione sindacale.

Possiamo dire che il rito veneto fosse una vera innovazione? Certamente sì, ma non tanto nella sinteticità della motivazione, che in fondo era una “forma” della sentenza già prevista dall’art. 65 del reg. del 1907 che consentiva anche di limitare la discussione e che al co. 1  disponeva che la sentenza contenesse: il tenore delle domande, una “succinta esposizione di motivi di fatto e di diritto” e il dispositivo.

Piuttosto la vera novità stava nel fatto che senza modifiche legislative veniva superata la distinzione fra fase cautelare e fase decisionale, la prima “incidentale” alla fase del merito, in cui il merito era solo “assaggiato ” (il fumus).

E poi il rito veneto valorizzava al massimo la fase cautelare che già aveva assunto una rilevanza fondamentale nel giudizio amministrativo “quasi un giudizio autonomo tipico” (Antonio Romano) definitivamente risolutivo del contrasto di interessi e che veniva elevato al rango di potenziale udienza di discussione del merito.

* * *

Credo infine che proprio dalla sentenza in forma semplificata, con la predetta valorizzazione del giudizio cautelare, sia partita anche la nuova riflessione sulle potenzialità dell’udienza cautelare come 1° udienza nella quale confrontare, al di là del periculum in mora, le esigenze del giudizio, in termini di contraddittorio, di istruttoria, di urgenza etc. e perché no , di tentativi di mediazione o conciliazione degli interessi (cfr. il mio in Atti del Convegno di Venezia del 2/12/2019 “Dal processo al procedimento: ruolo e prospettive della tutela cautelare e del rito camerale nel rapporto tra giudice amministrativo e amministrazione”).

E sono sicuro che questo tema sarebbe certamente stato fatto proprio da Ivone se ne avesse avuta ancora la forza.

Vittorio Domenichelli

* Il testo riproduce l’intervento tenuto al Convegno dell’8 aprile 2022, svoltosi in Padova e organizzato dall’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti e dall’Unione Giuristi Cattolici di Padova, dal titolo “L’eredità di Ivone Cacciavillani – L’uomo, l’avvocato, lo storico, il credente, il cittadino”.

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