Il nostro processo è sempre più complicato, moltiplicandosi i riti e, con ciò, anche le cautele che i difensori debbono seguire.

L’art. 17, d.l. 9 giugno 2021, n. 80 ha ulteriormente complicato le cose.

Rispetto al tradizionale schema, secondo il quale il Presidente del Tribunale o del Consiglio di Stato, a un certo punto, fissava l’udienza di trattazione pubblica della causa nel merito, oggi si può giungere a sentenza in molti altri modi, con termini e specificità diversi da caso a caso.

Vediamo qui di trattarli in rassegna.

1) Il sistema ordinario. È quello tradizionale, a cui fa riferimento l’art. 71 c.p.a.

Il Presidente del Tribunale, decorso il termine dilatorio di sessanta giorni dalla ricevuta notificazione del ricorso per la costituzione delle parti intimate, fissa l’udienza pubblica, dandone comunicazione alle parti costituite almeno sessanta giorni prima. Seguono termini, calcolati a ritroso dall’udienza, di quaranta giorni liberi per la produzione di documenti, di trenta per le memorie e di venti per le repliche.

2) Il sistema ordinario accelerato. È disciplinato anch’esso dall’art. 71 e differisce dal primo perché il termine di comunicazione dell’udienza di trattazione può essere ridotto fino a quarantacinque giorni, per il caso in cui, su accordo delle parti, l’udienza di merito sia stata fissata a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare.

Tutti gli altri termini rimangono invariati.

3) La definizione in sede di trattazione della domanda cautelare. L’istituto – infelice erede del rito veneziano – è previsto dall’art. 60 c.p.a. e implica che siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso; che sussista la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e che siano sentite sul punto le parti costituite.

La decisione è assunta in forma semplificata e in Camera di consiglio (ma la forma dell’udienza pubblica non costituisce ragione di nullità della sentenza: art. 87, comma 4, c.p.a.).

Il giudice, nel procedere in tal senso, non è vincolato alle domande delle parti, alle quali è consentito di opporsi con conseguenze vincolanti per il collegio solo quando esse dichiarino che intendono proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione. In tal caso, il collegio fissa la data per il prosieguo della trattazione in altra Camera di consiglio, fissata all’esito di tali incombenti (come pure all’esito dell’eventuale integrazione del contraddittorio).

4) La definizione a seguito di istanza di prelievo. L’istituto è disciplinato dall’art. 71 – bis c.p.a., introdotto dall’art. 1, comma 781, lett. b), l. 28 dicembre 2015, n. 208.

Esso presuppone, appunto, la presentazione di detta istanza, in conseguenza della quale il giudice, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e sentite sul punto le parti costituite, fissa udienza di Camera di consiglio per decidere la controversia.

Trattandosi, appunto, di rito in Camera di consiglio, si applica l’art. 87 c.p.a. Perciò i termini per il deposito delle memorie e dei documenti sono dimezzati.

5) La definizione a seguito di udienza di smaltimento. Costituisce una delle novità introdotte dall’art. 17, d.l. n. 80/2021.

Sono queste una sorta di udienze stralcio, per le quali è prevista la cooperazione dell’Ufficio del processo.

Il rito non si può applicare alle controversie disciplinate dagli artt. da 112 a 117 c.p.a. e, pertanto, non può riguardare le liti per l’ottemperanza, quelle per l’accesso e quelle contro il silenzio inadempimento.

Le udienze si svolgono da remoto e in camera di consiglio.

Nonostante il rito consiliare, a queste liti non si applica l’art. 87, comma 3, c.p.a., salvo che per l’ultimo periodo di tale disposizione.

Pertanto, se le parti possono chiedere di essere sentite in udienza (art. 87, comma 3, ultimo periodo, cit.), non vale invece la dimidiazione dei termini per i depositi.

Ovviamente, trattandosi di liti giacenti in arretrato e, quindi, pendenti da tempo, non trova applicazione neppure l’art. 87, comma 3, c.p.a., nella parte in cui esso stabilisce che il giudice è tenuto a fissare la lite nella prima Camera di consiglio utile, decorsi trenta giorni dal termine di costituzione di tutte le parti.

6) La definizione dei ricorsi suscettibili di immediata definizione. Anche questa è una novità introdotta dall’art. 17, d.l. n. 80/2021, che ha inserito un art. 72 – bis nel codice di rito, secondo il quale, “il presidente, quando i ricorsi siano suscettibili di immediata definizione, anche a seguito della segnalazione dell’ufficio per il processo, fissa la trattazione alla prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e, altresì, al decimo giorno dal deposito del ricorso. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio. Salvi eccezionali motivi, non è possibile chiedere il rinvio della trattazione della causa. Se è concesso il rinvio, la trattazione del ricorso è fissata alla prima camera di consiglio utile successiva. Se è possibile definire la causa in rito, in mancanza di eccezioni delle parti, il collegio sottopone la relativa questione alle parti presenti. Nei casi di particolare complessità della questione sollevata, il collegio, con ordinanza, assegna un termine non superiore a venti giorni per il deposito di memorie. La causa è decisa alla scadenza del termine, senza che sia necessario convocare un’ulteriore camera di consiglio. Se la causa non è definibile in rito, il collegio con ordinanza fissa la data dell’udienza pubblica. In ogni caso la decisione è adottata con sentenza in forma semplificata”.

Si tratta, come sembra evidente, di un rito destinato a colpire quelle controversie afflitte da ragioni riconducibili all’art. 35 c.p.a., come tali insuscettibili di portare a qualunque decisione di merito, dal momento che, ove si pongano questioni di detto ultimo tipo, il rito si converte nel rito ordinario.

7) La definizione dei ricorsi in esecuzione dell’accoglimento della domanda cautelare. L’istituto trova fondamento nell’art. 55, comma 10, c.p.a, secondo il quale “il tribunale amministrativo regionale, in sede cautelare, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data della discussione del ricorso nel merito. Nello stesso senso può provvedere il Consiglio di Stato, motivando sulle ragioni per cui ritiene di riformare l’ordinanza cautelare di primo grado; in tal caso, la pronuncia di appello è trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la sollecita fissazione dell’udienza di merito”.

Quello così pronunciato è un vero e proprio provvedimento di accoglimento della domanda cautelare, il cui contenuto consiste, paradossalmente, proprio nella fissazione dell’udienza di merito. All’udienza così fissata si applicano i termini previsti dall’art. 71 c.p.a.

8) Riti non codificati. Non è infrequente, poi, che, presso i diversi organi giurisdizionali, si applichino riti che non trovano un formale recepimento esplicito nel codice.

Tra questi si segnalano quelli che procedono con le udienze di verifica dell’interesse a proseguire nel processo. Queste sono una specie di udienze filtro o di smistamento, alle quali le parti sono invitate a dichiarare se permane l’interesse processuale. Per il caso in cui la dichiarazione sia negativa, la lite viene immediatamente definita in rito; altrimenti viene fissata nuova e ulteriore udienza.

Sono noti anche riti non codificati che procedono da decreti di verifica dellì’interesse, assunti dal Presidente del Tribunale o della Sezione, in applicazione (esplicita o implicita, ma in ogni caso piuttosto estensiva) dell’art. 68, comma 2, in materia di istruttoria. Essi, in ragione delle risposte che al decreto vengono date, portano talora a decreti di estinzione del giudizio o alla fissazione di udienze di smaltimento o ancora alla fissazione di normali udienze pubbliche di trattazione.

Infine, è noto l’istituto del rinvio al merito, che trae spunto da un’udienza di trattazione della domanda cautelare, ma che non sembra potersi identificare né con un provvedimento pronunciato ex art. 55, comma 10, c.p.a., né con una sorta di rinuncia alla sospensiva in cambio dell’udienza di merito (ipotesi a cui appunto fa riferimento l’art. 71 c.p.a. per il caso in cui il presidente può anticipare fino a quarantacinque giorni la comunicazione della fissazione dell’Udienza).

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A tutti questi diversi riti, che riguardano le controversie ordinarie, si aggiungono poi gli istituti relativi ai riti speciali e quindi:

a) alle controversie sul silenzio (31 e 117 c.p.a.),
b) a quelle sull’ottemperanza (112-114 c.p.a),
c) a quelle sull’accesso (116 c.p.a.),
d) a quelle con termini dimezzati (119 c.p.a.),
e) a quelle sui contratti pubblici (120 e s. c.p.a.) e,
f) a quelle sul contenzioso elettorale (126 e s. c.p.a.), a loro volta distinte secondo che,
f1) riguardino le operazioni elettorali o
f2) gli atti preparatori delle elezioni.

Infine, in ragione della domanda specificamente fatta valere e quindi secondo che si tratti di una domanda relativa:

a) all’ annullamento,
b) alla nullità,
c) al silenzio inadempimento
d) alla condanna al risarcimento del danno,
d1), in via autonoma o,
d2), contestuale all’azione di annullamento o all’azione sul silenzio,
e) all’appello nelle controversie ex 119 e 120 c.p.a.,
f) alle cause di primo grado nelle controversie ex 120 c.p.a.
g) alle controversie sull’ottemperanza,
h) alle controversie per l’accesso ai documenti amministrativi,
i) alle controversie sulle operazioni elettorali,
l) alle controversie sugli atti preparatori alle elezioni,

variano anche i termini di notificazione del ricorso introduttivo della lite o del grado di giudizio.

Come si comprende, il processo amministrativo oggi è un vero e proprio dedalo, ben diverso dal sistema, semplice e unitario, che era stato ideato con la legge del 1889.

È un sistema, altresì, intriso di decadenze che possono risultare pregiudizievoli per le parti.

Esso, inoltre, può condurre a sentenze nate vecchie, perché formatesi su pericolose preclusioni (si consideri anche l’art. 104, comma 2, c.p.a.) che impediscono di fotografare la fattispecie processuale qual è sussistente al momento della pronuncia della sentenza, con la costituzione di vincoli conformativi essi stessi inattuali.

Né sembra del tutto persuasivo sostenere che questa varietà di riti sia compensata dalla necessità di portare a compimento, entro un ragionevole tempo, i processi, perché, infine, tutto ciò dipende da quando il giudice fissa l’udienza di trattazione della causa, tanto più che, entro certi limiti, spetta a questi decidere il rito più opportuno.

L’esperienza, tuttavia, sembra suggerire che proprio in questi non infrequenti ritardi vada ravvisata la principale causa della intempestività del processo amministrativo, vieppiù acuita dal fatto che talune controversie (quelle in materie di appalti) – viaggiando su binari che, per volontà di legge, sono assai più veloci – finiscono per rallentare lo svolgimento di tutte le restanti.

Tutto ciò mi convince che è sempre più necessario affrontare una radicale e generale riforma del processo, volta a semplificarne lo svolgimento e a introdurre effettivi strumenti di sua accelerazione.

Francesco Volpe

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