Temo che, quanto al nuovo rito in materia di appalti, come introdotto dal d. lgs. n. 36/2023, si ponga un grave problema di diritto transitorio, la cui soluzione, a mio modo di vedere, potrebbe essere sorprendente.

L’art. 209 del d. lgs. n. 36/2023 ha infatti riscritto l’art. 120 c.p.a. e ha definito in termini oggettivi l’ambito di applicazione di questa nuova disciplina processuale.

Esso è dato dagli “atti delle procedure di affidamento e di concessione disciplinate dal codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge 21 giugno 2022, n. 78”. Vale a dire, dalle procedure disciplinate dallo stesso d. lgs. n. 36/2023.

Questo implica che la nuova disciplina processuale non può applicarsi né ai processi in materia di appalti che siano stati introdotti prima del giorno 1 luglio 2023 (che coincide con l’effettiva entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici) né agli instaurandi e futuri processi che possano riguardare le procedure di gara avviate prima di quella medesima data, che non sono ancora concluse e che sono ancora regolate dal vecchio codice dei contatti pubblici (e cioè dal d. lgs. m. 50/2016). Visto il carattere eccezionale della nuova disciplina processuale, infatti, la stessa non può essere interpretata in senso analogico o estensivo (art. 14 preleggi) e può riferirsi solo alle fattispecie specificamente indicate.

Che disciplina, dunque, si deve applicare a queste liti già pendenti o ancora da introdurre, ma che si riferiscono alle gare d’appalto regolate dal vecchio codice dei contratti del 2016?

Verrebbe scontato rispondere che si debba applicare la disciplina che era resa dal vecchio art. 120 c.p.a., così come esso era scritto prima del codice dei contratti del 2023.

Si avrebbe così, in materia di appalti, la coesistenza di un vecchio rito e di un nuovo rito ed è probabile che la giurisprudenza, semplificando, aderirà proprio a questa soluzione.

Non sono convinto, tuttavia, che questa interpretazione sia corretta.

Esaminiamo, infatti, in che modo l’art. 209, d. lgs. n. 36/2023, è intervenuto nella materia processuale.

Esso dice, testualmente: “L’articolo 120 [del codice del processo amministrativo] è sostituito dal seguente:”.

Soffermiamoci su quel termine: “Sostituito”.

Esso indica che l’art. 209 opera un duplice e distinto effetto. Vi è un primo effetto abrogativo (del vecchio art. 120 c.p.a.) e vi è poi un effetto novativo (l’introduzione della nuova disciplina processuale, che però si riferisce ai soli appalti regolati dal d. lgs. n. 36/2023).

Se consideriamo l’effetto abrogativo per quel che comporta, se ne trae che dal 1 luglio 2023 il vecchio art. 120 c.p.a., ormai sostituito, non è più in vigore in assoluto.

Esso, quindi, non può più essere applicato a qualunque fattispecie, perché, semplicemente, il vecchio art. 120 c.p.a. non esiste più.

Resta, così, aperto il problema di stabilire quale disciplina si applichi ai processi già pendenti e a quelli che avranno ad oggetto le gare ancora non concluse e ancora regolate dal d. lgs. n. 50/2016.

Secondo il mio modo di pensare, la risposta, a questo punto, è scontata: abrogata la disciplina speciale, non tocca che far riferimento alla disciplina generale, la quale, nel caso concreto, è, in verità, quella meno speciale. Vale a dire quella che trova la propria fonte nell’art. 119 c.p.a. a cui il vecchio art. 120 c.p.a. (e, per la verità, anche il nuovo) portava deroga.

Il che porta, concretamente, a un risultato di non secondario rilievo: il termine per notificare il ricorso, l’incidentale e i motivi aggiunti risulta, a questo punto, di sessanta giorni e non di trenta.

Francesco Volpe

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