Le modifiche apportate dalla riforma Cartabia al disposto dell’art. 362 c.p.c. ad una prima lettura parrebbero ridursi a precisazioni lessicali[1].

L’art. 362 c.p.c., nel testo precedente la riforma, prevedeva, al primo comma, l’impugnabilità con ricorso per cassazione delle decisioni in grado d’appello o in unico grado di un “giudice speciale”, per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice stesso.

Il testo vigente si segnala per la specifica, distinta considerazione del giudice amministrativo rispetto ai giudici speciali, stabilendo oggi la norma che sono impugnabili, per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice stesso, le decisioni “del giudice amministrativo o di un giudice speciale”.

Analoga modifica è stata apportata all’art. 37 c.p.c., che oggi disciplina la rilevabilità del difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti “del giudice amministrativo o dei giudici speciali”.

Le modifiche non incidono, né potrebbero incidere, sull’impugnabilità delle sentenze del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, che è sancita direttamente dalla Costituzione, all’art.  111, ultimo comma.

In realtà, come evidenziato dall’Ufficio Studi del Consiglio di Stato nella relazione sugli effetti della riforma in relazione al processo amministrativo, si tratta di un riconoscimento “della natura in un certo senso “ordinaria” o “generale” della giurisdizione amministrativa[2].

Prima di individuare i limiti che attualmente segnano l’impugnabilità delle sentenze del Consiglio di Stato avanti la Corte di Cassazione, in considerazione della risalenza del rimedio del ricorso per eccesso di potere giurisdizionale, si impone un breve excursus storico.

Ricordiamo brevemente che la Corte di Cassazione venne individuata quale giudice dei conflitti dalla cd. legge Mantellini n. 3761 del 31 marzo 1877, con cui si attribuì alla Corte di Cassazione di Roma, a sezioni unite, il compito di decidere sui conflitti, sia positivi che negativi, insorti tra amministrazione e autorità giudiziaria (conflitti di attribuzione) ovvero tra giudici ordinari e giudici speciali (conflitti di giurisdizione).

Si è detto Corte di Cassazione di Roma perché, come si ricorderà, a seguito dell’unità d’Italia furono istituite delle corti di cassazione con competenza territoriale determinata dal territorio dei precedenti regni, a Torino, a Firenze, a Roma, a Napoli ed a Palermo.

L’istituzione dell’attuale unica Corte, con la denominazione di Corte Suprema di Cassazione, risale proprio a 100 anni fa, ed esattamente al 24 marzo 1923, inserendosi nel quadro degli interventi di accentramento del regime fascista.

Tornando alla legge Mantellini, essa attribuiva alla Corte di Cassazione il potere di dichiarare la “nullità della sentenze di queste giurisdizioni per incompetenza o eccesso di potere”.

Per effetto della legge Mantellini del 1877 venne sottratta al Consiglio di Stato la giurisdizione sui “sui conflitti che insorgono tra l’autorità amministrativa e la giudiziaria” che gli era stata attribuita dall’art. 10 All. D alla L. 2248/1865.

Ricordiamo che all’epoca il Consiglio di Stato non svolgeva funzioni giurisdizionali (la quarta sezione venne istituita con la legge n. 5992 del 31 marzo 1889).

Solo la legge 7 marzo 1907, n. 62, che istituì la quinta sezione del Consiglio di Stato, riconobbe formalmente il carattere giurisdizionale delle decisioni rese dalla quarta e della quinta sezione.

Sorse così la necessità di risolvere i conflitti tra le due giurisdizioni.

L’articolo 6 della legge n. 62/1907 previde dunque il ricorso per cassazione avverso le decisioni rese dalle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato per “difetto assoluto di attribuzione”, istituendo così il cd. dualismo giurisdizionale non paritario.

Tale impostazione venne confermata dal testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato.

L’art. 48 r.d. 1054/1924 stabilisce che “Le decisioni pronunziate in sede giurisdizionale possono, agli effetti della L. 31 marzo 1877, n. 3761, essere impugnate con ricorso per cassazione. Tale ricorso tuttavia è proponibile soltanto per assoluto difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato.”[3].

Parimenti è tuttora formalmente vigente l’art. 65 R.D. n. 12/1941, testo unico sull’ordinamento giudiziario, che stabilisce cheLa corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge.”

Come ricorda la Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 204/2004,  nell’Assemblea Costituente si contrapposero l’opinione di Calamandrei, che riteneva che il Consiglio di Stato avesse “esaurito storicamente” il suo compito, e che sosteneva l’opportunità di attribuire al Giudice Ordinario la cognizione di tutte le controversie con la pubblica amministrazione, istituendo eventualmente sezioni specializzate, e la diversa opinione, sostenuta tra gli altri dal Bozzi, che riteneva che la giurisdizione amministrativa fosse una conquista di tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, e dovesse pertanto essere conservata.

Come precisa la Corte Costituzionale nella sentenza n. 204/2004, accogliendo quest’ultima impostazione il Costituente “…ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione” degli interessi legittimi, e quindi delle situazioni soggettive che non erano state contemplate dall’articolo 2 della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo.

Occorre infatti ricordare che la legge n. 2248/1865, All. E, sull’abolizione del  contenzioso amministrativo, riconosceva certamente, all’articolo 2, la  tutela del cittadino davanti al giudice ordinario per  «tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione” (art. 2), ma, allo stesso tempo, rimettendo alle autorità amministrative la decisione degli “affari non compresi nell’articolo precedente”, creava un grave vuoto di tutela giurisdizionale.

Come ricorda la relazione Crispi alla legge 31 marzo 1889, n. 5992 che istituì la quarta sezione del Consiglio di Stato «la legge 20 marzo 1865, All. E, proclamò l’unità della giurisdizione, ma nulla avendo sostituito al contenzioso amministrativo che abolì, rimase abbandonata alla potestà amministrativa l’immensa somma di interessi onde lo Stato è depositario».

Tale vuoto di tutela venne quindi colmato con la ricordata istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.

Il ricordato dualismo giurisdizionale non è però paritario, posto che la risoluzione  dei conflitti e delle questioni di giurisdizione è attribuita alla Corte di Cassazione.

Diversamente, ad esempio, in Francia, per risolvere i conflitti tra le giurisdizioni, venne istituito il Tribunal des Conflits, il quale è composto da quattro membri del Conseil d’Etat e da quattro membri della Cour de Cassation.

Proprio in considerazione del modello francese va ricordato che in Italia, in epoca relativamente recente, nel 2018, venne presentato alla Camera dei deputati un progetto di legge (proposta di legge Bartolozzi ed altri) di delega al governo per l’istituzione di un Tribunale superiore dei conflitti presso la Corte di Cassazione, che però non ebbe seguito.

Esaurite le premesse storiche, ricordiamo che il sindacato della Corte di Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato è ristretto ai motivi inerenti alla giurisdizione, per espressa previsione costituzionale, a tutela dell’autonomia della giurisdizione amministrativa.

Il settimo comma dell’art. 111 della Costituzione stabilisce infatti il principio per cui contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale “pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali” è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, così prevedendo il carattere generale del sindacato di legittimità, anche nei confronti delle sentenze dei giudici speciali.

Nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato l’ammissibilità del ricorso in cassazione per violazione di legge è invece esclusa dall’ottavo comma dell’articolo, che limita il sindacato ai motivi inerenti la giurisdizione, stabilendo che “Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.”; l’espressione restrittiva “soli motivi” è ripresa dall’odierno disposto dell’articolo 110 del Codice del processo amministrativo.

Prima di procedere all’illustrazione delle varie ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale, è bene ricordare che l’ambito del potere esercitabile dalle Sezioni Unite si è notevolmente ridotto a seguito della sentenza n. 6/2018 della Corte Costituzionale.

Come si ricorderà, si è assistito  sino ad anni relativamente recenti alla cassazione di sentenze del Consiglio di Stato, in particolare rese con riferimento alle questioni della pregiudizialità amministrativa e, in materia di contenzioso su gare d’appalto, dei ricorsi reciprocamente escludenti.

Prima del codice del processo amministrativo la giurisprudenza amministrativa sosteneva infatti il principio della pregiudizialità, e la conseguente necessità del previo annullamento del provvedimento prima di dar corso alla tutela risarcitoria, in conflitto con la giurisprudenza della Corte di Cassazione che invece riteneva che la tutela risarcitoria poteva essere proposta autonomamente, a prescindere dal previo annullamento[4].

Con riguardo al contenzioso degli appalti si ricorderà che la giurisprudenza amministrativa aveva riconosciuto l’efficacia paralizzante del ricorso incidentale escludente ritenendo in tal caso consentito prescindere dall’esame del ricorso principale.

Le Sezioni Unite, in più decisioni, avevano ritenuto sino ad anni recenti a tal riguardo che lo scostamento del Consiglio di Stato dai principi espressi dalla Corte di Giustizia in tema di accesso alla tutela giurisdizionale, vincolanti per i giudici nazionali, comportasse un diniego di giurisdizione.[5]

Alla cassazione di tali sentenze del Consiglio di Stato le Sezioni Unite erano giunte accogliendo una nozione di limite esterno collegato all’evoluzione del concetto di giurisdizione, da intendersi in senso dinamico, in ossequio all’effettività della tutela giurisdizionale, ed in considerazione del ruolo centrale della giurisdizione per rendere effettivo il primato del diritto comunitario, per attuare il principio dell’unità funzionale della giurisdizione nell’interpretazione dell’ordinamento, per il rilievo costituzionale del giusto processo.

La teoria della giurisdizione dinamica è però tramontata a seguito della sentenza n. 6/2018 con cui la Corte Costituzionale ha fermamente ribadito i tradizionali confini dei limiti esterni della giurisdizione, sottolineando che “L’opposto filone giurisprudenziale, del resto, argomenta la sua tesi sulla base di considerazioni che sono o prive di fondamento o estranee ad una questione qualificabile come propriamente di giurisdizione, e cioè richiamando princìpi fondamentali quali la primazia del diritto comunitario, l’effettività della tutela, il giusto processo e l’unità funzionale della giurisdizione…

Quanto all’effettività della tutela e al giusto processo, non c’è dubbio che essi vadano garantiti, ma a cura degli organi giurisdizionali a ciò deputati dalla Costituzione e non in sede di controllo sulla giurisdizione.” (paragrafo 14 della motivazione).

Quanto alla necessità di assicurare il rispetto del diritto  dell’Unione Europea  e delle decisioni  della Corte di Giustizia  osservava la Corte Costituzionale che “…ancora una volta, viene ricondotto al controllo di giurisdizione un motivo di illegittimità (sia pure particolarmente qualificata), motivo sulla cui estraneità all’istituto in esame non è il caso di tornare.

Rimane il fatto che, specialmente nell’ipotesi di sopravvenienza di una decisione contraria delle Corti sovranazionali, il problema indubbiamente esiste, ma deve trovare la sua soluzione all’interno di ciascuna giurisdizione, eventualmente anche con un nuovo caso di revocazione di cui all’art. 395 cod. proc. civ., come auspicato da questa Corte con riferimento alle sentenze della Corte EDU (sentenza n. 123 del 2017). (paragrafo 14.1).

Nella stessa sentenza la Corte Costituzionale ha ribadito i confini dell’eccesso di potere giudiziario denunciabile in Cassazione, statuendo che:

15.- L’«eccesso di potere giudiziario», denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici.

16.- Il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri, non ammette soluzioni intermedie, come quella pure proposta nell’ordinanza di rimessione, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”.

Attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive.”

A seguito di tale ridimensionamento dell’eccesso di potere giurisdizionale le Sezioni Unite, con ordinanza 18.9.2020, n. 19598, investivano della questione la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiedendole di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla questione “se le norme del diritto dell’Unione ostino ad una prassi interpretativa secondo la quale il rimedio del ricorso per cassazione, sotto il profilo del cosiddetto “difetto di potere giurisdizionale”, non può essere utilizzato per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell’Unione Europea (nella specie, in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici);”.

Ma la Corte di Giustizia, con la sentenza 21.12.2021, emessa nella causa C- 497/20, Randstad Italia S.p.A. contro Umana S.p.A. ed altri, affermava che il diritto dell’Unione non osta ad “… una disposizione del diritto interno di uno Stato membro che, secondo la giurisprudenza nazionale, produce l’effetto che i singoli, quali gli offerenti che hanno partecipato a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, non possono contestare la conformità al diritto dell’Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa di tale Stato membro nell’ambito di un ricorso dinanzi all’organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro.”.

La soluzione della questione veniva quindi rimessa dalla Corte di Giustizia allo Stato italiano.

Ne seguì il ritorno  della giurisprudenza delle Sezioni Unite all’orientamento tradizionale.[6]

Ciò premesso, veniamo agli attuali confini del difetto di giurisdizione.

Il difetto assoluto, tradizionalmente detto eccesso di potere giurisdizionale, ricorre nelle ipotesi dell’ “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato o dell’ “arretramento”, vale a dire allorché il giudice amministrativo nega la propria giurisdizione sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto di cognizione giurisdizionale.

Il difetto relativo ricorre allorché il Consiglio di Stato affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice, o la neghi sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione.

E’ invece escluso il sindacato sugli errori in procedendo o in iudicando, trattandosi di limiti interni della giurisdizione.

Il difetto assoluto di giurisdizione per invasione della sfera riservata al legislatore è sostanzialmente un’ipotesi di scuola, per il carattere naturalmente creativo dell’attività di interpretazione della norma rimessa al giudice.

Le stesse Sezioni Unite hanno osservato che “la possibilità di configurare una siffatta ipotesi di eccesso di potere è stata ritenuta meramente teorica, in quanto, postulando che il giudice abbia applicato, non la normativa vigente ma, una norma di sua creazione, potrebbe essere ravvisata a condizione di poter distinguere una attività di produzione normativa inammissibilmente esercitata dal giudice medesimo da una attività interpretativa che, per sua natura, non è meramente meccanicistica e si sostanzia in un’opera creativa   della volontà della legge nel caso concreto per il carattere naturalmente “creativo” dell’attività di interpretazione della legge rimessa al giudice.”[7].

Vanno ovviamente individuati i limiti entro i quali va esercitata l’attività di interpretazione della legge.

A tal riguardo si è ritenuto utile[8] il richiamo ai principi enunciati dalla giurisprudenza in tema di responsabilità civile dei magistrati, in relazione alla clausola di salvaguardia contenuta nell’articolo 2 comma 2 L. 117/1988 che stabilisce che, in via di principio, fatte salve le ipotesi previste dalla stessa legge, tra cui la violazione manifesta della legge o  del diritto dell’Unione Europea, non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto (oltre che quella di valutazione del fatto e delle prove).

Le Sezioni Unite hanno precisato, a tal riguardo, che è estraneo all’attività di interpretazione l’attribuzione alla norma di “un significato che va oltre il significante, vale a dire un non significato, un significato che la norma, né linguisticamente né giuridicamente può avere”, insomma, un significato impossibile, che va oltre ogni possibile significato testuale estraibile dalla disposizione. In questo caso, precisano le Sezioni Unite “… si ha una scelta solo formalmente interpretativa, ma talmente svincolata dai parametri normativi da non essere ad essi riconducibile, ovvero da non essere frutto di un processo interpretativo consapevole – come tale sottratto al campo della responsabilità civile – ma addirittura una scelta aberrante.”[9].

L’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera del legislatore potrebbe quindi sussistere nell’ipotesi del tutto residuale in cui si attribuisse alla norma un significato che essa non può avere.

Un’ulteriore ipotesi è stata individuata[10], sempre sulla scorta della giurisprudenza delle Sezioni Unite in ordine ai limiti dell’attività di interpretazione della legge, laddove venga attribuita efficacia retroattiva ad una disposizione che ne è priva, in violazione dell’articolo 11 delle preleggi in forza del quale “ove non sia il legislatore stesso a disporre in via retroattiva – e ciò può avvenire espressamente (anche tramite norma di interpretazione autentica) ovvero implicitamente (la retroattività essendo anche desumibile, se inequivocabile, in via interpretativa dalla disposizione interessata) -, un tale potere non è esercitabile dal giudice, neppure per il tramite del procedimento analogico, essendo l’efficacia temporale della fonte disponibile solo per il legislatore e pure per esso in termini tali da non poterne fare uso arbitrario.”[11]

Come si vede la configurabilità di un eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera del legislatore costituisce un’ipotesi residuale, anche se appaiono interessanti gli spunti offerti della giurisprudenza richiamata.

Passiamo ora all’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni della pubblica amministrazione sotto il profilo dello sconfinamento nel merito, che è invece concretamente configurabile “…quando l’indagine svolta dal Giudice amministrativo ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, dimostrandosi strumentale ad una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, evidenzi l’intento dell’organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella dell’Amministrazione, mediante una pronuncia che, in quanto espressiva di un sindacato di merito ed avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativo. E’ quanto accade nelle ipotesi in cui il Giudice amministrativo invade arbitrariamente il campo dell’attività riservata alla Pubblica Amministrazione attraverso l’esercizio di poteri di cognizione e di decisione non previsti dalla legge, cioè compiendo atti di valutazione della mera opportunità dell’atto impugnato, oppure sostituendo propri criteri di valutazione a quelli discrezionali dell’Amministrazione, o ancora adottando decisioni finali c.d. autoesecutive, ovverosia interamente sostitutive delle determinazioni dell’Amministrazione, con conseguente trapasso da una giurisdizione di legittimità a quella di merito.”[12]

Veniamo ad un esempio concreto: in una gara la stazione appaltante aveva denunciato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato l’esistenza di una possibile intesa restrittiva della concorrenza ed era stata aperta un’istruttoria.

Il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza di primo grado, annullava l’aggiudicazione, ritenendo viziata da eccesso di potere per contrasto con il principio di ragionevolezza dell’azione amministrativa la scelta di aggiudicare ancorché fosse possibile maturare un giustificato convincimento in ordine all’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza.

La sentenza non si limitava ad annullare l’aggiudicazione ma, sul piano dell’effetto conformativo,  precisava altresì che era ragionevole attendersi che la stazione appaltante soprassedesse all’aggiudicazione fino a che non fossero stati resi noti gli esiti del procedimento sanzionatorio avviato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Di qui il ricorso per eccesso di potere giurisdizionale, per sconfinamento nella sfera riservata alla discrezionalità amministrativa.

Le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso, osservando che la sentenza non si era  “…limitata ad annullare il provvedimento impugnato, rimettendo alla stazione appaltante ogni valutazione in ordine al prosieguo della procedura, ma si è spinta fino a prefigurare il possibile esito di tale valutazione, puntualizzando che sarebbe stato ragionevole attendersi la decisione di “soprassedere all’aggiudicazione fino a che non fossero stati resi noti gli esiti del procedimento sanzionatorio avviato dall’Autorità sulla propria segnalazione, previa eventuale adozione di adeguati provvedimenti interinali”. Tale precisazione, risolvendosi nell’individuazione del differimento dell’aggiudicazione come unica alternativa ammissibile alla conclusione della procedura di gara, costituisce un’indebita invasione della sfera riservata alla Amministrazione, la cui discrezionalità resta di fatto limitata alla sola determinazione delle misure interinali da adottare nelle more della decisione della Autorità garante, risultando preclusa la rinnovazione dell’esercizio del potere discrezionale previsto dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 81, comma 3, che costituirebbe invece la naturale conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione.[13] 

La sentenza del Consiglio di Stato aveva infatti privato l’Amministrazione del potere di decidere di non procedere all’aggiudicazione in presenza di offerte ritenute non convenienti o idonee in relazione all’oggetto del contratto.

Come si vede si tratta di ipotesi tutt’altro che astratte, venendo in considerazione i limiti dell’effetto conformativo della sentenza del giudice amministrativo, nel caso di attività discrezionale.

Sempre con riguardo all’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nel merito, merita ricordare l’impugnabilità delle sentenze del Consiglio di Stato che ritengano erroneamente sussistenti i presupposti per il giudizio di ottemperanza e la conseguente giurisdizione con cognizione estesa al merito ex artt. 7 e 134 c.p.a..

In sede d’ottemperanza il giudice amministrativo può infatti “sostituirsi all’amministrazione[14], può procedere alla “determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo” o all’”emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione[15].

Ne discende che, come osservano le Sezioni Unite “…se lo sconfinamento nel merito del giudice amministrativo oltre i limiti della sua naturale giurisdizione di legittimità è sindacabile ad opera della Cassazione, nei termini già dianzi ricordati, appare del tutto ragionevole dedurne che un analogo sindacato sia esercitabile anche nel caso in cui, essendo invece un potere di giurisdizione di merito espressamente conferito dalla legge al medesimo giudice amministrativo, venga addebitato al Consiglio di Stato di avere ecceduto il limite entro il quale quel potere gli compete: di avere, cioè, esercitato una giurisdizione di merito in presenza di situazioni che avrebbero potuto dare adito solo alla normale giurisdizione di legittimità, e quindi all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi…”[16].

E’ censurabile non il modo in cui il potere d’ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione, ma la possibilità stessa di far ricorso al giudizio d’ottemperanza, che attiene ai limiti esterni della giurisdizione.[17]

Venendo ad un caso concreto, le Sezioni Unite hanno cassato una pronuncia del Consiglio di Stato, che in sede di giudizio di ottemperanza di una sentenza di annullamento di un provvedimento del Consiglio Superiore della Magistratura di nomina del Procuratore Generale Aggiunto presso la Corte di Cassazione, aveva ritenuto la possibilità di dar corso ad un procedimento concorsuale “ora per allora”, ai soli fini del riconoscimento di un maggiore trattamento pensionistico, ancorché, a seguito della sentenza d’annullamento, fosse sopravvenuto  il pensionamento del magistrato.

Hanno osservato le Sezioni Unite che, in considerazione del pensionamento, la procedura concorsuale non era più utilmente ripetibile e che non poteva darsi luogo ad un procedimento concorsuale “ora per allora” a soli fini pensionistici, posto che “Ciò trasformerebbe l’oggetto medesimo del giudizio di ottemperanza, indirizzato così ad un accertamento destinato a riflettersi su un diverso rapporto (in ipotesi, quello previdenziale), e ne determinerebbe il sostanziale snaturamento, dovendo esso invece essere prioritariamente preordinato alla realizzazione della causa tipica del provvedimento amministrativo cui la pubblica amministrazione sia vincolata dal precedente giudicato – o tutt’al più al risarcimento del danno, previsto dell’art. 112 cod. proc. Amm. Commi 4 e 5 (domanda che non è stata però proposta nel presente caso) – e non ridursi allo scopo di porre le premesse perché il ricorrente possa eventualmente conseguire le utilità economiche connesse ad un superiore (ma affatto virtuale, perché ormai non più effettivamente conseguibile) inquadramento in organico.[18]

Al di là della specificità del caso è senz’altro di rilievo il principio per cui risulta impugnabile per eccesso di potere giurisdizionale la sentenza del Consiglio di Stato resa in sede ottemperanza, laddove non sussistessero i presupposti per tale giudizio, come nel caso di provvedimento non elusivo del giudicato, ma illegittimo, e come tale impugnabile.

Venendo all’eccesso di potere giurisdizionale per diniego di giurisdizione è di particolare interesse la recentissima sentenza  23 novembre 2023, n. 32559 con cui le sezioni unite hanno cassato  la sentenza n. 18/2021  dell’Adunanza Plenaria  sulla proroga delle concessioni balneari.

La sentenza si segnala, anzitutto, per un mutamento di giurisprudenza,  in profilo processuale  in ordine all’impugnabilità  delle decisioni dell’Adunanza Plenaria  per eccesso di potere giurisdizionale.

Tale impugnabilità era stata esclusa, pochi anni prima, dalle Sezioni Unite,[19] con riguardo alle sentenze dell’Adunanza Plenaria che non decidono la controversia, ma enuncino il principio di diritto, restituendo quindi il giudizio alla sezione remittente ai sensi dell’art.  99 del Codice del processo amministrativo.

L’ammissibilità del ricorso era stata esclusa dalle sezioni unite, ritenendo che l’enunciazione dei principi resa dall’Adunanza Plenaria non abbia carattere decisorio e definitorio del giudizio e non sia come tale idonea al giudicato[20].

Sarebbe stata invece impugnabile, nella ricorrenza dei presupposti, per eccesso di potere giurisdizionale, la sentenza della sezione del Consiglio di Stato applicativa dei principi enunciati dall’Adunanza Plenaria.

Nella sentenza del 23 novembre 2023 le Sezioni Unite, su conformi conclusioni del Procuratore Generale, accolgono invece la soluzione opposta, osservando anzitutto, sul piano formale, che l’art.  111 ultimo comma della Costituzione prevede l’impugnabilità in cassazione delle “sentenze” del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione senza altra limitazione, e, sul piano sostanziale, che non sarebbe comprensibile la soluzione che escludesse dal sindacato per eccesso di potere giurisdizionale proprio le sentenze dell’Adunanza Plenaria che enunciano principi vincolanti per la sezione remittente, che, nel caso di dissenso, deve rinviare nuovamente con ordinanza motivata la decisione del ricorso all’Adunanza Plenaria secondo il disposto del terzo comma dell’art. 99 del Codice del processo amministrativo.

Superata la questione processuale di ammissibilità del ricorso, le Sezioni Unite vengono all’esame dei motivi, che prospettavano anzitutto il diniego di giurisdizione per avere l’Adunanza Plenaria ritenuto inammissibile l’intervento del Sindacato Italiano Balneari, di altre associazioni e della Regione Abruzzo sulla base di valutazioni che negavano in astratto la titolarità in capo agli stessi di posizioni soggettive differenziate qualificabili come interessi legittimi, in relazione all’oggetto del giudizio.

Richiamando in particolare un lontano precedente del 1978 le Sezioni Unite enunciano il principio secondo cui  “La questione concernente la configurabilità o meno di un interesse (legittimo) suscettibile di tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo integra un problema di giurisdizione, in quanto attiene ai limiti esterni delle attribuzioni di detto giudice e, pertanto, è deducibile con ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell’art. 362 c.p.c.” (paragrafo 12 della motivazione). Specificamente, osservano le Sezioni Unite “…inerisce al giudizio sulla giurisdizione, spettante alle Sezioni Unite, stabilire se la pretesa sostanziale azionata assurga al rango di interesse giuridicamente rilevante (legittimo) o consista in un interesse di mero fatto non differenziato e non giustiziabile… Nel primo caso è configurabile la giurisdizione amministrativa se la posizione sostanziale dedotta sia effettivamente considerata dall’ordinamento come interesse legittimo; nell’altro caso si ha difetto assoluto di giurisdizione, mancando in astratto la giustiziabilità della posizione fatta valere.

Infatti “….se la posizione soggettiva fatta valere ha consistenza di interesse legittimo, il giudice amministrativo, essendo fornito della giurisdizione, è tenuto ad esercitarla, incorrendo altrimenti in diniego o rifiuto della giurisdizione, vizi censurabili dalle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8.”.

Ovviamente la ritenuta assenza da parte del Giudice Amministrativo di una posizione di interesse legittimo, che si traduce, in profilo processuale, nell’inammissibilità  del ricorso per carenza di legittimazione, è censurabile per diniego di giurisdizione allorché, come nella fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite, l’interesse legittimo sia negato in astratto, non a seguito di una valutazione in concreto, mancata nella fattispecie in questione, e che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto svolgere sulla base dell’esame delle finalità statutarie delle associazioni, verificando che l’interesse tutelato fosse comune agli associati e che non fossero configurabili conflitti interni.

La sentenza è di assoluto rilievo, evidenziando come la degradazione dell’interesse legittimo ad interesse di mero fatto non giustiziabile, non possa essere effettuata dal Giudice Amministrativo sulla base di considerazioni astratte, senza considerare in concreto la posizione fatta valere, a pena di eccesso di potere giurisdizionale per diniego di giurisdizione.

Avendo accolto il primo motivo e cassato per tale ragione la sentenza dell’Adunanza Plenaria, con rinvio al Consiglio di Stato,  le Sezioni Unite non hanno esaminato gli ulteriori motivi di ricorso che sollevavano questioni di eccesso di potere giurisdizionale per indebito esercizio di poteri legislativi e amministrativi, in relazione al noto contenuto della sentenza impugnata, che aveva ritenuto le proroghe delle concessioni balneari in contrasto con il diritto eurounitario, e segnatamente con l’articolo 12 della direttiva Bolkenstein, fissando il termine di efficacia delle medesime al 31 dicembre 2023.

Del ritenuto assorbimento degli ulteriori motivi non possiamo che dolerci, non solo per la rilevanza concreta della questione, ma altresì perché sarebbe stata probabilmente l’occasione per una interessante pronunzia delle sezioni unite sui limiti esterni della giurisdizione amministrativa, anche sotto i profili dello sconfinamento nelle sfere riservate al legislatore ed all’amministrazione.

Gabriele Maso

 

*Il testo riproduce l’intervento tenuto il 30 novembre 2023 nell’ambito del seminario dedicato a “La riforma Cartabia ed il processo amministrativo” durante il congresso giuridico su “Il ruolo dell’Avvocato tra presente e futuro” tenutosi a Treviso (nei giorni 29-30/11/2023).

 

[1] Fatta salva l’introduzione, all’ultimo comma dell’articolo, della revocazione delle decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato per contrarietà del loro contenuto alla CEDU dichiarata dalla Corte Europea.

[2] Relazione dell’Ufficio Studi del Consiglio di Stato, par. 1.3.

[3] La norma è tuttora formalmente vigente non essendo stata abrogata dall’art. 4 dell’all. 4 al D. Lgs. 104/2010

[4] Per tutte Cassazione, Sezioni Unite, 23.12.2008, n. 30254

[5] tra le più recenti Cassazione, Sezioni Unite, 29.12.2017, n. 31226

[6] per tutte Cassazione, Sezioni Unite, 27.9.2023, n. 27433

[7] Cassazione, Sezioni Unite, 30.12.2004, n. 24175

[8] Vincenti, L’invasione della sfera del legislatore come eccesso di potere giurisdizionale: una sintetica ricognizione e taluni spunti di riflessione, in www.questionegiustizia.it

[9] Cassazione, Sezioni Unite, 3.5.2019, n. 11747

[10] Vincenti, op. cit.

[11] Cassazione, Sezioni Unite, 28.1.2021, n. 2061

[12] Cfr. Cass., Sezioni Unite, 10.02.2023, n. 4284

[13] Cassazione, Sezioni Unite, 18.2.2022, n. 5365

[14] Art. 7, comma 6 c.p.a.

[15] Art. 114, comma 4, lett. a) c.p.a.

[16] Cassazione, Sezioni Unite, 9.11.2011, n. 23302

[17] Cassazione, Sezioni Unite,22.9.2023, n. 27160

[18] Cassazione, Sezioni Unite, 9.11.2011, n. 23302

[19] Cassazione, Sezioni Unite, 30.10.2019, n. 27842

[20] Nel senso secondo cui l’enunciazione dei principi di diritto non dà luogo al giudicato si era espressa anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 23.2.2018, n. 2

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