1. Un giorno della tarda primavera del 2022 mi sono imbattuto nella, allora non più recente, sentenza del 6 giugno 2019 n. 241 della Corte dei Conti della Toscana con cui era stata affermata la giurisdizione contabile (anche) nei confronti di soggetti di diritto privato nell’esercizio dell’amministrazione di beni in proprietà collettiva, facendo leva sui connotati tipicamente pubblicistici della funzione di salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio dei beni che appartengono alle collettività di riferimento. Più precisamente, l’Asbuc toscana Arni del comune di Stazzema (LU) era stata tratta a giudizio davanti alla Corte dei Conti per avere concesso al proprio presidente un contributo per le spese legali che avrebbe sostenuto in un giudizio in cui era stato chiamato per un atto compiuto, appunto, in quella sua qualità. Avevo trovato anche un commento favorevole; il commento di Alessandro Paire, pubblicato sulla Rivista di diritto agrario, 2021, I, p. 340.

Le mie considerazioni critiche che mi ero permesso di scrivere le ho pubblicate, con il titolo “Sul danno erariale addebitabile a un’Asbuc” sul fascicolo 2 del 2022 della Rivista di diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente on line[1] e nella presente rivista on line degli amministrativisti veneti[2]. In tale mio commento riferivo, nella nota 7, anche della sentenza 10 gennaio 2022 n. 3 della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per il Trentino-Alto Adige che aveva respinto l’eccezione del difetto di giurisdizione nel caso sottoposto al suo esame: si  discuteva della responsabilità degli amministratori dell’Asuc di Pozza di Fassa (TN), soggetto di diritto privato ex art. 4, comma 3-bis della legge provinciale 6/2005, per avere scelto il concessionario di una malga con il sistema della trattativa diretta anziché con quello della gara pubblica, addebitandosi ai detti amministratori (prosciolti, però, nel merito) il danno che avrebbe subìto l’Asuc per avere concluso un accordo comportante un minore introito per le casse pubbliche a causa del sistema adottato per assegnare la concessione che non avrebbe tenuto conto della maggiore offerta di colui che era stato ingiustamente pretermesso nella gara.

Contro la parte di quest’ultima sentenza che nel merito aveva prosciolto gli amministratori dell’Asuc di Pozza di Fassa, la Procura della Corte dei Conti per la Regione Trentino-Alto Adige ha fatto appello e la Sezione II Giurisdizionale Centrale d’Appello della Corte dei Conti ha emesso, il 29 settembre 2023, una sentenza (lunghissima con riguardo al merito), con cui ha rigettato l’eccezione, riproposta dagli amministratori dell’Asuc convenuti, del difetto di giurisdizione. E’ questa conclusione che mi permetto di contestare ancora una volta.

2. Di due punti è necessario avere contezza.

Il primo concerne che, per negare la giurisdizione contabile nei casi in esame, non è rilevante la natura giuridica di diritto privato né dei beni, né degli esercenti l’amministrazione delle proprietà collettive[3]. Il secondo, concerne l’origine della vocazione paesaggistica e ambientale dei beni di uso civico[4].

Con riguardo al primo punto, non vi è dubbio che i soggetti (di diritto privato) esercenti l’amministrazione del patrimonio collettivo delle comunità potrebbero essere sottoposti alla giurisdizione contabile, perché correttamente la Corte di cassazione ha affermato che il dato essenziale che radica la giurisdizione della Corte dei conti non è più rappresentato dal quadro soggettivo di riferimento – pubblico o privato – nel quale si colloca la condotta produttiva del danno, quanto, invece, dalla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate. Sicché occorre avere riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la Pubblica Amministrazione, ovverosia occorre avere riguardo “anche a una relazione con la Pubblica Amministrazione caratterizzata dal fatto di avere investito un soggetto, altrimenti estraneo all’amministrazione, del compito di porre in essere in sua vece un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura, né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica”  (Cass. Sez. Un. 2 febbraio 2018 n. 2584)[5]. In sostanza, dalla giurisprudenza della Corte di cassazione si ricava che la Corte dei conti ha giurisdizione contabile sull’attività posta in essere da un soggetto (anche) di diritto privato che è stato incaricato dalla pubblica amministrazione di svolgere, con denaro pubblico, un’attività di interesse pubblico.

Se, poi, si considerasse rilevante la natura dei beni gestiti dai domini collettivi si farebbe specifico riguardo al fatto che le risorse finanziarie dei domini collettivi provengono dallo sfruttamento dei loro beni anch’essi di natura privata. Ma tale considerazione non risulta esaminata dalla sentenza qui da noi commentata in senso critico.

3. Quanto al secondo punto, va messo in adeguato rilievo il fatto che dalla giurisprudenza delle Sezioni unite si ricava che, ai fini della giurisdizione contabile, l’elemento essenziale andrebbe ricercato nella particolare rilevanza pubblicistica dell’interesse insito nell’attività svolta dall’ente assoggetto al controllo. In altre parole, la rilevanza pubblicistica dell’interesse perseguito dall’ente lo farebbe di per sè assoggettare alla giurisdizione contabile. E su questo dato insiste la Corte dei Conti in sede di appello con la sentenza qui commentata e criticata.

Ora, è sicuro che gli interessi di valenza pubblica sono (almeno) di due categorie. Innanzitutto vi sono gli interessi connaturati allo Stato (“la spada, la toga, la feluca, la borsa”, cioè la difesa, la giustizia, il potere estero e la moneta) per cui, senza il loro perseguimento, non esisterebbe lo Stato. Vi sono, poi, altri interessi di valenza pubblica che possono essere perseguiti sia dalla Pubblica Amministrazione che da privati. Si pensi alla tutela della salute (esempio: un ospedale gestito dall’ASL o da una società privata), alla lotta alla fame e alla difesa dalle carestie (esempio: la gestione di un ammasso), alla tutela del paesaggio (esempio: la creazione e la gestione di un bosco), alla valorizzazione del territorio (esempio: la tutela e la gestione pubblica dei beni alcuni dei quali ora gestiti direttamente da FAI) e della cultura (esempio: la realizzazione e gestione di un museo). Ora, in questi casi non mi pare che si possa concludere che il perseguimento dell’indubbio fine pubblicistico sia sufficiente a “riportare” al giudice contabile l’attività di autorganizzazione posta in essere dal soggetto privato. Sicché occorre ripensare al fatto che, secondo la Corte di cassazione, per esserci giurisdizione contabile occorre che non solo vi sia la natura pubblica delle funzioni espletate dal privato ma anche la natura pubblica delle risorse finanziarie impiegate. E, d’altronde, così – come preciseremo infra, paragrafo 4 – imporrebbero di concludere le rilevanti disposizioni normative al riguardo.

Orbene, ciò premesso, si rilevi che, nella specie dei domini collettivi, la loro funzione (pubblicistica) della “conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale nazionale” (art. 2, comma 1, lett. b, legge 168/2017) e la loro qualità (di valore pubblicistico) di essere “componenti stabili del sistema ambientale” (art. 2, comma 1, lett. c, legge 168/2017) sono originariamente “basi territoriali di istituzioni storiche” (art. 2, comma 1, lett. d) e “ordinament[i] giuridic[i] primar[i] delle comunità originarie” (art. 1, comma 1). In altre parole devesi riconoscere che la detta funzione “pubblicistica” dei domini collettivi non è stata ad essi né delegata, né imputata dallo Stato, perché è loro qualità originaria.

Dunque si dovrebbe concludere che il punto esclusivo e fondamentale della giurisdizione contabile sull’amministrazione dei domini collettivi è dato da un eventuale “rapporto di servizio” tra P.A. e soggetto collettivo e dalla qualità pubblica delle risorse finanziarie utilizzate. Così come, ad esempio, a un soggetto gestore di proprietà collettiva venisse affidata la gestione di un Parco creato da una Regione che, per l’esercizio dello stesso, contribuisse finanziariamente.

4. Passando dall’esame della giurisprudenza alla individuazione delle disposizioni normative rilevanti, si osserva che punto di partenza è, necessariamente, l’art. 100 della Costituzione, che  prescrive che “la Corte dei Conti partecipa (…) al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”. In altre parole e come già si è rilevato, la giurisdizione contabile è prescritta ogni qualvolta vi sia una contribuzione pubblica e, quindi, sia necessario sindacare il conseguente utilizzo del denaro pubblico, così ricevuto, da parte del soggetto ricevente. E l’art. 2 della legge 21 marzo 1958 n. 259, al fine di stabilire quali siano gli enti a contribuzione ordinaria, afferma che sono contribuzioni ordinarie quei contributi che una pubblica amministrazione assume a proprio carico, con carattere di periodicità, per la gestione finanziaria di un ente.

Al disposto costituzionale va aggiunto l’art. 1, comma 1, del Codice di giustizia

contabile che stabilisce che “la Corte dei conti ha giurisdizione nei giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danno all’erario e negli altri giudizi in materia di contabilità pubblica”. Allora, ai fini del nostro esame, rilevanti non possono che essere le parole “responsabilità amministrativa per danno all’erario[6].

Il vocabolario italiano definisce la parola “erario” e il correlativo aggettivo “erariale” come “tesoro pubblico, finanze dello Stato”. Ovverosia, la presenza di tali parole impone di concludere che c’è danno erariale quando a “provocarlo” è sicuramente una pubblica amministrazione e, quando, comunque il danno si ripercuote sulle finanze dello Stato. Ma dovendosi escludere che il gestore di beni in proprietà collettiva – i domini collettivi, appunto – sia “pubblica amministrazione”[7], non resta che “restringere” la giurisdizione contabile sui domini collettivi all’ipotesi della “investitura”, da parte della P.A., del compito di porre in essere, in sua vece, un’attività con agevolazioni pubbliche sotto forma di capitali, beni, servizi, contributi di denaro. Soltanto così è possibile pensare che vi sia un danno erariale, cioè un danno alle finanze dello Stato che ha “concesso” danaro pubblico a soggetti estranei alla P.A. ma con essa legati con una relazione caratterizzata dal fatto di essere stati “incaricati” del compito di porre in essere in vece di essa, un’attività finanziata dalla stessa P.A. E, allora, questa sarebbe l’unica ipotesi di danno che farebbe sorgere la giurisdizione contabile sulla gestione dei domini collettivi.

Senonché, nel caso di specie non vi è stata la concessione di un contributo pubblico[8], dato che all’Asuc di Pozza di Fassa non è stata “delegata” l’esecuzione di un programma pubblico con agevolazioni pubbliche; cioè nel caso di specie non vi è stata distrazione di contributi pubblici percepiti dal gestore della proprietà collettiva dei frazionisti di Pozza di Fassa, perché alla detta Asuc non è stata “trasferita” dalla P.A. l’esecuzione di un suo programma (pubblico, per i fini e per le somme impegnate) che essa Pubblica amministrazione, per la complessa organizzazione del progetto, non era capace di svolgere con la dovuta celerità e semplicità. Se nel caso in questione vi è stato un danno economico, esso non è stato subito dalla P. A. ma dalla stessa Asuc che, allora, sarebbe legittimata ad agire contro gli amministratori responsabili.

5. In conclusione, la considerazione sopra riportata ed espressa più volte dalla Corte di cassazione[9] va condivisa. Infatti, mi pare ovvio che il privato, che “distrae” il ricevuto contributo pubblico dal “fine” della realizzazione del progetto pubblico in vista del quale gli è concesso il contributo, provochi un danno alla concedente Pubblica amministrazione: cioè la P.A. che vuole raggiungere un determinato fine dall’esecuzione di un suo specifico progetto la cui realizzazione ritiene più opportuno “delegare” al privato, non raggiunge il suo fine a causa di tale distrazione e, perciò, subisce un danno.

Se è così – come mi pare – la sentenza qui brevemente commentata, è errata.

Escluso il rilievo della natura giuridica di diritto privato del soggetto gestore del dominio collettivo, e confermato quanto si è detto a proposito della funzione ambientalistica e paesaggistica della proprietà collettiva come “originaria” dei domini collettivi, l’unico fondamento della giurisdizione contabile sui domini collettivi è quel “rapporto di servizio” messo in evidenza dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione che però, nel caso in questione, completamente manca.

Alberto Germanò

 

Sentenza Corte dei Conti, Sezione II Centrale d’Appello, 29 settembre 2023 n. 257

 

[1] www.rivistadga.it – ISSN 2421 – 4132 on line

[2] https://www.amministrativistiveneti.it

[3] E’ l’aspetto su cui hanno insistito i convenuti nel motivare l’eccezione del difetto di giurisdizione.

[4] Oggi – ex legge 20 novembre 2017 n. 168 – da definirsi ”domini collettivi”.

[5] Citata anche dalla stessa Corte dei Conti di appello nella motivazione di rigetto della eccezione di difetto di giurisdizione. Cfr. anche Cass., Sez. Un., ordinanza n. 4511 del 1 marzo 2006, criticando l’impostazione del ricorso della Procura regionale della Corte dei conti per l’Abruzzo in un caso di finanziamenti a soggetti privati che conservavano completa autonomia nell’organizzazione dell’attività imprenditoriale, rilevando che la tesi, sostenuta dalla Procura ricorrente, “non è condivisibile siccome estranea allo sviluppo della interpretazione giurisprudenziale nella materia, maturato in relazione al progressivo operare dell’Amministrazione tramite soggetti non organicamente inseriti nella stessa e del sempre più frequente operare di questa al di fuori degli schemi del – per molti versi superato – regolamento di contabilità di Stato”, sicché “ormai il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato dalla qualità del soggetto (che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue scelte, incida negativamente sul modo di essere del programma imposto dalla pubblica amministrazione alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e la incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, egli realizza un danno per l’ente pubblico, di cui deve rispondere davanti al Giudice contabile”.

[6] Sulla configurabilità del danno erariale occorre tenere conto dell’incidenza negativa di una determinato condotta sulle risorse pubbliche: così L. Balestra, Responsabilità per danno erariale e prerogative della Corte dei Conti, in Rivista della Corte dei Conti, 2019, fasc. 4, I, p. 16.

[7] La legge 20 novembre 2017 n. 168 afferma – con valore dichiarativo – che l’ente esponenziale delle collettività titolari dei diritti di uso civico e della proprietà collettiva ha personalità giuridica di diritto privato (art. 1, comma 2): dunque, il gestore di domini collettivi non è un ente pubblico e non lo è nemmeno l’Asbuc, qualora la comunità titolare di diritti di uso civico e di proprietà collettiva non si sia costituita in un apposito ente. Dunque, non sono Pubblica amministrazione le entità che gestiscono le proprietà collettive, proprio perché soggetti di diritto privato.

[8] Perciò mi pare incomprensibile questo “passaggio” (all’inizio della parte in cui si riferisce la riproposizione, dai   convenuti, del difetto di giurisdizione)  della sentenza della Corte dei conti di Appello: “Non sarebbe in discussione il caso in cui l’ASUC sia stata beneficiaria di contributi pubblici ossia di emolumenti provenienti da una pubblica amministrazione, con ipotesi di danno a quest’ultima. Verrebbe in rilievo invece l’ipotesi, qui contestata, che l’ASUC sia considerata ente pubblico”. La mancanza di contributi pubblici all’Asuc di Pozza di Fassa sarebbe, invece, il punto fondamentale per riconoscere la giurisdizione contabile sugli atti di autonormazione del gestore del dominio collettivo in questione!

[9] Cfr., infatti, anche Cass. sez. un., 14 settembre 2017 n. 21927: “in tema di danno erariale, è configurabile un rapporto di servizio tra la p.a. erogatrice di un contributo e i soggetti privati. Ove sia funzionale alla realizzazione di un progetto, l’erogazione del contributo è infatti strettamente legata all’effettività della relativa realizzazione, costituente la finalità di interesse pubblico giustificatrice dell’investimento di denaro pubblico. Il beneficiario è pertanto vincolato alla realizzazione dell’obiettivo proposto, approvato e finanziato, a tale stregua assumendo, nell’ambito di un ‘rapporto di servizio’ non ‘organico’ bensì funzionale, il ruolo di compartecipe dell’attività del soggetto pubblico erogatore finalizzato alla realizzazione del pubblico interesse”.

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