Già la legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla “Protezione delle bellezze naturali”, all’articolo 5 aveva previsto che delle “vaste località” incluse nell’elenco delle bellezze d’insieme  il Ministro (quindi: lo Stato), allora dell’ Educazione Nazionale, potesse –avesse cioè “la facoltà”, non l’obbligo di – “disporre”, e far redigere dalla competente Soprintendenza, “un piano territoriale paesistico…, al fine di impedire che le aree di quelle località” fossero “utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica”.

Con il piano si voleva, dunque, poter programmare, secondo le modalità in esso contenute, la tutela delle sole bellezze panoramiche. Ed a tale scopo, il Regolamento per l’applicazione della legge, il Regio Decreto 3 giugno 1940, n. 1357, precisò (articolo 23) che i piani paesistici dovevano avere “il fine” di stabilire: 1) le zone di rispetto; 2) il rapporto tra aree libere e aree fabbricabili in ciascuna delle diverse zone della località; 3) le norme per i diversi tipi di costruzione; 4) la distribuzione ed il vario allineamento dei fabbricati; 5) le istruzioni per la scelta e la  distribuzione della flora.

Finalizzato com’era il piano paesistico a programmare al meglio la conservazione delle bellezze panoramiche, si trattava sostanzialmente di una sorta di mega piano regolatore. Sicchè, quando, istituite le Regioni a statuto ordinario, con il Decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 8, fu operato il “trasferimento” alle stesse delle “funzioni amministrative statali in materia urbanistica”, con le ultime parole del Decreto, che aveva prima nominatim indicato le funzioni in oggetto, si precisò anche che “il trasferimento predetto riguarda altresì la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all’articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497”.

Pochi piani paesistici (prima dallo Stato, poi dalle Regioni) furono, però, approvati  (anche se il primo, relativo all’isola d’Ischia, lo fu già nel 1943, in pieno periodo bellico).

Cosicchè, con il Decreto ministeriale (c.d. Galasso) 21 settembre 1984 –“considerato”, come si leggeva nel Preambolo dello stesso, “che la situazione attuale è resa difforme e sperequata dalle forti disparità di tempi con cui si procede alla realizzazione dei piani paesistici e che”, dopo 45 anni dalla loro previsione, “sono in vigore soltanto dieci piani paesistici”-, si decise che i piani paesistici non avrebbero più avuto solo la facoltà di programmare la tutela delle bellezze panoramiche, ma anche l’obbligo di fare altrettanto per intere categorie di beni e di ambiti, dalle caratteristiche che non sempre li facevano rientrare tra le bellezze naturali,  ma che il Decreto precisò formare egualmente “integrazione degli elenchi delle bellezze naturali” (coste, monti, fiumi, foreste, eccetera: oggi indicati nell’articolo 142 del Codice come “aree tutelate per legge”).

Come è noto,  il Decreto fu dichiarato illegittimo dal Tribunale Ammistrativo Regionale  del  Lazio, ma i suoi contenuti furono trasferiti nella legge 8 agosto 1985, n. 431 (c.d.  legge Galasso).

Quindi, con il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, considerato che, di fatto, oggi con il termine paesaggio “si intende il territorio” (cioè tutto il territorio) “espressivo di identità”, il piano ha mutato il nome da paesistico a paesaggistico ed ampliato il suo contenuto.

Ferme restando in capo alle Regioni le competenze in ordine alla sua formazione, il piano è divenuto obbligatorio per l’intero territorio della Regione e con riferimento ad ogni bene paesaggistico già ex lege o con atto amministrativo vincolato ed a quant’altri lo stesso piano paesaggistico decida di dare tutela.

Con la riforma al Codice operata dal Decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 (c.d. decreto Rutelli), la situazione è, però, ancora mutata.

E ciò, innanzitutto, con riferimento alla competenza in ordine alla sua formazione: non più necessariamente solo regionale, ma con la possibilità –in taluni casi (vedi articolo 135, comma uno) l’obbligo –di accordi di formazione congiunta Stato-Regioni e, laddove nel termine fissato dall’intesa il piano non venga dalla Regione approvato, con la previsione che a ciò provveda, in via sostitutiva, il Ministro.

Invero, l’articolo 135 del Codice Urbani, nel suo testo originario del 2004, prevedeva, sotto la rubrica “pianificazione paesaggistica”, che “le Regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato. A tal fine sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici…”.

Ora, dopo le modifiche apportate al Codice dal Decreto legislativo n. 63 del 2008, la situazione giuridica è, però, significativamente mutata.

Non più  solo  le Regioni,  ma  “lo  Stato  e  le Regioni” –eccetto la Val d’Aosta, la Sicilia e le Province di Trento e Bolzano, che non hanno obbligo di copianificazione, in base ai poteri loro attribuiti dagli Statuti speciali, avendo piena autonomia in materia di paesaggio-, con il piano assicurano (cioè: devono assicurare) la salvaguardia del paesaggio sotto molteplici aspetti e non  soltanto sotto quelli della tutela e della valorizzazione .

Il piano, invero, oggi deve provvedere a che il territorio sia innanzitutto “conosciuto” (perché, per tutelarlo e valorizzarlo, bisogna avere le idee chiare sulla situazione in atto) e, quindi,  conseguentemente, “salvaguardato”. Ed a tal fine ecco che, con lo strumento di programmazione per il futuro, il territorio regionale va “pianificato” e, poi, “gestito”: e tutto ciò non superficialmente, ma “adeguatamente”.

Naturalmente, ogni Regione ha specificità sue particolari (pianure, coste, montagne, centri storici, boschi, caratteristiche identitarie, eccetera): e, dunque, il piano deve dettare, sempre “adeguatamente”, delle discipline programmatorie per il territorio non eguali ovunque, ma “in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono”.

E per far ciò, deve riconoscere gli aspetti e i caratteri peculiari nonché le caratteristiche paesaggistiche” e delimitarne “i relativi ambiti”: che, poi, nel loro insieme considerati, consentiranno di dare una disciplina paesaggistica complessiva a “tutto il territorio” regionale.

Per provvedere a questo, l’articolo135 –come già aveva fatto, ma limitatamente ai beni vincolati ex lege, la c.d. legge Galasso, la l. 8 agosto 1985, n. 431- prevede che Stato e Regioni possano adempiere al loro dovere di sottoporre “a specifica normativa d’uso il territorio” in due modi:  pel tramite di “piani paesaggistici” o di “piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici”, “entrambi di seguito denominati piani paesaggistici”.

Va, al riguardo, ricordato che il Decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 8, aveva trasferito alle Regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative statali in materia di urbanistica. E l’articolo 80 del Decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, aveva definito quest’ultima come la materia concernente “la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo”: e di cui ora, anche nel novellato articolo 117 della Costituzione si parla, in senso più ampio, come di “governo del territorio”. Ma nel far ciò, lo stesso D.P.R. n.8 del 1972 aveva attribuito alle Regioni le competenze vuoi in ordine alla redazione ed alla approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all’articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n.1497, che alla “approvazione dei piani territoriali di coordinamento previsti dall’articolo 5 della legge 17 agosto 1942, n. 1150”, la “Legge urbanistica”.

Quest’ultima prevedeva –nel 1942 per il Ministero dei lavori pubblici, poi per le Regioni- la “facoltà di provvedere alla compilazione di piani territoriali di coordinamento, fissando il perimetro di ogni singolo piano”: e ciò “allo scopo di orientare e coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio nazionale”.

Come per i piani paesaggistici, anche per tali piani (P.T.C.) è stato successivamente previsto l’obbligo di formazione, con riferimento all’intero territorio regionale.

Sicchè, è data ora alle Regioni la facoltà di scegliere –sempre, ovviamente, tenendo conto degli “indirizzi e criteri” per la definizione dei quali il Ministero e le Regioni cooperano (articolo 133)- se munirsi di due piani regionali distinti, uno urbanistico ed uno paesaggistico, o se, anche per evitare possibili discrasie tra i due piani, unificare i contenuti degli stessi in un unico strumento pianificatorio.

Orbene, prima del Codice, quasi tutte le Regioni –sia pur in modo molto diverso tra loro- avevano provveduto: chi con piani paesistici, chi con piani territoriali con valenza paesistica.

Dopo il decreto Rutelli del 2008, però, solo in 6 Regioni su 20 (Sardegna, Puglia, Toscana, Friuli, Piemonte e Lazio) i piani sono stati approvati in conformità (o quasi) a quanto previsto dal modificato Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Si è proceduto in avanti, sia pur lento pede (anche se varie Regioni hanno un’attività di pianificazione in corso): e talora si è fatto addirittura qualche passo indietro.

Così in Veneto, che, munito di un PTRC con valenza paesistica approvato nel 1992, nel 2020 lo ha abrogato, approvando con Deliberazione del Consiglio Regionale n.62 del 30 giugno, in vigore dal successivo 2 agosto, un nuovo piano territoriale di coordinamento che “sostituisce il PTRC 1992”, ma con sola valenza urbanistica e senza più attribuzione della valenza paesaggistica (e ciò con la generica e criptica motivazione: “per proprie autonome valutazioni”).

Ma dopo soli 9 giorni (!) dall’entrata in vigore del nuovo PTRC, con DGR 11 agosto 2020, n.1176, è stato approvato lo “schema di protocollo di intesa”tra Regione e Ministero, “per l’elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale”: precisandosi nel protocollo che “è necessario ed urgente pervenire alla redazionee del Piano paesaggistico del Veneto distinto dal PTRC di recente approvato”.

Evidentemente –come scrissero Terenzio e Cicerone- tot capita, tot sententiae. Ma le differenze che ci sono nell’attivismo –positivo o negativo- e nell’inerzia di tante Regioni non sono sempre facili da comprendere.

Chi vivrà vedrà. Speriamo –vista l’età di chi scrive- presto!

Marino Breganze de Capnist

* Introduzione al Seminario su “La pianificazione paesaggistica: esperienze regionali a confronto”, tenuto nell’ambito del Corso di Alta Formazione “Diritto del Paesaggio: attualità e prospettive” (Università di Padova, 29 aprile 2022).

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