Il tema che gli organizzatori di questo bel convegno mi hanno assegnato – paesaggio ed energia da fonte rinnovabile – è un classico esempio di conflitto tra interessi tutelati dall’ordinamento, anche a livello costituzionale. Addirittura con la particolarità che, se consideriamo l’art. 9 Cost., essi sono incardinati nella medesima norma costituzionale (per richiamo espresso nel caso del paesaggio e per interpretazione evolutiva nel caso dell’ambiente), nonostante appaiano spesso come antagonisti nel caso concreto.

E per motivi diversi nell’ordinamento attuale (sia italiano che sovranazionale) entrambi questi oggetti godono di una particolare tutela – nel caso del paesaggio – che diventa piuttosto un favor del legislatore – nel caso delle FER. Tutela del paesaggio e favor verso le fonti di energia rinnovabile, che non sono affatto nuovi.

Quindi ci troviamo di fronte a uno dei nodi del diritto amministrativo: come semplificare la complessità degli interessi?

La mia relazione tratterà brevemente i punti del decreto che introducono disposizioni in questi due settori, concentrandomi in particolare sul loro reciproco atteggiarsi (e trattando invece più velocemente le specificità delle semplificazioni in materia di impianti di accumulo).

Siamo di fronte a un nuovo decreto semplificazioni, nuovo sia perché di recente pubblicazione, sia perché segue lo scorso anno il 78/2020 veniva chiamato allo stesso modo, forse con maggior coerenza visto che recava il titolo “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” mentre quello che stiamo commentando ufficialmente prende il nome di “Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure” e preannuncia quindi altre misure di organizzazione delle strutture e interventi sui provvedimenti.

Ad ogni modo l’intento di semplificazione affiora in diverse occasioni traducendosi in interventi sull’organizzazione amministrativa e sui procedimenti, come abbiamo sentito nelle relazioni che mi hanno preceduto.

Il Titolo V del decreto è dedicato a “disposizioni in materia paesaggistica” nonostante contenga un solo articolo, intitolato a sua volta “soprintendenza speciale per il PNRR e ulteriori misure urgenti”, anche se le ulteriori misure urgenti non compaiono nella norma che si occupa solo del nuovo organo, del suo funzionamento e del suo finanziamento. Chissà se queste rubriche così ampie rispetto alle disposizioni che contengono sono destinate a essere riempite in sede di conversione del decreto legge. E in generale ci dobbiamo chiedere quali delle disposizioni del d.l. che oggi commentiamo verranno modificate in sede di conversione, nelle prossime settimane.

L’art. 29 per “assicurare una più efficace e tempestiva attuazione degli interventi del PNRR” prevede una soprintendenza speciale per il PNRR, creata presso il Ministero della cultura come ufficio di livello dirigenziale straordinario e temporaneo. È destinata (per ora) ad essere operativa fino al 31 dicembre 2026, che com’è noto è l’orizzonte temporale del PNRR e dei piani ad esso connessi.

Si tratta della seconda Soprintendenza speciale nel nostro ordinamento, che conosce già la Soprintendenza speciale (permanente) di Roma (di cui all’art. 36 del regolamento di organizzazione del Ministero n. 169/19).

La soprintendenza speciale PNRR è sotto la direzione del direttore generale archeologia, belle arti e paesaggio di cui all’art. 16 del regolamento n. 169/19 ed opera anche avvalendosi per l’attività istruttoria delle esistenti Soprintendenze archeologia belle arti e paesaggio, che sono state così unificate con la riorganizzazione del 2016.

L’art. 29 non specifica quante unità di personale, ulteriori e quindi a tempo determinato ne faranno parte, se non con riguardo alla segreteria tecnica, prevista al comma 4 per un periodo di 36 mesi.

La segreteria tecnica sarà composta da personale di ruolo del Ministero e da un “contingente di esperti” (l’espressione contingente mi ha colpito perché mi pare un po’ militaresca più che attinente al diritto amministrativo, in questo contesto). Gli esperti “di comprovata qualificazione professionale” avranno un incarico individuale con contratto di lavoro autonomo ai sensi e in presenza dei presupposti dell’art. 7 comma 6 del TU sul pubblico impiego d.lgs. 165/2001. La norma non specifica di quanti esperti sia composto il contingente, ma fissa un tetto massimo di spesa che corrisponde a 30 posizioni.

Dal terzo anno in poi vengono stanziati solo 50.000 euro, che corrispondono alla retribuzione ad interim per l’incarico dirigenziale ulteriore del Direttore generale.

La soprintendenza speciale PNRR svolge le funzioni di tutela dei beni culturali e paesaggistici nei casi in cui questi siano interessati da interventi del PNRR sottoposto a VIA statale o rientrino nella competenza territoriale di almeno due soprintendenze.

Inoltre con riguardo a “ulteriori interventi strategici” del PNRR, quindi anche se manchino i due requisiti della VIA statale o della competenza territoriale estesa visto che tutti gli interventi previsti dal PNRR possono essere definiti strategici, ha poteri di avocazione e sostituzione nei confronti  delle altre soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio. L’art. 29 specifica che questi poteri sono attivabili in via discrezionale (può) e in caso di necessità e per  assicurare la tempestiva attuazione del PNRR, ossia con paletti che lasciano un ampio margine per l’intervento della soprintendenza speciale.

La norma è stata salutata dal Ministro della cultura, che infatti risulta anche come proponente assieme al PdCM e ad altri, come un raggiunto punto di equilibrio tra le esigenze di accelerazione e quelle di tutela del patrimonio culturale.

Posto che i poteri di avocazione e sostituzione erano già previsti in capo al direttore generale dal regolamento del 2019, la soprintendenza speciale consente però di impostare da principio una istruttoria unica per le opere soggette a VIA statale o riguardanti aree molto estese sui territori di competenza di almeno due soprintendenze uniche.

Se consideriamo però che già oggi in molti casi gli assensi vengono assunti in sede di conferenza di servizi e il sistema del rappresentante unico delle amministrazioni statali impone già oggi un coordinamento e un bilanciamento preventivi, forse l’apporto innovativo riguarda soprattutto il come viene impostata l’istruttoria, con gli effetti che questo comporta sulla decisione finale.

Vero è che le amministrazioni statali possono esprimere al rappresentante unico per la conferenza simultanea il proprio dissenso ai sensi dell’art. 14-ter, quarto comma, l. 241/90 in modo poi da attivare i rimedi per le amministrazioni dissenzienti di cui all’art. 14-quinquies. Ovvero l’opposizione davanti al Presidente del consiglio di ministri per le amministrazioni preposte alla cura di interessi differenziati (o sensibili, secondo la terminologia che si voglia preferire) che sospende gli effetti della determinazione finale della conferenza e viene risolta in ultima istanza, in sede politica.

E proprio su questo interviene il d.l. 77 sulla accelerazione delle procedure per le fonti rinnovabili (il capo VI), che con riferimento agli interventi localizzati nelle aree contermini “al fine del raggiungimento degli obiettivi nazionali di efficienza energetica contenuti nel PNIEC (piano integrato per l’energia e il clima) e nel PNRR introduce una nuova disposizione nel d.lgs. 387/2003 di attuazione della direttiva FER.

Il d.lgs 387 prevede una autorizzazione unica rilasciata dalla regione (o dalle province delegate dalle leggi regionali) rilasciata in sede di conferenza di servizi convocata dal MISE o dalla regione, che costituisce anche variante agli strumenti urbanistici.

La norma prevede la partecipazione del Ministero della cultura nei procedimenti unici per gli impianti localizzati in aree tutelate o per le quali sia stato iniziato l’iter procedimentale per la tutela e nelle aree contermini.

Il decreto (il 77 ma nemmeno il 387) non specifica cosa debba intendersi per aree contermini. Il Codice per i beni culturali e per il paesaggio utilizza questa espressione solo in relazione alla tutela ex lege delle rive dei laghi, quindi non è una definizione che utile in questo caso.

Di aree contermini parlano le linee guida per la realizzazione degli impianti di energia rinnovabile del 2010 (punto b) del par. 3.1. ed e) del par. 3.2, e la distanza è individuata in 50 volte l’altezza massima dell’aerogeneratore. Ma non sono certa che in questo caso il legislatore intendesse adottare questa misura, e forse sarebbe opportuno un chiarimento sul punto, così come si potrebbe fare una riflessione sulla inclusione o meno tra i “beni sottoposti a tutela” della tutela indiretta.

Con riferimento alle aree contermini alle aree sottoposte a tutela paesaggistica l’art. 30 d.l. 77 prevede che il parere espresso dal Ministero della cultura sia obbligatorio ma non vincolante.

Decorso inutilmente il termine per esprimere il parere, l’amministrazione provveda sulla domanda di autorizzazione e che in ogni caso il Ministero non possa attivare il meccanismo di superamento del dissenso appositamente previsto per esso (e per le altre amministrazioni preposte alla cura di interessi sensibili) dalla 241/90. Si disinnesca quindi la previsione di cui all’art. 14-quinquies 241/90.

Peraltro i poteri del Ministero in relazione alle aree contermini, come specificati dalle linee guida del 2010, al punto 14.9, sono unicamente quelli previsti dall’art. 152 del Codice del paesaggio, ossia prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso di esecuzione per assicurare la conservazione dei valori paesaggistici.

La disposizione disinnesca un potere di veto (consentitemi di utilizzare questa espressione un po’ grossolana), come parrebbe leggendo l’art. 30 d.l. 77/2021 o è rivolta ai poteri di prescrizione di cui all’art. 152 e all’eventuale stallo che si origina in caso di inerzia? In quest’ultimo caso l’impatto dell’art. 30 è più ridotto di quello che appare a prima lettura.

Si è comunque spinti a chiedersi se questa sia una erosione di quel caposaldo dell’ordinamento e che connota lo status delle amministrazioni preposte alla cura di interessi sensibili, come emerge in diverse norme anche della l. 241/90 che non occorre richiamare alla memoria di questa qualificata platea.

E in questo senso vanno anche le previsioni che abbiamo sentito richiamare dall’avv. Ceruti previsti dall’art. 20 d.l., che richiedono il concerto dei Direttori generali, quindi una discesa dal vertice politico a quello dirigenziale amministrativo; che includono l’autorizzazione paesaggistica nel concerto e i meccanismi sostitutivi ivi previsti anche in relazione all’inerzia del Ministero della cultura.  Condivido con l’avvocato Ceruti l’opinione che il concerto  dovrebbe implicare una completa istruttoria per l’autorizzazione paesaggistica, che l’autorizzazione ex art. 146 Codice verrebbe quindi anticipata ma resterebbe una valutazione autonoma, vedremo se la prassi si orienterà in questo senso. E vedremo se in mancanza di concerto, per negativa valutazione della compatibilità paesaggistica, si farà spesso ricorso ai meccanismi politici di superamento del dissenso.

Lo stesso dicasi per le altre disposizioni contenute nel capo VI di semplificazione per gli impianti di accumulo e fotovoltaici, che escludono la necessità di valutazioni ambientali e in alcuni casi di autorizzazione per il repowering di impianti esistenti e innalza le soglie di potenza che consentono di procedere con procedura di abilitazione semplificata. Con riguardo a quest’ultimo caso, ossia gli impianti fotovoltaici di potenza fino a 10 megawatt, il proponente deve presentare una autodichiarazione che l’impianto non si trova nelle aree non idonee individuate dalle regioni ai sensi delle linee guida del 2010, quindi ad esempio aree di notevole interesse culturale. Con riguardo all’individuazione delle aree idonee, ricordo che è entrata in vigore qualche giorno fa la legge di delegazione europea 2019-2020, legge n. 53/2021, che a questo dedica l’art. 5.

In queste disposizioni, ma anche in quella che deroga al divieto di incentivazione di installazioni a terra di impianti fotovoltaici nei terreni agricoli previste sempre dallo stesso art. 31 e nelle ulteriori previsioni dell’art. 32 l’intendo acceleratorio è evidente e molto determinato.

E d’altronde è necessario se l’Italia deve raggiungere le soglie di energia pulita (utilizzo questa espressione perché contenuta nel Clean energy package, anche se sappiamo che l’energia pulita non esiste e che anche le energie rinnovabili hanno impatti ambientali, oltre che paesaggistici, seppur non paragonabili alle energie da combustibili fossili) per il 2030, che richiede di triplicare la produzione di gigawatt e quindi un aumento proporzionale, quindi gigantesco, delle installazioni esistenti.

E qui c’è il punto dolente delle ultime aste, che non sono andate bene. A fronte di un contingente di potenza offerto nel settembre 2020 di 1300 Megawatt ne sono stati richiesti 430, ossia meno di un terzo. Vedremo se il problema qui erano la lunghezza e la complessità dei procedimenti di autorizzazione o anche l’incertezza dell’esito e della fattibilità sulla singola area. E a questo proposito è stato suggerito di  modificare il sistema delle aste, mettendo a bando -come fatto in alcuni paesi del nord-un pacchetto che comprenda già le autorizzazioni. Ovviamente sarebbe una soluzione da pensare meglio, con tutte le variabili del caso e del progetto.

Questa mattina è emerso più volte il concetto di una proiezione al futuro e di un dinamismo normativo ma anche sociale, con connotati che a me ricordano alcune rappresentazioni futuriste. E futurista è anche in qualche modo la definizione di “turbonorme”, che qualche giorno fa è stata utilizzata nell’ambito del convegno dell’associazione italiana di diritto dell’ambiente,  con riferimento a quelle introdotte dal decreto legge e che mi pare esprima molti dei meccanismi e degli strumenti introdotti.

Si pensi, oltre a quelli fino ad ora ricordati, al potere governativo previsto dall’art. 12, di esercitare poteri sostitutivi, e alla norma generale sul superamento del dissenso di cui all’art. 13 che ha richiamato anche l’avv. De Cesaris, individuandovi – a mio avviso correttamente – una indicazione interpretativa che trascende la singola disposizione.

In particolare i poteri sostitutivi vengono esercitati a livello governativo, da organi individuati o tramite commissari ad acta, con ordinanza motivata in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, come prevede il comma 5 dell’art. 12. Nel caso in cui la deroga riguardi il patrimonio culturale (oltre che la salute, la sicurezza e l’ambiente) l’ordinanza è adottata previa autorizzazione della cabina di regia PNRR di cui all’art. 2 (in cui siedono il PDCM e i ministri di volta in volta competenti per materia)

Le ordinanze in deroga non sono una novità nell’ordinamento italiano, pensiamo principalmente a quelle di protezione civile. Evocano però scenari di emergenza ed urgenza che sono tumultuosi e che mi pare significativo sottolineare in connessione al PNRR e ad una formidabile volontà dell’ordinamento per la sua realizzazione piena.

Mi avvio alla conclusione e torno alla domanda iniziale sul contemperamento degli interessi. In questo caso il legislatore ha spostato il punto di equilibrio verso l’attuazione e la realizzazione dei progetti.

Comporta questo una netta diminuzione della tutela degli interessi differenziati?

O è piuttosto il segno di un cambio di passo, verso una integrazione degli interessi?  È questa integrazione possibile?

A questo proposito si può ricordare quanto è stato detto in relazione alla connessione tra il contrasto al cambiamento climatico e la tutela del paesaggio. Esse sono reciprocamente funzionali, in maniera non tanto evidente nel sistema delle tutele previsto dal legislatore (anche se la considerazione unitaria dell’ambiente e del paesaggio affermata in più occasioni dalla Corte costituzionale e che emerge anche nelle valutazioni ambientali vanno in questa direzione) quanto nella sostanza dei fenomeni naturali.

Qui però mi fermo, perché al di là delle intenzioni del legislatore, sarà poi – come sempre- di fronte alla fase applicativa e alle scelte concrete che dovremmo chiederci se l’auspicato equilibrio è stato realizzato.

Elena Buoso

* Il testo riprende e sviluppa l’intervento tenuto al Convegno del 9 luglio 2021, organizzato dall’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti dal titolo “Le sfide del piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”.

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