1. Il quadro normativo.

Nel pieno dell’emergenza pandemica il legislatore ha inteso rilanciare l’economia, tramite, da un lato, le misure di incentivazione fiscale (tra le quali il noto “Superbonus 110%”), dall’altro, l’opera di semplificazione amministrativa (D.L. n. 76/2020).

Merita approfondire non già il tema della semplificazione amministrativa, ma dell’incentivo fiscale nel suo rapporto con la disciplina edilizia. Va però ricordato che l’art. 10, comma 1, lett. d), numero 2), del D.L. n. 76/2020 ha aggiunto il comma 1-bis all’art. 9-bis del D.P.R. n. 380/2001, ossia la definizione di stato legittimo dell’immobile.

L’art. 119, comma 13-ter, del D.L. n. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 77/2020, nel testo novellato dall’art. 51, comma 3-quinquies, del D.L. n. 104/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 126/2020, disponeva che: “Al fine di semplificare la presentazione dei titoli abilitativi relativi agli interventi sulle parti comuni che beneficiano degli incentivi disciplinati dal presente articolo, le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito allo stato legittimo degli immobili plurifamiliari, di cui all’articolo 9-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e i relativi accertamenti dello sportello unico per l’edilizia sono riferiti esclusivamente alle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi”.

Era, quindi, necessaria l’asseverazione tecnica dello stato legittimo, seppure limitata agli immobili plurifamiliari, così come limitato alle sole parti comune appariva essere l’accertamento degli uffici comunali.

In forza dell’art. 33, comma 1, lett. c), del D.L. n. 77/2021, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 108/2021, l’art. 119, comma 13-ter in commento dispone – nel testo ancor’oggi vigente – che: “Gli interventi di cui al presente articolo, anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile oggetto d’intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967. La presentazione della CILA non richiede l’attestazione dello stato legittimo di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Per gli interventi di cui al presente comma, la decadenza del beneficio fiscale previsto dall’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 opera esclusivamente nei seguenti casi:

a) mancata presentazione della CILA;

b) interventi realizzati in difformità dalla CILA;

c) assenza dell’attestazione dei dati di cui al secondo periodo;

d) non corrispondenza al vero delle attestazioni ai sensi del comma 14”.

Inoltre, all’art. 119 è stato introdotto il comma 13-quater, ai sensi del quale: “Fermo restando quanto previsto al comma 13-ter, resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento”.

L’interprete si è quindi chiesto se, anche in ipotesi di CILA-S, ossia del “titolo” edilizio specificamente dedicato al Superbonus, valesse il principio generale della legittimità dell’immobile, quale requisito indefettibile e presupposto irrinunciabile, per consentire gli interventi edilizi.

In altre parole, il venir meno dell’asseverazione circa lo stato legittimo dell’immobile doveva essere interpretato come mera semplificazione amministrativa, ferma restando la necessità della sussistenza in concreto della legittimità dell’immobile ovvero come obliterazione d’ogni valutazione anche sostanziale della legittimità dell’immobile interessato dai lavori oggetto di Superbonus?

E, ancora, è legittimo presentare la CILA-S in relazione ad un immobile affetto da abusi edilizi o è necessario ottenere la sanatoria, ove possibile, prima di comunicare l’inizio dei lavori?

La prassi è stata la più varia. La rincorsa verso l’agognato traguardo del Superbonus ha sovente indotto i progettisti non solo a non rendere alcuna asseverazione, ma financo ad ignorare se l’immobile fosse regolare dal punto di vista edilizio. In una prima fase – vigente l’obbligo di asseverazione – si era scatenata la corsa all’accesso agli atti comunali, per verificare la regolarità dell’immobile, poi la corsa alla sanatoria, ove l’immobile non fosse regolare e le irregolarità fossero sanabili; in una seconda fase – vigente l’attuale testo normativo – il controllo e la regolarizzazione preventivi sono sovente venuti meno.

La questione interpretativa non è di poco momento, sia per il notevole numero di accessi al Superbonus e per le conseguenze sia sotto il profilo amministrativo degli interventi edilizi, supportati da CILA-S, ma effettuati su immobili abusivi, sia sotto il profilo tributario, sia sotto il profilo civilistico, sia sotto il profilo penale.

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2. La giurisprudenza.

L’analisi sarà limitata ad un peculiare aspetto amministrativo, muovendo dal principio generale, che governa la materia.

In particolare, non va dimenticato che gli interventi edilizi (a prescindere dal fatto che essi costituiscano edilizia libera o siano soggetti a CILA o a qualsivoglia titolo) possono essere legittimamente effettuati solo ove conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia generalmente intese.

Ancora più in particolare, va ricordato l’insegnamento della giurisprudenza, secondo la quale gli interventi edilizi possono essere legittimamente realizzati non solo se sussista il relativo titolo edilizio (ove necessario), ma anche se sussista la legittimità dell’immobile, ossia se esso non sia affetto da abusi edilizi. Diversamente, le opere modificative o aggiuntive sarebbero parimenti affette da abusività, riflettendo l’irregolarità dell’opera principale con effetto di propagazione dell’illecito (ex pluribus: Cons. St., sez. VI, 25 marzo 2022, n. 2171; Cass. Pen., sez. III, 3 maggio 2023, n. 18268).

Merita, al riguardo, citare per esteso il principio enunciato dal giudice amministrativo, secondo cui: <<In subiecta materia, deve trovare applicazione il principio di diritto per cui, “in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacché la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell’illecito fino alla sanatoria; da ciò discende appunto l’impossibilità della prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento d’eventuali sanatorie, sono e restano comunque illecite, donde l’obbligo del Comune di ordinarne (come nella specie) la demolizione, tranne che tal prosecuzione avvenga nel rispetto delle procedure poste dall’art. 35 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, ancora applicabile grazie ai rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica e che, a queste condizioni, non esclude la definizione del condono (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 14 agosto 2015 n. 3943; id., II, 5 dicembre 2019 n. 8314)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4473)>> (Cons. St., sez. VI, n. 2171/2022, cit.).

Ora, se è vero che il vigente testo dell’art. 119, comma 13-ter, del D.L. n. 34/2020 non richiede l’attestazione della regolarità edilizia dell’immobile (in particolare, dello stato legittimo, ai sensi dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del D.P.R. n. 380/2001), è anche vero che il successivo comma 13-quater suona come un caveat, laddove afferma che: “Fermo restando quanto previsto al comma 13-ter, resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento”.

Infatti, le prime pronunce del giudice amministrativo, rese su provvedimenti inibitori di CILA-Superbonus (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 7 dicembre 2023, n. 18386; T.A.R. Veneto, sez. II, ord. 13.3.2023, n. 128), fanno leva proprio sul comma 13-quater e sul principio generale anzi citato ed affermano la necessità che anche gli interventi soggetti a CILA-S siano soggetti alle medesime regole generali, in base alle quali gli interventi edilizi possono essere realizzati solo se afferenti ad immobili non abusivi. Il venir meno dell’obbligo di asseverazione dello stato legittimo dell’immobile riflette l’esigenza di semplificazione dell’iter amministrativo, ma non comporta l’irrilevanza degli abusi edilizi eventualmente sussistenti.

Giova citare il punto saliente della sentenza sopra indicata, precisando che il caso concreto afferiva ad un provvedimento comunale di divieto di prosecuzione dei lavori relativi ad una CILA-S, sino alla definizione della SCIA in sanatoria (presentata, ma non perfezionata).

Il giudice amministrativo ha affermato che: <<Ritiene invero il Collegio che, seppure il capo di motivazione in questione non sia del tutto privo di alcune imprecisioni e inesattezze terminologiche ed argomentative, la decisione di vietare la prosecuzione dei lavori sino alla definizione della SCIA in sanatoria debba ritenersi coerente con il principio secondo cui gli interventi edilizi per essere lecitamente realizzati devono afferire a immobili non abusivi, verificandosi altrimenti un effetto di propagazione dell’illecito per cui le opere aggiuntive partecipano delle caratteristiche di abusività dell’opera principale.

Tale principio generale, che comporta il divieto di prosecuzione di lavori su opere abusive, non potendo gli stessi essere legittimamente realizzati in pendenza di una sanatoria, non può che valere, ad avviso del Collegio, anche per la speciale ipotesi di CILA disciplinata nell’ambito della normativa relativa al c.d. “superbonus 110%”.

Le disposizioni di cui all’art. 119, comma 13-ter, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 34 del 2020, secondo cui “Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile oggetto d’intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967. La presentazione della CILA non richiede l’attestazione dello stato legittimo di cui all’ articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”, vanno dunque interpretate nel senso che in sede di presentazione della pratica per fruire del “superbonus 110%” non deve essere asseverato lo stato legittimo dell’immobile, ma non certo nel senso che, ai fini dei lavori di efficientamento energetico o di adeguamento sismico di cui alla normativa in questione, non rilevino gli eventuali precedenti illeciti edilizi commessi sull’immobile.

L’esigenza di semplificazione degli adempimenti a carico del privato perseguita dalla norma non può infatti risolversi, pena un’inammissibile incoerenza del sistema, in una limitazione o addirittura in un’esclusione del potere-dovere del Comune di reprimere gli abusi edilizi, il che, del resto, è confermato dalla clausola di salvezza di cui al successivo comma 13-quater dello stesso art. 119, ai sensi del quale resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento” (in tal senso, T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 marzo 2023, n. 128).

Correttamente, dunque, nel caso di specie, il Comune di Tarquinia, accertata la presenza sull’immobile oggetto dei lavori di cui alla CILAS di abusi edilizi, per come del resto dichiarati dallo stesso Condominio mediante presentazione di un’istanza di sanatoria, ed appurato che tale istanza presentava plurime carenze tali da giustificare l’adozione di un invito a conformarsi, ha disposto che “l’eventuale nuova pratica, concernente l’oggetto, potrà essere valutata solo successivamente l’eventuale definizione della SCIA in sanatoria”>> (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, n. 18386/2023, cit.).

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3. Conclusioni.

Dal punto di vista edilizio, si deve concludere che il venir meno dell’obbligo di attestare lo stato legittimo dell’immobile, ai fini della presentazione della CILA-S, non oblitera la necessità della regolarità dell’edificio; non sussiste l’onere di attestazione per esigenze di mera semplificazione del procedimento, ma continua a sussiste l’obbligo sostanziale della conformità urbanistico-edilizia dell’immobile, senza la quale non può essere presentata la CILA-S ed effettuato alcun lavoro.

Parimenti, il Comune non può abdicare al proprio potere-dovere di reprimere gli abusi edilizi, ove se ne avveda.

Dal punto di vista tributario, allo stesso modo, l’intervenuta eliminazione dell’obbligo d’attestazione dello stato legittimo all’atto della presentazione della CILA-S ha finalità di mera semplificazione e non sembra giustificare la detrazione fiscale del 110% rispetto ad immobili abusivi, che non si ritiene possano godere dell’incentivo fiscale (T.A.R. Veneto, sez. II, ord. n. 128/2023, cit.).

Di conseguenza, la CILA-S presentata in relazione ad un immobile abusivo appare fortemente rischiosa, sia sotto il profilo edilizio, sia sotto il profilo tributario.

Rimane la regola di sanare eventuali abusi (ottenendo la sanatoria), prima di presentare la CILA-S.

Alessandro Veronese

Franco Zambelli

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