SOMMARIO: 1. Origini e motivazioni storiche del vincolo; 2. L’art. 8 della legge quadro sul turismo n. 217/1983 e la giurisprudenza formatasi sulla scia di tale norma; 3. La sorte del vincolo alberghiero dopo l’intervenuta abrogazione della legge n. 217/1983; 4. Conclusioni.

  1. Origini e motivazioni storiche del vincolo.

Il vincolo di destinazione alberghiera è significativamente comparso nel nostro ordinamento giuridico a cavallo tra i due conflitti mondiali.

In proposito, giova ricordare che l’articolo 1 del R.D.L. n. 274/1936, come modificato in sede di conversione dall’articolo unico della L. n. 1692/1936, stabilì per la prima volta che “gli edifici che, alla data di pubblicazione del presente decreto, sono interamente o prevalentemente destinati ad uso di albergo, pensione o locanda, per destinazione dei proprietari o per concessione risultante da contratto di affitto, non possono essere né venduti né dati in locazione, per uso diverso da quello alberghiero, senza l’autorizzazione del ministero per la stampa e la propaganda”, attraendo così di fatto al controllo della mano pubblica le modifiche dell’uso ricettivo impresso agli immobili dai rispettivi titolari.

Interessante notare, soprattutto visti i sistemi di comunicazione dell’epoca, che il rilascio della prevista autorizzazione ministeriale doveva intervenire entro un mese decorrente dalla data di spedizione postale della relativa istanza e che “trascorso tale termine in mancanza di comunicazioni l’istanza s’intenderà accolta”.

Ora, tra gli obiettivi che tale norma si prefiggeva vi era quello di mantenere inalterata in termini quantitativi l’offerta ricettiva al tempo esistente che rappresentava una realtà produttiva (nell’ambito dei servizi) non irrilevante in un paese da sempre considerato ad alta vocazione turistica come l’Italia, tant’è che lo svincolo della destinazione alberghiera veniva stimato possibile “allorché (il Ministero) avrà accertato che la destinazione alberghiera non è necessaria alle esigenze del movimento turistico nazionale” (art. 3 della legge).

Si trattava, dunque, di una legge a valenza sostanzialmente “economica” e che non aveva nulla a che fare con l’urbanistica, anche perché i Piani regolatori generali sarebbero stati introdotti ben 8 anni dopo dalla nota L. n. 1150/1942.

La richiamata disposizione del 1936 venne, in seguito, prorogata dall’art. 1 del D.lgs. luogotenez. 117/1945, in forza del quale “la legge 24 luglio 1936, n. 1692, avrà attuazione fino a cinque anni dalla cessazione dello stato di guerra, fermi restando gli effetti degli atti e dei provvedimenti che siano stati presi a termini della legge stessa”.

Siffatta previsione fu, quindi, oggetto di reiterate proroghe (per una dettagliata ricostruzione delle quali si rinvia al punto n. 2 de “Il Vincolo alberghiero nella commercializzazione degli immobili”, Studio n. 518-2007/C, di Giovanni Casu, rinvenibile nel sito del Consiglio Nazionale del Notariato) sintantoché tale normativa, per effetto dell’ordinanza del 7 febbraio 1975 della IV Sezione del Consiglio di Stato, non finì all’attenzione della Corte Costituzionale il cui vaglio critico si incentrò in particolare sull’art. 5 del D.L. 460/1967 (convertito con modificazioni in L. 628/1967) in base al quale “il vincolo alberghiero già prorogato con l’art. 3 del decreto-legge 23 dicembre 1964, n. 1357, convertito nella legge 19 febbraio 1965, n. 33, è ulteriormente prorogato al 31 dicembre 1969”.

In  particolare, la questione sottoposta alla Consulta  dal Giudice rimettente concerneva l’illegittimità costituzionale della legge 28 luglio 1967, n. 628 (che prolungava il vincolo posto dalla precedente legge n. 358 del 1951) per violazione dell’articolo 3, primo comma, Cost., dal momento che le disposizioni di proroga del vincolo avevano mantenuto in vigore il precedente regime vincolistico, ma in un ambito più ristretto rispetto a quello dell’iniziale applicazione, lasciando ad esso sottoposti solo determinati immobili e risparmiandone altri. Il criterio discretivo in tal modo assunto, osservava il giudice a quo, era giustificato nel momento in cui venne istituito dal Legislatore, ma con l’evolvere delle circostanze avrebbe perduto il suo razionale fondamento.

Il Giudice delle leggi chiariva in proposito che “si tratta di un vincolo, infatti, più volte prorogato (ovvero ripristinato addirittura, quando esso fosse intanto venuto a scadere), con una serie di apposite norme, emesse non solo prima, ma anche dopo quella di cui è denunziata l’illegittimità: la quale ultima, com’è detto in narrativa, viene in rilievo in quanto è la disposizione di proroga che, in ordine di tempo, precede immediatamente il provvedimento impugnato innanzi al giudice a quo, abilita l’autorità amministrativa ad adottarlo, e ne costituisce, quindi, il fondamento. Quale esso è configurato nella legislazione che lo ha originariamente previsto ed è stata successivamente prorogata, il vincolo in questione grava sugli immobili adibiti ad albergo per destinazione del proprietario o per concessione risultante dal contratto d’affitto; tale destinazione è fissata dalla legge col prescrivere che l’immobile non possa essere né venduto né dato in locazione per uso diverso da quello alberghiero senza l’autorizzazione degli organi competenti, l’autorizzazione è concessa solo se risulti accertato che la destinazione alberghiera non sia necessaria alle esigenze del movimento turistico (…); dove si accerta, invece, che la destinazione alberghiera è necessaria per i fini considerati dalla legge, la pubblica autorità, alla quale compete la suddetta autorizzazione, viene investita di altri poteri, diretti ad assicurare che ogni eventuale trasferimento o locazione dell’immobile avvenga nel rispetto del regime vincolistico”.

Peraltro, la Corte evidenziava che, contrariamente a quanto rilevato nell’ordinanza di rimessione, la discriminazione fra gli immobili destinati ad uso alberghiero era in vero riconducibile al precedente articolo 26 del d.lg. del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1946, n. 424 che, al primo comma, disponeva “le norme del decreto legislativo luogotenenziale 19 marzo 1945, n. 117, riguardanti la disponibilità degli immobili destinati ad uso alberghiero non si applicano nei confronti degli immobili che siano destinati ad uso di albergo, pensione o locanda, successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Siffatta disposizione, come chiarito dalla Consulta, appare motivata dal fatto che “il legislatore vuole, fin da questo momento, fugare le remore che l’ancora urgente ricostruzione edilizia può incontrare nel nostro settore, per via del regime vincolistico, ripristinato poco prima, con le norme del 1945, in tutto il suo rigore”. Per tale motivo, la norma citata “rimuove il vincolo, una volta per tutte, con riguardo agli immobili adibiti ad albergo dopo l’entrata in vigore dell’atto legislativo che la contiene: questa statuizione abolitiva del vincolo – (per il futuro, nel senso testé chiarito) – è, allora, evidentemente presupposta dalla successiva legge di proroga del 1951, là dove, all’art. 1, si fa esplicito riferimento soltanto agli immobili destinati all’uso alberghiero prima della data di pubblicazione del decreto n. 117 del 1945”.

In definitiva, il vincolo gravava di un onere ulteriore gli immobili già in precedenza destinati ad albergo, e ciò in ragione del fatto che nel dopoguerra vi era la “necessità di non diminuire le ridotte ed insostituibili attrezzature turistiche allora esistenti. Ma una tale esigenza, pressante per quanto fosse a suo tempo, è venuta affievolendosi, a misura che si è accresciuto ed ammodernato il patrimonio alberghiero; mentre la discriminazione introdotta nel regime vincolistico è troppo a lungo trascorsa da una proroga all’altra, sconfinando oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa” e, su tale presupposto, la Corte ha stimato sussistente la individuata lesione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

Ebbene, il dictum di siffatta pronuncia della Corte Costituzionale circa la natura intrinsecamente temporanea dei vincoli alberghieri ha inevitabilmente finito col fornire il criterio fondante per la legislazione successiva.

Non solo, ma i principi statuiti dalla Corte circa l’esigenza di ancorare la durata del vincolo alla effettiva permanenza della domanda ricettiva hanno, inoltre, costituito (e costituiscono ancora, come subito vedremo), il lume alla luce del quale si sono orientate le decisioni in seguito assunte in materia dai Giudici amministrativi.

 

  1. L’art. 8 della legge quadro sul turismo n. 217/1983 e la giurisprudenza formatasi sulla scia di tale norma.

Ora, la disposizione che per prima (e anche per ultima, a livello nazionale) si è occupata di disciplinare il vincolo alberghiero dopo l’intervento della Consulta è stata l’art. 8 della L. 217/1983 (legge quadro sul turismo) in forza della quale “ai fini della conservazione e della tutela del patrimonio ricettivo, in quanto rispondente alle finalità di pubblico interesse e della utilità sociale, le regioni, con specifiche leggi, sottopongono a vincolo di destinazione le strutture ricettive indicate dall’articolo 6 (vale a dire gli alberghi, i motels, i villaggi-albergo, le residenze turistico-alberghiere, i campeggi, i villaggi turistici, gli alloggi agro-turistici, gli esercizi di affittacamere, le case e gli appartamenti per vacanze, le case per ferie, gli ostelli per la gioventù, i rifugi alpini), in conformità anche con le indicazioni derivanti dagli atti della programmazione regionale. (…) Nell’ambito delle previsioni dei piani regolatori regionali i comuni provvedono ad individuare le aree destinate ad attività turistiche e ricettive e a determinare la disciplina di tutela e utilizzazione di tali aree, tenendo conto dei piani di sviluppo predisposti dalle regioni. (…) Per rispondere ad esigenze di miglioramento dell’assetto territoriale e di sviluppo del settore turistico, destinazioni diverse da quella originaria di aree e strutture turistiche e ricettive possono essere previste dai piani regolatori generali e loro varianti. Il vincolo di destinazione può essere rimosso su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato. Le regioni, con proprie leggi, fissano criteri e modalità per la rimozione del vincolo di destinazione, le sanzioni per i casi di inadempienza ed i necessari raccordi con le norme ed i piani urbanistici”.

Dunque, nel mentre veniva demandata alle Regioni la disciplina concorrente di dettaglio ed ai Comuni la conseguente pianificazione del territorio in considerazione delle locali esigenze turistiche, trovava affermazione normativa il principio per il quale il vincolo di destinazione alberghiera risultava inscindibilmente connesso all’utilità economico-produttiva espressa dalla struttura ricettiva, venuta meno la quale anche il vincolo perdeva la propria intima ragion d’essere.

Tale principio ha poi conosciuto miglior definizione ad opera della giurisprudenza formatasi sul punto che chiariva come “la disciplina del mutamento di destinazione d’uso è connessa con lo sfruttamento economico dell’immobile e può risolversi in una sostanziale ablazione ove non opportunamente temperata da meccanismi di deroga che tengano conto della sostenibilità economica dell’uso, eventualmente correlandola alla temporaneità e modificabilità del vincolo. E’ quanto di recente affermato dalla Sezione, per la quale “il rispetto del canone di temporaneità e di modificabilità del vincolo di destinazione d’uso alberghiero, lungi dall’essere una possibilità liberamente valutabile dal legislatore regionale, appartiene alla stessa ragion d’essere della sua istituzione e deve ritenersi a questo intrinseco” (cfr. Sez. IV, 6 ottobre 2011, n. 5487); ciò sulla scorta del noto pronunciamento della Corte Costituzionale n. 4 del 28 gennaio 1981 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del d.1. 27 giugno 1967, n. 460, convertito nella legge 28 luglio 1967, n. 628” (Consiglio di Stato sez. IV, 11/09/2012, n. 4812).

In tal senso, una compressione del diritto di proprietà privata si giustificava solo in ragione della funzione sociale assolta dal vincolo alberghiero, coincidente con l’incentivazione del mercato turistico, il mantenimento dell’integrità del patrimonio turistico-ricettivo e la tutela dei livelli occupazionali nel settore, tutti obiettivi di primario rilievo per la collettività, essendo la finalità del vincolo quella di mantenere la destinazione alberghiera per tutelare l’interesse pubblico al turismo, un settore economico caratterizzato dall’elevata capacità di generare attività d’impresa, produrre ricchezza e creare posti di lavoro (TAR Liguria, Genova, sez. I, 30/01/2017 n. 58).

Di conseguenza, ove l’impresa turistica risultasse definitivamente cessata e non sussistessero più le condizioni socio-economiche per riattivarla (si pensi alla perdita di attrattività di alcuni territori un tempo mete turistiche, allo sviluppo di infrastrutture che abbiano spostato gli assi del turismo, al degrado e/o alla depressione economica in cui sono cadute certe aree per i più svariati motivi ecc.), non vi sarebbero più ragioni per continuare a rinnovare un ormai desueto vincolo di destinazione alberghiera.

In definitiva, come efficacemente chiarito dal Consiglio di Stato in una recente pronuncia, “la previsione del vincolo alberghiero, dunque, per essere costituzionalmente legittima, deve essere il frutto di un accorto bilanciamento tra valori egualmente tutelati in Costituzione, in modo da rendere compatibile il principio di funzionalizzazione della proprietà enunciato dall’art. 42 Cost., con la sussistenza stessa del diritto di proprietà (in modo da evitare che un vincolo stringente nella destinazione ed indefinito nel tempo possa costituire un intervento di fatto espropriativo), e con la libertà di iniziativa economica che – fermi i limiti imposti dall’art. 41 Cost. – impedisce l’”imposizione coattiva” dello svolgimento di attività allorché non sussista la convenienza economica delle stesse” (Consiglio di Stato sez. I, 25/03/2021, n. 475).

Da tale angolazione, quindi, non si può prescindere dall’operare un oculato bilanciamento tra la durata del vincolo alberghiero e la convenienza economica dell’impresa turistica, in modo da conciliare la limitazione al diritto di proprietà dell’immobile con la libertà di iniziativa economica, da intendersi come uso strumentale di un bene imposto solo per una attività che si riveli economicamente vantaggiosa (Consiglio di Stato, sez. IV, 23/11/2018, n. 6626).

Sicché, nel programmare l’uso del territorio il Comune può senza dubbio prevedere discrezionalmente criteri e modalità per la rimozione del vincolo turistico-ricettivo, “ma non può del tutto trascurare il profilo legato alla perdita di convenienza economico-produttiva dell’impresa alberghiera introducendo ulteriori presupposti non previsti dalla legge” (Consiglio di Stato sez. I, 25/03/2021, n. 475 citato).

In ultima analisi, l’interpretazione costituzionalmente orientata del vincolo alberghiero fornita dai Giudici amministrativi va nel senso di ritenere tale vincolo per sua natura precario in quanto strettamente connesso alle vicende dell’impresa alberghiera valutate nel contesto territoriale di riferimento e della sua appetibilità a livello turistico.

 

  1. La sorte del vincolo alberghiero dopo l’intervenuta abrogazione della legge n. 217/1983.

Come noto, l’articolo 8 della legge 217/1983 è stato in seguito abrogato dall’art. 11 della L. n. 135/2001 (testo quest’ultimo a sua venuto meno per effetto del D.lgs. 79/2011).

Le norme successivamente introdotte, tuttavia, non contengono più disposizioni di analogo tenore circa il vincolo alberghiero, vincolo che risulta quindi sostanzialmente eliminato nell’attuale panorama legislativo statale.

Incidentalmente, si può aggiungere che anche i testi normativi sul turismo susseguitisi nella Regione Veneto (L.R. 33/2002 e L.R. 11/2013) non contengono riferimenti di sorta al vincolo alberghiero, rimanendo quindi tale aspetto sostanzialmente attratto nel governo del territorio, venendo perciò rimesso alla puntuale pianificazione della destinazione ricettiva per mezzo degli strumenti urbanistici locali (in Veneto, ex art. 17 della L.R. 11/2004).

Nondimeno, però, può per tale motivo considerarsi definitivamente tramontato il principio di temporaneità dei vincoli alberghieri (anche urbanisticamente intesi) delineato dalla Corte Costituzionale nella richiamata sentenza del 1981, trattandosi di vincoli che, come detto, trovano ragione di esistere proprio in funzione di esigenze concrete e che sono destinati naturalmente ad affievolirsi.

In tale ottica, si è difatti coerentemente osservato che “gli interventi normativi a livello nazionale successivi, ossia la legge 29 marzo 2001, n. 135 ed ora il D.Lgs. 23 maggio 2011 n. 79, hanno spostato a livello di legislazione regionale il piano delle attribuzioni, senza però ovviamente poter intaccare i principi di rango costituzionale che permeano la materia, oltre che quelli inquadrabili dal punto di vista urbanistico quali principi fondamentali in tema di governo del territorio”, di modo che “il rispetto del canone di temporaneità e di modificabilità del vincolo di destinazione d’uso alberghiero, lungi dall’essere una possibilità liberamente valutabile dal legislatore regionale, appartiene alla stessa ragion d’essere della sua istituzione e deve ritenersi a questo intrinseco. Inoltre, in tale contesto appare evidente come la relativa disciplina assuma evidenti connotati urbanistici (prevedendo l’adozione e la seguente approvazione di modifiche di pianificazione urbanistica che dettano il vincolo di destinazione d’uso ed i limiti della connessa ed ammessa attività edificatoria, al pari di ogni disciplina urbanistica), cosicché il relativo iter deve seguire i principi fondamentali e generali dell’ordinamento in materia, eventualmente integrando la disciplina di specie in caso di carenza o contraddittorietà” (TAR Liguria, Genova, Sez. I, 8 maggio 2015, n. 459).

Pertanto, pur essendo venuta meno la legge 217/1983 che correlava la permanenza del vincolo alberghiero alla convenienza economico-produttiva dell’attività insediata, si deve ritenere che tale parametro debba in ogni caso continuare a permeare tanto le norme regionali di materia (ove assunte) che le scelte urbanistiche compiute a livello comunale in ordine alle possibili modifiche di destinazione alberghiera.

In tal senso, peraltro, è stato correttamente osservato che “abrogata la L. 217 del 1983, le leggi successive non parlarono più di vincolo alberghiero: ma pacificamente si ritenne che, viste le attribuzioni in materia loro affidate dalla Costituzione, le Regioni potessero continuare a prevedere, con legge, la possibilità di vincoli. La giurisprudenza subito chiarì, però, che avrebbero dovuto essere rispettati i “paletti” posti nel 1981 dalla Corte Costituzionale e che, quindi, i vincoli possono essere apposti solo per garantire che l’attività economica ricettiva sia individuata a fini sociali e in ogni caso, con limitazioni di tempo e verifiche che ne facciano constatare la permanente utilità. In sostanza, il rispetto del canone di temporaneità e di modificabilità del vincolo di destinazione d’uso alberghiero, lungi dall’essere una possibilità liberamente valutabile dal legislatore regionale, appartiene alla stessa ragion d’essere della istituzione e deve ritenersi a questo intrinseco” (Marino Breganze de Capnist, Relazione al XXVIII Convegno annuale dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti, sul tema : “La dimensione giuridica del turismo: dal territorio al mercato, al web” – Cortina d’Ampezzo, 6 luglio 2018).

Ne esce, sotto tale profilo, confermata la natura meramente contingente delle destinazioni turistico ricettive che va apprezzata nel contesto dell’utilità “economica” che la stessa esprime, senza poter costituire un giogo sine die per la proprietà dell’immobile escludendone qualsivoglia differente impiego.

 

  1. Conclusioni.

Per concludere, sebbene nella vigente normativa statale non si parli in effetti più di vincoli alberghieri nel senso anzidetto, non per questo i medesimi possono considerarsi del tutto dissolti nell’attuale assetto ordinamentale.

Siffatti vincoli, infatti, mantengono la loro effettività sotto forma di vincoli di destinazione d’uso degli immobili come previsti e regolamentati nell’ambito degli strumenti urbanistici in relazione ai singoli edifici o alla zona territoriale omogenea ove gli stessi risultano ubicati.

Compito del Pianificatore comunale (ed, eventualmente, del Legislatore regionale che intendesse disciplinare la materia) resta, però, quello di non inquadrare tali vincoli all’interno di una dimensione puramente statica ed immutabile, bensì di proiettarne la ragion d’essere e la relativa durata temporale nel contesto del locale mercato turistico-ricettivo e delle relative possibilità evolutive, riconsiderandone l’attualità e la necessità di mantenimento allorquando lo scenario della domanda e/o dell’offerta turistica abbia subito mutazioni irreversibili che necessitino scelte aggiornate ed adeguate.

Di modo che, ove uscisse confermata l’assenza di realistiche prospettive di impiego ricettivo, le strutture alberghiere possano (ed, anzi, debbano) essere riconvertite ad altri utilizzi più consoni, evitando che l’uso alberghiero di un tempo, divenuto in seguito anacronistico, possa risolversi in una illegittima compressione della proprietà privata arrivando alfine ad assumere i connotati di una limitazione a carattere para-espropriativo che si ponga in contrasto con l’art. 42 Cost.

Magari, perciò, taluni complessi alberghieri ormai divenuti di “archeologia turistica” potrebbero trovare opportuna riconversione, forse anche sacrificando una parte della volumetria esistente ove eccessiva rispetto al nuovo uso; ovvero, addirittura, ove privi di qualsivoglia valore storico architettonico, gli stessi potrebbero venire abbattuti per venire tramutati in “moneta edilizia” avviando un processo di naturalizzazione dei sedimi ai sensi dell’art. 4 della L.R. 14/2019.

Gli strumenti per operare in effetti a livello urbanistico sono molti, certo è tuttavia che in una società in continuo e rapido mutamento non si può immaginare che un settore trainante come quello turistico possa rimanere legato a logiche di mercato ormai stantie, essendo viceversa indispensabile prendere atto che ove i modelli ricettivi che si sono affermati tanti anni addietro non funzionano più la destinazione delle relative strutture necessita una opportuna rimeditazione anche al fine di liberare il territorio da inutili ed antiestetici ingombri edilizi.

Stefano Canal 

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