1. Le nuove regole, procedimentali e processuali, introdotte dal decreto semplificazioni, aggravano la condizione del ricorrente nella sua aspirazione a ottenere una tutela piena ed effettiva, e mettono in difficoltà i difensori delle parti e lo stesso giudice.

Ci si riferisce essenzialmente all’art. 4, commi 1, 2, 3, 4, del d.l. 76/2020 (conv. in l. 120/2020), c.d. decreto semplificazioni, e alla rivitalizzazione ed estensione applicativa dell’art. 125 c.p.a.:

Art. 4, Conclusione dei contratti pubblici e ricorsi giurisdizionali:

Comma 1, modifica l’art. 32, comma 8, del codice degli appalti:

  • incide sulla tempistica per la stipula del contratto, precisando che la stessa “deve avere luogo” (anziché “ha luogo”) entro sessanta giorni dall’efficacia dell’aggiudicazione definitiva, e che l’eventuale differimento deve essere motivato e funzionale alla “sollecita esecuzione del contratto”;
  • puntualizza che la mancata stipulazione nel termine previsto determina la responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto[1];
  • afferma la irrilevanza, ai fini della mancata stipula nei termini, della pendenza di un ricorso salvo sia disposta la sospensione cautelare, ovvero operi lo stand still.

Comma 2:

  • [nelle procedure d’appalto sotto soglia e in quelle sopra soglia aperte, ristrette e competitive con negoziazione di cui al decreto semplificazioni – 1 e 2, comma 2, del d.l. 76/2020] nella trattazione degli affari cautelari, attraverso il richiamo dell’art. 125, comma 2, del c.p.a., impone di tener conto del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera.

Comma 3:

  • [nelle procedure d’appalto sopra soglia negoziate d’urgenza di cui al decreto semplificazioni – 2, comma 3, del d.l. 76/2020] l’annullamento dell’aggiudicazione non comporta la caducazione del contratto e il risarcimento avviene solo per equivalente (con estensione del campo applicativo dell’intero art. 125 del c.p.a.).

Comma 4:

  • nel rito appalti, ordinarietà della definizione del giudizio con sentenza immediata già nella fase cautelare, tempistica accelerata del deposito delle decisioni.

 

2. Nella sostanza, sembra che sia cambiato meno di quanto potrebbe apparire.

La vera novità – oltre alla ossessività del monito[2] – è l’estensione dell’art. 125 c.p.a. anche ad altre fattispecie.

Comma 1:

  • dire che la stipula “deve aver luogo” oppure “ha luogo” non è che cambi molto;
  • la tempistica della stipula del contratto può comunque essere modulata “nell’interesse alla sollecita esecuzione del contratto” (giustificazione apparentemente contraddittoria, ma presumibilmente volta a indicare la ipotetica preferibilità di un differimento dinanzi al rischio di una stipula tempestiva ma in ultima analisi deleteria per il celere sviluppo del rapporto);
  • la responsabilità erariale e disciplinare del dirigente c’è sempre stata[3];
  • l’irrilevanza della pendenza di un ricorso al fine di giustificare il mancato rispetto del termine per la stipula, salvo operatività dello stand still, in effetti già era affermata (anche se viene consensualmente derogato seguendo la prassi di cui appresso).

Comma 2:

  • c’era già il comma 8-ter dell’art. 120 c.p.a. per l’affermazione della rilevanza dell’“interesse generale all’esecuzione del contratto”, con obbligo rinforzato di motivazione, e del resto l’interesse pubblico ha sempre avuto un peso particolare nel bilanciamento che deve essere operato in sede di delibazione delle istanze cautelari.

Comma 3:

  • l’estensione dell’ 125 c.p.a. è la principale, vera, novità, anche se la tracimazione è limitata, poiché riguarda “solo” le procedure d’appalto sopra soglia negoziate d’urgenza di cui al decreto semplificazioni indette dal 17.7.2020 al 31.12.2021 (art. 2, comma 3, decreto semplificazioni).

Comma 4:

  • l’ordinarietà della sentenza immediata è derogabile (e ordinariamente derogata[4]);
  • la più stretta tempistica di deposito delle sentenze può indubbiamente costituire un problema di carichi di lavoro.

 

  1. Principali Difficoltà operative.

Ancorché le misure non contengano novità realmente epocali, al di là della significativa insistenza sui valori ritenuti preminenti, e al di là del fastidio di un ossessivo ricorso alla novella per introdurre ripetute modifiche al rito appalti, non vi è dubbio che le regole processuali di cui al decreto semplificazioni, se rigidamente applicate, possano mettere in difficoltà le parti e il giudice, laddove appunto possono andare a menomare la libertà di plasmare i tempi e l’andamento del processo secondo la necessità concreta della lite, con saggezza.

Dovrebbe tramontare, nella volontà del legislatore, lo strumento del rinvio al merito “a bocce ferme”, o del gentlemen agreement (o, nei casi più delicati, della verbalizzazione in udienza dell’impegno a non stipulare il contratto) in funzione della fissazione dell’udienza di trattazione del merito a breve.

E se il compito dei difensori delle parti contendenti se non altro è ben chiaro, più critico è il compito del giudice, stretto tra il legislatore che gli dice di non sospendere se non è proprio indispensabile e la coscienza che gli indicherebbe magari di sospendere proprio per evitare il definitivo consolidamento delle posizioni, in danno del ricorrente[5].

Se a ciò si aggiunge l’ulteriore difficoltà di farsi ascoltare da parte dei difensori, in questa fase di udienze solo a richiesta e solo da remoto, speriamo destinata a cessare quanto prima, il quadro delle difficoltà è ricco[6].

A volte le soluzioni processuali più proficue vengono trovate proprio tra i difensori nell’anticamera dell’udienza, altre volte maturano nell’udienza dinanzi al giudice, con una sorta di progressivo approfondimento e persino “contrattazione” che non si presta a essere svolta con efficacia nel collegamento artificiale[7].

 

4. Incremento delle occasioni risarcitorie in conseguenza della applicazione di dette regole, anche a causa della responsabilità “oggettiva” dell’amministrazione.

Nella misura in cui queste regole salva-contratto abbiano sufficientemente persuaso l’amministratore e impressionato il giudice, con la intangibilità del contratto (e, ancor prima, con la applicazione della regola della tendenziale inopportunità di turbare la prosecuzione della procedura in sede di esame delle istanze cautelari) e della responsabilità oggettiva della stazione appaltante, l’occasione di esposizione dell’amministrazione al risarcimento del danno può dirsi fortemente aumentata.

E la stazione appaltante può essere tenuta, paradossalmente, sia a risarcire il ricorrente che risulti vittorioso “troppo tardi”, quando il contratto è già stipulato e blindato, sia ovviamente a portare sino in fondo questo contratto – magari eseguito da un aggiudicatario inadeguato – remunerando le relative prestazioni, in sostanza a pagare più del necessario un prodotto che non è neppure il migliore che potesse emergere dalla gara[8].

Per via della qualificazione della responsabilità della stazione appaltante quale responsabilità oggettiva, come imposto dalla giurisprudenza comunitaria (a partire dalla nota sentenza della Corte di giustizia Stadt Graz del 30.9.2010, in causa C-314/09), pacificamente applicata anche dai nostri giudici nazionali che si sono pienamente conformati, non vi è più neppure spazio per una valutazione di mancanza di colpa o di scusabilità dell’errore.

 

5. Improponibilità, allo stato, di un superamento della responsabilità “oggettiva”.

Da un lato andrebbe forse rimeditata o quanto meno temperata la regola della responsabilità oggettiva, che appare troppo severa, in numerosi casi.

Ad esempio, ragionando in termini di interruzione del nesso di causalità e riconoscendo, come negli altri casi di responsabilità oggettiva, l’incidenza liberatoria del caso fortuito, comprensivo del fatto del terzo, come fattore liberatorio autonomamente rilevante.

Tuttavia, proprio nella sentenza Stadt Graz emerge che l’affermazione della responsabilità oggettiva e l’impossibilità di temperarla (neppure con la presunzione di colpa, con l’inversione dell’onere della prova quanto all’elemento soggettivo o con il riconoscimento della scusabilità dell’errore) deriva proprio dalla considerazione che il rimedio esclusivo del risarcimento per equivalente monetario può costituire, se del caso, un’alternativa procedurale compatibile con il principio di effettività, sotteso all’obiettivo di efficacia dei ricorsi perseguito dalla direttiva ricorsi soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata – così come non lo sono gli altri mezzi di ricorso previsti dall’art. 2, n. 1 – alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice.

Questa regola, posta dall’art. 2, par. 6, della direttiva ricorsi 89/665, è stata ripresa anche nella successiva direttiva 2007/66, e non può dirsi in discussione, sicché non è ipotizzabile un ripensamento, che verrebbe in ipotesi invocato proprio al cospetto di una norma, come l’art. 125 del c.p.a., che concreta esattamente il vulnus o comunque comporta la deroga contemplata nelle direttive e nella giurisprudenza comunitaria ricordate.

 

6. Cenno su autotutela e giurisdizione.

Ci sarebbe da considerare anche l’ulteriore variabile – ammesso che sia consentito dalla norma – che la stazione appaltante si sciolga in autotutela dal contratto (stipulato?) assegnato illegittimamente (nonostante la norma la autorizzerebbe, anzi forse le imporrebbe, di portarlo avanti), esponendosi stavolta alla responsabilità nei confronti del controinteressato già titolare del provvedimento favorevole per lesione dell’affidamento, almeno quando la causa della illegittimità rilevata non sia attribuibile alla responsabilità di quest’ultimo (ad esempio, nel caso di radicale illegittimità della lex specialis, nel caso di vizio nella composizione della commissione, etc.).

E occorrerebbe anche chiedersi se in questo caso, optando l’amministrazione per l’autotutela ed esprimendo perciò valutazioni discrezionali molto forti di perseguimento dell’interesse pubblico nonostante la legge a rigore la legittimerebbe a tenere in piedi il contratto, la controversia risarcitoria appartenga alla giurisdizione amministrativa, mentre nel caso in cui l’amministrazione adoperi lo strumento del recesso o della risoluzione civilistica, apparterrebbe alla giurisdizione del giudice ordinario (così secondo la prevalente giurisprudenza delle Sezioni Unite[9]).

Certamente, la sopravvivenza del contratto – per effetto della disposizione derogatoria di cui si discute – alla declaratoria di illegittimità della procedura, pone la stazione appaltante in condizione di dover tenere conto dell’accertamento incidentale condotto dal giudice amministrativo sulla legittimità degli atti impugnati[10].

Anche di qui le ulteriori considerazioni che seguono.

 

7. L’ipotesi della responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2055 c.c. del controinteressato correo della stazione appaltante nelle illegittimità riscontrate, quale attenuazione della responsabilità (o recupero).

Breve rassegna delle soluzioni giurisprudenziali ad oggi adottate.

A contenere i costi (o a rientrare dai costi) derivanti dall’effetto della deroga alla reintegrazione in forma specifica, potrebbe in qualche misura contribuire il coinvolgimento della responsabilità solidale del controinteressato (ai sensi dell’art. 2055 c.c.), correo della stazione appaltante per le illegittimità riscontrate, che si accolli parte dell’onere aggiuntivo generatosi, con correlativo alleggerimento della responsabilità dell’amministrazione e conseguente risparmio.

Ovviamente, non essendo predicabile una responsabilità di tipo oggettivo in capo al privato, come invece accade per la stazione appaltante, occorrerà un puntuale accertamento di specifiche colpe del controinteressato nell’essersi abusivamente procurato il contratto, al fine di ravvisare una sua responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2055 c.c.

E ci si potrebbe allora anche chiedere in quale misura possano coesistere, con vincolo di solidarietà, una responsabilità oggettiva in capo a uno dei soggetti responsabili con una responsabilità di natura ordinaria in capo all’altro (salvo configurare una sorta di concorso dell’extraneus in un reato proprio).

Un’ipotesi suggestiva porterebbe anche a qualificare la responsabilità del controinteressato – verso il concorrente danneggiato – quale responsabilità per concorrenza sleale[11].

Ma ci allontaneremmo troppo dal tema centrale, che è quello della giurisdizione.

Il coinvolgimento espresso della responsabilità del controinteressato prende avvio in forma pretoria circa quindici anni fa:

  • sentenza Cons. Stato, VI sez., n. 1047/2005, dichiara l’illegittimità dell’aggiudicazione per sussistenza di una situazione di controllo fra concorrenti rilevante ai sensi dell’art. 2359 c.c. e dispone il risarcimento del danno, aggiungendo “In assenza di una domanda del Ministero, resta irrilevante in questa sede – con riferimento ai rapporti interni – la sussistenza della sua responsabilità solidale con il raggruppamento aggiudicatario” (l’estensore della sentenza esprime un chiaro rammarico per non aver potuto affrontare la questione);
  • sentenza TAR Lazio – Roma, sez. III – Quater, n. 33406/2010, dichiara l’illegittimità dell’aggiudicazione e dispone il risarcimento del danno ponendolo a carico dell’amministrazione e della controinteressata ciascuna per metà e con vincolo di solidarietà (nonostante mancasse la domanda). Questa sentenza è stata appellata, ma il Consiglio di Stato ( V, n. 3670/2011) l’ha confermata (non avvedendosi però che era stato appellato anche il capo relativo alla condanna solidale). Questa sentenza è stata però oggetto di istanza di revocazione, e infine revocata (Cons. Stato, sez. III, n. 6675/2011), perché in effetti, sul piano rescindente, il giudice d’appello non aveva delibato il motivo proposto dalla controinteressata ingiustamente condannata, e in via rescissoria, la domanda di condanna del controinteressato effettivamente non era stata proposta (e vi era quindi ultrapetizione); inoltre il Consiglio di Stato afferma che la condanna del controinteressato esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, rientrando semmai in quella del giudice ordinario.
  • Sentenza Cons. Stato, sez. VI, n. 115/2012, dichiara l’illegittimità dell’aggiudicazione perché l’a.t.i. aggiudicataria andava in realtà esclusa dalla gara; essendo già stato eseguito il contratto, oltre a condannare l’amministrazione al risarcimento del danno, “per quanto nessuna richiesta di condanna sia stato articolata nei confronti della associazione aggiudicataria”, accerta, ai sensi dell’art. 2055 c.c., la natura solidale della responsabilità civile della controinteressata “ai fini dell’eventuale azione di regresso che la stazione appaltante potrà intraprendere per rivalersi, nel concorso di tutte le ulteriori condizioni legittimanti, nei confronti della società beneficiaria degli atti illegittimi e che ha indotto alla loro emanazione (cfr. l’art. 41, comma 2, ultima parte, del Codice del processo amministrativo)”. La controinteressata, significativamente, non si era neppure costituita e difesa nel giudizio d’appello (probabilmente perché non le interessava, avendo ormai eseguito il contratto), e va detto che nella sentenza vi è approfondimento e accertamento di specifiche responsabilità della controinteressata nel provocare l’errore della stazione appaltante.
  • Sentenza Cons. Stato, sez. VI, n. 5279/2012, dichiara l’illegittimità dell’aggiudicazione perché l’aggiudicataria andava esclusa dalla gara per dichiarazioni in parte inveritiere e in parte incomplete; essendo già stato eseguito il contratto, oltre a condannare l’amministrazione al risarcimento del danno, considerando che l’art. 41 c.p.a. prescrive il coinvolgimento del controinteressato nell’azione risarcitoria a titolo di litisconsorte necessario e che nel caso specifico il controinteressato aveva avuto un comportamento certamente colpevole e di efficienza causale rilevante nella causazione del danno (mentre non rileva la rimproverabilità degli organi amministrativi), condanna l’amministrazione al risarcimento del danno “con le precisazioni e statuizioni indicate in motivazione”, fra le quali – “per quanto nessuna richiesta di condanna sia stato articolata nei confronti della associazione aggiudicataria” – la precisazione che “con riferimento ai rapporti interni tra l’amministrazione e il beneficiario dell’atto illegittimo, e ciò ai fini di un’eventuale azione di regresso che la stazione appaltante potrà intraprendere per rivalersi, nel concorso di tutte le ulteriori condizioni legittimanti, la responsabilità vada ripartita in ragione di quattro quinti, a carico del medesimo beneficiario, in considerazione della sua condotta omissiva e consapevole, volta a ottenere un vantaggio patrimoniale, poi effettivamente conseguito”. Ciò, con la copertura dei principi fondanti la giustizia amministrativa (obbligo di esercitare poteri decisori e conformativi; art. 41 cit.) e sulla base di una lettura sostanzialistica degli atti di parte, utile a “ricomprendere nelle richieste e difese formulate dalle parti anche gli evidenziati momenti di accertamento”. Aggiungendo che, nell’esercizio dei poteri conformativi l’amministrazione non potrà che constatare l’assenza di un titolo giuridico per le prestazioni poste in essere e considerarle remunerabili nei limiti dell’art. 2041 c.c. (arricchimento senza causa). La controinteressata, significativamente, anche in questo caso non si era neppure costituita e difesa nel giudizio d’appello. Importante, ai fini del radicamento della giurisdizione, la precisazione che “poiché sotto il profilo causale la questione riguarda i limiti della responsabilità dell’amministrazione, rientra nell’ambito della giurisdizione amministrativa l’accertamento – per la determinazione del danno risarcibile – del ‘contributo causale’ della condotta dell’amministrazione, in rapporto a quella dell’aggiudicataria che ha posto in essere, del tutto consapevolmente, la violazione della normativa sostanziale di settore.”.
  • Sentenza Cons. Stato, sez. V, n. 285/2015. Il Tar aveva dichiarato l’illegittimità dell’aggiudicazione, perché l’aggiudicataria andava esclusa dalla gara, ma, essendo già stato in parte eseguito il contratto, non l’aveva dichiarato inefficace e aveva condannato l’amministrazione al risarcimento. Sull’appello dell’amministrazione, che si doleva anche della mancata affermazione della responsabilità solidale della controinteressata, il Consiglio di Stato, ritenuto che in effetti l’illegittimità fosse dovuta soprattutto all’azione dell’aggiudicataria, ha accertato la responsabilità concorrente di questa nella misura del 50%, con la copertura dei principi fondanti la giustizia amministrativa (obbligo di esercitare poteri decisori e conformativi; art. 41 cit.) e sulla base di una lettura sostanzialistica degli atti di parte. Conseguentemente dichiara responsabili del danno al 50% amministrazione e controinteressato, anche se poi condanna solo l’amministrazione al pagamento “dell’intero risarcimento del danno”.
  • Stato, Adunanza plenaria, n. 2/2017, in una controversia di ottemperanza, relativamente a domanda risarcitoria per la impossibilità di eseguire il giudicato (ai sensi dell’art. 112, comma 1, c.p.a., che prevede che i provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti “dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti”), nega la giurisdizione del giudice amministrativo relativamente alla domanda di condanna diretta del privato illegittimo aggiudicatario in via solidale con la stazione appaltante, in particolare escludendo di poter derogare alla giurisdizione (nel caso specifico insussistente, ai sensi dell’art. 103 Cost.) per ragioni di connessione.

– Sentenza T.A.R. Lombardia – Milano, sez. IV, n. 1703/2019, senza alcun accertamento di specifica responsabilità (si trattava – peraltro – di pretesa incongruità dell’offerta) dichiara la controinteressata tenuta in via esclusiva a risarcire il danno alla ricorrente, condannandola a proporre ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., una somma, e determinando i criteri al riguardo. La sentenza è stata riformata dalla sentenza Cons. Stato, sez. V, n. 1905/2020, che ha respinto il ricorso di primo grado per infondatezza, travolgendo automaticamente anche la statuizione risarcitoria.

 

8. Compatibilità o meno di una giurisdizione amministrativa sul punto e sua possibile utilità.

E’ tuttavia allo stato piuttosto chiara la esorbitanza della domanda di condanna diretta del controinteressato dalla giurisdizione del giudice amministrativo, in linea con quanto ritenuto dalla giurisprudenza sul punto (Cons. Stato, Sez. III, n. 6675/2011, puntuale ma immotivata; nonché ancor prima Cons. Stato., Sez. VI, n. 2957/2008, che ha in particolare escluso che possa essere assegnata al giudice amministrativo una domanda di un privato contro un privato; Cons. Stato, Adunanza plenaria, n. 2/2017, peraltro in un giudizio d’ottemperanza).

 

Gli argomenti contrari:

  • L’art. 103 della Costituzione (“Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”) non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie tra privati che non siano titolari di poteri amministrativi (il principio è costante in giurisprudenza (anche delle Sezioni Unite: 13659/2006).

A tanto si può opporre:

che il giudice amministrativo pacificamente conosce il processo a parti invertite, nel caso di giurisdizione esclusiva relativa alle concessioni e agli accordi sostitutivi di provvedimento (si può peraltro ricordare anche la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 28/2012, che ha riconosciuto l’esperibilità dell’azione ex art. 2932 c.c. ad opera della parte pubblica in esecuzione di accordi di urbanizzazione), e ciò ha trovato l’avallo della Corte costituzionale, con la sentenza n. 179/2016:

sebbene gli artt. 103 e 113 Cost. siano formulati con riferimento alla tutela riconosciuta al privato nelle diverse giurisdizioni – da ciò non deriva affatto che tali giurisdizioni siano esclusivamente attivabili dallo stesso privato, né che la giustizia amministrativa non possa essere attivata dalla pubblica amministrazione, tanto più ove si consideri che essa storicamente e istituzionalmente è finalizzata non solo alla tutela degli interessi legittimi (ed in caso di giurisdizione esclusiva degli stessi diritti), ma anche alla tutela dell’interesse pubblico, così come definito dalla legge.

Per quanto riguarda, in particolare, l’art. 103 Cost., laddove esso prevede la giurisdizione esclusiva «in particolari materie indicate dalla legge», la costante giurisprudenza di questa Corte identifica i criteri che legittimano tale giurisdizione in riferimento esclusivo alle materie prescelte dal legislatore ed all’esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, di un potere pubblico (sentenze n. 191 del 2006 e n. 204 del 2004).

Da ciò discende la necessità ai fini della compatibilità costituzionale delle norme di legge devolutive di controversie alla detta giurisdizione, che vi siano coinvolte situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse”.

Si potrebbe tuttavia obiettare – e in effetti si obietta – che aprendo la strada a una condanna diretta del controinteressato nei confronti del ricorrente non vi sarebbe solo un’inversione dei ruoli tra attore e convenuto, bensì vi sarebbe una domanda che non coinvolgerebbe affatto un’amministrazione (ma questa obiezione non riguarderebbe l’azione di regresso, comunque tra p.a. e privato).

Ma se si limitasse la pronuncia a un accertamento incidentale o al riscontro dei presupposti per un’azione di regresso e non alla condanna diretta vi sarebbe comunque sempre una domanda relativa a un rapporto tra un’amministrazione e un privato (il rapporto di solidarietà e la proporzione delle relative responsabilità), non tra due privati. E comunque si resterebbe certamente al di qua del tradizionale spartiacque del contratto, afferendo la controversia alla fase dell’aggiudicazione.

  • La giurisdizione è inderogabile per ragioni di connessione.

Sul punto vi è costante giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 9534/2013[12]).

E’ vero, tuttavia, che i principi di concentrazione ed effettività delle tutele, nonché di giusto processo e di ragionevole durata (art. 111 Cost.), suggerirebbero di superare questa preclusione; ed è altresì vero che in tale chiave – del superamento del frazionamento delle domande – può essere letto il seguente passo della motivazione della sentenza n. 179/2016 della Corte costituzionale, già citata: “D’altra parte, va rilevato che l’ordinamento non conosce materie “a giurisdizione frazionata”, in funzione della differente soggettività dei contendenti. Elementari ragioni di coerenza e di parità di trattamento esigono, infatti, che l’amministrazione possa avvalersi della concentrazione delle tutele che è propria della giurisdizione esclusiva e che quindi le sia riconosciuta la legittimazione attiva per convenire la parte privata avanti il giudice amministrativo.”. Nel senso che si pone contro ogni logica la separazione delle domande, aventi a oggetto lo stesso fatto, gli stessi titoli e le stesse parti[13].

Tuttavia, l’ostacolo di cui all’art. 103 della Costituzione sembra davvero insormontabile, al fine di radicare in un unico processo la domanda di condanna diretta dell’amministrazione e – magari pro quota – del controinteressato.

  • L’art. 41, comma 2, ultima parte, del c.p.a., prescrive il coinvolgimento del controinteressato nell’azione risarcitoria a titolo di litisconsorte necessario (art. 102 c.p.c.), e la Relazione al codice chiarisce che la regola tende ad assicurare che il giudicato esplichi effetti anche nei confronti del controinteressato (evidentemente non solo il giudicato sull’annullamento ma anche quello sul risarcimento). Tuttavia, come chiarito anche dall’Adunanza plenaria n. 2/2017, si tratta di una norma sul rito, che presuppone la giurisdizione, non la determina[14]. L’esigenza – peraltro non di litisconsorzio necessario, secondo l’Adunanza plenaria – di partecipazione del beneficiario del provvedimento al giudizio risarcitorio sarebbe dettata solo da esigenze di denuntiatio litis, al fine di creare comunque un giudicato opponibile in caso di azione di regresso.

 

Non si ravvisano, tuttavia, preclusioni di principio a una pronuncia di mero accertamento, come nella giurisprudenza di metà del decennio.

Potrebbe infatti sussistere:

  • La possibilità di ricomprendere la cognizione della questione nell’ambito delle questioni incidentali di cui all’art. 8 c.p.a., con pronuncia priva di efficacia di giudicato, utili al solo fine di definire compiutamente la questione principale della responsabilità dell’amministrazione (anche se a rigore non si può dire che la questione della eventuale quota di responsabilità del terzo “sia necessaria per pronunciare sulla questione principale”, poiché la stazione appaltante andrebbe comunque condannata per l’intero, salvo fornirle un argomento di regresso da spendere in altra sede.
  • Il potere/dovere del giudice di esercitare poteri decisori e anche conformativi, da ultimo amplificati dalla facoltà di ricorrere in ottemperanza anche per avere chiarimenti sulle modalità di ottemperanza (art. 112, comma 5, c.p.a.).
  • La necessità di una lettura sostanzialistica degli atti di parte (questo richiamo si è reso spesso necessario perché nessuno ancora bada a introdurre una chiara domanda in tal senso).
  • L’utilità di un accertamento per la possibile utilità nel giudizio civile: se il giudice non può dirsi vincolato alle indicazioni del giudice amministrativo è però innegabile che ne può rimanere fortemente condizionato, specialmente sulle statuizioni in ordine ai puntuali motivi di illegittimità, e perciò anche in ordine alla efficienza causale del comportamento del controinteressato nella causazione del danno.

Del resto, un accertamento incidentale può non essere superfluo, in quanto:

  • impone la proposizione dell’azione di regresso, giacché una volta che il giudice amministrativo abbia accertato la responsabilità solidale del controinteressato, l’amministrazione non può certo esimersi (pena l’assunzione di altra responsabilità);
  • influisce sull’attività di conformazione, non solo ai fini della proposizione dell’azione di regresso, ma anche ai fini della gestione del contratto se ancora in corso, e segnatamente del pagamento delle prestazioni in applicazione dei principi in materia di arricchimento senza causa;
  • Attua quel principio di temperamento della responsabilità oggettiva dato dalla possibilità di invocare il fatto del terzo o il caso fortuito per elidere il nesso di causalità.

Inoltre, dando peso alla responsabilità del controinteressato, oltre ad alleggerire il peso gravante sull’amministrazione, si moralizza quest’ultimo e lo si induce a comportamenti più virtuosi, non solo nella gara (il che, nel caso di gara ricadente nel campo di applicazione dell’art. 125 c.p.a. può essere fondamentale, perché chi concorre sa che con la stipula del contratto è definitivamente a posto), ma anche nel processo (non è un caso che le controinteressate corree tendenzialmente non si siano costituite nei giudizi d’appello sopra ricordati, una volta messi in sicurezza i contratti).

Andrea Manzi

 

[1] Vi è un ulteriore richiamo alla responsabilità erariale per mancato rispetto delle tempistiche sia della durata della procedura di gara sia per la stipula del contratto all’art. 1, comma 1, del decreto semplificazioni, con previsione di una causa di esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto a carico dell’operatore economico al quale sia eventualmente imputabile.

[2] Nel sonetto “Li soprani del monno vecchio”, il Belli ricorda che negli Stati assoluti la somministrazione dell’editto ai sudditi avveniva non per il tramite della Gazzetta Ufficiale, bensì per il tramite del mezzo più convincente, il boja. E in altra epoca, l’assillante monito “ricordati che devi morire”, pur ribadendo un concetto ben noto a tutti, poteva nondimeno provocare convinta preoccupazione.

[3] V. la nota che precede.

[4] La V sezione del Consiglio di Stato ha adottato un’“ordinanza guida”, la n. 4556/2020, nella quale ha così esposto le ragioni di impraticabilità della sentenza immediata:

Considerato che l’oggettiva mancanza di proporzionate e adeguate risorse umane ed organizzative, in una con l’inderogabile esigenza di tempestivamente rispondere alla restante domanda di giustizia (anche di quella regolata da altri riti processuali accelerati) sono d’ostacolo, alla luce degli artt. 3, 97, 24, 111 e 113 Cost., a procedere nel caso in esame con il rito previsto “di norma” dall’art. 4 del d.-l. n. 76 del 2020;

considerato che comunque l’appello involge significative questioni, processuali e di merito, richiedenti ulteriori approfondimenti e confronti tra le parti nel rispetto del principio di parità delle armi tra le parti in relazione all’adeguatezza dei termini per contraddire riguardo a una decisione nel merito;

considerato inoltre che l’odierna udienza è nell’immediatezza del periodo di cui all’art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742;

ritenuto che tutte le esposte ragioni rendono non ragionevole che la presente controversia, anche in termini di qualità della risposta di giustizia e di rispetto del diritto di difesa, sia decisa passando senz’altro dalla domandata decisione cautelare alla valutazione di merito mediante sentenza in forma semplificata”.

E detta ordinanza viene richiamata in successive ordinanze a motivazione della mancata definizione immediata dal giudizio in sede cautelare.

[5] Profilo evidenziato dal Presidente Marco Lipari nello scritto Lipari, Il rito appalti nel d.l. 16 luglio 2020, n. 76, nel sito della giustizia amministrativa.

[6] Una fra le tante, tratta dall’ordinanza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 6559/2020: “Rilevato che nel corso dell’udienza un avvocato, non identificato mediante il documento di identità, si è presentato per collegarsi da remoto, ex art.25 del D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, con il numero del ricorso errato, poi si è ripresentato in un secondo tempo con il numero corretto e quindi ha tentato di ricollegarsi nuovamente, ma senza esito …”.

[7] E’ perciò particolarmente apprezzata l’osservazione finale da parte del Presidente Filippo Patroni Griffi nello scritto Patroni Griffi, Tutela dei diritti e organizzazione della giustizia nell’emergenza (nel sito della giustizia amministrativa), in favore dell’udienza in presenza, per garantire quella “relazione di prossimità” tra le parti che rende effettivo il processo.

[8] E’ quanto segnalato dal Presidente Filippo Patroni Griffi nel già citato scritto Patroni Griffi, Tutela dei diritti e organizzazione della giustizia nell’emergenza, ove evidenzia proprio che “la “monetizzazione” delle illegittimità comporterà costi maggiori di quelli preventivati nella realizzazione delle opere pubbliche e potrebbe consentire, sul piano patologico, accordi tra imprese. Oltre a rivelarsi assolutamente inidonea sul piano dell’effettività delle tutele e del corretto uso del potere pubblico”.

[9] Ma anche dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. n. 13/2014), che ravvisa anche nel caso di autotutela una misura privatistica incidente sul contratto.

[10] Corte cost., n. 160/2019, ove si afferma che “Deve essere poi respinta la tesi del carattere costituzionalmente necessitato della tutela demolitoria degli interessi legittimi, dal quale il rimettente desume l’incompatibilità con gli artt. 103 e 113 Cost. di qualsiasi limitazione legislativa di tale forma di tutela giurisdizionale contro gli atti e i provvedimenti della pubblica amministrazione”;

ma anche che “non va trascurato il rilievo che assume, nell’ambito di una vicenda connotata pubblicisticamente quale quella in esame, l’accertamento incidentale condotto dal giudice amministrativo sulla legittimità dell’atto, di cui anche gli organi dell’ordinamento sportivo non possono non tenere conto”.

[11] Il Prof. Giorgio Oppo, all’indomani della sentenza 500/99, vedendo il fenomeno con la lente del commercialista ma con la visione d’insieme dell’ordinamento che hanno solo le grandi menti del diritto, in uno scritto sulla Rivista di diritto civile del 2000 intitolato Novità e interrogativi in tema di tutela degli interessi legittimi (all’indomani della sentenza 500/99) ricostruiva la responsabilità del controinteressato come responsabilità per concorrenza sleale (e quindi fuori del processo amministrativo) “nell’ipotesi che il concorrente si prevalga, nella gara di mercato, di una condotta non rivolta contro i concorrenti ma che costituisce violazione di altri doveri, pubblicistici, tributari, relativi a rapporti di lavoro, doveri che gli altri osservano”.

[12] Cassazione civile sez. un., 19/04/2013, n.9534: “Salvo deroghe normative espresse, vige nell’ordinamento processuale il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione, potendosi risolvere i problemi di coordinamento posti dalla concomitante operatività della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa su rapporti diversi, ma interdipendenti, secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato”.

[13] E da ciò ha tratto spunto TAR Toscana con la sentenza 664/2020 (peraltro appellata), per affermare la propria giurisdizione in una causa promossa dalla stazione appaltante contro l’aggiudicatario per il risarcimento dei danni per mancata stipula del contratto (danno consistente nella differenza tra l’offerta del primo, revocato, e del secondo, poi scelto per scorrimento).

[14] Anzi, l’Adunanza plenaria lo ha detto in una controversia di ottemperanza relativamente a domanda risarcitoria per la impossibilità di eseguire il giudicato, e l’art. 112, comma 1, c.p.a., prevede che i provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti “dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti”. Ma questo perché in via pratica è spesso richiesta la cooperazione del privato per la corretta esecuzione della sentenza.

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