Nell’anno che sta per concludersi ricorre il quarantennale della L.R. 6 giugno 1983 n. 29, meglio conosciuta come “Progetto Montagna”. Rubricata con il titolo “Interventi in favore dei territori montani e approvazione del progetto montagna”, la legge rappresentò (e continua ad esserlo) un unicum nella produzione normativa di materia, caratterizzata da una sostanziale incapacità del legislatore regionale veneto di coltivare una visione unitaria e lungimirante dei problemi montani.

La legislazione vigente tradisce anche nei testi di interesse dichiaratamente montano un’attenzione sincopata, di frequente di scarso livello qualitativo, appiattita sulle questioni del momento e perciò ostaggio delle cronache amministrative (richieste di deroghe, finanziamenti, trattamenti privilegiati, etc.) più che frutto di visioni teleologicamente chiare e meditate.

In questo senso, non viene compreso ed affrontato il proprium della montagna, mentre – come ammoniva Feliciano Benvenuti – «la montagna è uno dei settori per i quali bisogna immaginare una soluzione diversa da quella tradizionale»[i].

Il “Progetto montagna” fu e resta una legge che smentisce di gran lunga le censure esposte.

Le linee programmatiche prefigurate dal “documento delle direttive”, parte integrante della legge stessa ai sensi dell’art. 2, disegnano una proposta di sviluppo della montagna quantomai convincente, a tal punto che si è giustamente parlato in campo nazionale di «acquisizione probabilmente più avanzata in materia di intervento regionale per le zone montane»[ii].

In particolare, colpisce la completezza del disegno progettuale che prefigura un’azione pubblica estranea ad una logica di pura incentivazione di sostegno ed attenta a promuovere un governo del territorio in ascolto delle comunità locali[iii].

Sotto questo profilo il “Progetto montagna” attualizza il passaggio da una normativa autoesaurentesi nelle previsioni di spesa (come si accennava poc’anzi) ad una politica legislativa di razionalizzazione autonomistica dell’intervento regionale per le zone montane. Il tutto, peraltro, in un’ottica di amplissimo respiro ove è la programmazione concordata (cfr., ad es., art. 5, secondo comma, e art. 8) e non la provvidenza assistenzialistica a costituire lo spazio decisionale di ogni iniziativa.

In altre parole, emerge un impianto organizzativo in cui, accanto all’enunciazione di princìpi, l’azione politica trova l’indicazione concreta degli strumenti operativi, in una interazione dialogica tra fase programmatoria e fase gestionale-attuativa[iv].

Ciononostante, se la boutade è premessa, con il “Progetto montagna” non ci si è spinti molto al di là del completamento edilizio di qualche palaghiaccio[v].

A quattro decenni di distanza possiamo tranquillamente concludere, senza timore di smentite, che il progetto non è andato oltre la stesura cartacea riducendosi a tentativo «rimasto purtroppo inattuato»[vi].

Pare quasi che la lunga fase elaborativa che ha preceduto l’approvazione del progetto abbia consunto ogni energia dell’amministrazione regionale, originando una sorta di crisi di rigetto: per effetto contrario non hanno avuto alcun seguito esecutivo direttive di rilevantissimo valore.

In quanto di maggiore interesse per le presenti note, occorre puntualizzare che rimane tuttora incompiuto il quarto capitolo del documento delle direttive, titolato “le direttive per la revisione legislativa”. Con esso il “Progetto montagna” assommava alla vincolatività delle direttive per gli uffici regionali e gli enti locali prevista dal citato art. 2 l’obbligo di rilettura dell’intera normativa regionale in vista della ricezione delle direttive medesime.

Come ovvio, l’obbligo di revisione era rivolto dall’assemblea legislativa a sé medesima e l’inadempienza dimostrata in questi anni non è certo stata di buon esempio per gli apparati amministrativi[vii].

Vi è tuttavia un elemento che continua ad attualizzare il valore della legge n. 29 del 1983 e a rinfrescarne l’importanza. Esso risiede nello spirito illuminato che la anima e che ne innerva ogni previsione dispositiva.

La valenza di questo testo, tuttora vigente, sta nella ratio che gli è sottesa, tutta impegnata a riconoscere la specificità della realtà montana.

La grande conquista che la legge suggella sta nel fatto che per la prima volta, nonostante le neghittosità successive, il Legislatore ha compreso appieno la peculiarità dei problemi montani, postulando la necessità di affrontarli con interventi sostenuti da strumenti ad hoc.

La diversità della montagna entrò a far parte dell’ontologia della legislazione regionale e cessò di essere un disvalore sociale, tendenzialmente da azzerare per la sua distonia rispetto ai “normali” parametri urbani.

Fu il “Progetto montagna” a porre le basi di una riflessione politico-giuridico che condusse, poi, all’elaborazione dell’art. 15 dell’attuale Statuto regionale ove si parla espressamente di specificità dei territori montani: la soluzione dei problemi della montagna deve così diventare non più affare esclusivo di chi la abita ma compito primario ed interesse immanente di tutta la comunità regionale.

Enrico Gaz

 

[i] L’espressione è di F. Benvenuti rinvenibile in Crisi dello stato e problemi della montagna, pubblicato su Dolomiti, n. 5/93, p. 35.

[ii] Così G. C. De Martin nel suo intervento al convegno “La montagna negli anni 90” tenutosi in Sondrio il 19 aprile 1986 (cfr. Atti relativi) pubblicati da Jaca Book nel 1987.

[iii] Si pensi allo strumento della Conferenza permanente per la programmazione delle aree montane di cui all’art. 5 della legge, strumento peraltro congegnato proprio al fine di garantire futuro attuativo alla L.R. n. 29/83 altrimenti astretta entro i gangli di una politica di soli sussidi mirati a taluni specifici interventi.

[iv] Una disamina dei profili organizzatori del “progetto montagna”, con attenzione alla operatività territoriale dell’attuazione gestoria demandata alle Comunità montane, si trova in I. Cacciavillani, Il progetto montagna (rilievi di prima lettura), in Diritto della Regione, 1983, p. 331 ss. L’Autore indugia in particolare sulla verifica del “progetto” alla luce dei generali principi di decentramento ed efficienza, non celando rilievi polemici sul parto normativo. Con riguardo ai medesimi aspetti di organizzazione della funzione amministrativa va segnalata la proposta dello stesso Autore, elaborata nell’ambito di uno studio per la revisione dello Statuto regionale, di creare una apposita “Agenzia per la Montagna”: cfr. I. Cacciavillani, La Regione seconda, Padova, 1992, p. 27.

[v] Ci si intende qui riferire alla realizzazione delle iniziative singolarmente predeterminate in sede di redazione del testo legislativo, rectius del “documento delle direttive” e del “piano degli interventi straordinari” che costituiscono parte integrante della legge rispettivamente ai sensi degli artt. 2 e 3.

[vi] La conclusione si ritrova expressis verbis nell’intervento del prof. De Martin al convegno “Quali politiche per la montagna a dieci anni dalla risoluzione Colleselli al Parlamento Europeo” tenutosi in Belluno il 27 novembre 1993: cfr. G. C. De Martin, Alla vigilia di una svolta, in Atti relativi, Belluno, 1994, p. 40.

[vii] Una panoramica sintetica sullo stato di attuazione (e non) del “Progetto montagna”, in special modo a livello amministrativo, si può legge in U. Frank, Un progetto veneto affievolitosi nel tempo, in op. ult. cit., p. 28.

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