Partendo da un detto attribuito al Collega Carnelutti (collega perché fu per anni Consigliere dell’Ordine di Venezia), secondo cui tutti i causidici d’allora potevano arrivare al “terzo grado” (una delle tre Quarantie), ma avvocati veri erano quelli che arrivano al quarto grado, il commento delle sentenze “altrui” sotto il profilo scientifico e sistematico, mi vien naturale la preziosa esperienza fatta nei sei anni di presidenza della Commissione valutatrice delle note a sentenza pervenute all’Associazione – una ventina nell’anno di riferimento – da parte di Associati infra-trentacinquenni. Alcune meramente redazionali, mero collage di massime analoghe o contrarie; altre di grande valore; tanto che non di rado me ne feci fotocopia come riferimento di valore. Strumento prezioso questo del Premio, oltre che fungere da palestra di esercitazioni “sul campo”, anche per “tener su” quel dialogo distrettuale, che dovrebbe essere la matrice ideologica per l’elaborazione di quell’ordinamento regionale, che pare avviato – pur tra mille ostacoli – a delinearsi nel nuovo mondo delle autonomie.

Ma ed è ammonimento rivolto ai giovani Colleghi (anche se, ai sensi della nostra legge professionale del 1537, essendo l’ordine degli Avogadori un sodalitium, si dovrebbe dire Confratelli): attenti nella scelta delle sentenze da commentare, specie se il commento sia di segno negativo, alle ritorsioni dei Giudici, che generalmente non amano la critica!

Un ricordo personale può essere significativo: uno dei primi miei interventi “rivistaioli” (“di quarto grado”), risalente al 1971, aveva criticato molto vivacemente una sentenza in materia elettorale del Tribunale di Padova, che allora – prima del TAR – frequentavo assiduamente. La novità locale ebbe una certa risonanza nell’ambiente tribunalizio. Il Presidente del Collegio non la prese proprio bene e me lo fece intendere con la decina di sentenze che seguirono, tutte con esito pesantemente negativo. Capii ovviamente e, per l’undicesima cada che arrivava a sentenza, così formulai la conclusionale: “l’attore è convinto d’aver ragione, ma, dato l’ormai consolidato costume della Sezione, di dar torto al sottoscritto patrocinio, inutile quindi ogni difesa e, fisso lo sguardo al superiore grado, ribadisce le conclusioni in atti”. La causa ebbe ovviamente esito negativo, ma un seguito curioso: sia stato perché la Corte abbia colto la polemicità della presa di posizione; sia stato perché avevo effettivamente ragione, l’appello ebbe esito largamente positivo, con un corso processuale di straordinaria rapidità.

Ecco l’ammaestramento dell’esperienza “sul campo”: in caso di commento negativo della tesi d’una sentenza “domestica” – specie se di Magistrature apicali in campo distrettuale: Corte d’appello e dei Conti e TAR –  mai rinunciare di “dire la tua” (il IV grado!) per pavidità o servilismo! Non ti sarà difficile reperire una pronuncia “foresta” nella stessa materia, anche se di diverso segno (nel caso per criticare questa –domestica– esaltando quella –foresta-).

Come non richiamare due precedenti illustri in campo professionale. Il primo – ed è anche atto d’omaggio alla memoria d’un Confratello-Collega, Marcoleone Bondi del Foro di Venezia, un vero gigante! – ch’era solito dire che i Giudici si comportano come i maialini al pascolo: tra loro litigano a sangue, ma se un “foresto” tira la coda ad uno gridano tutti; l’altro – un po’ datato ma sempre attuale – del grande Collega vicentino del Settecento, Carlo Cordellina, abituale contradditore di Carlo Goldoni: “giudice m… fa sior l’avocato, parchè xe in apel che se ciapa un franco”.

Coraggio giovani Colleghi-Confratelli, continuate col quarto grado! Quello che guadagnate in termini di modo di argomentare e di esporre val ben più di qualche infortunio di percorso!

Ivone Cacciavillani

 

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