La L.R. 10/1996, a più di vent’anni dalla sua promulgazione, resta la normativa di riferimento in materia di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

1. Uno dei punti più delicati della disciplina in questione, talvolta oggetto di dibattuti contenziosi, riguarda il mantenimento dei requisiti ai fini della conservazione dell’assegnazione tra i quali spicca quello della “stabile occupazione” dell’alloggio.

L’art. 27, comma 1, lett. b) della legge prevede, infatti, che la decadenza dell’assegnazione venga dichiarata dal Sindaco del Comune territorialmente competente nel caso in cui l’assegnatario “non abiti stabilmente l’alloggio assegnato salva autorizzazione dell’ente gestore, giustificata da gravi motivi”.

La pronuncia di decadenza risulta, perciò, meramente consequenziale all’accertamento da parte del Comune di una condizione di carattere obiettivo, id est la non stabile occupazione, da intendersi come la permanenza/residenza dell’assegnatario nell’alloggio in maniera continuativa ed ininterrotta, esclusi, secondo l’id quod plerumque accidit, gli usuali periodi di vacanza e le eventuali assenze per lavoro o infortunio/malattia (va da sé, peraltro, che il pensionato che decidesse di svernare alle isole Canarie difficilmente potrebbe dire di occupare stabilmente l’alloggio, così come pure il meno fortunato anziano che, necessitando di assistenza, decidesse di trasferirsi in casa di riposo, rientrando saltuariamente nell’alloggio).

A differenza della legislazione statale ove è previsto che la revoca dell’assegnazione venga pronunciata nei confronti di chi “abbia abbandonato l’alloggio per un periodo superiore a tre mesi, salva preventiva autorizzazione dell’Istituto autonomo per le case popolari giustificata da gravi motivi” (così l’art. 17, comma lett. b) del D.P.R. n. 1035/1972), la norma veneta non reca alcuna predeterminazione circa il tempo dell’assenza necessario al fine di considerare l’alloggio come abbandonato.

Sussiste, invece ed in via generale, il possibile contemperamento in presenza di gravi motivi di natura soggettiva, ricorrendo i quali è però onere dell’assegnatario attivarsi presso l’Ente gestore che, con propria insindacabile valutazione, potrà decidere se autorizzare o meno l’allontanamento dall’alloggio.

Pertanto, nell’ipotesi in cui l’inquilino abbia lasciato l’abitazione scordando (come può accadere) di richiedere la prevista esenzione, l’accertamento della mancata abitazione dell’alloggio fa scattare ex se la decadenza quale atto dovuto, senz’uopo di altre valutazioni da parte dell’Ente.

In effetti, dal tenore letterale della norma (oltre che dalla sua intrinseca ratio) si può arguire come l’autorizzazione debba essere sempre richiesta prima dell’allontanamento e non possa, per l’effetto, intervenire per così dire “a sanatoria”.

Dunque, difettando i “gravi motivi” necessari ad ottenere dall’Ente l’assenso ad assentarsi temporaneamente dall’abitazione, le concrete ragioni per le quali l’inquilino si allontana si profilano di regola del tutto irrilevanti, bastando il dato formale della mancata costante presenza – e, quindi, dell’utilizzo dell’abitazione – ad inverare il presupposto della pronuncia di decadenza.

In tal guisa, ad esempio, come chiarito dalla giurisprudenza (anche se in riferimento alla disposizione statale), “in materia di edilizia residenziale pubblica l’abbandono dell’alloggio, ancorché causato da ragioni di lavoro, legittima la revoca dell’assegnazione in locazione ai sensi dell’art. 17 d.P.R. n. 1035/1972 in quanto lo scopo della norma è quello di rendere disponibili gli alloggi, non più occupati stabilmente, per le esigenze dei soggetti del tutto privi di alloggio e senza che abbia rilevanza la ragione dell’abbandono da parte dell’assegnatario” (Cass. civile, sez. I, 3 aprile 2008, n. 8519 in Riv. giur. edilizia 2008, 6, I, 1369).

A tal riguardo, i Giudici hanno avuto modo di occuparsi anche di ipotesi limite quali, ad esempio, la carcerazione dell’assegnatario e, parimenti, è stato affermato in proposito che “è irrilevante l’elemento soggettivo (non volontaria assenza da casa per carcerazione connessa ad omicidio della consorte) ai fini della revoca dell’assegnazione per mancata effettiva e stabile dimora nell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, tenuto conto che la funzione pubblicistica ora richiamata è prevalente sulle esigenze del privato e sulla sua volontà di assentarsi dall’alloggio per qualunque motivo non autorizzato dall’ente di gestione che, pertanto, non deve essere esaminato da quest’ultimo, come già ricordato dalla giurisprudenza prevalente (TAR Toscana, Sez. II, 12.10.06, n. 4273; cfr. anche: TAR Lazio, Sez. III quater, 22.2.07, n. 1594 e Cons. Stato, Sez. VI, 27.2.06, n. 844)” (T.A.R. Toscana, sez. II, 3 settembre 2009, n. 1415 in Foro Amm. Tar 2009, 9, 2420 in motivazione).

2. Un secondo profilo che merita di essere indagato è quello dei possibili effetti dell’occupazione dell’alloggio da parte di familiari dell’assegnatario, ove questi se ne sia viceversa allontanato.

In altri termini, è possibile che l’obbligo di stabile occupazione si trasferisca ai congiunti di colui che ha avuto in assegnazione l’alloggio, consentendo agli stessi di evitare la decadenza?

In proposito, regolando il subentro nella domanda di assegnazione, la legge prevede che “il diritto al subentro è riconosciuto a favore dei componenti il nucleo anche in caso di abbandono dell’alloggio da parte dell’assegnatario limitatamente agli appartenenti al nucleo originario o a quello modificatosi per accrescimenti naturali o nei casi previsti dall’art. 13, comma 3, lettera a), b), c) e) e f)” (così l’art. 12 della L.R. 10/1996), facendo così valere l’occupazione anche di soggetti terzi rispetto all’assegnatario stesso.

La nozione di “nucleo familiare” viene dettata dall’art. 2, comma 4, dalla legge in parola con formula piuttosto ampia nell’ambito della quale trovano riconoscimento anche rapporti allargati purché dotati di una riconosciuta stabilità, mentre il nucleo originario va inteso come quello esistente al momento della proposizione della domanda di assegnazione (e valorizzato ai fini del punteggio).

Nessun problema, poi, suscita l’individuazione degli eventuali accrescimenti naturali, trattandosi della sopravvenienza di figli ai quali la norma conferisce, in virtù della loro posizione, un automatico diritto al subentro.

Discorso diverso, invece, vale per gli altri soggetti che abbiano in seguito ampliato il nucleo familiare e in relazione ai quali l’art. 13 della L.R. 10/1996 dispone che “ ai fini dell’estensione del diritto al subentro a favore dei nuovi soggetti entrati successivamente a far parte del nucleo familiare titolare dell’assegnazione l’assegnatario deve presentare apposita domanda al Sindaco del Comune competente e all’ente gestore”: si tratta dei casi rassegnati al successivo comma 3 tra i quali gli accrescimenti del nucleo per matrimonio, convivenza more-uxorio, anche con figli naturali o riconosciuti, l’adozione di minore e altri.

In siffatte fattispecie, è previsto che l’assegnatario e solo questi faccia domanda di ampliamento del nucleo: viene, però, da pensare che l’assegnatario che ha abbandonato l’alloggio (magari per dissapori con i conviventi) difficilmente sarà in grado o si presterà a proporre domanda di allargamento del nucleo familiare, cosicché per tali ultimi soggetti il subentro nella domanda di assegnazione potrebbe rivelarsi in concreto piuttosto ostico.

Naturalmente, spetterà poi al Comune valutare se la domanda possa essere accolta anche in considerazione del fatto che l’ampliamento del nucleo potrebbe portare alla perdita dei requisiti previsti per la permanenza nell’alloggio (ad esempio, stante l’aumento delle condizioni di reddito).

3. Da ultimo, una breve menzione merita l’occupazione dell’immobile da parte di soggetti terzi.

In effetti, pur trovando separata regolamentazione, l’ospitalità temporanea di terze persone nell’alloggio popolare non determina in capo ad esse l’insorgenza di alcuna autonoma posizione giuridica, tant’è che l’art. 14, comma 4, della L.R. in parola prevede espressamente che “l’ospitato non acquista la qualifica di assegnatario né alcun diritto al subentro in nessun momento, sia nei confronti dell’assegnatario sia nei confronti dell’ente gestore”.

Invero, gli ospiti possono intrattenersi nell’alloggio sino a quattro mesi all’anno senza formalità alcuna, mentre per periodi più lunghi è necessario dotarsi dell’autorizzazione del Comune, oltre che provvedere al versamento di un’indennità di occupazione aggiuntiva rispetto al canone di locazione, commisurata alle capacità reddituali delle persone ospitate.

In altre parole, la presenza del terzo ospitato, benché continuativa, è perfettamente irrilevante al fine di garantire la stabile occupazione dell’alloggio da parte dell’assegnatario il quale dovrà, quindi, essere in grado di garantire la propria costante permanenza se vorrà evitare di incorrere in un provvedimento di decadenza dall’assegnazione.

Conclusivamente, le disposizioni che disciplinano l’occupazione dell’alloggio popolare risultano connaturate da un assoluto rigore poiché inspirate dalla comprensibile necessità di garantire che gli alloggi siano effettivamente goduti da chi ne ha effettivo bisogno, essendo in possesso di tutti i requisiti all’uopo previsti dalla legge; diversamente, si genererebbero inaccettabili favoritismi ed agevolazioni in danno dei soggetti più deboli e meritevoli di tutela sociale, come purtroppo anche le recenti cronache insegnano.

Stefano Canal

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