SOMMARIO: 1. Per l’impugnazione innanzi al G.A. degli strumenti urbanistici rileva la vicinitas? 2. Cosa si intende per interesse qualificato per tale impugnazione? 3. Quale interesse deve farsi valere per l’impugnazione di uno strumento pianificatorio soggetto a VAS? 4. Quale interesse deve farsi valere per l’impugnazione di uno strumento pianificatorio inerente aree di terzi, ma che incide sugli standard urbanistici della propria Zona? 5. Quale interesse deve farsi valere per l’impugnazione delle prescrizioni pianificatorie su fondi di terzi? 6. In materia di impugnazione di uno strumento urbanistico, permane l’interesse alla decisione in caso di approvazione di un nuovo Piano modificativo di quello impugnato? 7. Qual è la relazione tra l’impugnazione dell’adozione e quella dell’approvazione dello strumento urbanistico?

Slides 28.01.2022 – avv. Meneguzzo (Parte II)

1. Per l’impugnazione innanzi al G.A. degli strumenti urbanistici rileva la vicinitas?

Per giurisprudenza consolidata, nel caso di impugnazione di strumenti urbanistici, anche particolareggiati, o di loro varianti, il semplice rapporto di vicinitas non è sufficiente a fondare l’interesse a ricorrere, occorrendo a tale fine, l’allegazione e la prova di uno specifico e concreto pregiudizio a carico dei suoli, che non può risolversi nel generico pregiudizio all’ordinato assetto del territorio, alla salubrità dell’ambiente e ad altri valori, la cui fruizione potrebbe essere rivendicata da qualsiasi soggetto residente[1]. Ciò costituisce diretta conseguenza dell’amplissima discrezionalità di cui gode l’Amministrazione in materia di pianificazione urbanistica, con il solo limite dell’esigenza di una specifica motivazione a sostegno della nuova destinazione quando la pianificazione precedente aveva assunto una prima concretizzazione in uno strumento urbanistico esecutivo approvato, convenzionato, o quantomeno adottato e tale quindi da aver ingenerato un’aspettativa qualificata alla conservazione della precedente destinazione[2].

Si segnala che vi è un rischio nel dare interpretazioni troppo restrittive alle condizioni dell’azione di annullamento degli strumenti urbanistici (ma il discorso può essere generalizzato): se il privato si vede opporre un rigetto in rito, in caso di pervicacia della sua intenzione di trovare tutela, sarà costretto a rivolgersi al Giudice civile e, se anche questa strada dovesse fallire, quale extrema ratio al Giudice penale. In questo modo, si investe il processo penale di una funzione ultronea e forse estranea, perché non finalizzata a reprimere i reati e a garantire l’onestà dei pubblici impiegati, bensì di sostituirsi alla tutela civilistica e amministrativistica in materia di diritto di proprietà e pianificazione urbanistica.

2. Cosa si intende per interesse qualificato per tale impugnazione?

L’interesse qualificato è identificabile in presenza del deprezzamento del valore del bene, della concreta compromissione del diritto alla salute ed all’ambiente, del deterioramento delle condizioni di vita o del peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l’area[3].

3. Quale interesse deve farsi valere per l’impugnazione di uno strumento pianificatorio soggetto a VAS?

Chi si ritiene leso da uno strumento pianificatorio sottoposto a VAS non può limitarsi a lamentare vizi e irregolarità concernenti la procedura di VAS stessa, ma deve chiarire se e in quale misura tali vizi abbiano inciso sul regime impresso ai suoli di sua proprietà, giacché si è tenuti a dimostrare che le determinazioni lesive della pianificazione siano causalmente riconducibili in modo decisivo alle conclusioni raggiunte in sede di VAS[4].

4. Quale interesse deve farsi valere per l’impugnazione di uno strumento pianificatorio inerente aree di terzi, ma che incide sugli standard urbanistici della propria Zona?

In un caso ormai risalente, i ricorrenti erano proprietari di edifici posti in Zona B, nelle vicinanze dell’area interessata da un Piano di Lottizzazione (PdL) in Zona C. Essi lamentavano che un’area standard appartenente alla zona B dello strumento urbanistico, nella quale rientrano le loro residenze, fosse stata utilizzata per il computo dello standard necessario alla formazione del piano esecutivo impugnato e localizzato in zona C. Da tale operazione sarebbe derivata la riduzione delle previsioni urbanizzative relative alla zona di loro pertinenza.

Secondo i ricorrenti, l’art. 28 L. 1150/1942 e l’art. 1 D.M. 1444/1968 imporrebbero di individuare gli standard urbanistici esclusivamente all’interno dei PdL. Tale scelta si porrebbe anche in contrasto con il piano regolatore in quanto la cessione di aree destinate a standard per la zona B, realizzata al fine di servire analoghe esigenze di nuovi insediamenti previsti per i piani esecutivi, si porrebbe in contrasto con i criteri di impostazione del piano regolatore ai quali i piani attuativi debbono osservanza.

Il Comune si era difeso sostenendo, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la cessione di aree esterne al PdL per la realizzazione di standard avrebbe comportato un vantaggio per la frazione ove risiedevano i ricorrenti e non un danno, in quanto determinava l’aumento dei servizi forniti sul territorio; in secondo luogo l’istituto della monetizzazione delle aree standard dimostra che il Comune può destinare con questo sistema a standard anche aree diverse da quelle interne al PdL con la conseguenza che l’obbligo di acquisizione di tutte le aree standard all’interno del PdL costituiva una richiesta anacronistica. In secondo luogo denunciava la carenza di legittimazione attiva e di interesse a ricorrere in quanto la vicinitas non sarebbe elemento sufficiente per radicare la legittimazione attiva quando non sia provato il concreto pregiudizio apportato dagli atti impugnati alla sfera giuridica dei ricorrenti. In concreto il PdL non comportava alcuna incidenza sulla sfera giuridica dei ricorrenti.

Il TAR Milano ha affermato che, ai sensi dell’art. 1 D.M. 1444/1968, le norme sugli standard edilizi ed urbanistici contenute nel decreto si applicano ai nuovi piani regolatori generali e relativi piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate. Da tale norma si desume il principio che, di norma, le aree a servizi pubblici debbono essere collocate entro il perimetro del piano attuativo. Tuttavia la legge prevede alcuni significativi temperamenti di tale principio.

In primo luogo l’art. 28 l. 1150/1942 introduce la facoltà della cessione soltanto parziale delle aree standard. La norma, infatti, stabilisce l’obbligo di cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall’art. 4 l. 29 settembre 1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria esclusivamente in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni. Ne consegue che la legge statale prevede l’osservanza dei requisiti di proporzione di spazi pubblici di cui ai detti standard nell’ambito della lottizzazione soltanto per una parte delle aree necessarie alle opere di urbanizzazione. Gli altri spazi possono essere individuati all’esterno del lotto.

In secondo luogo la legge statale ha introdotto la possibilità di sostituire l’obbligo di cessione delle aree con quello del versamento del contributo di urbanizzazione, consentendo di giungere a PdL coordinati con il contesto urbanistico generale anche indipendentemente dalla stretta osservanza degli standard edilizi ed urbanistici interni. Da questo complesso normativo si desume chiaramente, con riferimento alle opere di urbanizzazione secondaria, che è solo a livello dello strumento generale, con riferimento alle singole zone, e non a livello del singolo piano di lottizzazione che il corretto rapporto tra abitanti e dotazioni pubbliche previsto dal D.M 1444/1968 (o dalle leggi regionali) è vincolante.

Per tali ragioni, il TAR ha concluso che i ricorrenti non avessero interesse all’accoglimento del ricorso. Poiché, infatti, gli standard urbanistici riferiti ad opere di urbanizzazione secondaria debbono essere soddisfatti a livello dello strumento urbanistico generale, non esiste un interesse differenziato e qualificato dei cittadini residenti in una determinata zona al mantenimento del carico urbanistico su una determinata area standard, salvo il caso, non verificatosi nel caso di specie, in cui l’utilizzo dell’area da parte di terzi comporti l’esclusione della sua fruizione da parte dei cittadini già insediati nell’area[5].

5. Quale interesse deve farsi valere per l’impugnazione delle prescrizioni pianificatorie su fondi di terzi?

Quanto alla legittimazione attiva, ciascun privato è legittimato ad impugnare le previsioni di Piano riferite alle sole aree di sua proprietà, salvo che dimostri che le previsioni riferite a fondi di terzi incidono direttamente su interessi propri e specifici[6], ad esempio perché comportano un significativo decremento del valore di mercato o dell’utilità dei suoi immobili[7].

6. In materia di impugnazione di uno strumento urbanistico, permane l’interesse alla decisione in caso di approvazione di un nuovo Piano modificativo di quello impugnato?

Si appalesano due orientamenti giurisprudenziali in ordine alla permanenza dell’interesse alla decisione sull’annullamento del Piano impugnato, qualora nelle more del giudizio sia approvato un nuovo Piano.

Un primo orientamento sostiene che in questa eventualità, se il nuovo strumento urbanistico è interamente sostitutivo del primo, l’azione giudiziaria promossa avverso quest’ultimo perde d’interesse, fatto salvo l’accertamento dell’illegittimità degli atti ai fini risarcitori, ma soltanto laddove la relativa domanda sia stata proposta nello stesso giudizio, oppure quando il ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento o che è in procinto di farlo.

Una seconda tesi ritiene che l’interesse permanga, perché la vittoria del ricorso comporterebbe la reviviscenza della pregressa destinazione urbanistica[8].

In seno a questa seconda tesi, si è affermato che dalla decisione del Piano temporalmente antecedente il privato può ottenere l’affermazione del principio di diritto applicabile alla fattispecie e la declaratoria dell’illegittimità degli effetti pregiudizievoli medio tempore verificatisi e di conseguirne l’eventuale ristoro. In presenza di un annullamento giurisdizionale delle previsioni urbanistiche, rivivono provvisoriamente le previgenti regole fino all’adozione di una determinazione da parte del Comune che potrebbe, in ipotesi, estrinsecarsi nell’accettazione dell’assetto conseguente alla reviviscenza. Infatti, l’effetto immediato dell’annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel dovere dell’Amministrazione di riesercitare la propria potestà di pianificazione del territorio. Ragionando diversamente, in caso di accoglimento del primo ricorso, la mancata reviviscenza della previgenti previsioni urbanistiche determinerebbe un vuoto di regolazione, che non sembrerebbe potersi colmare attraverso l’applicazione dell’art. 9 d.P.R. 380/2001, che riguarda il diverso caso di Comuni sprovvisti dello strumento urbanistico e non di Comuni il cui strumento sia annullato in sede giurisdizionale[9].

7. Qual è la relazione tra l’impugnazione dell’adozione e quella dell’approvazione dello strumento urbanistico?

L’omessa impugnazione della deliberazione di approvazione non determina l’improcedibilità del ricorso proposto contro la delibera comunale di adozione, in quanto l’eventuale annullamento di quest’ultima esplica effetti automaticamente caducanti, e non meramente vizianti, sul successivo provvedimento di approvazione, ma ciò vale nella parte in cui la delibera di approvazione abbia confermato le previsioni già contenute nel piano adottato. Ove dette previsioni fossero state modificate, l’effetto caducante non può verificarsi.

Qualora invece l’atto sopravvenuto e non impugnato muti il preesistente regime giuridico, il mezzo originario dovrebbe essere dichiarato improcedibile e, in ogni caso, la sentenza pronunciata in relazione all’atto pregresso, superato da quello successivo non potrebbe spiegare effetti nei confronti di quest’ultimo[10].

[1] Sent. TAR Veneto, Sez. II, 12/11/2020, n. 1053: “Nel caso di impugnazione di strumenti urbanistici, anche particolareggiati, o di loro varianti, il semplice rapporto di vicinitas non è sufficiente a fondare l’interesse a ricorrere, occorrendo a tale fine, l’allegazione e la prova di uno specifico e concreto pregiudizio a carico dei suoli in proprietà della parte ricorrente per effetto degli atti di pianificazione impugnati (dai quali, per definizione, quei suoli non sono incisi direttamente). Tale pregiudizio non può risolversi, pertanto, nel generico pregiudizio all’ordinato assetto del territorio, alla salubrità dell’ambiente e ad altri valori, la cui fruizione potrebbe essere rivendicata da qualsiasi soggetto residente, anche non stabilmente, nella zona interessata dalla pianificazione (in tal senso, C. Stato, sez. IV, 4/12/2017 n. 5674, TAR Emilia Romagna, sez. I, 11/02/2020, n.131)”.
E ancora, sent. Cons. St., Sez. IV, 16/07/2015, n. 3579: “Nel caso in cui il ricorrente impugni dinanzi al giudice uno strumento urbanistico, anche particolareggiato, o una variante e, in generale, un atto preordinato alla definizione di un corretto assetto del territorio, la dimostrazione circa i danni patrimoniali subiti e, in generale, circa il deterioramento delle condizioni di vita risulta necessaria e l’obbligatoria allegazione dei pregiudizi subiti è, in tal caso, giustificata dalla necessità di evitare che il ricorso si fondi sulla generica lesione all’ordinato assetto del territorio da parte di uno qualunque dei residenti o di enti esponenziali: infatti, la pianificazione territoriale rientra nell’alveo della discrezionalità amministrativa e non può incontrare limiti in situazioni di mero fatto non tutelate specificamente dall’ordinamento; in sostanza la mera vicinitas non è sufficiente a radicare un interesse al ricorso, in assenza della dimostrazione del concreto pregiudizio patito dall’esecuzione del provvedimento impugnato. Più precisamente, <<in sede d’impugnazione di strumenti urbanistici generali o attuativi – a differenza di quanto comunemente si afferma laddove sia contestato direttamente un titolo abilitativo all’edificazione – la semplice vicinitas (ossia la situazione di stabile collegamento esistente tra la proprietà del ricorrente e quella interessata dal provvedimento censurato) non è sufficiente a fondare l’interesse all’impugnativa, occorrendo che il ricorrente alleghi e dimostri anche l’esistenza di uno specifico e concreto pregiudizio derivante dagli atti impugnati; e questo, per evitare che un’eccessiva dilatazione del concetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., con riferimento ai piani urbanistici, consenta l’impugnativa anche ai soggetti titolari di un interesse di mero fatto”.
[2] Ex multis, sent. TAR Veneto, Sez. II, 14/01/2021, n. 45: “Le scelte effettuate dalla P.A. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono accompagnate da un’amplissima valutazione discrezionale per cui, nel merito, appaiono insindacabili e sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, abnormità e irrazionalità delle stesse; in ragione di tale discrezionalità, l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano (cfr. Tar Lazio-Roma, Sez. II bis, 20.11.2020, nr, 231/2021; Cons. St. Sez. IV, 12.05.2010 n. 2843; Consiglio di Stato, sez. IV, 22/05/2012, n. 2952).
Le scelte urbanistiche, inoltre, non sono nemmeno condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d’uso edificatorie diverse e più favorevoli rispetto a quelle impresse con il nuovo strumento urbanistico, con il solo limite dell’esigenza di una specifica motivazione (nel caso di specie sussistente) a sostegno della nuova destinazione quando quelle indicazioni avevano assunto una prima concretizzazione in uno strumento urbanistico esecutivo (piano di lottizzazione, piano particolareggiato, piano attuativo) approvato o convenzionato, o quantomeno adottato e tale quindi da aver ingenerato un’aspettativa qualificata alla conservazione della precedente destinazione (cfr. TAR Brescia, I, 20 marzo 2020 n. 252; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 13.01.2015 n. 419)”.
[3] Sent. Cons. St., Sez. II, 08/06/2021, n. 4375: “10.11 Il mero criterio della vicinitas di un fondo o di una abitazione all’area oggetto dell’intervento urbanistico-edilizio, infatti, non può ex se radicare la legittimazione al ricorso, dovendo sempre il ricorrente fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute ed all’ambiente. “Ciò in quanto il criterio della vicinitas, se è idoneo a definire la sussistenza di una posizione giuridica qualificata e differenziata in astratto configurabile come interesse legittimo, tuttavia non esaurisce le condizioni necessarie cui è subordinata la legittimazione al ricorso, dovendosi da parte di chi ricorre fornire invece la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l’area) a cagione dell’intervento edificatorio”(cfr. Consiglio di Stato sez. IV – 15/12/2017, n. 5908)”.
[4] Sent. TAR Lombardia – Milano, Sez. II, 24/05/2021, n. 1268: “Per consolidata giurisprudenza, chi si ritiene leso da uno strumento pianificatorio sottoposto a V.A.S. non può limitarsi a lamentare vizi e irregolarità concernenti la procedura di V.A.S., ma deve chiarire se e in quale misura tali vizi abbiano inciso sul regime impresso ai suoli di sua proprietà dalla nuova disciplina urbanistica (Cons. Stato, Sez. IV, 12 gennaio 2011, n. 133; Id., Sez. II, 18 agosto 2020, n. 5084), giacché «l’interesse a impugnare lo strumento pianificatorio non può esaurirsi nella generica aspettativa a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, richiedendosi, invece che le “determinazioni lesive” fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente “condizionate”, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S.» (T.A.R. Milano, Sez. II, 15 novembre 2016, n. 2140; cfr. altresì T.A.R. Brescia, Sez. I, 20 febbraio 2017, n. 247)”.
[5] Sent. TAR Lombardia – Milano, Sez. II, 29/04/2009, n. 3596: “Si deve ritenere che i ricorrenti non abbiamo interesse all’accoglimento del presente motivo di ricorso. Poiché, infatti, gli standard urbanistici riferiti ad opere di urbanizzazione secondaria (come nel presente giudizio) debbono essere soddisfatti a livello dello strumento urbanistico generale, non esiste un interesse differenziato e qualificato dei cittadini residenti in una determinata zona al mantenimento del carico urbanistico su una determinata area standard, salvo il caso, non verificatosi nel presente giudizio, in cui l’utilizzo dell’area da parte di terzi comporti l’esclusione della sua fruizione da parte dei cittadini già insediati nell’area”.
[6] Sent. TAR Veneto, Sez. II, 12/11/2020, n. 1053: “I motivi aggiunti sono inammissibili per originaria carenza d’interesse poiché, secondo un consolidato indirizzo della giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2403; sez. IV, 24 dicembre 2007, n. 6619), sono inammissibili per carenza d’interesse le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente, giacché le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, rimanendo peraltro salva la possibilità di proporre impugnativa ove la nuova destinazione di zona, pur concernendo un’area non appartenente al ricorrente, incide direttamente su interessi propri e specifici dello stesso”.
[7] Sent. Cons. St., Sez. II, 22/11/2021, n. 7812: “Di conseguenza la sussistenza della mera vicinitas non costituisce elemento sufficiente a comprovare contestualmente la legittimazione e l’interesse al ricorso, occorrendo invece la positiva dimostrazione, in relazione alla configurazione dell’interesse ad agire, di un danno (certo o altamente probabile) che attingerebbe la posizione di colui il quale insorge giudizialmente; ciò, segnatamente, in materia di impugnazione di strumenti urbanistici, generali e attuativi, atteso che in tali controversie la sollecitazione del sindacato giurisdizionale è ammissibile nel caso in cui la parte ricorrente si dolga di prescrizioni che riguardano direttamente i beni di proprietà ovvero comportino un significativo decremento del valore di mercato o dell’utilità dei suoi immobili (cfr., Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5674)”.
[8] Rende conto del dibattito la sent. TAR Lombardia – Milano, Sez. II, 07/05/2020, n. 751: “Secondo una parte della giurisprudenza amministrativa, “allorché nelle more del giudizio di impugnazione di una prescrizione urbanistica intervenga altro strumento, completamente sostitutivo del precedente, più nessun interesse a discutere sul precedente strumento urbanistico può residuare, e ciò anche quando il nuovo abbia riprodotto la prescrizione impugnata, palesandosi altrimenti un’eventuale pronuncia sul primo atto inutiliter data” (T.A.R. per la Lombardia, Sez. II, 30 luglio 2018, n. 1877 che richiama T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 15 marzo 2018, n. 731; Id., Sez. I, 26 giugno 2017, n. 1435; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 giugno 2010, n. 3538). Tale giurisprudenza introduce un’eccezione nella ipotesi in cui lo scrutinio degli atti sia funzionale alla deliberazione dell’eventuale domanda risarcitoria precisando, tuttavia, che la disposizione di cui all’articolo 34 c.p.a. “deve applicarsi in via restrittiva e quindi si può accertare l’illegittimità degli atti ai fini risarcitori soltanto laddove la relativa domanda sia stata proposta nello stesso giudizio, oppure quando la parte ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento o che è in procinto di farlo; in mancanza di tali adempimenti il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (cfr., ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 30 giugno 2017, n. 1471; 14 marzo 2017, n. 621; 26 luglio 2016, n. 1501)” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, sez. II, 15 marzo 2018, n. 731; negli stessi termini cfr., inoltre, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, sez. II, 1 febbraio 2019, n. 222).
17.3. In sostanza, secondo la giurisprudenza sopra indicata, la “sostituzione” delle previsioni del Piano con nuove prescrizioni urbanistiche, pur integralmente confermative, determina il venir meno dell’interesse a ricorrere che sorregge il solo eventuale nuovo ricorso proposto avverso tali previsioni. Aderendo ad una simile impostazione la domanda di annullamento risulta, quindi, improcedibile. Né una diversa soluzione pare potersi affermare in ragione dell’intervenuta proposizione della domanda di risarcimento del danno. La cognizione dei motivi di ricorso condotta nell’ambito della domanda di risarcimento del danno non elide la possibilità di decretare l’improcedibilità della diversa domanda di annullamento trattandosi, come evidente, di due azioni, comunque, distinte e, come tali, suscettibili di sorti processuali differenti.
17.4. Una diversa soluzione potrebbe, piuttosto, derivare dalla diversa teorica secondo cui “l’eventuale annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento di approvazione [della] variante implicherebbe la reviviscenza della disciplina introdotta da quella precedente, sicché permane l’interesse di parte ricorrente a coltivare [l’impugnazione] (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano – Sez. II, ordinanze 9 ottobre 2019, n. 2115 e n. 2116; T.A.R. per la Liguria – sez. I, 30 agosto 2018, n. 683; T.A.R. per la Puglia – sede di Bari, Sez. II, 20 marzo 2012, n. 580; T.A.R. per il Veneto, sez. I, 8 febbraio 1996, n. 156; T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, sez. II, 02 novembre 2000, n. 8874). Dello stesso avviso si mostra parte della giurisprudenza del Giudice d’Appello a partire dalla decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 2 aprile 1984 secondo cui “l’annullamento di una previsione contenuta in una variante ad un piano regolatore generale comporta la reviviscenza della destinazione preesistente” (cfr., nella giurisprudenza successiva, Consiglio di Stato, sez. IV, 20 febbraio 1998, n. 312; Id., sez. IV, 6 maggio 2004, n. 2800, con ivi ulteriori citazioni; Consiglio di Stato, Sez. V, 22 febbraio 2007, n. 954). Aderendo ad una simile teorica dovrebbe postularsi il persistente interesse alla decisione della domanda di annullamento stante la possibilità di ottenere il bene della vita a cui mira l’azione nel caso di duplice annullamento della regolazione urbanistica. In sostanza, vi sarebbe un interesse alla decisione del ricorso, condizionata, tuttavia, dall’esito del ricorso R.G. n. 883/2015 (cfr., per simile ricostruzione, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano – Sez. II, ordinanze 9 ottobre 2019, n. 2115 e n. 2116)”.
[9] Ordd. TAR Lombardia – Milano, Sez. II, 09 ottobre 2019, nn. 2115-2116:“8.5. Va, inoltre, considerato che la mancata reviviscenza della previgenti previsioni urbanistiche determinerebbe, come evidente, un vuoto di regolazione. Un vuoto che, invero, non sembrerebbe potersi colmare attraverso l’applicazione della regola di cui all’articolo 9 del D.P.R. 380 del 2001 che riguarda il diverso caso di Comuni sprovvisti dello strumento urbanistico e non di Comuni il cui strumento sia annullato in sede giurisdizionale (cfr., T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, sez. II-quater, 28 gennaio 2019, n. 1049 che esclude la reviviscenza delle previgenti prescrizioni e l’applicazione della regola in esame in una fattispecie in cui le previsioni del P.R.G. non si ritengono perfezionate stante la loro mancata approvazione finale; soluzione che, a contrario, non dovrebbe applicarsi laddove lo strumento previgente sia regolarmente approvato, deponendo, quindi, per la tesi della reviviscenza di tale regolazione).
8.6. Né sembra al Collegio argomento risolutivo quello fondato sulla doverosità dell’intervento comunale che risulterebbe imposto dalla ritenuta applicazione della regola di cui all’articolo 9 del D.P.R. 380 del 2001. Un simile impostazione non tiene, invero, conto che anche, laddove si ipotizzasse la reviviscenza delle previgenti disposizioni urbanistiche, graverebbe, in ogni caso, sul Comune l’obbligo di provvedere alla nuova regolazione, se ritenuto necessario. Infatti, costituisce ius receptum il principio secondo cui l’effetto immediato dell’annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel dovere dell’Amministrazione di riesercitare la propria potestà di pianificazione del territorio (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 22 agosto 2013, n. 4255; Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 giugno 2004, n. 3563; Consiglio di Stato, Sez. V, 23 aprile 2001, nr. 2415). Lo conferma la recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 20 marzo 2019, n. 1831 che osserva, in primo luogo, come “la reviviscenza della precedente disciplina di piano, conseguente all’effetto retroattivo dell’annullamento giurisdizionale, ha […] solo carattere provvisorio, specie se tale annullamento riguardi non già il nuovo strumento urbanistico nella sua integralità e ab imis (è il caso per esempio affrontato da Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2013, n. 4054, con richiamo a numerosi precedenti) bensì una sua previsione puntuale”. Aggiunge il Giudice d’Appello che, “in tale ipotesi, come rilevato dalla giurisprudenza richiamata dallo stesso Comune (TAR per la Toscana, 10 dicembre 2009, n. 3267), si pongono evidenti problemi di coordinamento e compatibilità con l’impianto complessivo della disciplina generale. L’annullamento fa quindi contestualmente sorgere in capo all’Amministrazione l’obbligo di rideterminarsi, rinnovando il segmento procedimentale annullato e quindi riesercitando la propria potestà di pianificazione del territorio (Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2011, n. 133, che richiama altresì sez. IV, 7 giugno 2004, n. 3563; sez. V, 23 aprile 2001, nr. 2415)”. Conclude il Consiglio di Stato: “ne deriva che – quand’anche l’Amministrazione si determinasse ad accettare l’assetto conseguente alla reviviscenza, in parte qua, della disciplina previgente – si tratterebbe pur sempre di una forma di riedizione dell’attività amministrativa la cui legittimità va scrutinata in rapporto alle indicazioni conformative contenute nella sentenza di annullamento”.
8.7. In sostanza, in presenza di un annullamento giurisdizionale delle previsioni urbanistiche rivivono provvisoriamente le previgenti regole fino all’adozione di una determinazione da parte del Comune che potrebbe, in ipotesi, estrinsecarsi nell’accettazione dell’assetto conseguente alla reviviscenza. Tesi questa che pare conciliare il rigore dogmatico della tesi che regola i rapporti tra le due discipline in termini di reviviscenza con l’esigenza (parimenti rilevante) di non ritenere la previgente normativa ad applicazione obbligata preservando il potere/dovere comunale di rieditare il potere di conformazione del territorio anche in conseguenza dell’assetto che si crea per effetto dell’annullamento delle prescrizioni nei limiti dello specifico oggetto del giudizio e, quindi, della sentenza. In tal modo, si consente all’Amministrazione di intervenire anche al fine di assoggettare le aree ad una regolazione comune evitando la policromia regolatoria che potrebbe, in ipotesi, crearsi.
8.8. In ragione di quanto esposto, paiono, quindi, preferibili le argomentazioni che sorreggono il primo degli orientamenti esaminati pur con le ulteriori precisazioni esposte nel presente provvedimento.
9.L’affermata sussistenza di una possibile reviviscenza delle previgenti disposizioni urbanistiche impone, quindi, di adottare un’ordinanza di sospensione del giudizio ex articolo 79, primo comma, c.p.a. Infatti, la non attualità e la ipoteticità dell’interesse ad agire discende, come spiegato, dall’essere simile interesse condizionato dall’esito dell’altro giudizio. Sussiste, quindi, un legame di pregiudizialità tra i due giudizi che si traduce nella doverosità della sospensione del presente in attesa della definizione del giudizio condizionante la reviviscenza della pregressa disciplina sostanziale e, per l’effetto, dell’interesse processuale all’annullamento della stessa azionato nel presente giudizio (cfr., per la necessità della sospensione in simili casi, le argomentazioni di Cassazione civile, sez. lavoro, 23 novembre 2007, n. 24434)”.
[10] Sent. Cons. St., Sez. II, 13 ottobre 2021, n. 6883: “Si deve, infatti, richiamare la giurisprudenza relativa al rapporto tra l’impugnazione della delibera di adozione e di approvazione, per cui se l’omessa impugnazione della deliberazione approvativa della variante di un piano regolatore generale non determina l’improcedibilità del ricorso proposto contro la delibera comunale di adozione, in quanto l’eventuale annullamento di quest’ultima esplica effetti automaticamente caducanti, e non meramente vizianti, sul successivo provvedimento di approvazione, ciò riguarda la parte in cui la delibera di approvazione abbia confermato le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa (Consiglio di Stato sez. IV, 14 luglio 2014 n. 3654; Consiglio di Stato, sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 921). Ove dette previsioni fossero state modificate, è evidente che detto effetto caducante non possa verificarsi. Ciò deriva dall’applicazione del principio generale relativo ad ogni fattispecie in cui, nel corso di un procedimento giurisdizionale già avviato, sopravvenga una nuova statuizione amministrativa. Se quest’ultima in nulla abbia modificato o innovato con riferimento alla fattispecie controversa, sarebbe inutile e senza ragione onerare il ricorrente della impugnazione dell’atto sopravvenuto, che in nulla immuta la res controversa, per cui la sentenza è idonea a produrre effetti anche in pregiudizio della nuova statuizione amministrativa, in parte qua rimasta immutata. A diverse conclusioni, deve giungersi allorché, invece, l’atto sopravvenuto muti il preesistente regime giuridico che aveva dato atto al contenzioso: il mezzo originario dovrebbe essere dichiarato improcedibile, in ipotesi di omessa tempestiva impugnazione di quello superveniens che ha determinato un assetto di interessi diverso, ed in ogni caso la sentenza pronunciata in relazione all’atto pregresso, superato da quello successivo non potrebbe spiegare effetti nei confronti di quest’ultimo (Consiglio di Stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2499; sezione II, 20 gennaio 2020, n. 456)”.

*Il testo riproduce e amplia la seconda parte dell’intervento tenuto dall’avv. Dario Meneguzzo durante il seminario dal titolo “La legittimazione attiva e l’interesse ad agire nelle impugnazioni “edilizie”” del 28 gennaio 2022 organizzato dall’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti.

Dario Meneguzzo

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