Si può commentare la giurisprudenza con un racconto? Quella che segue è una storia di fantasia. Ma la questione giuridica su cui si incentra non è affatto inventata, ed è stata oggetto di varie pronunce (cfr. ad es. Cons. Stato 8546/2024).

Certo un racconto non ha il contenuto argomentativo di una nota a sentenza o di un articolo. Ma consente di spaziare. In questo caso, consente di immaginare le tensioni di un giudice.

Tensioni che, da punti di vista diversi, sperimentano tutti coloro che operano nella giustizia amministrativa.

Difficile concentrarsi tra i rumori di casa nel periodo delle feste: gli strilli dei bambini, l’abbaiare del cane, le telefonate, gli auguri, il suono dei messaggi in arrivo sul cellulare. Il giovane giudice TAR ci riusciva solo a intermittenza. Però continuava a pensarci, a quel ricorso.

Gli era stato affidato perché scrivesse la sentenza, ma avrebbe voluto tornare a parlarne in camera di consiglio. Un ricorso importante, proposto dal secondo arrivato nella gara per la concessione di un’area comunale.

Il ricorso non lasciava scampo, andava dritto al punto. Anzi, ai punti: i motivi fatti valere erano numerosi, ben argomentati, ben documentati. Il quadro che ne usciva era quello di una gara condotta davvero male.

Ma c’era quel ricorso incidentale proposto dal vincitore. Sosteneva che il Comune non avrebbe dovuto neppure ammettere alla gara l’offerta giunta seconda. L’offerta – prevedeva il bando – doveva essere presentata via pec “entro le ore 12.00”. E la pec con l’offerta del ricorrente era stata accettata dal sistema alle ore 12.00.01. Un’offerta tardiva, dunque. Per un solo secondo, ma oltre il termine perentorio del bando.

Quell’offerta andava pertanto esclusa dalla gara; e il ricorso di chi l’aveva proposta diventava così inammissibile.

Un secondo, continuava a ripetersi il giovane giudice, un solo secondo oltre il termine. Ma qual è esattamente il termine da rispettare? La clausola del bando indica i minuti, non i secondi. Insomma: si resta dentro alle 12.00 se l’invio avviene fino alle 12.00.59, perché ancora non sono scattate le 12.01.

Sembrava convincente. Ma lo era anche la tesi opposta: non importa che sia scritto le 12.00 e non le 12.00.00. Se si indica un termine facendo riferimento a un’unità di tempo (l’ora, o il minuto, o il secondo), quel termine è trascorso se l’unità successiva è maggiore di zero.

Certo che disporre l’esclusione per un solo secondo sembra davvero il massimo dell’iniquità. E poi – pensava il referendario – il caso sarebbe finito di sicuro sui giornali. Si sarebbe scritto che il giudice amministrativo si occupa di cavilli e che per ragioni cavillose non esita a dar torto a chi invece ha ragione. Vai poi a spiegare la parità di trattamento tra i concorrenti, o che una domanda non tempestiva deve essere esclusa senza nessuna discrezionalità per l’amministrazione.

Oppure si sarebbe pensato che il giudice – escludendo il ricorrente per quel secondo – aveva semplicemente scelto la via d’uscita più facile, anziché affrontare gli scomodi motivi del ricorso contro il vincitore.

Non ne veniva a capo, e ormai la giornata era trascorsa. Arrivavano già amici e parenti, i piatti cominciavano a girare. Era il cenone di fine d’anno: chiacchiere, cibo, vini, la casa immersa in una piacevole confusione. Solo poco prima del brindisi ricominciò a pensarci: ma l’anno nuovo comincia davvero alle 24.00? O quello è ancora l’anno vecchio?

Tutto gli parve improvvisamente chiaro. Le 24.00 è come se non esistessero. Fino al compimento dell’ultimo nanosecondo delle 23.59 è ancora anno vecchio. Ma – passato quel nanosecondo – è già anno nuovo. Le 24.00 segnano davvero il passaggio al nuovo anno. Quando vedi comparire in un qualsiasi dispositivo le 24.00 – o meglio, le 0.00 – non importa quale sia la forma in cui compaiono (le 0.00, le 00.00, le 00.00.00), vuol dire che il passaggio già è avvenuto. Non importa che sia un anno, un giorno, un’ora o un secondo: l’unità di tempo è già cambiata.

Ragionando così, tutto funzionava. Restava la sua inquieta coscienza, con la quale in fondo aveva un buon dialogo. È vero, ammise con sé stesso, non era quella la soluzione che voleva: avrebbe preferito trascurare quel maledetto secondo. Ma che spazio c’era per la sua preferenza? Poteva volere qualcosa che si era convinto che fosse sbagliato? Gli bastò insomma giocare di rimessa. Ha senso che la giustizia amministrativa sia così formale? Non stava a lui rispondere. A lui spettava di applicare correttamente le norme, comprese quelle di un bando.

La mattina di Capodanno dormivano tutti, anche il cane. Scrisse la sentenza sviluppando quell’unico punto: i confini tra le unità di misura del tempo. Salvò il file, chiuse il computer e, senza rendersene conto, incrociò le dita.

Poi uscì in giardino, vide per terra un piccolo fuoco d’artificio rimasto spento, lo raccolse. Era caduto nell’erba bagnata della sera precedente. Insomma, era lì ad aspettarlo dall’anno prima. Lo accese.

Stefano Bigolaro

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