Come noto, nel 1945, a Parigi, venne creata una istituzione intergovernativa (che cominciò ad operare l’anno successivo e cui l’Italia venne ammessa a far parte nel 1947), oggi composta da quasi 200 Stati, definita UNESCO: e cioè (in italiano) Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.

Numerosissime le attività dalla stessa svolte.

Al riguardo va ricordato in particolare che, nel 1972, il 23 novembre, venne sottoscritta a Parigi una Convenzione, resa esecutiva in Italia con la legge n.188 del 1977, mirante alla tutela di quei beni e di quei siti –anche costituiti da opere congiunte dell’uomo e della natura- rientranti nel patrimonio culturale e naturale (nonché, dal 1992, in quello dei “paesaggi culturali”) e ritenuti di tale rilievo da esser considerati –anche se territorialmente localizzati in uno o più Stati- di  importanza così significativa da dover essere riconosciuti come patrimonio dell’intera umanità.

L’essere inseriti nell’elenco degli stessi, se ha notevolissimo rilievo reputazionale, non comporta, peraltro, vincoli diretti. E, come la Corte Costituzionale ha precisato con la sentenza n.22 dell’11 febbraio 2016, è lasciata al legislatore la discrezionalità –se ritenuto- di imporre o meno un regime vincolistico per i siti Unesco.

E la legge 20 febbraio 2006, n. 77, contenente “misure speciali di tutela e fruizione” dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella lista del patrimonio mondiale, posti sotto la tutela dell’Unesco, nel riconoscere (art. 1) il “valore simbolico” dei siti, si è limitata a prevedere (art.3) dei “piani di gestione” degli stessi per assicurarne la conservazione e per creare le condizioni per la loro valorizzazione: introducendo, all’uopo, la possibilità di misure di sostegno, determinate con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, e stabilendo che “gli accordi tra i soggetti istituzionalmnente competenti alla predisposizione dei piani di gestione e alla realizzazione dei relativi interventi sono raggiunti con le forme e le modalità previste dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n 42” (il Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Delle indicazioni più precettive sono, peraltro, previste dalle modifiche apportate al Codice Urbani nel 2008 dal decreto legislativo n. 63.

E così ora, l’articolo 135 –che nel testo originario era estremamente generico e succinto-, al quarto comma, lettera d), stabilisce espressamente che i piani paesaggistici, per ciascun ambito, definiscano apposite prescrizioni e previsioni ordinate “alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO. Con tutte le necessarie conseguenze correlate al fatto che, ex art. 145 del Codice, i Comuni, le Città metropolitane, le Province e gli enti gestori delle aree naturali protette devono conformare o adeguare gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici.

Oggi, i siti UNESCO in Italia (il primo, del 1979, concernente le incisioni rupestri della Valcamonica) sono oltre 50 (il nostro è il Paese che nel mondo ne ha il maggior numero) e svariati sono localizzati in Veneto (il primo fu Venezia con la sua laguna nel 1987, l’ultimo quello relativo alle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene).

Sicchè, con la “legge per la cultura” (la L.R. Veneto 16 maggio 2019, n.17), nel disciplinare “la valorizzazione, la conoscenza e la conservazione del patrimonio culturale materiale e immateriale del Veneto, ivi incluso il paesaggio e il patrimonio diffuso, con particolare riguardo al patrimonio di eccellenza” (art. 3), significativo rilievo per l’intervento regionale è destinato ai beni UNESCO ( art. 4), ivi compreso il patrimonio culturale immateriale (art. 18). E la Regione li “riconosce e valorizza, come aspetti e contesti d’eccellenza del patrimonio culturale”, assicurando “interventi di sostegno delle attività incluse nei Piani di gestione dei siti UNESCO” (art. 19).

Né, per completezza, si dovrebbero dimenticare i siti che sino alla Seconda Guerra Mondiale fecero parte del territorio italiano (come, ad esempio, quello paesistico delle Grotte di San Canziano in Venezia Giulia o quelli –numerosi- in Dalmazia ed in Istria, tra cui la venetissima Parenzo, con la sua Basilica Eufrasiana)  o quelli frutto dell’impegno culturale nelle Colonie. Così come ad Asmara, capitale dell’Eritrea, dichiarata patrimonio dell’UNESCO in quanto “esempio eccezionale di urbanizzazione modernista”, e definita “piccola Roma”, grazie al frutto dell’impegno di architetti italiani che, negli anni ’30 del secolo scorso con unitarietà di stile realizzarono immobili quali la Cattedrale, il cinema Impero e –segno di tardo futurismo- il famoso distributore di benzina Tagliero con il simbolo della Fiat.

Ma oltre ai beni materiali, più di recente, con la Convenzione sottoscritta, sempre a Parigi, il 17 ottobre 2003, e ratificata dall’Italia con la legge 27 settembre 2007, n 167, l’UNESCO si è preoccupata anche della salvaguardia dei capolavori immateriali: che l’articolo 2 della Convenzione definisce come “ le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how- come pure gli strumenti, gli oggetti , i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi- che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso di identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”.

In sostanza, l’UNESCO ha voluto così preoccuparsi di mantener vive le diversità culturali e le identità, in un mondo sempre più volto alla globalizzazione ed all’appiattimento.

E la legge 8 marzo 2017, n 44, integrando la precedente legge n. 77 del 2006, ha inserito quelli che ha definiti “gli elementi del patrimonio culturale immateriale” accanto ai siti, estendendo agli stessi le medesime previsioni normative.

Già in antecedenza -dopo la Convenzione-, per vero, il decreto legislativo n. 63 del 2008, inserendo nel Codice l’articolo 7 bis, aveva stabilito che “le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e la protezione e la promozione delle diversità culturali….. sono assoggettabili alle disposizioni del presente Codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni dell’applicabilità dell’articolo 10” (che identifica “le cose immobili e mobili” che costituiscono i beni culturali).

La legge 102 del 2013 ha poi inserito nell’articolo 52 del Codice il comma 1 bis, con il quale ha stabilito che “fermo restando quanto previsto dall’articolo 7 bis, i Comuni, sentito il Soprintendente, individuano altresì i locali, a chiunque appartenenti, nei quali si svolgono attività di artigianato tradizionale e altre attività commerciali tradizionali, riconosciute quali espressione dell’identità culturale collettiva ai sensi delle convenzioni UNESCO di cui al medesimo articolo 7 bis, al fine di assicurarne apposite forme di promozione e salvaguardia, nel rispetto della libertà di iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione”.

Ma il presupposto era sempre che si trattasse di “testimonianze materiali”.

Ora il discorso, dopo la legge n 44 del 2017,  è, però, molto –e in modo non poco originale- mutato. E basti pensare che, per l’Italia, nella Lista Rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale di interesse mondiale, rientrano  elementi dotati di sicura particolarità, quali: l’ Opera dei Pupi siciliani, del Canto a Tenore sardo, del Saper fare liutaio di Cremona, della dieta mediterranea, delle Feste delle Grandi Macchine a Spalla, della vite ad alberello di Pantelleria, della Falconeria (?), e dell’Arte dei Pizzaiuoli Napoletani.

Pur non facendo parte dei siti considerati patrimonio mondiale dell’umanità, meritano considerazione inoltre, per il loro significato, quei beni e quei luoghi che un Programma istituito dall’UNESCO nel 2000 considera “Patrimoni messaggeri di una cultura di pace” (così,  ex multis, il Santuario di San Luca a Bologna, il Real Sito di Carditello in provincia di Caserta, la Chiusa di Casalecchio di Reno, eccetera).

In ogni caso, il “marchio” UNESCO (non quel marchio di proprietà del MIBACT, della cui istituzione da tempo si parla, e che dovrebbe certificare la qualità dei territori culturali di eccellenza, sia per il loro valore che per la loro gestione) ha impatti notevoli sull’economia locale dei territori interessati, per la loro valorizzazione economica e, in genere, per le relative strategie, e rafforza significativamente l’immagine dell’Italia.

E particolarmente importanti si pongono ovunque, soprattutto nei siti UNESCO, i Marchi Territoriali, al fine della valorizzazione commerciale dei territori e dei prodotti agli stessi legati .

Quel che è sicuro è che tutto ciò deve impegnare non solo lo Stato e le Regioni ma anche le amministrazioni locali alla conservazione dei centri storici, della qualità dei paesaggi e della tutela del territorio: sia prima, per ottenere il riconoscimento UNESCO, sia dopo, per conservarlo, grazie anche ad una adeguata gestione.

Ed al riguardo particolarmento di rilievo appaiono i compiti della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO che, istituita già nel 1950, ha lo scopo di favorire la promozione, il collegamento, l’informazione, la consultazione e l’esecuzione dei programmi UNESCO in Italia.

Ora, nella stessa, come è noto, nel 2019 è stato chiamato a rappresentare il Ministero dello Sviluppo economico il noto attore comico Lino Banfi, che al riguardo, si è impegnato a “portare il sorriso ovunque, anche nei posti seri”.

Speriamo che basti!

Marino Breganze de Capnist

 

* Introduzione alle Relazioni su “Gestione dei siti UNESCO e Marchi Territoriali” nell’ambito del Corso di Alta Formazione “Problemi e prospettivi del diritto del patrimonio culturale” svoltosi presso l’Università di Padova il 25 settembre 2020.

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