Con la novella al Testo Unico dell’edilizia apportata dal Decreto Legge 29 maggio 2024, n.69 (c.d. Decreto salva casa), convertito dalla legge 24 luglio 2024, n.105, sono state -come noto-  modificate alcune norme del D.P.R. n.380 del 2001, al fine di semplificare i procedimenti amministrativi relativi alle costruzioni e di legittimare quelle lievi difformità edilizie che rendono difficili le alienazioni degli immobili e la cui repressione appesantisce -talora inutilmente- il lavoro dei Comuni.

E ciò anche perché non sempre -ahimè- corrisponde al vero -ed il condizionale sarebbe più realistico- quanto previsto dall’articolo 12 della legge n.120 del 2020, in base alla quale “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.

In sostanza, come evidenziato nella Relazione al decreto legge , “si tratta di disposizioni di carattere urgente e di natura puntuale volte a fornire un riscontro immediato e concreto al crescente fabbisogno abitativo, sostenendo, al contempo, il conseguimento degli obiettivi di recupero del patrimonio edilizio esistente e di riduzione del consumo del suolo”.

In questo quadro, va evidenziato, peraltro, che più della metà del patrimonio edilizio italiano è sottoposto a vincolo paesaggistico: ad opera di singoli atti amministrativi (e basti pensare che vincolabili in tal modo sono anche gli interi  centri storici!), ex lege (articolo 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) o  dei piani paesaggistici.

Inevitabile, quindi, che, pur la novella riguardando specificatamente il Testo Unico dell’edilizia, contestualmente, nell’ambito della stessa, venisse dettata anche una apposita procedura -di fatto integrativa e modificativa del decreto legislativo n.42 del 2004 (le cui disposizioni, come più volte ricordato dalla Corte Costituzionale, costituiscono “norme di riforma economico-sociale” e, dunque, “vincolano anche le Regioni e le Province autonome”) – per gli immobili -e le opere negli stessi realizzate- siti in zona vincolata o direttamente sottoposti a vincolo: e le principali disposizioni relative sono state introdotte ed inserite nell’articolo 36 bis (commi 4,5,5 bis e 6) del DPR n.380 del 2001.

Questa norma ha disciplinato (commi 1,2, 3), per tutti gli interventi su immobili realizzati con parziali difformità e variazioni essenziali, la possibilità –a determinate condizioni- di un accertamento di conformità, con richiesta del permesso di costruire o la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria.

Ed anche qualora gli interventi di cui sopra siano stati eseguiti in assenza o difformità dalla necessaria autorizzazione paesaggistica, è possibile, seguendo le regole del comma quarto, conseguire la sanatoria semplificata degli abusi in zona o su singoli immobili vincolati.

Ciò non solo -anche se non in caso di variazioni essenziali, dato che la novella, modificando il comma terzo dell’articolo 32 del Testo Unico dell’edilizia, ha stabilito che tali interventi, se “effettuati su immobili sottoposti a vincolo…paesistico…nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali o regionali”, “sono considerati in totale difformità dal permesso”-  per piccole difformità ma “anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o  volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati”!

In tali casi –e non, come già previsto nelle ipotesi di cui all’articolo 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, su richiesta del proprietario, possessore o detentore dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi  bensì ad opera  del dirigente o del responsabile dell’ufficio edilizio  del Comune (competente,  ex comma 2 dell’articolo 36 bis, all’accertamento di conformità per tutti gli immobili), aprendosi così una fase incidentale nel procedimento di sanatoria (che viene, ex comma 6, sospeso fino alla definizione del procedimento di compatibilità paesaggistica) e non  con un procedimento autonomo- il responsabile comunale “richiede all’autorità preposta alla gestione del vincolo apposito parere vincolante in merito all’accertamento della conformità paesaggistica dell’intervento”.

Quindi, “l’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza, da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni”. Se il parere non è reso entro il termine, “si intende formato il silenzio-assenso ed il dirigente o responsabile dell’ufficio provvede autonomamente” (anche se, ovviamente, è poi sempre possibile l’esercizio dei poteri di autotutela da parte dell’amministrazione -con congrua motivazione-, al fine d’un eventuale annullamento della sanatoria ottenuta per silenzio assenso).

Mentre, dunque, in passato, il silenzio della Soprintendenza costituiva un rifiuto, impugnabile per contestare l’illegittimità dell’inerzia, seguendo quanto di recente (in modo particolarmente chiaro con la sentenza del Consiglio di Stato , Sezione II, 2 febbraio 2024, n.1093) è stato l’avviso del giudice amministrativo, allorquando ha deciso che l’istituto del silenzio assenso, introdotto dall’articolo 17 bis della legge n.241 del 1990 si applica anche al parere della Soprintendenza ex articolo 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il legislatore ha ora generalizzato in materia  il principio del silenzio assenso.

Da notare che tali disposizioni si applicano anche “nei casi in cui gli interventi risultino incompatibili con il vincolo paesaggistico apposto in data successiva alla loro realizzazione”(comma 4, ultima parte). E, ulteriore deroga al divieto di compatibilità paesaggistica postuma, giusta il comma 4 bis dell’articolo 3 del Decreto salva casa, ciò si riferisce “anche agli interventi realizzati entro l’11 maggio 2006” –e questo per la tutela dell’affidamento del privato:  in quanto da tale data è entrato in vigore il decreto legislativo n.157 del 2006 che ha vietato di sanare sotto il profilo paesaggistico gli interventi non rientranti nei casi indicati dal comma quarto dell’articolo 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio- “per i quali il titolo che ne ha previsto la realizzazione è stato rilasciato dagli enti locali senza previo accertamento della conformità paesaggistica ”.

Evidenti dunque le modifiche sostanziali implicitamente apportate al Decreto legislativo n.42 del 2004.

L’articolo 146, comma 4, dello stesso, invero, aveva stabilito espressamente che “fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”. E l’articolo 167 aveva disposto che, su richiesta del proprietario, possessore o detentore dell’immobile o dell’area vincolati e interessati, potesse essere dall’autorità amministrativa competente accertata –con correlato pagamento di sanzione pecuniaria- la compatibilità paesaggistica non certo in tutti i casi ora previsti ma solo : “a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.

E solo in tali tre casi, se accertata la compatibilità paesaggistica, ai sensi del suo comma 1 ter, non era prevista l’applicazione delle sanzioni penali indicate dall’articolo 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Quanto alle sanzioni amministrative (già stabilite per i tre casi di possibile sanatoria paesaggistica dall’articolo 167 del Codice), le stesse, per le nuove fattispecie ora previste, sono indicate nel comma 5 bis dell’articolo 36 bis del Testo Unico dell’ edilizia: che stabilisce che “qualora sia accertata la compatibilità paesaggistica si applica altresì” – e cioè oltre alle sanzioni per le sanatorie degli abusi edilizi suindicate dal comma 5- “una sanzione determinata previa perizia di stima” –come già nel Codice senza indicare da chi fatta- “ed equivalente” –sempre come previsto per i casi di cui all’articolo 167 del Codice- “al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione” (ed al riguardo non si può non fare  tuttora riferimento al Decreto 26 settembre 1997 dell’allora Ministro per i beni culturali ed ambientali, contenente la “determinazione dei parametri e delle modalità per la qualificazione della indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate nelle aree sottoposte  a vincolo”. La sanatoria in ogni caso “non dà diritto alla restituzione delle somme eventualmente versate a titolo di  oblazione o per il pagamento di sanzioni già irrogate sulla base della normativa previgente (articolo 3, comma 4, del Decreto salva casa).

In caso di rigetto della domanda di compatibilità paesaggistica, continua ad applicarsi, però, il primo comma dell’articolo 167 del Codice, per cui il trasgressore è tenuto alla remissione in pristino a proprie spese (articolo 3, comma 5 bis, del Decreto salva casa).

Ma, oltre alle fondamentali disposizioni dell’articolo 36 bis, vi sono –passim-, nella legge che ha novellato il Testo Unico dell’edilizia altre importanti disposizioni relative al paesaggio.

E l’inserito articolo 34 ter del T.U.E., disciplinante “casi particolari di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo”, prevede che le varianti in corso d’opera –e non denunciate- realizzate prima del 30 gennaio 1977 (data d’entrata in vigore della legge  Bucolossi), allorquando non era disciplinata l’ipotesi della parziale difformità, possano ora essere sanate presentando una SCIA e pagando la relativa oblazione.

Nel caso poi in cui le varianti siano state eseguite in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, si applica l’articolo 36 bis, comma quarto, di cui sopra, e per la sanatoria sarà, dunque, necessario, il previo parere favorevole (anche per silenzio assenso se non espresso in termine) dell’autorità preposta al vincolo, in merito alla compatibilità paesaggistica dell’intervento.

Quanto alle “tolleranze costruttive”, in generale il mancato rispetto dell’altezza e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari, non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del due per cento.  E ciò vale anche per gli interventi su immobili ed aree vincolati, dato che l’Allegato A al DPR n.31 del 2017 esclude espressamente dall’obbligo di autorizzazione paesaggistica “opere ed interventi edilizi eseguiti in variante a progetti autorizzati ai fini paesaggistici che non eccedono il due per cento delle misure progettuali  quanto  ad altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell’aree di sedime” (articolo 31).

L’introdotto articolo 34 bis, comma 1 bis, al Testo Unico dell’edilizia ha ora, però, aumentato le tolleranze per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 (e cioè prima  del Decreto salva casa). Ma nulla dice la norma sugli immobili vincolati: per i quali, quindi, le aumentate tolleranze paiono non applicarsi  tout court: nemmeno per le opere interne.

Va notato, peraltro, che, ciononostante, la Relazione al Decreto salva casa afferma (pagine 9 e 14) che “non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi  realizzati entro il 24 maggio 2024 che rientrino nei limiti delle tolleranze ricostruttive come riparametrati ai sensi del nuovo comma 1 bis dell’articolo 34 bis”).

Ed egualmente è a dirsi per i mutamenti d’uso urbanisticamente rilevanti, di cui all’articolo 23 ter del Testo Unico dell’edilizia, nemmeno se effettuati senza opere (e sarebbe certo piaciuto a Monsieur  de La Palisse leggere che il mutamento della destinazione d’uso d’un immobile “si considera senza opere se non comporta l’esecuzione di opere”: comma 1!).

L’articolo 1 del Decreto salva casa ha poi implementato, integrando l’articolo 6 del Testo Unico dell’ edilizia, gli interventi di attività edilizia libera eseguiti senza alcun titolo abilitativo.

Si tratta degli “interventi di realizzazione e installazione di vetrate amovibili e totalmente trasparenti, cosiddette VEPA, dirette ad assolvere a funzioni temporanee di protezione”, specie dagli agenti atmosferici ( articolo 6, comma 1, lettera b-bis ) nonchè delle “opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici la cui struttura principale sia costituita da tende” et similia, che non determinino la creazione di uno spazio stabilmente chiuso (articolo 6, comma 1, lettera b-ter).

Nulla dice la legge in ordine alla realizzazione di tali interventi sugli immobili vincolati: ma è da ritenere che già fossero adeguatamente disciplinati.  Invero, l’Allegato B (punto B.3) del DPR n.31 del 2017 faceva rientrare tra gli “interventi di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato”, quelli, tra l’altro, relativi alla “realizzazione, modifica o chiusura di balconi o terrazze”. E l’Allegato A (punto A.22) escludeva addirittura dall’autorizzazione paesaggistica  l’ “installazione di tende parasole su terrazze, prospetti o in  spazi pertinenziali ad uso privato”.

Concludendo.

Il Decreto salva casa ha apportato sicuramente delle utili semplificazioni nei rapporti tra Amministrazione e cittadini: risolvendo in modo abbastanza organico taluni problemi che in passato avevano sempre visto soluzioni temporanee e straordinarie: anche se da taluno è stato, invece, notato che il Decreto salva casa rappresenterebbe solo “ un nuovo e marginale intervento di <<manutenzione>> del DPR n. 380 del 2001”.

Non tutte le sue disposizioni sono, però, chiare e di facile applicazione e varii sono i dubbi interpretativi: creando così difficoltà agli uffici comunali. E stanno solo iniziando i recepimenti da parte di Regioni e Comuni: che, in attesa di chiarimenti ministeriali, si limitano (come espressamente, ad esempio, fatto dal Comune di Roma) perlopiù a dare “prime indicazioni di massima circa l’interpretazione  e l’applicazione del Decreto”.

C’è quindi attesa per la preannunciata Circolare  del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che chiarisca quantomeno l’elenco delle sanzioni e delle oblazioni da applicare e fornisca ai Comuni moduli unici e specifici per la sanatoria semplificata del Decreto salva casa.

La cosa dovrebbe essere imminiente, come ha recentemente annunciato il Ministro durante un question time alla Camera,  in occasione di un’interrogazione al riguardo fatta da una Deputata.

Ma il Decreto ha fatto anche comprendere come il TUE sia ormai vetusto (nonostante le plurime modifiche nel tempo allo stesso via via apportate) e sia giunto il momento d’una sua riforma organica: come del resto preannunciato dal Ministro, che ha dichiarato che “il prossimo passo sarà rappresentato dalla presentazione di un disegno di legge” –in tempi brevi (il Sole 24 ore del 26 novembre scorso dà per certo fine anno)- “per il riordino e la semplificazione della disciplina in  materia di edilizia e costruzioni”.

E per quanto riguarda il paesaggio, è evidente che necessita ora, nell’immediato,  un aggiornamento del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che inizi quantomeno con l’inserire nello stesso, in modo organico, quanto di nuovo è stato disciplinato al riguardo dal Decreto salva casa.

Ma  poi, pur potendosi e dovendosi ancora procedere vieppiù nella disciplina della tutela paesaggistica, occorrerà che si eviti che le esigenze edilizie riducano la protezione del paesaggio: come potrebbe già far intendere la decisione della Soprintendenza di Milano di ricorrere sempre, ove possibile, al silenzio-assenso, con un automatismo, quindi, che, pur semplificando, rende meno consapevole la valutazione della compatibilità paesaggistica degli interventi.

In ogni caso, con riferimento, frattanto, al Decreto salva casa, per capire se davvero otterrà il successo auspicato, bisognerà attendere di vedere il numero delle regolarizzazioni che verranno richieste ed effettuate.

Intanto, speranzosi, come disse Amatore Sciesa, tiremm innanz!

Marino Breganze de Capnist

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